[Pagina precedente]...iare l'i de' participii latini in us, usitati o inusitati, nella lettera u. Che questa mutazione dell'i in u (mutazione propria della voce umana, come ho detto altrove in più d'un luogo) ci sia naturale segnatamente in questo caso, veggasi che noi diciamo concepito (regolare lat. ant. concepitus), e conceputo (diciamo anche concetto, voce tolta dal latino dagli scrittori e dalla letteratura). Ma questo secondo è più italiano ed elegante. Così empiuto, compiuto, riempiuto ec. rispetto ad empìto, compìto (in alcuni sensi però non si potrebbe dir compiuto per compito ma questi sono anzi forestieri che no) ec. Così forse altri ec. Nótisi però che i grammatici distinguono empiere ec. ed empire (meno elegante) ec.; concepere e concepire; e ad empiere danno empiuto ec., a concepere conceputo; ad empire empìto ec.
(5. Nov. 1823.)
Diminutivi positivati. Rameau,194 Taureau.
(5. Nov. 1823.)
Participii affatto aggettivati. Acutus a um. E v. Forc. in Acuo sulla fine.
(5. Nov. 1823.)
Verbi in uo. Tribuo da tribus us; verbo della terza, siccome [3835] acuo che forse è da acus us, statuo da status us ec. del che altrove.
(5. Nov. 1823.)
L'esaltamento di forze proveniente da' liquori o da' cibi o da altro accidente (non morboso), se non cagiona,195 come suole sovente, un torpore e una specie di assopimento letargico (come diceva il Re di Prussia), essendo un accrescimento di vita, accresce l'effetto essenziale di essa, ch'è il desiderio del piacere, perocchè coll'intensità della vita cresce quella dell'amor proprio, e l'amor proprio è desiderio della propria felicità , e la felicità è piacere.196 Quindi l'uomo in quello stato è oltre modo, e più ch'ei non suole, avido e famelico di sensazioni piacevoli, e inquieto per questo desiderio, e le cerca, e tende con più forza e più direttamente e immediatamente al vero fine della sua vita e del suo essere e di se stesso, e alla vera somma e sostanza ultima della felicità , ch'è il piacere, poco, o men del suo solito, curando le altre cose, che spesso son fini delle operazioni e desiderii umani, ma fini secondarii, benchè tuttogiorno si prendano per primarii e per felicità ; perch'essi stessi tendono essenzialmente ad un altro fine, e tutti ad un fine medesimo, cioè a dire al piacere. In somma l'uomo è allora rispetto a se stesso ed al solito suo, quello che sono sempre i più forti rispetto agli altri, cioè più sitibondi della felicità , e più inquieti da' desiderii, cioè dal desiderio della propria felicità , e più immediatamente e specialmente, e in modo più espresso, sensibile e manifesto sì agli altri che a se medesimi, avidi del piacere [3836](al quale tutti tendono e sempre, ma i più forti più, e più immediatamente e chiaramente, o ciò più spesso e più ordinariamente degli altri), perocch'essi sono abitualmente più vivi degli altri.
Similmente, come in generale i più forti per l'ordinario, così gl'individui in quel punto, sogliono essere (proporzionatamente alle loro rispettive abitudini e caratteri, età , circostanze morali, fisiche, esteriori, di fortuna, di condizione e grado sociale, di avvenimenti ec. costanti, temporarie, momentanee ec.) più del lor solito disposti alle grandi e generose azioni, agli atti eroici, al sacrifizio di se stessi, alla beneficenza, alla compassione (dico più disposti, e voglio dire la potenza, non l'atto, che ha bisogno dell'occasione e di circostanze, che mancando, come per lo più, fanno che l'uomo neppur si avveda in quel punto di tal sua disposizione e potenza, ed anche in tutta la sua vita non si accorga che in quei tali punti egli ebbe ed ha questa disposizione ec.); perocchè la sua vita in quel punto è maggiore, e quindi più potente l'amor proprio, e quindi questo è meno egoista, secondo le teorie altrove esposte. Lasciando le illusioni proprie e naturali di quello stato, proporzionatamente all'abitual condizione morale dell'individuo ec.
