[Pagina precedente]... meno ei la desidera, meno è infelice; nulla desiderandola, non è punto infelice. Quindi l'uomo e il vivente è anche tanto meno infelice, quanto egli è più distratto dal desiderio della felicità , mediante l'azione e l'occupazione esteriore o interiore, come ho spiegato altrove. O distrazione o letargo: ecco i soli mezzi di felicità che hanno e possono mai aver gli animali.
(7. Nov. 1823.)
Alla p.3705. marg. Così sino is fa nel perfetto sivi. Ma [3849]notisi che il primo i quivi è breve, al contrario di quelle voci di cui or discorriamo, cioè de' perfetti di cresco, suesco ec. ed anche di sevi e di crevi da cerno. Sterno is stravi atum. Quest'anomalia forse viene che sterno è difettivo, e supplito coll'avanzo di un antico stro as dall'inusitato ?????, onde ??????, ??????? ec. Simile dico de' composti prosterno, insterno ec. Le lettere vocali che precedono il vi ne' perfetti delle altre coniugazioni sono sempre per lor natura lunghe (eccetto forse alcune anomalie), dico quelle che lo precedono regolarmente, cioè l'a nella prima, l'e nella seconda, l'i nella quarta (perocchè p.e. fovi, cavi da foveo, caveo sono contrazioni di fovevi, cavevi, sicchè non regolarmente il vi è preceduto in fovi dall'o, in cavi dall'a: per altro l'a e l'o di queste e simili voci, sono altresì lunghi). Insomma la desinenza di sivi non è veramente propria della 3. ma neanche di verun altra coniugazione. Al contrario di quella de' perfetti de' verbi in sco, i quali se sono in vi, la vocale che precede questa desinenza, è sempre (credo) lunga. Cosa affatto impropria della 3. e chiaro segno che tali perfetti sono propri di verbi d'altre coniugazioni.
(8. Nov. 1823.). V. p.3852.
Restito (onde restitrix) di cui v. Forcell. è notabile in quanto egli è continuativo o frequentativo di un verbo ch'esso medesimo in origine è continuativo, essendo composto del continuativo sto. Veggasi la p.3298.
(8. Nov. 1823.)
Monosillabi latini. Lax. Mors, onde morior ec. ec. idee ben primitive. Ius, onde iuro, iniuria ec. ec. tutte idee primitive nella società . Or la lingua non antecedette la società . Fraus. Res.
(8. Nov. 1823.)
Nuo di cui altrove, oltre il suo continuativo nutare, e i suoi composti, annuo, innuo, renuo, abnuo ec. e loro continuativi adnuto, [3850] renuto ec., è dimostrato ancora sì dagli altri suoi derivati, sì dal verbale nutus us, ch'è fatto dal supino di nuo, secondo la regola altrove assegnata della formazione di tali verbali della 4. declinazione. Del resto, come da ???? si fece indubitatamente nuo, così da ???? potè bene e verisimilmente e secondo l'analogia, farsi guo, di cui altrove. E viceversa nuo da ???? come guo da ????. ec.
(8. Nov. 1823.)
Alla p.3760. Similmente a guo andato in disuso, fu preferito il suo continuativo gusto, de' quali verbi altrove. Similmente andò in disuso il verbo nuo, restando il suo continuativo nuto (e i derivati nutus, gustus us ec. ne' quali non avea luogo l'iato). Restarono ancora i suoi composti (vedi il pensiero precedente) perchè l'iato nei non monosillabi è men duro e appariscente che ne' monosillabi, giacchè se in questi v'è l'iato, essendo essi d'una sillaba sola, son tutti formati d'un iato, e son quasi un puro iato essi stessi. Infatti l'osservazione della p.3759. fine. - 3760. si verifica principalmente ne' monosillabi, e di questi massimamente si deve intendere. Dove il tema monosillabo riceve un incremento restando l'iato, la voce benchè non più monosillaba, ha sempre men sillabe che la corrispondente ne' verbi composti, e però l'iato in quella apparisce tuttavia ed offende maggiormente che in questa. Del resto essa talvolta, perito il tema, si è conservata, come noitum di noo, poitum di poo ec. bensì in queste e simili fu soppresso l'iato per contrazione, facendo notum, potum ec.
(8. Nov. 1823.). V. p.3881.
