[Pagina precedente]...rituale. Dunque la maggiore o minor vita, e quindi amor proprio e infelicità , si dee misurare dalla maggior forza non del corpo ma dello spirito. E la maggior forza dello spirito consiste nella maggior delicatezza, finezza ec. degli organi che servono alle funzioni spirituali. Delicatezza d'organi difficilmente si trova in una complessione non delicata; e viceversa ec. La delicatezza del fisico interno corrisponde naturalmente ed è accompagnata da quella dell'esterno. Di più la forza del corpo rende l'uomo più materiale, e quindi propriamente parlando, men vivo, perchè la vita, cioè il sentimento dell'esistenza, è nello spirito e dello spirito. Così le passioni ed azioni, le sensazioni e piaceri ec. materiali, tanto più quanto sono più forti; (rispettivamente alla capacità ed agli abiti fisici e morali, ec. dell'individuo); le attuali attualmente, le abituali abitualmente. Le sensazioni materiali in un corpo forte, o in un individuo che per esercizio o per altra [3924]cagione ha acquistato maggior forza corporale ch'ei non aveva per natura, o in un corpo debole che si trovi in passeggero stato di straordinaria forza, sono più forti, ma non perciò veramente più vive, anzi meno perchè più tengono del materiale, e la materia (cioè quella parte delle cose e dell'uomo che noi più peculiarmente chiamiamo materia) non vive, e il materiale non può esser vivo, e non ha che far colla vita, ma solo colla esistenza, la quale considerata senza vita, non è capace nè di amor proprio nè d'infelicità . Così la materia non è capace di vita, e una cosa, un'azione, una sensazione ec. quanto è più materiale, tanto è men viva. Insomma ciascuna specie di viventi rispetto all'altre, ciascuno individuo rispetto a' suoi simili, ciascuna nazione rispetto all'altre, ciascuno stato dell'individuo sia naturale, sia abituale, sia attuale e passeggero, rispetto agli altri suoi stati, quanto ha più del materiale, e meno dello spirituale, tanto è, propriamente parlando, men vivo, tanto meno partecipa della vita e per quantità e per intensità e grado, tanto ha minor somma e forza di amor proprio, e tanto è meno infelice. Quindi tra' viventi le specie meno organizzate, avendo un'esistenza più materiale, e meno di vita propriamente detta, sono meno infelici. Tra le nazioni umane le settentrionali, più forti di corpo, men vive di spirito, sono meno infelici delle meridionali. Tra gl'individui umani i più forti di corpo, men delicati di spirito, sono meno infelici. Tra' vari stati degl'individui, quello p.e. di ebbrietà , benchè più vivo quanto al corpo, essendo però men vivo quanto [3925]allo spirito (che in quel tempo è obruto dalla materia, e le sensazioni spirituali dalle materiali, e le azioni stesse dello spirito, benchè più forti ec., hanno allora più del materiale che all'ordinario), e quindi la vita essendo allora più materiale, e quindi propriamente men vita (come in tempo di sonno o letargo, benchè questo sia inerte, e l'ebbrietà più svegliata ancora e più attiva talvolta che lo stato sobrio), è meno infelice.
