[Pagina precedente]...na, tutte le lingue antiche sieno o fossero più ardite delle moderne, e sia proprio delle lingue antiche l'ardire, e quindi esse sieno molto più delle moderne, per lor natura, atte alla poesia; perocchè tra gli antichi, dove e quando più, dove e quando meno, ????????? la singolarità dell'opere, delle maniere, de' costumi, de' caratteri, degl'istituti delle persone, e quindi eziandio quella del lor favellare e scrivere. La nazion francese, che di tutte l'altre sì antiche sì moderne, è quella che meno approva, ammette e comporta, anzi che più riprende ed odia e rigetta e vieta, non pur la singolarità , ma la nonconformità dell'operare e del conversare nella vita civile, de' caratteri delle persone ec.; la nazion francese, dico, lasciando le altre cose a ciò appartenenti, della sua lingua e del suo stile; manca affatto di lingua poetica, e non può per sua natura averne, perocchè ella deve naturalmente inimicare e odiare, ed odia infatti, come la singolarità delle azioni ec. così la singolarità del favellare e scrivere. Ora il parlar poetico è per sua natura diverso dal parlare ordinario. Dunque esso ripugna per sua natura alla natura della società e della nazione francese. E di fatti la lingua francese è incapace, non solo di quel peregrino che nasce dall'uso di voci, modi, significati tratti da altre lingue, [3865]o dalla sua medesima antichità , anche pochissimo remota, ma eziandio di quel peregrino e quindi di quella eleganza che nasce dall'uso non delle voci e frasi sue moderne e comuni, cioè di metafore non trite, di figure, sia di sentenza, sia massimamente di dizione, di ardiri di ogni sorta, anche di quelli che non pur nelle lingue antiche, ma in altre moderne, come p.e. nell'italiana, sarebbero rispettivamente de' più leggeri, de' più comuni, e talvolta neppure ardiri. Questa incapacità si attribuisce alla lingua; ella in verità è della lingua, ma è ancora della nazione, e non per altro è in quella, se non perch'ella è in questa. Al contrario la nazion tedesca, che da una parte per la sua divisione e costituzion politica, dall'altra pel carattere naturale de' suoi individui, pe' lor costumi, usi ec. per lo stato presente della lor civiltà , che siccome assai recente, non è in generale così avanzata come in altri luoghi, e finalmente per la rigidità del clima che le rende naturalmente propria la vita casalinga, e l'abitudine di questa, è forse di tutte le moderne nazioni civili la meno atta e abituata alla società personale ed effettiva; sopportando perciò facilmente ed anche approvando e celebrando, non pur la difformità , ma la singolarità delle azioni, costumi, caratteri, modi ec. delle persone (la qual singolarità appo loro non ha pochi nè leggeri esempi di fatto, anche in città e corpi interi, come in quello de' fratelli moravi, e in altri molti istituti ec. ec. tedeschi, che per verità non hanno [3866]punto del moderno, e parrebbero impossibili a' tempi nostri, ed impropri affatto di essi), sopporta ancora, ed ammette e loda ec. una grandissima singolarità d'ogni genere nel parlare e nello scrivere, ed ha la lingua, non pur nel verso, ma nella prosa, più ardita per sua natura di tutte le moderne colte, e pari in questo eziandio alla più ardita delle antiche. La qual lingua tedesca per conseguenza è poetichissima e capace e ricca d'ogni varietà ec.
(11. Nov. 1823.)
