[Pagina precedente]...o disperati e infelici, tanto più quanto e' credono felici gli altri, e che la loro infelicità , il lor soffrire, il loro non godere, o il non aver mai goduto e sempre sofferto, sia provenuto da loro, e ch'essi avessero potuto altrimenti se avessero voluto; la quale opinione e il qual pentimento è la più amara parte che possa trovarsi in qualunque abituale o attuale infelicità o sventura o privazione ec. e il colmo dell'infelicità .
Spettano a questo discorso e nascono dalle psicologiche cagioni e principii, e dagl'interni avvenimenti e circostanze sviluppate di sopra, gran parte delle monacazioni ec. di giovani, e lo sceglier di vivere in casa o in campagna, e i ritiri dalla società ec. fatti nel principio della gioventù, massime da persone vive e sensibili ec. e resi poi necessarii a continuarsi, per l'abitudine, per li rispetti umani, per l'imperizia, che ne segue, del conversare, per il timor [3842]panico dell'opinione, del ridicolo ec. che suole accompagnare lo straordinario, la novità , il cominciare, il mutar proposito e vita in tempo, in età non conveniente, non ordinaria al cominciare, o al nuovo proposito e vita per se medesima ec. ec.
(5. Nov. 1823.)
Alla p.2779. marg. fine. Che ????? attivo esistesse una volta confermasi con argomento non solo di analogia, ma di fatto; cioè che ???????? trovasi anche usato in senso passivo. Dunque s'egli è passivo, ei dovette nascere da un attivo, ed avere il suo attivo onde egli fosse il passivo. Vedi Creuzer Meletemata e disciplina antiquitatis, par.2. Lips. 1817. p.55. fin.-56. init.
(6. Nov. 1823.)
Sempre che l'uomo pensa, ei desidera, perchè tanto quanto pensa ei si ama. Ed in ciascun momento, a proporzione che la sua facoltà di pensare è più libera ed intera e con minore impedimento, e che egli più pienamente ed intensamente la esercita, il suo desiderare è maggiore. Quindi in uno stato di assopimento, di letargo, di certe ebbrietà ,197 nell'accesso e recesso del sonno, e in simili stati in cui la proporzione, la somma, la forza del pensare, l'esercizio del pensiero, la libertà e la facoltà attuale del pensare, è minore, più impedita, scarsa ec. l'uomo desidera meno vivamente a proporzione, il suo desiderio, la forza, la somma di questo, è minore; e perciò l'uomo è proporzionatamente meno infelice. Quanto si stende quell'azione della mente ch'è inseparabile dal sentimento della vita, e sempre proporzionata [3843]al grado di questo sentimento, tanto, e sempre proporzionato al di lei grado, si stende il desiderio dell'uomo e del vivente, e l'azione del desiderare. Ogni atto libero della mente, ogni pensiero che non sia indipendente dalla volontà , è in qualche modo un desiderio attuale, perchè tutti cotali atti e pensieri hanno un fine qualunque, il quale dall'uomo in quel punto è desiderato in proporzione dell'intensità ec. di quell'atto o pensiero, e tutti cotali fini spettano alla felicità che l'uomo e il vivente per sua natura sopra tutte le cose necessariamente desidera e non può non desiderare.
(6. Nov. 1823.)
Diminutivi positivati. Mamilla o mammilla diminutiv di mamma (mammella ec.). Papilla diminutivo di papula, come fabella di fabula e simili, del che altrove;198 e diminutivo in illa, come mammilla che il Forc. chiama diminut. a MAMMA, atq. idem saepe significans (scil. idem ac mamma).
(6. Nov. 1823.)
Convexo as vedilo nel Forcell. e applicalo a quello che ho detto altrove di convexus derivandolo da veho, come vexare, da cui è convexare che vale altrettanto ec.
(6. Nov. 1823.)