Del resto egli è ben vero, come ho detto, che la forza del corpo rende il vivente più materiale, e gl'impedisce o indebolisce l'azione e la passione interna, e quindi scema, propriamente parlando, la vita. Ond'è che, generalmente parlando, quanto nel vivente è maggiore la forza e l'operazione e passione e sensazione del corpo particolarmente detto (sia per natura, o per abito, o per atto), tanto è minore la vita, l'azione e la passione dello spirito, cioè la vita propriamente detta. Ma questo si deve intendere, posta una parità di circostanze nel rimanente. Voglio dire, se il leone ha più forza di corpo che il polipo, non per questo egli è men vivo del polipo. Perocchè egli è nel tempo stesso assai più organizzato del polipo, e quindi ha molto più vita. Onde tanto sarebbe falso il conchiudere dalla sua maggior forza corporale che egli abbia più vita, e quindi sia più infelice, del polipo, quanto il conchiuderne ch'ei sia più infelice dell'uomo, come si dovrebbe conchiudere se la vita si avesse a misurare dalla forza comunque, o dalla forza estrinseca (nel che il leone passa l'uomo d'assai) e non dalla organizzazione [3926]ec. in cui l'uomo è molto superiore al leone. Se la donna è di corpo più debole dell'uomo, e la femina del maschio, non ne segue che generalmente e naturalmente la donna e la femmina abbia più vita, e sia più infelice del maschio. Converrebbe prima affermare che di spirito la femmina sia o più o altrettanto forte, cioè viva ec., che il maschio; ed accertarsi o mostrare in qualunque modo, che al minor grado della sua forza corporale rispetto al maschio non risponda generalmente nel suo spirito una certa qualità di organizzazione un certo minor grado di delicatezza ec. ec. da cui risulti che generalmente e naturalmente lo spirito della femmina sia minore, men vivo, che la femmina abbia men vita interna, e quindi propriamente men vita, del maschio, con un certo e proporzionato ragguaglio al minor grado di forza corporale che ha la femmina rispetto al maschio. Io credo onninamente che sia così e che il maschio in somma viva propriamente (per natura e in generale) più che la femmina, ed è ben ragione ec.217 Similmente discorrasi delle nazioni, degl'individui, e de' vari stati di un medesimo individuo, avendo riguardo alle lor varie nature, caratteri ed abiti sì quanto al corpo sì quanto allo spirito,218 le quali disparità , e quelle de' loro gradi, e le diverse combinazioni di questi e di quelle producono in questo nostro proposito, come, si può dire, in ogni altra cosa, (e in tutta la natura e in tutte le parti di lei similmente accade), infinite e grandissime diversità di risultati. Tutti i quali però, benchè impossibile sia lo specificarli e spiegarli a uno a uno, e benchè, stante la moltiplicità e sfuggevolezza delle cause che contribuiscono a modificarli in questa e questa e questa forma (una delle quali che mancasse, o non fosse appunto tale e tale, o in quel tal grado, o in quella proporzione coll'altre, o [3927]così combinata ec., il risultato non sarebbe quello) sieno anche bene spesso difficilissimi a spiegarsi, e a rivocarsi ai principii, ed a conoscerne il rapporto e somiglianza cogli altri risultati, chi non sia abilissimo, acutissimo e industriosissimo nel considerarli; nondimeno in sostanza corrispondono ai principii da me esposti, e non se gli debbono riputare contrarii, come non dubito che potranno parere mille di loro e in mille casi, alla prima vista, ed anche dopo un accurato, ma non idoneo nè giusto nè sufficiente esame. Bisogna aver molta pratica ed abilità ed abitudine di applicare i principii generali agli effetti anche più particolari e lontani, e di scoprire e conoscere e d'investigare i rapporti anche più astrusi e riposti e più remoti. Questa protesta intendo di fare generalmente per tutti gli altri principii e parti del mio sistema sulla natura. V. p.3936.3977.
L'esistenza può esser maggiore senza che lo sia la vita. L'esistenza del leone può dirsi maggiore di quella dell'uomo. La vita al contrario. L'esistenza insieme e la vita del leone è maggiore rispetto all'ostrica, alla testuggine, alla lumaca, al giumento, al polipo. La vita del leone è maggiore che non è quella delle piante anche più grandi, de' globi celesti ec. L'esistenza al contrario.
Vedi al proposito di questo pensiero le pagg.3905-6.
(27. Nov. 1823.) e la p.3929. lin.11.12.
Al detto nella teoria de' continuativi sul principio, circa sectari, seguitare ec. aggiungi il nostro conseguitare, lo stesso che conseguire [3928]ne' suoi vari sensi. V. la Crusca.
(27. Nov. 1823.)
Participii in us di senso neutro ec. Al detto altrove di defectus da deficio, aggiungi il suo composto indefectus, di cui v. Forcell., onde il moderno indefettibile (indéfectible ec.) in senso non passivo ma neutro, siccome anche indefectivus, defectivus, defettibile ec.219 V. Forcell. Gloss. Crus. Diz. franc. e spagn.