Il pellegrino e l'elegante che nasce dall'introdurre nelle nostre lingue voci, modi, e significati tolti dal latino, è quasi della stessa natura ed effetto con quello che nasce dall'uso delle nostre proprie voci, modi e significati antichi, o passati dall'uso quotidiano, volgare, parlato ec. Perocchè siccome queste, così quelle (e talor più delle seconde, che siccome erano, così conservano talvolta del barbaro della loro origine o dell'incolto di que' tempi che le usarono ec.) hanno sempre (quando sieno convenientemente scelte, ed atte alle lingue ove si vogliono introdurre) del proprio e del nazionale, quando anche non sieno mai per l'addietro state parlate nè scritte in quella tal lingua. E ciò è ben naturale, perocch'esse son proprie di una lingua da cui le nostre sono nate ed uscite, e del cui sangue e delle cui ossa queste sono formate. Onde queste tali voci ec. spettano in certo modo all'antichità delle nostre lingue, e riescono in queste quasi come lor proprie voci antiche. Sicchè non è senza ragione verissima, se biasimando l'uso o introduzione di voci ec. tolte dall'altre lingue, sieno antiche sieno moderne, (eccetto le voci ec. già naturalizzate) lodiamo quella delle voci ec. latine. Perocchè quelle a differenza di queste, sono come di sangue, così di aspetto e di effetto straniero, e diverso [3867]da quello delle altre nostre voci, e delle nostre lingue in genere, e del loro carattere ec. La novità tolta prudentemente dal latino, benchè novità assolutissima in fatto, è per le nostre lingue piuttosto restituzione dell'antichità che novità , piuttosto peregrino che nuovo; e veramente (anche quando non sia troppo prudente nè lodevole) ha più dell'arcaismo che del neologismo. Al contrario dell'altre novità , e degli altri stranierismi ec. E per queste ragioni, oltre l'altre, è ancor ragionevole e consentaneo che la lingua francese sia, com'è, infinitamente men disposta ad arricchirsi di novità tolta dal latino, che nol son le lingue sorelle. Perocchè essa lingua è molto più di queste sformata e diversificata dalla sua origine, degenerata, allontanata ec. Onde quel latinismo che a noi sarebbe convenientissimo e facilissimo perchè consanguineo e materno ec. alla lingua francese, tanto mutata dalla sua madre, riescirebbe affatto alieno e straniero e non materno ec. Meglio infatti generalmente riesce e fa prova e si adatta e s'immedesima e par naturale nella lingua francese la novità tolta dall'inglese e dal tedesco (che agl'italiani e spagnuoli sarebbe insopportabile e barbara) che quella dal latino. Questo può vedersi in certo modo anche ne' cognomi e nomi propri inglesi, tedeschi, ec. che si nominino nel francese. Paiono sovente e gran parte di loro molto men forestieri che tra noi, e men diversi ed alieni da' nazionali.
Quello ch'io dico della novità tolta dal latino, si può anche dire intorno a quella tolta dalle lingue sorelle, la quale pure noi difendiamo, condannando gli altri stranierismi. Ma bisogna però in questo particolare far distinzione tra quello ch'è proprio delle lingue sorelle [3868]in quanto sorelle, e quello ch'è proprio loro in quanto lingue diverse dalla nostra; quello che conviene al carattere generale della famiglia, e quello che al carattere dell'individuo; quello che spetta in certo modo a tutta la famiglia, e che solo per caso si trova esser proprietà e possessione di un solo individuo di essa e non d'altri, o di alcuni sì, d'altro no, e quello che ec.; quello che spetta a quella tal lingua, in quanto ella si confa colla nostra, come che sia, e quello che le appartiene in quanto ella dalla nostra si diversifica; ec. ec. Quello è atto alla nostra lingua, qual ch'esso si sia per origine e per qualunque cosa, e può presso noi parere un arcaismo, ed avere un peregrino non diverso da quello de' nostri effettivi arcaismi, e servire all'eleganza ec.; questo no, e non parrà che un neologismo ec. e un barbarismo, come se fosse tolto dalle lingue affatto straniere ec. La novità tolta dalle lingue sorelle dev'esser tale che per l'effetto riesca quasi un arcaismo, cioè il pellegrino e l'elegante che ne risulta somigli a quello che nasce dall'uso conveniente dell'arcaismo moderato ec.
(11. Nov. 1823.)
