[Pagina precedente]...on abbia ancor luogo negli uomini riuniti in società . E sì i viaggi sì le storie tutte delle nazioni antiche dimostrano che quanto la società fu o è più vicina a' suoi principii, tanto la vita degl'individui e de' popoli fu o è più lontana e più contraria alla natura. Onde con ragione si considerano tutte le società primitive e principianti, come barbare, e così generalmente si chiamano, e tanto più barbare quanto più vicine a' principii loro. Nè mai si trovò, nè si trova, nè troverassi società , come si dice, di selvaggi, cioè primitiva, che non si chiami, e non sia veramente, o non fosse, affatto barbara e snaturata. (o vogliansi considerar quelle che mai non furon civili, o quelle che poscia il divennero, quelle che il sono al presente ec. ec.). Dalle quali osservazioni si deduce per cosa certa e incontrastabile che l'uomo non ha potuto arrivare a quello stato di società che or si considera come a lui conveniente e naturale, e come perfetto o manco [3799]imperfetto, se non passando per degli stati evidentemente contrarissimi alla natura. Sicchè se una nazione qualunque, si trova in quello stato di società che oggi si chiama buono, s'ella è o fu mai, come si dice, civile; si può con certezza affermare ch'ella fu, e per lunghissimo tempo, veramente barbara, cioè in uno stato contrario affatto alla natura, alla perfezione, alla felicità dell'uomo, ed anche all'ordine e all'analogia generale della natura. I primi passi che l'uomo fece o fa verso una società stretta lo conducono di salto in luogo così lontano dalla natura, e in uno stato così a lei contrario, che non senza il corso di lunghissimo tempo, e l'aiuto di moltissime circostanze e d'infinite casualità (e queste difficilissime ad accadere) ei si può ricondurre in uno stato, che non sia affatto contrario alla natura ec.
Or dunque, poichè tutto questo è certo e dimostrato da tutte le storie e notizie di tutte le nazioni antiche o moderne ec., poichè da un lato è da tenere per fermissimo che la società e l'uomo non ha potuto nè può divenir civile senza divenir prima e durare per lunghissimo tempo, affatto barbaro, cioè in istato affatto contro natura; e dall'altro lato si vuole che nello stato di società civile consista la perfezione e felicità dell'uomo, e la condizione sua propria e vera e destinatagli ed intesa in principio dalla natura ec.; io domando se è possibile, se è ragionevole, il credere che la natura abbia destinato ad una specie di esseri (e massime alla più perfetta) una perfezione e felicità , per ottener la quale le convenisse assolutamente passare p. uno e più stati onninamente contrari alla [3800]natura sua ed alla natura universale, e quindi per uno e più stati di somma infelicità , di somma imperfezione sì rispetto a se medesima e sì a tutto il resto della natura. Una perfezione e felicità della quale essa specie per lunghissimi secoli, e infiniti individui suoi per tutta la vita loro, non solo non dovessero esser partecipi, ma averne anzi necessariamente tutto il contrario. Una perfezione e felicità le quali esigessero assolutamente gli estremi delle cose a loro contrarie, cioè gli estremi dell'imperfezione e dell'infelicità , senza i quali estremi essa perfezione e felicità della specie non avrebbero mai potuto aver luogo. Una perfezione e felicità di cui fosse proprio ed essenziale il dover nascere dall'estrema imperfezione e infelicità della specie, e il non poter nascere d'altronde nè senza queste. Una perfezione e felicità ch'essenzialmente supponesse la somma corruzione e infelicitazione della specie per moltissimi secoli, e d'infiniti suoi individui per sempre. Conseguentemente domando se l'estrema barbarie e corruttela ch'ebbe luogo anticamente nelle nazioni antiche o moderne, spente o superstiti, passate o presenti, che divennero