(27. Nov. 1823.)
Al detto altrove in più luoghi in proposito di avvisare, aggiungi ravvisare di cui v. Crusca, e se raviser, e v. gli spagnuoli.
Nóta ancora che avvedere-avvisare spettano anch'essi a quella categoria della quale è scorgere-scortare, assalire-assaltare ec. da me distinta altrove.
(27. Nov. 1823.)
Alla p.3826. E il non esser essa del buon latino, e l'esserlo al contrario, e costantemente, quell'altra sopraddetta, cioè facibilis e non factibilis (se i latini antichi avessero fatto questa sorta di verbale da facio, come da doceo fecero docibilis e non doctibilis; ora factum e doctum sono la stessa forma), e simili,220 dimostra che la propria forma de' supini fu quale noi la diciamo, e non la più moderna ec.
(27. Nov. 1823.)
Alla p.3784. La guerra e qualsivoglia volontario omicidio è contrario e ripugna essenzialmente alla natura non men particolare degli uomini, che generale degli animali, e universale delle cose e della esistenza, per gli stessi principii per cui le ripugna essenzialmente il suicidio. Perocchè, come ciascun individuo, così ciascuna specie presa insieme è incaricata dalla natura [3929]di proccurare in tutti i modi possibili la sua conservazione, e tende naturalmente sopra ogni cosa alla sua conservazione e felicità : quanto più di non proccurare ed operare essa stessa per quanto, si può dire, è in lei, la sua distruzione. E questa legge è necessaria e consentanea per se stessa, e implicherebbe contraddizione ch'ella non fosse, ec. come altrove circa l'amor proprio ec. degl'individui. L'individuo p.e. l'uomo, in quanto individuo, odia gli altri membri della sua specie; in quanto uomo, gli ama, ed ama la specie umana. Quindi quella tendenza verso i suoi simili più che verso alcun'altra creatura sotto certi rispetti, e nel tempo stesso quell'odio verso i suoi simili, maggiore sotto certi rispetti che verso alcun'altra creatura, i quali non men l'uno che l'altra, e ambedue insieme in tanti modi, con sì vari effetti, e in sì diverse sembianze si manifestano ne' viventi, e massime nell'uomo, che di tutti è il più vivente (p.3921-7.). E come il secondo, ch'è non men necessario e naturale della prima, nuoce per sua natura e alla conservazione e alla felicità della specie, e d'altra parte questo è direttamente contrario alla natura particolare e universale, e la specie presa insieme dee tendere e servir sempre (regolarmente) alla sua conservazione e felicità , non restava alla natura altro modo che il porre i viventi verso i loro simili in tale stato che la inclinazione degli uni verso gli altri operasse e fosse, l'odio verso i medesimi non operasse, non si sviluppasse, non avesse effetto, non venisse a nascere, e propriamente, quanto all'atto non fosse, ma solo in potenza, come tanti altri mali, che essendo sempre, o secondo natura, solamente in potenza, la natura non ne ha colpa nessuna. Questo stato non poteva esser altro che quello o di niuna società , o di società non [3930]stretta. E meno stretta in quelle specie in cui l'odio degl'individui, come individui, verso i lor simili, era per natura della specie, maggiore in potenza, e riducendosi in atto, ed avendo effetto, avrebbe più nociuto alla conservazione e felicità della specie: nel che fra tutti i viventi l'odio degl'individui umani verso i lor simili occupa, per natura loro e dell'altre specie, il supremo grado. In questa forma adunque la natura regolò infatti proporzionatamente le relazioni scambievoli e la società degl'individui delle varie specie, e tra queste dell'umana; e dispose che così dovessero stare, e lo proccurò, e mise ostacoli perchè non succedesse altrimenti. Sicchè la società stretta, massime fra gl'individui umani, si trova, anche per questa via d'argomentazione, essere per sua essenza e per essenza e ragion delle cose, direttamente contraria alla natura e ragione, non pur particolare, ma universale ed eterna, secondo cui le specie tutte debbono tendere e servire quanto è in loro alla propria conservazione e felicità , dovechè la specie umana in istato di società stretta necessa...
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