[Pagina precedente]...riamente (e il prova sì la ragione sì 'l fatto di tutti i secoli sociali) non pur non serve ma nuoce alla propria conservazione e felicità , e serve quasi quanto è in lei alla propria distruzione e infelicità essa medesima: cosa di cui non vi può essere la più contraddittoria in se stessa, e la più ripugnante alla ragione, ordine, principii, natura, non men particolare della specie umana e di ciascuna specie di esseri, che universale e complessiva di tutte le cose, e della esistenza medesima, non che della vita.
(27. Nov. 1823.)
[3931]Al detto altrove sopra i dialetti d'Omero, e quello d'Empedocle, che benchè Dorico usò il dialetto Jonico, aggiungi che nello stesso caso è Ippocrate, e vedi Fabric. B. G. edit. vet. in Hippocr. §.1. t.1. p.844. lin.4-6. e nott. i. k. (27. Nov. 1823.).
Alla p.3906. marg. L'ebbro ancorchè vivente, operante e pensante e parlante, non riflette sopra se stesso, nè sulla sua vita, azioni, pensieri e parole, o men del suo solito e più rapidamente e correndo via. - Infatti il timido suol divenir franco, sciolto ec. in quel punto. Segno ch'egli acquista allora una facoltà d'irriflessione, necessaria e madre della franchezza (anche de' migliori spiriti, e in chicchessia), e la cui mancanza e il cui contrario, è talor la sola talora la principal cagione della timidità . Nondimeno egli è nel tempo stesso più spiritoso, pronto, ingegnoso, ed anche profondo ec. dell'ordinario suo: il che sembra mostrare per lo contrario una maggior facoltà ed atto di riflessione. Ma questa è una riflessione non riflettuta e quasi organica, e un'azione quasi meccanica del suo cervello e della sua lingua, leggermente influita e guidata appena appena dall'animo e dalla ragione, e un effetto quasi materiale e spontaneo ed ????????? delle abitudini contratte ed esercitate e possedute fuori di quello stato, le quali agiscono allora con pochissimo intervento della volontà e dello stesso intelletto, a cui pure, gran parte di loro, totalmente appartengono, e da cui vengono o in cui si operano quelle tali azioni, pensieri, parole ec.
(27. Nov. 1823.)
Alla p.3899. L'homme est fait pour agir, non pour philosopher. Frédéric II. Épître I. à d'Argens, Sur la faiblesse de l'esprit humain. Oeuvres complettes 1790. tome 15. p.9.
(28. Nov. 1823.)
[3932]Verdaderamente yo tengo que ay muchos tiempos y años que ay gentes en estas Indias (la America meridional), segun lo demuestran sus antiguedades y tierras tan anchas y grandes como han poblado; y aunque todos ellos son morenos lampiños, y se parecen en tantas cosas unos a otros: ay tanta multitud de lenguas entre ellos que casi a cada legua y en cada parte ay nuevas lenguas. Chronica del Peru, parte primera (della quale opera vedi la pag.3795-6.) hoja 272. capitulo 116 principio.
(28. Nov. 1823.)
Alla p.3926. - età , condizioni, malattie, climi, circostanze qualunque morali o fisiche, sì proprie sì esteriori, nazionali, locali, comuni al secolo, alla nazione, o particolari e individuali, comuni all'età , o non comuni, naturali, o acquisite, accidentali, abituali o attuali, durevoli o passeggere ec. ec.
(28. Nov. 1823.)