[3851]Alla p.3758. marg. Se non si volesse che nubi-lis, labi-lis, fossero come doci-lis faci-lis ec. de' quali verbali in lis, loro formazione ec. mi par che si possa discorrere come di quelli in bilis, e però trarne gli stessi argomenti ec.
(10. Nov. 1823.)
Participii passivi di verbi attivi o neutri, in senso attivo o neutro ec. Ho detto altrove dello spagn. parida participio sovente (o sempre; v. i Diz.) attivo intransitivo di senso. Simili ne abbiamo ancor noi parecchi, e molto elegantemente gli usiamo, in luogo de' participii veramente attivi di forma, il cui uso è poco grato alla nostra lingua, non altrimenti che alla francese e spagnuola. Uomo considerato, avvertito, avvisato vagliono considerante, avvertente ec. cioè che considera ec. veri attivi di significato, benchè intransitivi. Simili credo che si trovino ancora nel francese e più nello spagnuolo che se ne servono parimente in luogo de' participii di forma attiva poco accetti a esse lingue.201 La detta sorta di participii passivi attivati, fatti da' verbi attivi ec. (ed infatti essi o sempre o per lo più, hanno ancora il proprio lor significato, cioè il passivo) è massimamente usata da' nostri antichi del 300. e del 500. che ne hanno in molto più copia che noi oggidì non sogliamo usare o punto, o solo in senso passivo. La nostra lingua somigliava anche in questo alla spagnuola la quale mi pare che anche oggidì conservi quest'uso più [3852]frequente che non facciam noi, accostatici ora ai francesi, a' quali esso è men frequente che agli altri, siccome esso pare singolarmente proprio della lingua spagnuola ec. ec.
(10. Nov. 1823.)
Alla p.3845. marg. Non credo, come il Forcellini, che facultas, difficultas venga da facul, difficul; ma che sieno contrazioni di facilitas, difficilitas, pronunziati difficulitas, faculitas. Facul ec. non sono che apocopi di facilis, facile avverbio ec. (pronunziati faculis ec.) dello stesso genere che volup ec. (v. Frontone e Forc. in famul, il quale non è già da famel (v. Forc. in familia) ma da famulus.) (10. Nov. 1823.). E son le stesse voci identiche che sarebbero facil, difficil, mutata sol la pronunzia.
Alla p.3636. marg. Forse però fourre valeva fodera, e quindi fourreau, quasi foderetta, per fodero, onde il diminutivo sarebbe d'un senso distinto dal positivo, e però non apparterrebbe al nostro discorso che considera i diminutivi usati in iscambio de' positivi.
(10. Nov. 1823.)
Diminutivi positivati. Ladrillo (diminutivo ladrillejo) con tutti i suoi derivati da later, quasi latericulus, o laterculus. E vedi appunto il Forc. circa l'uso positivato di laterculus.
(10. Nov. 1823.)
Contracter franc. per contrarre, come in contrario lo spagn. traher alle volte nel senso di tractare, secondo che ho detto nel principio della teoria de' continuativi.
(10. Nov. 1823.)
Alla p.3849. Il vero perfetto di sino è sini. Questo infatti si trova ancora. Da questo, cred'io, per soppressione della n (della qual soppressione credo v'abbiano altri esempi),202 si fece [3853] sii che ancor si trova eziandio, massime ne' composti (come desino is ii ed ivi). Da sii per evitar l'iato si?i, cioè sivi, come da audii audivi, da amai amavi, da docei docevi. Questo mi è più probabile che il creder sii posteriore a sivi, come gli altri fanno, e come fanno eziandio circa i preteriti perfetti della 4. coniugazione. Il supino nasce, come altrove dico, dal perfetto. Quindi da sii o sivi, situm (come da audii o audivi, auditum ec. da ama-vi ama-tum ec.), in luogo del regolare sinitum. Questo mi è più probabile che il creder situm contrazione di sinitum, fatto o per soppressione assoluta della sillaba ni, contrazione, che sappia io, non latina o per soppressione della n, onde siitum, come da sini sii, poi contratto in situm, nel qual caso l'i di situm parrebbe avesse ad esser lungo.
(10. Nov. 1823.)
