[Pagina precedente]...a francese, malgrado le molte qualità , e massimamente le infinite circostanze estrinseche (potenza, commercio, letteratura e civiltà unica della nazione che la parlava) che favorirono, (e per lunghissimo tempo), e quasi necessitarono la sua universalità , molto più che le circostanze estrinseche della francese ec.
(11. Dec. 1823.)
Non è dubbio che la civiltà , i progressi dello spirito umano ec. hanno accresciuto mirabilmente e in numero e in grandezza e in estensione le facoltà umane, e generalmente le forze dell'uomo, il quale essendo ora, al contrario che da principio, più spirito che corpo, come dico altrove, può veramente, anche nelle cose materiali, infinitamente più che da principio. Ma bisogna vedere se queste nuove facoltà , questo accrescimento di forze ec. corrisponde ed era destinato dalla natura [3974]sì generale sì della specie umana in particolare, e giova o nuoce alla felicità d'essa specie, chè nocendo, è certo che non corrisponde alla natura ec. Di quante incredibili abilità vediamo noi col fatto che moltissimi animali (fino ai pulci addestrati da non so chi a tirare un cocchietto d'oro) sono capaci, e lo videro gli antichi che ne raccontano maraviglie, corrispondenti alle moderne, benchè alcune maggiori, per la maggiore industria degli antichi, in questa come in tante altre cose, manifatture, lavori d'arte ec. Chi non le avesse udite da testimonii irrecusabili, o vedute cogli occhi propri o ascoltate co' propri orecchi, neppur le avrebbe immaginate, nè figuratasene la possibilità , la capacità , l'attitudine fisica in quella specie di animali, come p.e. elefanti, cani, orsi, gatti, topi (cosa vera) ec. ec., anche ferocissime, e apparentemente le più incapaci di disciplina e di mutar costumi ec. e di mansuefarsi e obbedire agli uomini ec. Or chi dirà che tali abilità le quali accrescono le facoltà di quelli animali ec. fossero per ciò destinate dalla natura o generale, o loro particolare ec. giovino alla loro felicità ec. e che le loro rispettive specie sarebbero più perfette o meno imperfette, se tali abilità fossero in esse più comuni, o universali ec.? E senz'andar troppo lontano, quante proprietà abilità ec. lontanissime dalla sua primitiva condizione, non acquistano tuttodì sotto i nostri occhi, e tuttodì esercitano, i cavalli da tiro, da maneggio ec. proprietà ed abilità che non ci fanno più meraviglia alcuna, a causa dell'abitudine e frequenza, e che l'arte d'insegnar loro siffatte cose è comunissima e presentemente e da lungo tempo, facile; ma nè questa nè quelle sono perciò men degne di maraviglia. [3975]Or con tutto questo, e con tutto che il numero degl'individui così ammaestrati sia tanto, e così continuo e successivo ec. chi dirà che ec. come sopra? se non chi stima che tutto il mondo, e in questo la specie de' cavalli, sia fatta di natura sua per servizio dell'uomo, e tenda a questo come a suo fine, e non abbia la sua perfezione fuor di questo, onde sia destinata e disposta naturalmente all'acquisto di quelle facoltà e qualità che si richiedono o convengono e giovano a tal servizio, di modo che un cavallo non sia perfettamente cavallo se e fino ch'ei non sa portare un uomo sul suo dosso, e obbedire a' suoi segni e prevenirli e indovinarli ec. ec. e far tutto questo perfettamente.
(11. Dec. 1823.)
Diminutivi positivati. Corbeau, corbin da corvus.
(11. Dec. 1823.)
Diminutivi positivati greci. ??????, ???????, ?????? co' loro derivati. Altri che forse pur sono, almen talvolta, positivati, vedili nella Gramm. del Weller, Lips. 1756. p.82., co' lor derivati o composti ec.
(12. Dec. 1823.)