La differenza che fa Prisciano tra nectus e necatus non sussiste. (ap. Forc. in Neco). Seppur ei non intende di farla ancora tra necui e necavi. Perocchè nectus è da necui, e necatus da necavi, secondo il detto da me altrove della formazione [3844]de' supini e participii passivi da' perfetti. È anche certo che necui onde nectus, non è che corruzione di necavi onde necatus, sì che nectus viene a esser non altro che corruzione di necatus. Questo è almeno quanto all'origine e alla ragione grammaticale. Che l'uso e il significato de' due detti participii sia diverso si potrebbe credere a Prisciano quando e' ne recasse esempii idonei, o quando quelli che noi abbiamo favorissero o non contraddicessero la sua distinzione. Ora, di nectus non abbiamo esempi certi; ma necatus in un luogo di Ovidio (Forc. in necatus), detto delle api, non vuol certamente dire ucciso col ferro. E v. nel Forc. gli esempi di Enecatus e di Enectus. Del resto par veramente nel cit. luogo del Forcell. cioè in Neco, che Prisciano faccia anche tra' due (che in origine sono uno solo) perfetti di neco la stessa distinzione di significato che tra' due participii, i quali altresì per origine sono un solo, ma mediatamente, cioè in quanto vengono da perfetti che sono in origine uno stesso.
(6. Nov. 1823.)
A quello che altrove ho detto di asinus-asellus, fabula fabella, populus-popellus ec. aggiungi pagina-pagella, Poculum-pocillum, Papula-papilla, Geminus-gemellus, Tabula tabella, Femina-femella, Baculum o us-bacillum o us, Pulvinus-pulvillus. E nóta il nostro diminutivo positivato favella, favellare ec. (V. la pag.3896.) de' quali verbi altrove ad altro proposito. Catulus-catellus. Anellus (anello ec.) è diminutivo di anulus (il quale ancora è forse diminutivo di annus, ma di senso diverso dal suo positivo onde non ha che fare col nostro discorso de' diminutivi positivati). Sicchè il nostro anello ec. (e v. il Gloss.) è un diminutivo positivato.
(7. Nov. 1823.)
[3845]Nomi in uosus. V. Forcell. in fetuosus.
(7. Nov. 1823.)
Alla p.3585. I quali testi, e per conseguenza questi due verbi, sono antichi, cioè l'uno di Catullo, l'altro di Paolo Diacono da Festo. Del rimanente assulito è per assilito, mutato l'i in u, per la grande affinità di queste due vocali, altrove considerata. La quale affinità non è fra l'a e l'u, nè in composizione nè altrove l'a (ch'io mi ricordi) si muta mai in u, nè viceversa. Sicchè assulito non può esser per assalito, nè assulto, resulto ec. per assalto, resalto ec. ma per resilto, assilto ec. E così tutti i composti di salto, i quali tutti (ch'io sappia) fanno in ulto (fuorchè resilito, che sarebbe da salito). O che essi vengano a dirittura da salto, nel qual caso l'a sarebbe stato cangiato in u, ma mediatamente, cioè prima in i (mutazione ordinaria nella composizione, come ho detto altrove in più luoghi, e come appunto l'a di salio, ne' suoi composti), poscia l'i in u (sicchè veramente non l'a ma l'i fu cambiato in u); o, quel ch'è più verisimile, essi vengono da' participii o supini de' rispettivi composti originali, cioè da assultum, resultum ec. di assilio, resilio ec. Così facul, difficul, facultas, difficultas per facilitas, difficilitas ec. mutato l'i in u, e soppresso l'altro i. V. p.3852. I quali participii o supini regolarmente sarebbero resilitum, assilitum ec. (e lo dimostra appunto col fatto il verbo resilito), ma ebbero il primo i cambiato in u, come maximus maxumus (e in tale stato, cioè da assulitum, viene assulito, e dimostra la nostra asserzione), e il secondo i soppresso, come nel semplice salitum-saltum: onde divennero assultum, resultum ec. onde assultare contratto d'assulitare. Potrebbe anch'essere che i più antichi, prima di [3846] assilio ec. pronunziassero assulio, resulio ec., come forse maxumus ec. ec. e più antica pronunzia o scrittura ec. che maximus; e per conseguenza assulitum, resulitum (che poi anche nella successiva lor contrazione conservarono la pronunzia e scrittura ec. dell'u) ec. In tal caso assulito sarebbe la più antica forma de' composti di salto, e resilito sarebbe più moderna, dal più moderno resilitum.
(7. Nov. 1823.)