E così troverassi che gli altri effetti che accompagnano o seguono la maggiore intensità della vita, la maggior forza corporale ec., avuta ragione de' vari caratteri e circostanze morali e fisiche degl'individui ec. da me altrove considerati in più luoghi ec. hanno tutti luogo proporzionatamente nelle dette occasioni ec.
(5. Novembre 1823.)
[3837]Il giovane che al suo ingresso nella vita, si trova, per qualunque causa e circostanza ed in qual che sia modo, ributtato dal mondo, innanzi di aver deposta la tenerezza verso se stesso, propria di quell'età , e di aver fatto l'abito e il callo alle contrarietà , alle persecuzioni e malignità degli uomini, agli oltraggi, punture, smacchi, dispiaceri che si ricevono nell'uso della vita sociale, alle sventure, ai cattivi successi nella società e nella vita civile; il giovane, dico, che o da' parenti, come spesso accade, o da que' di fuori, si trova ributtato ed escluso dalla vita, e serrata la strada ai godimenti (di qualsivoglia sorta) o più che agli altri o al comune de' giovani non suole accadere; o tanto che tali ostacoli vengano ad essere straordinari e ad avere maggior forza che non sogliono, a causa di una sua non ordinaria sensibilità , immaginazione, suscettibilità , delicatezza di spirito e d'indole, vita interna, e quindi straordinaria tenerezza verso se stesso, maggiore amor proprio, maggiore smania e bisogno di felicità e di godimento, maggior capacità e facilità di soffrire, maggior delicatezza sopra ogni offesa, ogni danno, ogn'ingiuria, ogni disprezzo, ogni puntura ed ogni lesione del suo amor proprio; un tal giovane trasporta e rivolge bene spesso tutto l'ardore e la morale e fisica forza o generale della sua età , o particolare della sua indole, o l'uno e l'altro insieme, tutta, dico, questa forza e questo ardore che lo spingevano verso la felicità , l'azione, la vita, ei la rivolge a proccurarsi l'infelicità , l'inattività , la morte morale. [3838]Egli diviene misantropo di se stesso e il suo maggior nemico, egli vuol soffrire, egli vi si ostina, i partiti più tristi, più acerbi verso se stesso, più dolorosi e più spaventevoli, e che prima di quella sua poca esperienza della vita egli avrebbe rigettati con orrore, divengono del suo gusto, ei li abbraccia con trasporto, dovendo scegliere uno stato, il più monotono, il più freddo, il più penoso per la noia che reca, il più difficile a sopportarsi perchè più lontano e men partecipe della vita, è quello ch'ei preferisce, ei vi si compiace tanto più quanto esso è più orribile per lui, egl'impiega tutta la forza del suo carattere e della sua età in abbracciarlo, e in sostenerlo, e in mantenere ed eseguire la sua risoluzione, e in continuarlo, e si compiace fra l'altre cose in particolare nell'impossibilitarsi a poter mai fare altrimenti, e nello abbracciar quei partiti che gli chiudano per sempre la strada di poter vivere, o soffrir meno, perchè con ciò ei viene a ridursi e a rappresentarsi come ridotto in uno estremo di sciagura, il che piace, come altrove ho detto, e se qualche cosa mancasse e potesse aggiungersi al suo male, ei non sarebbe contento ec. egl'impiega tutta la sua vita morale in abbracciare, sopportare e mantenere costantemente la sua morte morale, tutto il suo ardore in agghiacciarsi, tutta la sua inquietezza in sostenere la monotonia e l'uniformità della vita, tutta la sua costanza in scegliere di soffrire, voler soffrire, continuare a soffrire, tutta la sua gioventù in invecchiarsi l'animo, e vivere esteriormente da vecchio, ed abbracciare e seguir gl'istituti, le costumanze, i modi, le inclinazioni, il pensare, la vita de' vecchi. Come tutto ciò è un effetto del suo ardore e della sua forza naturale, egli va molto al di là del necessario: se il mondo a causa di suoi difetti o morali o fisici, o di sue circostanze, gli nega tanto di godimento, egli se ne toglie il decuplo; se la necessità l'obbliga a soffrir tanto, egli elegge di soffrir dieci volte di più; se gli nega un bene ei se ne interdice uno assai maggiore; se gli contrasta qualche godimento, egli si priva di tutti, e rinunzia affatto al godere.
