[Pagina precedente]...rio-ertum, ant. reperitum. V. Forcell.
Manto as da maneo-mansum, ant. manitum regolare, contratto in mantum. Ovvero mantum sta per mansum mutato l's in t. Vedi ciò che altrove s'è detto in più luoghi circa tal mutazione ne' supini e participii, a proposito di vectum e vexum di veho, onde [3827] vectare e vexare, e ad altri propositi; e quello si riferisca a manto, e manto a quel che ivi si è detto. Mansum anomalo è dall'anomalo mansi per manui, secondo il detto altrove della formazione de' supini da preteriti perfetti, al che si aggiunga anche questo esempio. Da mansum è mansitare fratello di mantare, come vexare di vectare ec.
(4. Nov. 1823.)
Alla p.3704. fine. E qualcosa similmente è più aliena dalla terza coniugazione, e più propria e caratteristica della prima, che la desinenza in avi nel perfetto e in atum nel supino? (sero is anomalo ha satum, anomalo come il perfetto sevi; ma oltre che questo supino è anomalo, ei non è in atum ma in atum). Or eccovi nascor della terza fa natus participio e sostantivo e natus sum, e natum, e natu ec. E tutti i verbi in asco e ascor, o non hanno perfetto nè supino, o se n'hanno o che se gli attribuiscano, e' sono in avi e in atum. Qual più chiaro segno che questi non sono proprii loro, ma d'altro verbo, e questo della prima? Veterasco is ha, o se gli attribuisce, veteravi. Pare però che lo stesso Forcell. che glielo attribuisce, abbia veduto ch'e' non può esser proprio suo, ma di un vetero as, il quale ei segna senz'alcun esempio, rimettendo a veterasco, dove di vetero non è parola; solo vi sono esempi di veteravi frammisti a quelli di veterasco. (Trovasi anche veteratus, v. Forc. in questa voce). Infatti abbiamo inveterasco is fatto evidentemente da invetero as avi atum, il quale ancora sussiste (tutto intiero), e così inveteratus (che il Forc. attribuisce giustamente ad invetero, sì come anche il perfetto inveteravi e il supino inveteratum, segnando [3828] inveterascere senza perfetto nè supino), e così forse altri composti di vetero. Dunque se v'invetero, e se a questo spetta inveteravi, atum, atus, dovette avervi anche vetero, e suo esser veteravi, atus ec. E così discorrasi di tanti altri verbi originali di quelli in sco, de' quali mancando il semplice si trovano però i loro composti, a' quali ordinariamente si attribuiscono i perfetti e supini che loro convengono, mentre quelli de' semplici, se i semplici non si trovano, s'attribuiscono ai loro semplici derivati in sco.
Irascor sta nel Forcell. senza supino nè perfetto. Trovasi iratus. Vero participio, benchè forse, almeno in certi casi, aggettivato, come tanti altri. Or donde viene questo participio? Non dimostra egli un verbo della prima? un verbo onde venga sì egli sì irascor? Cioè un antico iror, conservato nell'italiano (irare, adirare, airare ec. con lor derivati ec.), e v. gli spagn.
(4. Nov. 1823.)
Alla p.3710. Da' verbi della 2da si fanno quelli in esco, dalla terza si fanno in isco, così dalla quarta, come scisco; dalla prima, in asco; del che vedi gli esempi nel pensiero precedente, ed aggiungi labasco e labascor da labo as, e simili. In Labasco nel Forcell. trovo il nome appellativo e speciale de' verbi in sco. Essi si chiamano presso i grammatici, verba inchoativa. (4. Nov. 1823.). V. p.3830. fine.
Adito as da adeo is-itum.
(4. Nov. 1823.)
Al detto altrove del verbo bitere, aggiungi quello che ha il Forcell. in adito as. E nóta come anche [in] quell'esempio, [3829]il quale, secondo il Forcell., è appoggiato da tutte l'ottime edizioni, la coniugazione di bito fu la prima. Si adbites. Certo questo è presente congiuntivo e non futuro indicativo. Almeno sen può ben dubitare. E veramente io mi maraviglio come nè per questo, nè per gli altri esempi, altrove da me esaminati, il Forcellini (e forse niun altro) si sia avveduto che bito è della prima, o anche della prima, e l'abbia pur creduto della terza, o della sola terza, oltre bitio is della 4ta ec. s'è vera voce.193
(4. Nov. 1823.)
