[Pagina precedente]...o te o lui, e io sarei beato in tale o tal caso (e tutti gli uomini così parlano e parleranno sempre e di cuore); così il non esser chi dica di vero animo io provo piacere presentemente, dimostra che niuno provò nè proverà mai piacere alcuno, benchè tutti si pensino e moltissimi affermino con sentimento di verità , di averne provato e di averne a provare.
(21. Ott. 1823.)
[3747]Come la lingua francese illustre è dominata, determinata e regolata quasi interamente dall'uso, e certo più che alcun'altra lingua illustre, così, perocchè l'uso è variabilissimo e inesattissimo, essa lingua illustre non solo non può esser costante, nè molto durare in uno essere, come ho notato altrove, ma veggiamo eziandio che la proprietà delle parole in essa lingua è trascurata più che nell'altre illustri, e trascurata per regola, cioè presso gli ottimi scrittori costantemente, non meno che nel parlare ordinario. Voglio dir che gli usi di moltissime parole e modi ec. anche presso gli ottimi scrittori, sono più lontani dall'etimologia e dall'origine e dal valor proprio d'esse parole ec. meno corrispondenti ec. che non sogliono esser gli usi de' vocaboli nell'altre lingue illustri presso, non pur gli ottimi, ma i buoni scrittori, e in maggior numero di voci ec. che nelle altre lingue illustri non sono. Che vuol dir ch'essi usi e significati sono più corrotti ec. E non potrebb'essere altrimenti perchè l'uso corrente cotidiano e volgare e generalmente la lingua parlata, anche dai colti, (che è quella cui segue il francese scritto) corrompe ed altera ogni cosa e non mai non cessa di rimutare e logorare ec. P.e. per dire il materiale e lo spirituale, o il sensibile e l'intellettuale, i francesi dicono il fisico e il morale. (le physique et le moral, le physique et le moral de l'homme, le monde physique et le [3748]monde moral etc.). Qual cosa più impropria di queste significazioni, o che si considerino in se stesse o nella loro scambievole opposizione e in rispetto l'una all'altra? Fisico propriamente significa forse materiale o sensibile? E il fisico, che vuol dir naturale, è forse l'opposto dello spirituale o intelligibile? Quasi che questo ancora non fosse naturale, ma fuori della natura, e vi potesse pur esser cosa non naturale e fuori della natura, che tutto abbraccia e comprende, secondo il valor di questa parola e di questa idea, e che si compone di tutto ch'esiste o può esistere, o può immaginarsi ec. E il morale com'è l'opposto del naturale? Sia che riguardiamo la propria significazione di morale sia la francese. E che hanno che far l'idee, l'intelletto, lo spirito umano, gli altri spiriti, il mondo e le cose astratte ec. coi costumi, ai quali soli propriamente appartiene la voce morale? e gli appartiene pure anche in francese, e anche nel parlare e scriver francese ordinario (la morale, moralité, etc.). Così dite degli avverbi physiquement o moralement ec.
[3749]Di tali esempi se ne potrebbero addurre infiniti.