[3839]Il giovane è in queste cose così costante, risoluto, forte, durevole, che gli educatori e quelli che han cura di lui, anche sommamente benevoli, assai spesso e il più delle volte, stimano tali risoluzioni e tali forme di vita essergli naturali, nascere dalle sue inclinazioni, esser conformi al suo vero carattere, al suo vero piacere, e però determinano di non distornelo, non impedirnelo, di confermarvelo, di secondarlo, e così fanno, anche talora senz'alcun proprio interesse per sola premura ed affezione verso di lui. E' s'ingannano sommamente e in tali casi la lor poca cognizione del cuore umano e de' suoi mirabilissimi accidenti, de' fenomeni dell'amor proprio e delle sue sottilissime e sfuggevolissime operazioni e modi di agire, e stravagantissimi effetti e trasformazioni, nuoce grandemente a quei poveri giovani, i quali ben potrebbero ancora, ma non senza molta forza e molto artifizio, essere strappati a quelle dure risoluzioni, azioni e abitudini, e riconciliati con se stessi e con la vita, vero partito che si dovrebbe prendere in tali casi da un prudente e filosofo e pietoso curatore, e solo mezzo di svolgere il giovane da' tristi partiti ch'egli ha abbracciati o è per abbracciare, e di sottrarlo dalla vera infelicità che glien'è per seguire, massime calmato il furore e intiepidito l'ardore dell'età , che sono appunto quelli che cagionano quella tal sua pazienza e che l'agghiacciano, e che lo sostengono e nutrono in quella gelata, sterile, ed arida vita ch'egli ha intrapreso, o nella risoluzione d'intraprenderla; ma poco potranno durare a sostentarlo, e consumati o diminuiti, egli sentirà tutta [3840]la pena del suo stato, e gli mancherà la virtù di soffrirlo, dopo impostasene la necessità . La qual virtù manca insieme colla compiacenza ch'ei prova in soffrire o in voler soffrire, la qual compiacenza non può essere perpetua, e il tempo e l'età , se non altro, l'estingue. Massime ch'egli non potrà esser consolato e reso indifferente verso le sue privazioni dal disinganno, non avendo mai provato quello di ch'ei si privò, e non essendosene privato per disinganno e per dispregio ch'e' n'avesse, anzi al contrario per inganno, perch'ei ne faceva gran conto, perchè assaissimo gli costava il privarsene. Chè questa è la differenza da questa sorta di sacrifizi che or discorriamo, e quella più facile e più nota, (perchè proveniente da causa più manifesta e facile a comprendere e a vederne la connessione coll'effetto) e forse più ordinaria, o altrettanto, che nasce dal disinganno, dall'esperienza de' godimenti, dal disgusto della vita tutta felice com'ella può essere.
Quindi accade che tali giovani i quali nella gioventù son vecchi per lor volontà , e più fortemente vecchi de' vecchi medesimi, perchè la lor morale vecchiezza viene a nascere appunto dalla lor gioventù fisica, e dalla forza e ardore di questa e del loro carattere, nella maturità e nella vecchiezza (posto che abbiano effettuato quelle loro risoluzioni) sono moralmente giovani, e più giovani assai de' giovani stessi che abbiano fatta un poco di esperienza, o che sieno di men fervida e sensitiva natura. Perchè questi sono in parte disingannati, o meno avidi e smaniosi del godimento. Quelli continuano e serbano tutto intero e fresco il loro inganno giovanile [3841]e le loro illusioni, e come frutta l'inverno, conservate nella cera, state sempre escluse dal contatto dell'aria, sotto la vecchiezza del corpo conservano quasi intatta ed intera la gioventù dell'anima (mantenuta lungi dall'influenza esteriore ec. nel ritiro ec.) già vera gioventù, perchè cessata la gioventù del corpo che li spingeva a soffrire, e ne li facea compiacere, e gliene dava il valore. Questi tali, bene attempati, sono smaniosi del godimento, avidi e sitibondi della felicità senza sperarla, ma ben persuasi, come da principio, ch'ella sia possibile e non difficile nè rara, hanno ripreso i desiderii proprii dell'uomo, e massime della gioventù, con tutto il loro ardore ec. Quindi e' vivono e muoion...
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