Alla p.3702. La considerazione da me altrove fatta che i supini vengono dai perfetti, facilmente spiega il perchè l'etum, propria e regolare desinenza della 2. sia stato per lo più cambiato in itum, soppresso poi sovente, e forse il più delle volte, l'i. La cagione si è che l'evi de' perfetti di essa coniugazione fu cangiato in ui, e il come, si è benissimo dichiarato di sopra. Con ciò si dichiara facilissimamente e bene, il come l'etum de' supini (che in molti di essi ancor trovasi) sia passato in itum ec. mutazione che senza ciò difficilmente si spiegarebbe, non solendo l'e passare in i ec. Docitum per docetum, (meritum di mereo e simili che ancor si trovano e sono anche per lo più gli unici supini superstiti de' rispettivi verbi, o i più usitati ec.) onde doctum, è da docui per docevi, come domitum per domatum è da domui per domavi, nè [3854]più nè meno (v. la p.3715-7. 3723. ec.). E chi vuol vedere la contrazione di doctum anche ne' supini della prima in itum, fatti dai perfetti in ui, come è doctum, osservi sectum, nectum da secui, necui, enecui di secare, necare ec. Se il perfetto de' verbi della 2. si conserva in evi, il supino che ne nasce è in etum e non altrimenti, come deleo es evi etum Se il supino è in itum o contratto, mentre il preterito è in evi, come abolitum di aboleo abolevi, adultum di adoleo evi (comparato con adolesco: adolesco ha evi, adoleo ha ui), allora esso supino non nasce certo dal perfetto in evi, ma nasce ed è segno certo di un altro perfetto noto o ignoto, in ui. Infatti ne' citati esempi, Prisciano riconosce ad aboleo un abolui, e bene: adolui di adoleo è noto e usitato; è noto anche adolui di adolesco, benchè rarissimo, dice il Forcell. V. p.3872.
Mi pare che queste osservazioni sieno mirabilmente utili a scoprire l'analogia, la ragione, le cause della lingua e grammatica latina, e delle sue apparenti anomalie ec. ec. e a stabilir regola e cagione dove gli altri non veggono che capriccio, varietà , disordine, arbitrio e caso ec.
(10. Nov. 1823.)
Quello che noi chiamiamo spirito nei caratteri, nelle maniere, ne' moti ed atti, nelle parole, ne' motti, ne' discorsi, nelle azioni, negli scritti e stili ec. ci piace, e ciò a tutti, perch'egli è vita, e desta sensazioni vive sotto qualche rispetto, o desta sensazioni qualunque, e molte, e spesse, il che è cosa viva, perchè il sentire lo è. Infatti lo spirito si chiama anche vivacità ec. o semplicemente, o vivacità di spirito, di carattere, stile, modi ec. ec. Il suo contrario in certo modo è morte, e non desta sensazioni, o poche, leggere, [3855]non rapide, non varie, non rapidamente succedentisi e variantisi, il che è cosa morta. Noi lo chiamiamo spirito perchè siamo soliti di considerar la vita come cosa immateriale, e appartenente a cose non materiali, e di chiamare spirito ciò ch'è vivo e vive e cagiona la vita ec.; e la materia siamo soliti di considerarla come cosa morta, e non viva per se, nè capace di vita ec.
(10. Nov. ottava del dì de' Morti. 1823.)
Tra le cagioni del mancar noi (e così gli spagnuoli) di lingua e letteratura moderna propria, si dee porre, e per prima di tutte, la nullità politica e militare in cui è caduta l'Italia non men che la Spagna dal 600 in poi, epoca appunto da cui incomincia la decadenza ed estinzione delle lingue e letterature proprie in Italia e in Ispagna. Questa nullità si può considerare e come una delle cagioni del detto effetto, e come la cagione assoluta di esso. Come una delle cagioni, perocchè se noi manchiamo oggi affatto di voci moderne proprie italiane e spagnuole, politiche e militari, ciò viene perchè gl'italiani e spagnuoli non hanno più, dal 600 in poi, nè affari politici propri, nè milizia propria. Fino dall'estinzione dell'imperio romano, l'Italia è stata serva, perchè divisa; ma sino a tutto il 500 la milizia italiana propria ha esistito, e le corti e repubbliche italiane hanno operato da se, benchè piccole e deboli. Il governo era in mano d'italiani, le dinastie erano italiane in assai maggior numero che poi non furono [3856]ed or non sono. Influiti e dominati da' governi e dagli eserciti stranieri, i governi e gli eserciti italiani, chè tali essi erano ancora, agivano tuttavia essi medesimi, ed avevano affari. Essi erano che si davano agli stranieri, quando a questo, q...
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