poi civili; e quella che ancora ha luogo in tanto innumerabile quantità di popoli ancor selvaggi ec. ec. e che durerà per tempo indeterminabile e forse per sempre ec. domando, dico, se questa barbarie e corruzione, senza cui la civiltà non può nè potè nascere, fu voluta e ordinata dalla natura, la quale, secondo costoro, volle e ordinò la civiltà dell'uomo. Domando pertanto se tutto ciò che di contrario alla natura ebbe ed ha luogo nelle società selvagge, primitive ec., fu ed è secondo natura. Domando se la natura rispetto [3801]all'uomo ha bisogno del suo contrario, lo esige, lo suppone. Se fu intenzione della natura, se è cosa naturale che l'uomo divenisse e divenga naturale (cioè perfetto) mediante l'essere stato sommamente contrario e diverso dalla natura sua e generale. Se è proprietà dell'uomo l'acquistare la sua vera proprietà , mediante l'averla affatto deposta e contrariata ec. ec. Se l'antropofagia, se i sacrifizi umani, se le superstizioni, le infinite opinioni ed usi barbari ec. ec. le guerre mortalissime che nell'America, unite all'antropofagia ec., sino agli ultimi secoli, distrussero innumerabili popolazioni e spopolarono d'uomini molti e vasti paesi, e che una volta essendo state comuni a tutti i popoli, e ciò quando il genere umano era ancora scarso, misero necessariamente l'intera specie in pericolo di scomparire affatto dal mondo per sua propria opera; sono cose secondo natura, intese dalla natura, supposte, volute, ordinate dalla natura; non accidenti, non disordini, ma secondo l'ordine, e derivanti dal sistema naturale e da' naturali principii; necessarie al conseguimento ed effettuamento della perfezione e felicità della specie. V. p.3882. e vedi la pag.3920. 3660-1.
I Californi, popoli di vita forse unico, non avendo tra loro società quasi alcuna, se non quella che hanno gli altri animali, e non i più socievoli (come le api ec.), quella ch'è necessaria alla propagazione della specie ec. e credo, nessuna o imperfettissima lingua, anzi linguaggio, sono selvaggi e non sono barbari, cioè non fanno nulla contro natura (almeno per costume), nè verso se stessi, nè verso i lor simili, nè verso checchessia. Non è dunque la natura, ma la società stretta la qual fa che tutti gli altri selvaggi sieno o [3802]sieno stati di vita e d'indole così contrari alla natura. La scambievole communione, voglio dire una società stretta, non può menomamente incominciare in un pugno d'uomini, che ciascheduno di questi non ne divenga subito, non che lontano e diverso, come siam noi, ma contrario dirittamente alla natura. Tanto la società stretta fra gli uomini è secondo natura.
Non è dubbio che l'uomo civile è più vicino alla natura che l'uomo selvaggio e sociale. Che vuol dir questo? La società è corruzione. In processo di tempo e di circostanze e di lumi l'uomo cerca di ravvicinarsi a quella natura onde s'è allontanato, e certo non per altra forza e via che della società . Quindi la civiltà è un ravvicinamento alla natura. Or questo non prova che lo stato assolutamente primitivo, ed anteriore alla società ch'è l'unica causa di quella corruzione dell'uomo, a cui la civiltà proccura per natura sua di rimediare, è il solo naturale e quindi vero, perfetto, felice e proprio dell'uomo? Come mai quello stato ch'è prodotto dal rimedio si dee, non solo comparare, ma preferire a quello ch'è anteriore alla malattia? Il quale già nel nostro caso, voglio dir lo stato veramente primitivo e naturale, non è mai più ricuperabile all'uomo una volta corrotto (non da altro che dalla società ), e lo stato civile (socialissimo anch'esso, anzi sommamente sociale) n'è ben diverso. Bensì egli è preferibile al corrotto stato selvaggio: questa preferenza è ben ragionevole, e segue ed è secondo il nostro e il sano discorso: ma non al vero primitivo ec. ec. V. p.3932.