In Omero tutto è vago, tutto è supremamente poetico nella maggior verità e proprietà e nella maggior forza ed estensione del termine; incominciando dalla persona e storia sua, ch'è tutta involta e seppellita nel mistero, oltre alla somma antichità e lontananza e diversità de' suoi tempi da' posteriori e da' nostri massimamente e sempre maggiore di mano in mano (essendo esso il più antico, non solo scrittore che ci rimanga, ma monumento dell'antichità profana; la più antica parte dell'antichità superstite), che tanto contribuisce per se stessa a favorire l'immaginazione. Omero stesso è un'idea vaga e conseguentemente poetica. Tanto che si è anche dubitato e si dubita ch'ei non sia stato mai altro veramente che un'idea. (12. Dec. 1823.). Il qual dubbio, [3976]stoltissimo benchè d'uomini gravissimi, non lo ricordo se non per un segno di questo ch'iodico.
(12. Dec. 1823.)
Non è propria de' tempi nostri altra poesia che la malinconica, nè altro tuono di poesia che questo, sopra qualunque subbietto ella possa essere. Se v'ha oggi qualche vero poeta, se questo sente mai veramente qualche ispirazione di poesia, e va poetando seco stesso, o prende a scrivere sopra qualunque soggetto, da qualunque causa nasca detta ispirazione, essa è certamente malinconica, e il tuono che il poeta piglia naturalmente o seco stesso o con gli altri nel seguir questa inspirazione (e senza inspirazione non v'è poesia degna di questo nome) è il malinconico. Qualunque sia l'abito, la natura, le circostanze ec. del poeta, pur ch'ei sia di nazione civile, così gli accade, e come a lui così a un altro che non avrà di comune con lui se non questo solo. ec. Fra gli antichi avveniva tutto il contrario. Il tuono naturale che rendeva la loro cetra era quello della gioia o della forza della solennità ec. La poesia loro era tutta vestita a festa, anche, in certo modo, quando il subbietto l'obbligava ad esser trista. Che vuol dir ciò? O che gli antichi avevano meno sventure reali di noi, (e questo non è forse vero), o che meno le sentivano e meno le conoscevano, il che viene a esser lo stesso, e a dare il medesimo risultato, cioè che gli antichi erano dunque meno infelici de' moderni. E tra gli antichi metto anche, proporzionatamente, l'Ariosto ec.
(12. Dec. 1823.)
[3977]Alla p.3927. Questa moltiplicità incalcolabile di cause e di effetti ec. nel mondo morale non deve nè parere assurda o difficile ad ammettersi nè far meraviglia a chi consideri com'ella si trova evidentemente, e del pari infinita e incalcolabile nel mondo fisico. Nè la medicina, nè la fisiologia, nè la fisica, nè la chimica, nè veruna anche più esatta e più materiale scienza che tratti delle più sensibili e meno astruse parti ed effetti della natura,233 non possono mai specificare nè calcolare nemmeno per approssimazione, se non in modo larghissimo, nè il numero nè il grado e il più e il meno, nè tutti i rapporti ec. delle infinite diversità di effetti che secondo le infinite combinazioni e rapporti scambievoli ec. e influenze e passioni scambievoli ec. che possono avere ed hanno effettivamente luogo, risultano dalle cause anche più semplici più poche e limitate, che dette scienze assegnano; nè le infinite modificazioni di cui dette cause, secondo esse combinazioni, sono suscettibili, ed a cui sono effettivamente soggette. E non per tanto, almeno in grandissima parte, esse cause non si possono volgere in dubbio, e nessuno dalla detta impossibilità di specificare e calcolare esattamente e pienamente, risolve ch'esse cause non sieno le vere, e moltissime sono evidenti e sotto gli occhi, e così il loro modo di agire, le loro relazioni cogli effetti ec., i quali tuttavia non sono più calcolabili nè numerabili. Basti solamente osservare le cause e gli effetti che agiscono ed hanno luogo nel corpo umano, e le infinite diversità ed anche contrarietà che per differenze, sovente impercettibili, di combinazioni, hanno luogo negli accidenti e passioni d'esso corpo anche in individui conformissimi,234 in un tempo medesimo, in circostanze che possono parere conformissime, [3978]in un medesimo individuo ec. Nè per tanto si può dubitare di quelle cause, purchè d'altronde ec. nè se ne dubita, nè si condannano quei sistemi e quei metodi ec. de' quali in quanto a questo particolare niuno uomo potrebbe pensarne o usarne un migliore.
(12. Dec. 1823.)