Alla p.3802. fine. Sebben però quanto all'animo, alla cognizione della verità , alla spiritualizzazione dell'uomo (p.3910. segg.) che son tutte cose parte necessarie alla civilizzazione, parte suoi naturali effetti, parte sostanza e quasi sinonimi di essa, lo stato dell'uomo civile è indubitatamente di gran lunga inferiore a quello delle più selvagge e brutali società , e più lontano incomparabilmente dalla natura, e sotto questo rispetto non meno che per se medesimo infinitamente più infelice. L'individuo nella società civile nuoce meno agli altri, ma molto più a se stesso. Ed anche quanto agli altri, ei nuoce meno al lor fisico ma al morale molto più, ei li danneggia fisicamente meno, ma moralmente in mille guise e sotto mille rispetti, molto davantaggio. Ora il morale nell'uomo civile, lo spirito ec. è per natura dell'uomo in tale stato la parte principale e ?? ?????????? dell'uomo, anzi quasi tutto l'uomo, non altrimenti e niente manco [3933]che nell'uomo primitivo o di società salvatica, la parte principale e quasi il tutto, sia il corpo. Dunque nella società civile, nuocendo gl'individui a' lor simili moralmente assai più che nella selvaggia, e contribuendo alla infelicità dello spirito gli uni degli altri, essi non si nocciono scambievolmente meno, nè si cagionano l'un l'altro minore infelicità , nè di questa ne son manco cagione essi, di quel che avvenga nella società barbara, dove il nocumento scambievole, e l'infelicità che risulta dalla società stessa è più fisica che morale, perchè i lor subbietti cioè quegli uomini sono altresì più materia che spirito nella stessa proporzione. Anzi quanto e maggiore l'infelicità dello spirito che quella del corpo, tanto è maggiore il danno morale, o influente principalmente sul morale, e affliggente il morale, che gli uomini civili si recano scambievolmente (anche quando offendono in cose e con mezzi fisici); e quindi tanto maggiore è l'infelicità che gli uni agli altri in tal società si proccurano, di quella che nelle società barbare, o semibarbare, o semicivili, a proporzione. E quanto a se stessi, niuno nella società selvaggia nuoce a se moralmente, come inevitabilmente accade nella civile. Fisicamente già non può nuocersi il selvaggio se non per accidente. Il civile arriva fino al suicidio. Insomma si conchiude che tutto compensato, la società civile per sua natura è cagione all'uomo, benchè di minore infelicità fisica ed appariscente (o piuttosto di minori sciagure fisiche, perchè com'ella noccia generalmente al fisico, e particolarmente colle malattie, che a lei quasi tutte si debbono ec. si è mostrato in più luoghi), pur di maggiori sciagure morali, e tutto insieme [3934]di molto maggiore infelicità , che non è la società selvaggia o mal civile, altresì per sua natura. E similmente, compensato il tutto insieme, è molto più lontana dalla natura, benchè le snaturatezze della società selvaggia diano molto più nell'occhio, non per altro che perchè sono più materiali e fisiche, siccome gli uomini che compongono tali società , e siccome le sciagure e la infelicità generale che ne risulta. Non v'è cosa più contro natura, di quella spiritualizzazione delle cose umane e dell'uomo, ch'è essenzial compagna, effetto, sostanza della civiltà . Come le snaturatezze, le calamità , e la infelicità delle società selvagge, per esser naturalmente più fisiche, anzi tutte fisiche e materiali, sono più evidenti e tali che ognuno le può riconoscere per quel che sono, non v'è uomo il quale non convenisse che se la società umana non potesse esser altra che la selvaggia, la società nel gener nostro sarebbe cosa contro natura, e l'uomo non esser fatto per la società , ed in questa esser necessariamente imperfettissimo e infelicissimo. Ma perchè i danni e le snaturatezze della società civile sono più morali e spirituali, il che è ben consentaneo, perchè tale si è altresì l'uomo civile, ed e' non può esser altrimenti, perciò, quantunque tali danni sieno molto più gravi veramente e contro natura, e tali snaturatezze molto maggiori, niuno però conviene che la società civile sia contro natura, e l'uomo non esser fatto per lei, e ch'ella sia necessariamente infelice, e molto meno ch'ella per propria essenza sia più contraria alla natura, e complessivamente più infelice che la società selvaggia. Questo veramente non è un ragionare da uomini civili, cioè spiritualizzati, ma appunto da primitivi o selvaggi, cioè materiali, non avendo riguardo che alle [3935]snaturatezze e infelicità materiali e sensibili, e che si riconoscono senza ragionamento, o stimandole sempre assai minori di quelle che il ragionamento dimostra essere molto maggiori, o negando affatto di riconoscere quelle che in verità sono molto maggiori, e negandolo perchè solo il ragionamento può mostrarle per tali e per infelicità e snaturatezze. Gli uomini anche i più civili e filosofi, così facendo (come quasi tutti, anche i sommi, fanno), somministrano nello stesso eccesso della lor civiltà e spiritualizzazione, una forte conferma di questa nostra proposizione che non vi sia cosa più contraria alla natura che la spiritualizzazione dell'uomo e di qualsivoglia cosa, e che tutto insomma per natura è materiale, e che la materia sempre vince, e che quindi essi così civili e spiritualizzati sono corrottissimi, perchè nello stesso loro ragionamento con cui vogliono difendere questo loro stato, e che loro è inspirato da questo, dà nno la preferenza alla materia e non vogliono ragionare che materialmente.
