[Pagina precedente]...a può dunque colle sue forme rappresentare e imitare l'andamento dell'altre, restando però sempre la stessa, e sempre una, e conservando il suo carattere ben distinto da tutte; non già assumere l'altrui forme per contraffare l'altrui andamento; dividendosi e moltiplicandosi in mille lingue, e mutando a [2854]ogni momento faccia e fisonomia per modo che o non si possa mai sapere e determinare qual sia la sua propria, o di questa non si possa mai fare alcuno argomento da quelle ch'ella assume, nè in queste raffigurarla.
Ella è cosa più che certa e conosciuta che i popoli meridionali differiscono per tratti essenzialissimi e decisivi di carattere da' popoli settentrionali, e gli antichi da' moderni, per non dire delle altre secondarie suddivisioni e suddifferenze nazionali caratteristiche. Ella è cosa ugualmente inconcussa che il carattere di ciascuna lingua perfetta si è precisamente quello della nazione che la parla, e viceversa. La stessa verità è indubitata e universale intorno alla letteratura. Or dunque che una lingua settentrionale possa senza menomamente violentarsi nè differir da se stessa, non solo imitare, anzi copiare, il carattere, ma assumere indifferentemente le forme, l'ordine, le costruzioni, le frasi, l'armonia di qualunque lingua meridionale come di qualunque settentrionale, che una lingua moderna possa altresì lo stesso indifferentemente con qualunque lingua antica [2855]siccome con qualunque moderna; questo in rerum natura, e se i principii della logica universale vagliono qualche cosa ne' casi particolari, è impossibile quando questa lingua sia veramente formata e determinata, e molto più nella supposizione che sia perfetta. Questo medesimo oltre di ciò, secondo tutte le regole e teorie speculative della letteratura, secondo tutti gl'insegnamenti dati finora dall'osservazione e dall'esperienza in queste materie, è contraddittorio in se stesso, non essendo possibile che una tal lingua contraffacendo esattamente le forme, e frasi proprie e speciali d'un'altra lingua caratteristicamente diversa, ne rappresenti il genio e il carattere, e ne conservi lo spirito; essendosi sempre veduto ne' casi particolari, e confermato colle ragioni speculative generali, che da tal causa risulta contrario effetto, e contrario totalmente, anche trattandosi di lingue affini, e somiglianti di carattere. Ma lasciando questo, e tornando alla prima impossibilità , dico che il carattere proprio di una lingua, è sempre per sua natura esclusivo degli altri caratteri, siccome lo è quello [2856]di una nazione, quando sia formato e completo; che quello ch'è impossibile alla nazione è impossibile alla lingua; che se la nazion tedesca non può assumere per natura il preciso e proprio carattere de' francesi, se non può assumerne i costumi e le maniere senza nuocere al carattere nazionale, senza guastarsi, senza rendersi affettata, e dimostrarsi composta di parti contraddittorie, e produrre il senso della sconvenienza, dello sforzo, della violenza fatta alla propria natura, così la lingua tedesca, s'ella ha già forma propria e certa, s'ella ha carattere, s'ella è perfetta, non può per natura contraffare e ricopiare il carattere delle altre lingue, non può senza gl'inconvenienti sopraccennati e anche maggiori, rinunziando alle forme proprie, assumere nelle traduzioni le forme delle lingue straniere.
Astraendo da tutto questo, dico che in una lingua la quale abbia pienamente questa facoltà , le traduzioni di quel genere che i tedeschi vantano, meritano poca lode. Esse dimostrano che la lingua tedesca, [2857]come una cera o una pasta informe e tenera, è disposta a ricevere tutte le figure e tutte le impronte che se le vogliono dare. Applicatele le forme di una lingua straniera qualunque, e di un autore qualunque. La lingua tedesca le riceve, e la traduzione è fatta. Quest'opera non è gran lode al traduttore, perchè non ha nulla di maraviglioso; perchè nè la preparazione della pasta, nè la fattura della stampa ch'egli vi applica, appartiene a lui, il quale per conseguenza non è che un operaio servile e meccanico; perchè dov'è troppa facilità quivi non è luogo all'arte, nè il pregio dell'imitazione consiste nell'uguaglianza, ma nella simiglianza, nè tanto è maggiore quanto l'imitante più s'accosta all'imitato, ma quanto più vi s'accosta secondo la qualità della materia in cui s'imita, quanto questa materia è più degna; e quel ch'è più, quanto v'ha più di creazione nell'imitazione, cioè quanto più v'ha di creato dall'artefice nella somiglianza che il nuovo oggetto ha coll'imitato, ossia quanto questa somiglianza vien più dall'artefice che dalla materia, ed è più nell'arte [2858]che in essa materia, e più si deve al genio che alle circostanze esteriori. Neanche una tal opera può molto giovare alla lingua, nè servire ad arricchirla, o a variarla, o a formarla e determinarla, sì perch'ella dee perdere queste impronte e queste forme colla stessa facilità con cui le riceve e per la ragione stessa per cui così facilmente le riceve; sì perchè queste nella loro moltiplicità nocciono l'una all'altra, si scancellano e distruggono scambievolmente, e impediscono l'una all'altra l'immedesimarsi durabilmente e connaturarsi colla favella; sì perchè questa moltiplicità immoderata è incompatibile con quella tal quale unità di carattere che dee pur avere una favella ancorchè immensa, massime ch'elle sono diversissime l'une dall'altre, o ripugnano scambievolmente; sì perchè gran parte di queste forme o impronte essendo alienissime o affatto contrarie al carattere nazionale de' tedeschi, e a quello della loro letteratura, non possono se non nuocere alla lingua, e guastarla, o impedire o ritardare ch'ella prenda e fortemente [2859]abbracci e ritenga quella sola forma e carattere che le può convenire, cioè quella che sia conforme al carattere della nazione e della nazionale letteratura, senza la qual forma perfettamente determinata, e da lei perfettamente ricevuta per costantemente conservarla, essa lingua non sarà mai compiuta e perfetta.