Lo stato della letteratura spagnuola oggidì (e dal principio del 600 in poi), è lo stesso affatto che quello dell'italiana, eccetto alcuni vantaggi di questa, ed alcune diversità di circostanze, che non mutano la sostanza del caso. Come noi (al paro di tutti gli altri stranieri) non dubitiamo che la Spagna non abbia nè lingua nè letteratura moderna propria, e dal 600. in poi non l'abbia mai avuta, così non dobbiamo dubitare che non sia altrettanto in Italia, e ciò dal 600. in poi, come gli stranieri, e forse tra questi anche gli spagnuoli (che del fatto loro non converranno), punto non ne dubitano. Quello che noi vediamo chiaro in altrui e nel lontano, ci serva di specchio e di esempio per ben vedere, per accorgerci, per conoscere e concepire il fatto nostro, e quello ch'essendoci proprio e troppo vicino, non suol vedersi nè conoscersi mai bene, sì per l'inganno dell'amor proprio, sì perchè la stessa vicinanza nuoce alla vista, e l'abitudine di continuamente vedere impedisce o difficulta l'osservare, il notare, l'attendere, il por mente, l'avvedersi. L'opinione che abbiamo di quelli stranieri c'istruisca [3830]di quella che dobbiamo avere di noi, e le ragioni di quella si applichino al caso nostro, chè ben vi sono applicabili ec.
Del resto tutto quello ch'io [ho] ragionato in più luoghi circa la presente (ec.) condizione della letteratura e lingua italiana; circa il mancar noi di lingua e letteratura moderna, di filosofia ec.; circa la condizione in cui si troverebbe oggidì un grande e perfettamente colto ingegno italiano, la necessità che avrebbe di crearsi una lingua, di creare una letteratura ec., il come e quale gli converrebbe crearle, e con quali avvertenze ec. ec. tutto, con lievi e accidentali diversità intendo altresì dirlo degli spagnuoli. E viceversa la considerazione di questi può e dee molto servire, sì a noi, sì anche agli stranieri, per giudicare e formarsi una giusta idea dello stato d'Italia e degl'ingegni italiani (se ve ne fossero) rispetto alla lingua, letteratura, filosofia ec. Le lingue e letterature italiana e spagnuola, le più conformi forse del mondo per mille altri titoli, come ho mostrato altrove (e così le nazioni ec.), lo sono altresì per la loro storia, e pel loro stato presente e passato ec. Ed altrimenti infatti non avrebbero avuto fra loro quelle conformità intrinseche che hanno, o certo non in tal grado, nè così durevolmente ec. ec.
(4. Nov. 1823.)
Alla p.3828. fine. Sicchè di ciascun verbo in asco si può sicuramente dire che viene da un verbo della prima, e non d'altra coniugazione, della quale è segno caratteristico l'a precedente la desinenza in sco; e così rispettivamente dite de' verbi [3831]in esco ed isco ec. (se pur non v'ha qualche verbo in sco che non sia incoativo, neppur per origine, (giacchè per significato ed uso molti nol sono o nol sono sempre, come altrove dico) il quale sarebbe fuori del nostro discorso). Pasco è certamente da un antico pare da ??? (e non da ?????, come dubita il Forcell. in Pasco princip.) come l'antico poo da ???, e altri tali di cui altrove sparsamente ed insieme. Dimostralo sì la sua desinenza in asco, sì il perfetto pavi, affatto anomalo rispetto a pasco e rispetto alla sua coniugazione, cioè alla terza, perchè tolto in prestito da quell'antico verbo della prima, di cui è proprio. Ecco come le nostre osservazioni scuoprono e illustrano le antichissime voci e radici della lingua latina, e la sua analogia, e le sue antichissime conformità colla greca, e la medesimezza di voci greche e latine che non paiono più aver nulla che fare (e ciò non per stiracchiate etimologie, come tanti altri han fatto, ma per accurato ed evidente ragionamento, e per mille confronti ec. e per regole grammaticali ec. trovate, o illustrate nuovamente e nuovamente applicate, ampliate, meglio stabilite, spiegate ec.), e le origini della lingua latina, e la proprietà vera e primitiva sua e