Alla p.3281. La somma e la forza di questo pensiero si è che la compassionevolezza, la beneficenza, la sensibilità ec. da tutti (e in particolare da Rousseau) considerate come proprie generalmente de' giovani (massime uomini), e l'insensibilità , la durezza ec. considerate come proprie de' maturi, e più, de' vecchi (massime donne),199 non tanto derivano dall'innocenza, inesperienza e poca cognizione mondana degli uni, e dall'esperienza e scienza mondana, dal disinganno morale ec. degli altri, come ordinariamente si crede e si dice, quanto dalle altre cagioni sì fisiche sì morali accennate in questo discorso, o certo da esse ancora in gran parte, e forse principalmente; se non da ciascuna, posta per se sola al paragone della suddetta, che certo è grandissima, ed a cui spetta la differenza di virtù fra gli antichi e i moderni ec. almen dalla somma di esse. Infatti di un uomo e una donna egualmente giovani e inesperti e in parità d'ogni altra qualità e circostanza, quello, perchè più forte, ec. è naturalmente più dell'altra compassionevole, benefico ec. e più inclinato alla compassione, all'interessarsi per altrui ec. Così di due giovani, pari in ogni altra cosa e circostanza, il più forte è più portato a soccorrere altrui, a compatire, a ben fare ec. ec.
(7. Nov. 1823.)
Sempre che il vivente si accorge dell'esistenza, e tanto più quanto ei più la sente, egli ama se stesso,200 e sempre attualmente, [3847]cioè con una successione continuata e non interrotta di atti, tanto più vivi, quanto il detto sentimento è attualmente o abitualmente maggiore. Sempre e in ciascuno istante ch'egli ama attualmente se stesso, egli desidera la sua felicità , e la desidera attualmente, con una serie continua di atti di desiderio, o con un desiderio sempre presente, e non sol potenziale, ma posto sempre in atto, tanto più vivo, quanto ec. come sopra. Il vivente non può mai conseguire la sua felicità , perchè questa vorrebb'essere infinita, come s'è spiegato altrove, e tale ei la desidera; or tale in effetto ella non può essere. Dunque il vivente non ottiene mai e non può mai ottenere l'oggetto del suo desiderio. Sempre pertanto ch'ei desidera, egli è necessariamente infelice, perciò appunto ch'ei desidera inutilmente, esclusa anche ogni altra cagione d'infelicità ; giacchè un desiderio non soddisfatto è uno stato penoso, dunque uno stato d'infelicità . E tanto più infelice quanto ei desidera più vivamente. Non v'è dunque pel vivente altra felicità possibile, e questa solamente negativa, cioè mancanza d'infelicità ; non è, dico, possibile al vivente il mancare d'infelicità positiva altrimenti che non desiderando la sua felicità , nè per altro mezzo che quello di non bramar la felicità . Ma sempre ch'ei si ama, ei la desidera; e mentre ch'ei sente di esistere, non può, nè anche per un istante, cessare di amarsi; e più ch'ei sente di esistere, più si ama e più desidera. Il discorso dunque della felicità umana e di qualunque vivente si riduce per evidenza a questi termini, e a questa conclusione. Una specie di [3848]viventi rispetto all'altra o all'altre generalmente ec., è tanto più felice, cioè tanto meno infelice, tanto più scarsa d'infelicità positiva, quanto meno dell'altra ella sente l'esistenza, cioè quanto men vive e più si accosta ai generi non animali. (Dunque la specie de' polipi, zoofiti ec. è la più felice delle viventi). Così un individuo rispetto all'altro o agli altri. (Dunque il più stupido degli uomini è di questi il più felice: e la nazion de' Lapponi la più felice delle nazioni ec.). E un individuo rispetto a se stesso allora è più felice quando meno ei sente la sua vita e se stesso; dunque in una ebbrietà letargica, in uno alloppiamento, come quello de' turchi, debolezza non penosa, ec. negl'istanti che precedono il sonno o il risvegliarsi ec. Ed allora solo sì l'uomo, sì il vivente è e può essere pienamente felice, cioè pienamente non infelice e privo d'infelicità positiva, quando ei non sente in niun modo la vita, cioè nel sonno, letargo, svenimento totale, negl'istanti che precedono la morte, cioè la fine del suo esser di vivente ec. Ciò vuol dire quando ei non è capace neanche di felicità veruna, nè di piacere o bene veruno, assolutamente; quando ei vivendo, non vive; allora solo egli è pienamente felice. S'ei desidera la felicità , non può esser felice;...
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