[3803]Dai superiori ragionamenti appoggiati e accompagnati ai fatti e alle storie degli uomini, e queste paragonate con quello che avviene negli altri animali ec. si dee dedurre che dalla società che passa p.e. tra le api e i castori, e gli altri animali che per natura hanno tra loro più stretta comunione di vita, e dagli esempi naturali siffatti, ben si può argomentare che agli uomini non si convenga una società più stretta di quella; ma non già perch'ella si trovi in parecchie specie naturalmente, si può argomentare che agli uomini convenga neppure una società altrettanto stretta, giacchè gli uomini, contro quello che si stima, cioè che sieno per natura i più socievoli animali, sono anzi i meno socievoli, o certo manco socievoli di quello che sieno parecchi altri, cioè gli animali che veramente sono i più socievoli per natura. Onde, non che all'uomo convenga una società più stretta che all'api ec., come lo è di gran lunga quella ch'egli ha presentemente, ed ebbe da tempo immemorabile, si dee concludere che non gliene conviene se non una molto più larga ec. come ho accennato p.3773. fine, e come risulta dagli estremi danni dell'umana società stretta (danni verso se stessa e la specie umana, e verso l'altre specie ancora e l'ordine della natura terrestre, in quanto egli può essere ed è influito dall'uomo, massime dall'uomo in società ) considerati di sopra, e dall'estrema insociabilità dell'uomo, dimostrata in tutto il passato discorso.
[3804] - Moltissimi, anzi la più parte degli argomenti che si adducono a provare la sociabilità naturale dell'uomo, non hanno valore alcuno, benchè sieno molto persuasivi; perciocch'essi veramente non sono tirati dalla considerazione dell'uomo in natura, che noi pochissimo conosciamo, ma dell'uomo quale noi lo conosciamo e siamo soliti di osservarlo, cioè dell'uomo in società ed infinitamente alterato dalle assuefazioni. Le quali essendo una seconda natura, fanno che tuttodì si pigli per naturale, quello che non è se non loro effetto, e bene spesso contrario onninamente a natura, o da lei diversissimo. Onde gli effetti della società , quello che sola la società ha reso necessario, quello che non è vero se non posta la società , che senza questa non avrebbe avuto luogo ec., si fanno tuttogiorno servire nelle argomentazioni de' filosofi a dimostrare la naturale sociabilità dell'uomo, la necessità della società assolutamente e secondo la nostra natura ec. Di questo genere è quella inclinazione che tutti abbiamo a far parte ad altrui delle nostre sensazioni vive e non ordinarie, piacevoli o dispiacevoli ec., inclinazione della quale ho parlato altrove più volte, ed osservato, che bench'ella sembri affatto spontanea ed innata, non è che l'effetto dell'assuefazione e del nostro vivere in società , e nell'uomo posto fuori di essa per qualunque circostanza, e massime nell'uomo primitivo e veramente incorrotto, non ha luogo e gli è ignota. Ed infiniti altri sono gli effetti di questo genere che paiono naturalissimi, e dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e che per tali [3805]si recano tuttogiorno, ma che per vero non sono naturali, se non in quanto naturalmente hanno luogo, posta la società , e le rispettive circostanze ed assuefazioni non naturali; e naturalmente nascono da tali cagioni; nè possono non nascere, supposte queste. È cosa onninamente e naturalmente difficilissima il discernere tra l'assoluto naturale, e gli effetti dell'assuefazione, massime dell'assuefazione universale, e contratta o cominciata a contrarre fin dalla nascita o da' primi momenti del vivere, com'è l'assuefazione della società , e infinite assuefazioni subalterne da questa dipendenti e cagionate ec. o parti di lei, o da lei supposte ec.; e massime ancora nell'uomo, ch'essendo di gran lunga più conformabile e modificabile d'ogni altro animale, facilissimamente e presto si adatta alle assuefazioni, per innaturali ch'elle sieno, e se le converte in natura, e le abbraccia ed arripit, e seco loro s'immedesima in modo che appena l'occhio del più acuto filosofo è bastante a distinguerle dalle disposizioni naturali, e gli effetti loro dalle naturali qualità ed operazioni ec. Quindi non è maraviglia se tanti argomenti ci paiono dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e se di questa quasi tutti sono persuasi intimamente, e credono assurdo e impossibile il contrario, e stimano questa persuasione naturalissima, e fon...
[Pagina successiva]