La lingua latina illustre fu, non solo tra le antiche, ma forse fra tutte, la più separata e diversa, e la meno influita e dominata dalla volgare. Parlo della lingua latina illustre prosaica (ch'è poco dissimile dalla poetica) rispetto all'altre pur prosaiche perchè p.e. la lingua poetica greca fu certo (almen dopo Omero ec.) anche più divisa ec. dalla greca volgare. Ma ciò come poetica, non come illustre, e qualunque linguaggio appo qualunque nazione è veramente poetico e proprio della poesia, di necessità e per natura sua è distintissimo dal volgare; chè tanto è quasi a dir linguaggio proprio poetico, quanto linguaggio diverso assai dal volgare. S'egli ha ad esser assai diverso dal prosaico illustre, molto più dal volgare. Fra le lingue illustri moderne, la più separata e meno dominata dall'uso è, cred'io, l'italiana, massime oggi, perchè l'Italia ha men società d'ogni altra colta nazione, e perchè la letteratura fra noi è molto più esclusivamente che altrove, propria de' letterati, e perchè l'Italia non ha lingua illustre moderna ec. Per tutte queste ragioni la [3750]lingua italiana illustre è forse di tutte le moderne quella che meglio e più generalmente osserva e conserva la proprietà delle voci e modi. Ciò presso i buoni scrittori, cioè quelli che ben posseggono e trattano la lingua illustre, i quali oggi son men che pochissimi, e quelli che scrivono la lingua illustre, i quali oggi sono in minor numero di quelli che non la scrivano, o il fanno più di rado che non iscrivono la volgare. Perocchè oggi la lingua più comunemente scritta e intesa in Italia nelle scritture, non è l'illustre ma la barbara e corrotta volgare; e però ella non conserva punto la proprietà delle parole ec. ma sommamente se n'allontana, come fa la volgare. E p.e. quel fisico e morale, fisicamente e moralmente ec. nel senso francese, è oggi del volgare italiano, e dello scritto non illustre, non men ch'e' sia dell'illustre e del volgare francese ec. Ma presso i nostri buoni scrittori di qualunque secolo (non che gli ottimi), si vedrà forse più che in niun'altra lingua illustre moderna, [3751]osservata e conservata la proprietà delle parole e dei modi ec. Cioè l'uso loro esser totalmente e sempre, o quasi totalmente e quasi sempre, o più e più spesso che nell'altre lingue illustri, e in assai maggior numero di parole e modi ec., conforme al significato ch'essi ebbero da principio nella lingua e ne' primitivi scrittori italiani, ed anche alla loro nota etimologia, ed al senso ed uso ch'essi ebbero nella lingua onde alla nostra derivarono, cioè massimamente nella latina, madre della nostra. Certo la proprietà latina nell'uso e significato delle parole e dei modi, (siccome la forma, lo spirito ec. della latinità , della dicitura latina, il modo dell'orazione in genere, del compor le parole, dell'esporre e ordinar le sentenze, dello stile ec. ec. E quanto a queste cose, anche in ordine alla lingua greca l'italiano illustre è la lingua più simile ch'esista ec. ec.) è molto meglio e in assai maggior parte conservata nell'italiano veramente illustre, per insino al dì d'oggi, che in alcun'altra lingua; e forse più nell'italiano illustre degli ultimi nostri buoni scrittori, che nel linguaggio de' più antichi e migliori scrittori francesi, spagnuoli ec.
(21. Ott. 1823.)
Diminutivi positivati. Novello, nouveau, Novella, rinnovellare ec. ec. V. il Forc. in Novellus (quasi iuvenculus) e i derivati sopra e sotto la detta voce: gli spagnuoli ec.
(22. Ott. 1823.)
[3752]Alla p.3685. Ho detto il genitivo ec. Tutti i nomi o verbi o avverbi ec. latini che son fatti immediatamente da qualche nome, son fatti dal genitivo o da' casi obliqui di questo nome, non mai dal nominativo (nè dal vocativo s'egli è conforme al nominativo, nè dall'accusativo come da manum onde sarebbe manalis non manualis, da tempus accusativo onde sarebbe tempalis non temporalis ec. ec. Tempestas però par che venga da tempus accusativo o nominativo). Ciò in moltissimi casi (come in dominor da dominus i ec.) non si può conoscere nè distinguere, ma in moltissimi sì. Miles itis - milito, militia, militaris ec. nomen inis - nomino ec.180 salus utis - saluto ec. Imago inis - imagino ec. Virgo inis - virgineus ec. Magister istri - magistratus ec. Sempre che si può distinguere, troverete che così è. (V. la p.3006. marg.) Eccezione. Propago inis - propagare in vece di propaginare (che noi però abbiamo altresì, e l'ha anche Tertull. V. Forc. e il Gloss. ec.), se però propagare non è piuttosto fatto da propages is, o se propago non