[Pagina precedente]...zia per tonisco da tonitum di tono is o di tono as ui. Io dico che i verbi in sco regolarmente debbono avere, ed anticamente ebbero, il supino in itum, e il perfetto in sci. Che regolarmente non possano avere se non questi perfetti e supini, è chiaro. Che anticamente l'avessero infatti, sebben questo non è necessario, e la prima proposizione può stare senza questa seconda, e ben poterono i verbi in sco, tutti o alcuni, esser difettivi anche anticamente; pure, almen quanto ad alcuni, si è già dimostrato altrove per quel che tocca al supino. Per ciò che spetta al perfetto gli esempi di fatto ne son più rari. Vero è che i supini dimostrano i perfetti, secondo il detto altrove della formazion di quelli da questi. Ma eziandio un effettivo perfetto in sci vedilo in Callisco appo il Forcell.
(12. Nov. 1823.)
Alla p.3702. Ben è consentaneo che da un tema in eo venisse un supino in etum, conservandosi l'e caratteristica della coniugazione, come s'è detto, p.3699 fine, circa il perfetto in ei ed evi. E tanto più è consentaneo che il proprio supino della 2da sia in etum, e questo, lungo, quanto che il suo proprio perfetto è in ei o evi; atteso [3872]che i supini si formano dai perfetti, come altrove dimostro. Onde anche viceversa i supini in etum lungo, dimostrano che il proprio perfetto della 2. è in ei o evi, ec.
(12. Nov. 1823.). V. p.3873.
Alla p.3854. Nondimeno i supini contratti della 2. poterono anche direttamente venire dai rispettivi supini in etum senza passare per la forma in itum, cioè p.e. doctum esser contratto da docetum, non da docitum, soppressa la e, come nei perfetti in ui della stessa coniugazione, cioè p.e. docui ossia docvi, ch'è contrazione di docevi. Onde adultum cioè adoltum, potrebbe benissimo venire da adolevi senza adolui, cioè essere una contrazione immediata di adoletum fatto da adolevi. Anzi siccome per una parte non suole l'e passare in i, dall'altra non veggo ragion sufficiente per cui da' perfetti in ui sì della seconda sì della prima, si debba fare un supino in itum, io dico che tutti i supini in itum usitati o no della 2. e della 1. vengono bensì da' perfetti in ui, ma non immediatamente. Da' perfetti in ui che sono contratti, p.e. domvi da domavi, mervi da merevi, vennero dei supini contratti, cioè domtum, mertum (che noi infatti ancora abbiamo, e i franc. domter ec.), ne' quali era soppresso l'e e l'a come ne' perfetti. Da questi supini poi, interpostavi per più dolcezza la lettera i, solita (com'esilissima ch'ella è tra le vocali) sì nel latino sì altrove ad interporsi tra più consonanti, quando non si cerca altro che un appoggio e un riposo momentaneo e passeggero alla pronunzia, riposo fuor di regola e originato ed autorizzato solo dalla comodità della pronunzia, onde quella vocale non ha che far col tema, ed è accidentale affatto, e un semplice affetto e accidente di pronunzia; vennero i supini in itum, come domitum, meritum. Sicchè al contrario di quel ch'io ho detto per lo passato, [3873]i supini contratti precederono quelli in itum, e questi vengono da quelli, e li suppongono e dimostrano, ma non viceversa. Sicchè doctum non dimostra nè esige che vi fosse un docitum, bensì meritum un mertum; sectum non dimostra un secitum, bensì domitum un domtum (simile ad emtum ec. onde domter ec.). Bensì i supini contratti, e per conseguenza anche quelli in itum, che ne derivano, suppongono e dimostrano i perfetti in ui. Da' quali immediatamente e regolarmente vengono i supini contratti, e mediatamente e irregolarmente quelli in itum (specie di pronunzia de' contratti, e però contratti essi stessi; avendo l'esilissima i e breve, in cambio dell'a o e): e non viceversa, come per l'addietro io diceva.
(12. Nov. 1823.). V. p.3875.