delle sue voci, e le sue vere norme e regole, forme ec.; e le ragioni ed origini delle anomalie sue e delle sue voci ec. Pastum è contrazione di pascitum dimostrato da pascito. L'uno e l'altro è supino (e participio) proprio di pasco, non di pao. Nuova prova che il vero e proprio supino di tutti i verbi in sco è in scitum, benchè per lo più perduto, e sostituitigli degli altri ec.; e quindi ancora che il lor proprio perfetto sarebbe in sci, giacchè il supino si fa dal perfetto, come [3832]altrove. Il composto di pasco, compesco, s'egli però è veramente composto di pasco, come crede il Forcell. (vedilo in pasco fin. e in compesco), non fa compavi, ma compescui, anomalo anch'esso, (v. la pag.3707.) ma, benchè anomalo, proprio di compesco e di un verbo in sco, non di compao nè di pao, e che pur serve a mostrare che pavi non è proprio di pasco. Per supino Prisciano gli dà compescitum, e a dispesco, dispescitum; nuova prova e di pascitum e della qualità de' proprii supini de' verbi in sco ec. Prisciano riconosce anche dispescui. Se dispesco sia composto di pasco, ne dico quello stesso che di compesco.
Del resto ne' verbi in sco fatti da quelli della terza, non è essenziale la desinenza in isco. Da noo is si fa nosco: posco ec. ec. O che queste desinenze sieno primitive, ovvero, che m'è più probabile, l'i che dovrebb'esservi, vi è mangiato, e ciò per evitare il concorso delle vocali, giacchè tali desinenze han luogo quando la desinenza in isco sarebbe stata preceduta da una vocale. P.e. da noo is, regolarmente sarebbe stato noisco (intieramente conforme al greco ??????, e ciò per puro accidente, come a pag.3688.). Ma siccome noo e simili andarono in disuso per la spiacevolezza del suono, cagionata dal concorso delle vocali, siccome altrove ho detto, così ne' lor derivati che restarono in loro luogo, per evitar lo stesso concorso, fu soppresso l'i, ch'era la vocale più esile. Del resto nosco è per noisco, come notum per noitum, nobilis per noibilis, potum per poitum, sutum per suitum ec. ec. come altrove in più luoghi. E questi sono così ridotti per la detta ragione.
(4. Novembre. 1823.)
[3833]Alla p.3640. marg. Gl'Inca furono i civilizzatori di quella parte non piccola dell'America meridionale ond'essi in varie maniere s'insignorirono. Civilizzatori per rispetto alla barbarie estrema de' popoli di quella parte non soggetti alla loro dominazione, anche de' confinanti, ed alla barbarie de' popoli da lor soggettati, prima della soggezione. La civilizzazione operata dagl'Incas, o da essi diffusa, fu principalmente nelle provincie più vicine alla lor capitale; nell'altre tanto minore proporzionatamente quanto più lontane, men soggette, e più recentemente riunite al loro impero. Or gl'Inca adorarono unicamente o principalmente il sole; e così la lor capitale e le più antiche provincie del loro regno. Essi introdussero il culto del sole per tutto insieme col lor dominio. L'altre provincie lor soggette massime le più lontane, o le men soggette, o le più recentemente, e ne' principii della lor soggezione tutte o quasi tutte, lo riunirono ai culti lor naturali, ch'erano d'idoli orribili a vedere, e de' quali avevano formidabili e odiosissime idee di figure d'animali feroci, o d'idee semplici di qualche essere spaventevole non rappresentato in niun modo. Le provincie non soggette agl'Inca non ebbero che questi o simili culti e mai non conobbero quello del sole. Quando gli Europei scoprirono il Perù e suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole, quivi (ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado [3834]o vicinissime alle sopraddette) una vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e di vita. E generalmente i tempii del sole erano come il segno della civiltà , e i confini del culto del sole, i confini di essa ec.
(5. Nov. 1823.)
Dico altrove che noi sogliamo cang...
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