Alla p. antecedente. - niuna parte, niun sistema di esse scienze, anche il più dimostrato, niun ordine, niun metodo di trattarle, per efficace, accurato, minutissimo, ordinatissimo, solertissimo che possa essere; se esse scienze o sistemi non si fingono e suppongono, determinano, conformano e circoscrivono i subbietti e lor qualità vere o immaginarie a modo loro, come fanno le matematiche e, p.e. la meccanica nella considerazione delle forze fisiche e de' loro effetti.
Le scienze e i sistemi non possono andare che per via di paradigmi e di esempi, supponendo tali e tali subbietti, di tali e tali qualità in tali e tali circostanze ec. ovvero generalizzando, sia col salire da questi particolari esempi alla università de' subbietti in qualche modo diversi, e delle combinazioni diverse, sì nelle cause sì negli effetti; sia in qualunque altra guisa. E tutte sono obbligate di fare più o meno come le matematiche, che per considerare gli effetti delle forze, suppongono i corpi perfettamente duri, e perfettamente levigati, e l'assenza del mezzo, ossia il vóto, ec.; e così il punto indivisibile ec.
(12. Dec. 1823.). V. Thomas Éloge de Descartes, Oeuvres, Amsterdam 1774. t.4. p.47. seg.
Diminutivi positivati. Grappo-grappolo. Franc. grappe.
(13. Dec. 1823.)
Fusa e fusi plur. lat. sostantivi di cui altrove. Così locus-loci e loca. Il che è segno di un ant. locum. Così fusa di un fusum. [3979]Così, credo, altri nomi vi sono che hanno diversi generi o in ambo i numeri o in un solo, senza diversa significazione. Così caelus onde caeli, e caelum che oggi non ha plurale siccome il singolare di caelus è antiquato.
(14. Dec. 1823.)
Come la lingua e letteratura italiana si stimassero nel 500 da molti anche dotti e gravi uomini non dovere nè potere uscire de' termini in che le posero i 3. famosi trecentisti, anzi solamente il Petrarca e il Boccaccio, nè delle lor parole e modi e artifizi e stili, e dell'abito ch'essi avevan dato all'una e all'altra ec. del che altrove, vedi il Dial. della Rettorica dello Speroni, Diall. Ven. 1596. p.147-150. p.157. fine. - 158. principio, p.162. verso il fine.
(14. Dec. 1823.)
Alla p.3940. Non sempre però usa l'i. Alle volte usa la vocale stessa ch'è la prima della parola raddoppiata, come in ???????? da ??????? (dove anche è aggiunto l'?, ???), e credo in molti altri casi. Fors'anche usa altre vocali, e altri modi di duplicazione. Ma uno di tali modi è certo il sopraddetto, cioè la prima consonante della voce raddoppiata, e un i, e questo è regolare, e forse il più frequente e regolare e uniforme ec. (14. Dec. 1823.). E chi sa anche se quel ???????? ha veramente l'etimologia che gli attribuiscono ec. E la forma della voce raddoppiata, cioè ????? è molto irregolare quanto alla sua derivazione da ???????, se questa è vera ec. Laddove le forme delle voci raddoppiate coll'i (come ????????) sono regolari ec.
(14. Dec. 1823.). V. p.3989.3994.4009. capoverso 8.
Quanto alla particella negativa o privativa ne o nec per non, del che altrove, dà un'occhiata nel Forcellini a tutte le voci [3980]comincianti massimamente per ne, e così nello Scapula alle voci comincianti massimamente per ?? e ??. (14. Dec. 1823.)
Genou sembra esser da genu, come altrove. Ma agenouiller è da un genouille diminutivo.235 Vedi la pag.3955. Trovo nel D. Quijote finojo per ginocchio, voce che mi par quivi affettatamente antiquata, come molte altre, per contraffare il linguaggio degli antichi libri di Cavalleria, ed è posta in bocca di Sancho. In ogni modo mostra che anche l'antico spagnuolo (se già non prese questa voce dall'italiano) usava il diminutivo di genu nel senso positivo e in vece del positivo latino. Sta la detta voce nella Parte I. del D. Quijote, lib.4. cap.31. p.343. ediz. d'Amberes 1697. t.1.
(14. Dec. 1823.). V. p.3983.
Alla p.3964. principio. Catar da cui è recatar (riguardare), se già non è da captare, che non credo, sarà da calus, il quale da caveo, e quindi quasi caular, e continuativo di caveo. Cata (gare, guardati) equivale propria...
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