Alla p.3872. Secondo queste mie osservazioni i temi della seconda avrebbero in tutta la coniugazione conservato l'e. Ed è ben giusto, perocch'ella in essi è radicale. Così l'i penultimo nella quarta, che si conserva in essa coniugazione tutta intera, ne' verbi regolari.206 Non così l'a nella prima, dove essa lettera non è caratteristica, benchè propria dell'infinito. Infatti manca nel tema, e nel presente ottativo ec. ec. Similmente il penultimo e di legere. Ne' temi de' verbi son radicali tutte le lettere eccetto l'ultima, cioè l'o, ch'è la desinenza non del tema in quanto tema, ma in quanto voce presente indicativo singolare prima persona attiva del verbo rispettivo. Or come la prima e la 3. finiscono per lo più in o impuro, esse coniugazioni per se stesse non hanno vocale alcuna che sia radicale generalmente in tutti i temi della coniugazione. [3874]Ma ne' temi della 2. e 4. l'e e l'i penultimi son propri elementi del tema in quanto tema, non in quanto prima persona ec. Dunque come propri e radicali elementi del tema, si debbono conservare in tutta la coniugazione, considerata regolare e non contratta. E la propria forma, in somma, della coniugazione li deve conservar sempre, come la prima e la 3. conserva tutti gli elementi proprii de' suoi temi, cioè am in amo, leg in lego ec. Li conserva, dico, sempre, se non quando è o irregolare o contratta, il che non ha che far colla sua proprietà , ed è accidente non regola nè natura. E quando ne' verbi della prima o della terza, benchè in essi non sia costante nè proprio della coniugazione che l'ultima radicale del tema sia una vocale, come lo è nella 2. e 4., quando, dico, questo s'incontra, essa vocale si conserva per tutta la coniugazione del verbo, purch'ella sia regolare giacchè per anomalia spesse volte la sopprime, come in sapio, capio (verbi della 3.) e loro composti desipio, recipio ec. ec. come in meo as, fluo is (benchè non sia primitiva la coniugazione di questo ec.), ruo, tribuo ec. Or dunque perchè l'ultima vocale radicale del tema, che, regolarmente, si conserva in tutta la coniugazione de' verbi sì della quarta, sì della 1. e 3. quando in queste ha luogo (e se non la vocale si conserva la consonante, quando questa è l'ultima radicale), perchè, dico, non si dee conservare nella seconda? anzi regolarmente e costantemente si dee perdere? e se non si perde, ha da essere irregolarità ? Or tutto questo avverrebbe se non si ammettono le nostre osservazioni e regole, secondo le quali la presente forma della coniugazione 2. è contratta e non primitiva. E solo le nostre osservazioni mostrano, [3875]ciò, cred'io, per la prima volta, la primitiva analogia della seconda con tutte l'altre nel conservare l'ultima lettera radicale del tema, e le ragioni e i modi per li quali è avvenuto che nella sua presente più usitata forma ella sola, fra tutte, non lo conservi.
(13. Nov. 1823.)
Ho detto altrove che patulus sembra diminutivo positivato di un patus. Male. Non tutti i nomi in ulus, nè tutti i verbi in ulare sono diminutivi neppur per origine e regola di formazione: p.e. iaculum da iacio, speculum e specula da specio, vehiculum, curriculum, adminiculum, amiculum da amicio, periculum da ??????, iaculari, speculari, famulus, famulor ec., retinaculum, miraculum, obstaculum, stimulus, stimulo, stabulum, stabulo, pabulum, poculum, fabula, fabulor ec. (v. la p.3844.), crepitaculum, sustentaculum, baculum, baculus, osculum, ec. Patulus è di questi, fatto a dirittura da pateo ec. (13. Nov. 1823.). Fors'anche oculus è di questi, contro il detto altrove. V. Forc. ec.
Alla p.3873. Resta però quello che io per l'addietro ho sempre detto circa i supini della 3. e 4. E la presente correzione non riguarda che la 1. e 2. Lectum cioè legtum è vera contrazione di legitum, è fatto per soppressione dell'i, suppone e dimostra legitum, gli è posteriore, i supini veri e regolari e non contratti della 3. e 4. sono in itum e itum e non altrimenti ec. I contratti della terza e quarta, come lectum, quaestum, sono contrazioni de' supini in itum e fatti per soppressione dell'esilissima vocale i o i. I supini in itum della 1. e 2. vengono da' contratti, e son fatti al contrario di quelli per addizione dell'esilissimo suono i.
(13. Nov. 1823.)