Alla p.3717. marg. V. il Forc. sì ne' composti di sono, e sì in sono as fine, dalle cose dette nel qual luogo, e in Tono as ui fine, e in Crepo as fine ec. si potrebbe forse dubitare che la cagione dell'anomalia di cui discorriamo in tali verbi della prima, non sia quella che noi supponiamo, ma un'altra, ch'io però, generalmente almeno, non credo.203 E certo quest'anomalia non è in pochi della prima, e nella più parte di questi, non si trova vestigio alcuno di terza coniugazione se non nel perfetto ec. e supino. E la desinenza in ui trovasi veramente in molti verbi della 3a. [3869](p.3707.) ma ella è anche in essi anomala, e bisognosa essa stessa che se ne renda ragione e se ne assegni l'origine. E chi sa che anzi per lo contrario tali verbi della terza non abbiano ricevuto tali perfetti dalla prima o dalla 2da cioè si coniugasse una volta p.e. coleo es, in vece o non meno che colo is, e di quello sia il perfetto colui: in luogo di dire che sonui sia di sono is, crepui e crepitum di crepo is ec. Il qual crepo is dev'essere stato supposto da quel grammatico del Forcell. per non essersi ricordato di tanti altri verbi della 1. che fanno in ui itum, come crepo as.204 (12. Nov. 1823.). Lacesso is, ivi ed ii, itum, ere. Senza dubbio il perfetto e supino di lacessere non è suo, ma in origine è di un lacessio della quarta. Infatti si ha lacessiri. V. Forc. in lacesso princ. Così dite di peto is, ivi ed ii, itum, e s'altri simili ve n'ha. V. p.3900.
Al detto altrove di tosare, tonsito ec. aggiungi detonso as da detondeo.
(12. Nov. 1823.)
Alla p.3710. I verbi incoativi si formano da' supini regolari e primitivi, usitati o inusitati, de' verbi positivi noti o ignoti, cioè da' supini in atum della prima, etum della 2. itum della 3. ed itum della quarta; mutato il tum in sco. Quindi dalla prima gl'incoativi fanno in asco, dalla 2. in esco, dalla 3. e 4. in isco. Queste sono desinenze caratteristiche e dimostrative della congiugazione del verbo positivo ond'essi incoativi sono formati. E attendendo a queste, non si può sbagliare la coniugazione del rispettivo verbo positivo (se ciò non è tra la 3. e la 4. onde viene una sola desinenza, cioè in isco).205 E noto il verbo positivo, non si può dubitar della desinenza dell'incoativo. Da' supini in tum irregolari o contratti ec. e dagli altri irregolari supini in sum, in xum ec. ec. non mi sovviene che si faccia alcuno incoativo. Del rimanente attendendo a questa osservazione, gl'incoativi, non meno che [3870]i continuativi, e le altre specie di verbi o voci qualunque derivanti da' supini, debbono servire a conoscere i veri supini regolari de' verbi sì in generale sì ne' casi particolari, e nell'uno e nell'altro modo appoggiano le mie asserzioni circa le vere primitive forme d'essi supini ec. Callisco da calleo è detto, come il Forc. osserva ???????? per callesco. Tali varietà di pronunzia ec. non debbono intendersi ostare alla regola da me proposta circa la formazione degl'incoativi. Fors'anche si potrebbe dire che callisco venisse dal non regolare e secondario supino callitum (inusitato) per calletum (inusitato). Dubito infatti che da' supini in itum della prima e 2da benchè non regolari o non primitivi ec. pur si faccia qualche incoativo, sebbene niun esempio me ne soccorre, se non fosse il sopraddetto.
Del resto la detta regola porta questo corollario, che non solo gl'incoativi dimostrano i verbi positivi ancorchè ignoti, cosa confermata da me con tante altre prove, ma ne dimostrano eziandio la coniugazione. E che se v'ha un verbo positivo il cui supino regolare e primitivo non sia capace di produrre un incoativo colla desinenza che si trova in quello ch'esiste, questo incoativo (eccetto le differenze di pronunzia o qualche irregolarità come sopra) dimostra un altro verbo positivo diverso da quello che generalmente forse sarà creduto essere il suo originale, o una diversa forma di questo verbo. Per es. fluesco parrà venir da fluo. Ma la desinenza in esco e non in isco (se già non fosse una variazione [3871]di pronunzia al contrario di callisco ch'è per callesco, variazione che potrebbe anche avere avuto luogo in vivesco per vivisco; ovvero un error di codici, come è creduto da alcuni quello di scriver vivesco) dimostra un flueo-etum, cioè un verbo diverso da fluo d'altro significato ec. ovvero un'altra forma dello stesso fluo, al qual proposito v. la pag.3868-9. E vedila ancora per tonesco, se questo non è errore o varietà di pronun...
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