Tout homme qui pense est un animal dépravé. Dunque l'uomo e la società civile lo è più che mai, e tanto più quanto più civile, non essendo quasi altro che spirito, ed éssere pensante, o adunanza di tali esseri.
Tutto questo discorso conviene colle osservazioni e prove che in mille di questi miei pensieri si sono fatte sopra la snaturatezza e infelicità vera dell'uomo corrispondente in proporzione alla sua maggior civiltà . Del che vedi in particolare il pensiero seguente, e quello a cui esso si riporta, come per natura sua, la civiltà sia supremamente contraria alla natura sì dell'uomo sì universale, e causa d'infelicità somma più che non è lo stato selvaggio, per una conseguenza della teoria e delle leggi universali di tutte le cose, [3936]e dell'esistenza.
(28. Nov. 1823.)
Alla p.3927. Non è difficile il concepire le per altro grandissime e moltiplici conseguenze che scaturiscono da' suesposti principii, in ordine al dimostrare che la civiltà la quale per sua natura rende l'uomo, per così dire, tutto spirito (p.3910. segg.), ed accresce per conseguenza infinitamente la vita propriamente detta, e l'amor proprio, accresce anche sommamente per sua natura l'infelicità dell'uomo e della società . E similmente in mille modi trasportando l'azione dalla materia allo spirito, l'attività , l'energia, ec. e, mettendo mille ostacoli all'attuale ed effettiva attività corporale (i governi, i costumi, la mancanza di bisogni, lo scemamento di forze, il gusto dello studio, ec. ec.), e scemando il grado e la forza e la frequenza delle sensazioni, passioni, azioni, e piaceri materiali, e la capacità di essi ec.; riconcentra orribilmente l'amor proprio, lo rivolge tutto sopra se stesso e in se stesso, per conseguenza l'aumenta sopra ogni credere, lo spoglia o impoverisce di distrazione ed occupazione ec. ec. Il selvaggio e per natura del suo corpo e de' suoi costumi e della sua società , essendo men vivo di spirito, cioè propriamente men vivo, è meno infelice del civile, senza paragone alcuno. Così il villano, l'ignorante, l'irriflessivo, l'uom duro, stupido, è o per natura o per abito, inerte di mente, d'immaginazione di cuore ec. ec. a paragone dell'uomo ec. La civiltà aumenta a dismisura nell'uomo la somma della vita (s'intende l'interna) scemando a proporzione l'esistenza (s'intende la vita esterna). La natura non è vita, ma esistenza, e a questa tende, non a quella. Perocchè ella è materia, non spirito, o la materia in essa prevale e dee prevalere allo spirito (e così accade infatti costantemente in tutte l'altre sue parti sì animate che inanimate, e [3937]vedesi che tale è la sua intenzione, e che le cose sono ordinate a questo risultato universalmente e particolarmente, secondo le loro specie e lor differenze e proporzioni scambievoli, ma nel tutto il risultato è quello che ho detto), al contrario di ciò che accade nell'individuo e nel genere umano civilizzato, per propria natura della civiltà - ec. ec. - Vedi il pensiero precedente. (28. Nov. 1823.). - Segue ancora da questi principii che la vita attiva, come più materiale, e abbondante più di esistenza che di vita propria, la vita ricca di sensazioni ec. è naturalmente, e secondo la natura sì propria sì universale, più felice che la contemplativa ec. la qual è il contrario. V. p. seg.
Al detto altrove di possente, puissant, pujanza ec. aggiungi sobrepujar.
(29. Nov. anniversario...
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