viene anzi da propagare (il che mi è molto verisimile, se l'etimologia è da pango, come il Forcell. in propago inis. Allora propago as per propango is apparterrebbe a quella categoria di verbi di cui p.2813. sqq. e nelle ivi richiamate ec. [3753]E in esse pagg. si vedrebbero gli esempi e l'analogia e la ragione per cui pango in propago as o in propago inis abbia perduta la n, e perchè mutata coniugazione ec. che altrimente non son cose facili a dirsi. E certo l'osservazione fatta qui dietro, persuade che propagare non debba venir da propago inis: bensì propaginare). E s'altre tali eccezioni si trovano; ma saranno ben poche, s'io non m'inganno.181 Eccettuo ancora quei derivati che piuttosto sono inflessioni ec. de' rispettivi nomi, che altri nomi fatti da questi, come lapillus, (se questa e simili non sono contrazioni, v. p.3901) vetusculus dal nominativo di vetus eris ec. Ma questo diminutivo è di Sidonio. Gli antichi vetulus. Nigellus potrebb'esser da nigeri non da niger, come puellus da pueri non da puer. V. p.3909.; nigellus ch'è dal nominativo di niger, e altri tali diminutivi ec. Se già gli antichi non dissero magister isteri, niger eri ec. (22. Ott. 1823.). E così tengo per fermo; ond'è magisterium, ministerium ec. per magistrium, piuttosto dall'obliquo magìsteri, magìstero ec. poi contratti, che da magistrium, ministrium per epentesi della e. Infatti gli antichi dissero magisterare, ma i più moderni magistrare, onde magistratus us ec., come ministrare [3754]ec. Insomma queste non mi paiono eccezioni, perchè si riducono alla regola coll'osservare il modo dell'antichità e lo stato primitivo delle voci, mutato poscia, e così si potranno risolvere mill'altre tali eccezioni apparenti. In ogni modo il più delle volte è vero che i derivati de' nomi vengono da' casi obliqui, come ho detto, di qualunque declinazione sieno i nomi originali, come si è mostro cogli esempi, e non solamente se essi nomi son della quarta, chè allora si potrebbe negare quello che noi affermiamo dei derivati di questi, cioè che vengano da' casi obbliqui e fra questi derivati da' casi obliqui sono certamente quelli fatti da' nomi della quarta e notati da noi ec. Il che basta al caso nostro.
(22. Ott. 1823.)
Alla p.3728. Quest'uso latino di mutare alle volte il primo n in g, quando concorrerebbero due n, uso che si vede in agnatus, cognatus, cognosco, ignosco, ignotus, ignobilis, ignarus, ignavus ec. per annatus, connatus, (che anche si trova), connosco, innosco, innotus (v. Forc.), innobilis, innarus, innavus (che sarebbero come innocens, innumerus, innobilitatus) ec. ec.182 (p.3695.) corrisponde all'uso della pronunzia spagnuola che suol mutare in gn il doppio n delle parole latine o qualunque (come año, caña per canna ec.), e che generalmente [3755]rappresenta il suo gn col carattere ñ che è il segno di un doppio n. (Se però i latini pronunziavano ig-navus ec. come a p.2657., l'uso spagnuolo di dir agno per annus ec. non ha che far niente col lat. ig-navus per innavus. Tuttavia può pur avervi che fare, in quanto anche appo gli spagnuoli quell'año ha sempre una pronunzia di g).
Del resto non solo nel concorso delle due n, ma anche fuor di questo caso, i latini usavano di preporre o frapporre avanti la n il g. Come in prognatus per pronatus (che anche si trova), adgnascor per adnascor, adgnatus per adnatus ec. (i quali perciò dimostrano un semplice gnascor), e in gnarus, gnavus, gnavo, gnosco, gnobilis ec. (sicchè forse ignarus ec. non sono per innarus ec. ma più probabilmente per i-gnarus, i-gnavus ec. cioè per ingnavus, ingnarus ec.). Onde resta fermo quel ch'io [ho] detto p.3695. che i latini usavano, come gli Eoli, il g veramente protatico (perchè anche in pro-gnatus per pro-natus, in i-gnobilis per in-nobilis ec. ei viene a esser protatico.). E quest'uso ancora [3756]avrebbe qualche corrispondenza coll'uso spagnuolo di mutare alle volte, se non erro, anche l'n semplice delle voci latine ec. in ñ.
(22. Ott. 1823.)
Prolicio, prolecto as ec. Aggiungansi alle cose dette nella mia teoria de' continuativi (sul principio) circa i verbi allicio, allecto ec.
(22. Ott. 1823.)
Verbo diminutivo in senso positivo. Nidulor per nidor aris (che non esiste) da nidulus per nidus. Noi abbiamo annidare ec.
(22. Ott. 1823.)
Alla p.3706. Senza fallo il nostro verbo fu noo is, non no nis. (e altrettanto si dica di poo, non po, da ???, il quale dovette essere poo pois povi potum secondo le ragioni che or si diranno). 1. Da no non si sarebbe f...
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