Alla p.3873. marg. - e non contratti. Come venio is veni. [3876]Perde spesso la i, come in venerunt, veneram ec. per venierunt venieram ec. che sarebbe il regolare; o ciò sia anomalia, o contrazione, ch'io piuttosto credo. La qual contrazione ha principio nella stessa prima voce del perfetto veni per venii. Anzi da questa nasce il tutto ec. Così ne' composti, come invenio ec. e in altri molti verbi.
(13. Nov. 1823.). V. p.3895.
Dico che l'uomo è sempre in istato di pena, perchè sempre desidera invano ec. Quando l'uomo si trova senza quello che positivamente si chiama dolore o dispiacere o cosa simile, la pena inseparabile dal sentimento della vita, gli è quando più, quando meno sensibile, secondo ch'egli è più o meno occupato o distratto da checchessia e massime da quelli che si chiamano piaceri, secondo che per natura o per abito o attualmente egli è più vivo e più sente la vita, ed ha maggior vita abituale o attuale ec. Spesso la detta pena è tale che, per qualunque cagione, e massime perch'ella è continua, e l'uomo v'è assuefatto fino dal primo istante della sua vita, non l'osserva, e non se n'avvede espressamente, ma non però è men vera. Quando l'uom se n'avvede, e ch'ella sia diversa da' positivi dolori, dispiaceri ec., ora ella ha nome di noia, ora la chiamiamo con altri nomi. Sovente essa pena, che non vien da altro se non dal desiderare invano, e che in questo solo consiste, e che per conseguenza tanto è maggiore e più sensibile quanto il desiderio abitualmente o attualmente è più vivo, sovente, dico, ella è maggiore nell'atto e nel punto medesimo del piacere, che nel tempo [3877]della indifferenza e quiete e ozio dell'animo, e mancanza di sensazioni o concezioni ec. passioni ec. determinatamente grate o ingrate; e talvolta maggiore eziandio che nel tempo del positivo dispiacere, o sensazione ingrata sino a un certo segno. Ella è maggiore, perchè maggiore e più vivo in quel tempo è il desiderio, come quello ch'è punto e infiammato dalla presente e attuale apparenza del piacere, a cui l'uomo continuamente sospira; dalla vicina anzi presente, straordinaria e fortissima, e fermissima e vivissima anzi si può dir certa speranza e quasi dal vedersi vicinissima e sotto la mano la felicità , ch'è il suo perpetuo e sovrano fine, senza però poterla afferrare, perocchè il desiderio è ben più vivo allora, ma non più fruttuoso nè più soddisfatto che all'ordinario. Il desiderio del piacere, nel tempo di quello che si chiama piacere è molto più vivo dell'ordinario, più vivo che nel tempo d'indifferenza. Non si può meglio definire l'atto del piacere umano, che chiamandolo un accrescimento del naturale e continuo desiderio del piacere, tanto maggiore accrescimento quanto quel preteso e falso piacere è più vivo, quella sembianza è sembianza di piacer maggiore. L'uomo desidera allora la felicità più che nel tempo d'indifferenza ec. e con assolutamente eguale inutilità . Dunque il desiderio essendo più vivo da un lato, ed egualmente vano dall'altro, la pena compagna naturale del sentimento della vita, la qual nasce appunto e consiste in questo desiderio di felicità e quindi di piacere, dev'esser maggiore e più sensibile nell'atto del piacere (così detto) che all'ordinario. Essa lo è infatti (se non quando e quanto la sensazione piacevole, o l'immaginazione [3878]piacevole, o quella qualunque cosa in cui consiste e da cui nasce il così detto piacere, serve e debb'esser considerata come una distrazione e una forte occupazione ec. dell'animo, dell'amor proprio, della vita e dello stesso desiderio; e questo è il migliore e più veramente piacevole effetto del piacere umano o animale; occupare l'animo, e, non soddisfare il desiderio ch'è impossibile, ma per una parte, e in certo modo, quasi distrarlo, e riempiergli quasi la gola, come la focaccia di Cerbero insaziabile). E l'uomo, che in uno stato ordinario bene spesso, anzi forse il più del tempo, appena si avvede di detta pena, nell'atto del piacere, se ne avvede sempre o quasi sempre, ma non sempre l'os...
[Pagina successiva]