Conchiudo che se i traduttori tedeschi (grandissimi letterati e dottissimi, e spesso uomini di genio) fanno veramente quegli effetti che ho ragionati nel principio di questo pensiero, il che pienamente credo quanto alle cose che appartengono all'estrinseco; se con ciò non fanno alcuna violenza alla lingua, nel che credo assai ma assai meno di quel che si dice; se in somma la lingua tedesca, quanto alle qualità sopra discusse, è tale quale si ragiona, nel che non so che mi credere; la lingua tedesca come applicata assai tardi alla letteratura, e come appunto vastissima e immensamente varia, sì per l'antichità della sua origine, sì per la moltitudine degl'individui, e diversità de' popoli che la parlano, non è ancora nè perfetta, nè formata e sufficientemente [2860]determinata; ch'ella è ancor troppo molle per troppa freschezza; ch'ella col tempo e forse presto (per l'immenso ardore, attività e infaticabilità letteraria di quella nazione) acquisterà quella sodezza e certezza che conviene a ciascuna lingua, e quella particolar forma e determinato e stabil carattere e proprietà , e quel genere di perfezione che conviene a lei, con quel tanto di unità caratteristica ch'è inseparabile dalla perfezione di qualunque lingua, siccome di qualunque nazione, e forse di qualunque cosa, se non altro, umana; che allora ella potrà essere e sarà liberissima, vastissima, ricchissima, potentissima, pieghevolissima, capacissima, immensa, e immensamente varia, pari in queste qualità astrattamente considerate, e superiore eziandio, se si vuole e se è possibile, non che all'italiana ma alla stessa lingua greca, ma non per tanto ella non avrà o non conserverà per niun modo quelle facoltà stravaganti e senza esempio, divisate di sopra; e quelle traduzioni ora lodate e celebrate piuttosto, cred'io, per gusto matematico che letterario, piuttosto come curiosità che come opere di genio, [2861]piuttosto come un panorama o un simulacro anatomico o un automa, che come una statua di Canova, piuttosto misurandole col compasso, che assaporandole e gustandole e paragonandole agli originali col palato, quelle traduzioni, dico, parranno ai tedeschi non tedesche, e nel tempo stesso non capaci di dare alla nazione la vera idea degli originali, aliene dalla lingua, e proprie di un'epoca d'imperfezione, e immaturità .
(29 30. Giugno 1823.)
In ciascun punto della vita, anche nell'atto del maggior piacere, anche nei sogni, l'uomo o il vivente è in istato di desiderio, e quindi non v'ha un solo momento nella vita (eccetto quelli di totale assopimento e sospensione dell'esercizio de' sensi e di quello del pensiero, da qualunque cagione essa venga) nel quale l'individuo non sia in istato di pena, tanto maggiore quanto egli o per età , o per carattere e natura, o per circostanze mediate o immediate, o abitualmente o attualmente, è in istato di maggior sensibilità ed esercizio della vita, e viceversa.
(30. Giugno 1823.). V. p.3550.
[2862]L'amicizia, non che la piena ed intima confidenza tra' fratelli, rade volte si conserva all'entrar che questi fanno nel mondo, ancorchè siano stati allevati insieme, ed abbiano esercitato l'estremo grado di questa confidenza sino a quel momento; e di più seguano ancora a convivere. E pure se l'uomo è capace di piena ed intima confidenza, e s'egli dovrebbe conservarla perpetuamente verso qualcuno, questo dovrebb'essere verso i fratelli coetanei, ed allevati con lui nella fanciullezza: e dico dovrebb'essere, non per forza naturale della congiunzione di sangue, la qual forza è nulla e immaginaria, e niente ha che fare nel produr quella confidenza o nel conservarla, ma per forza naturale dell'abitudine e dell'abitudine contratta nel primo principio delle idee e delle abitudini dell'individuo, e nella prima capacità di contrarle, e conservata tutto quel tempo che dura la maggiore intensità e disposizione ed ampiezza, e il maggior esercizio di questa capacità . Nondimeno questa confidenza così fortemente stabilita e radicata si perde per la varietà che s'introduce nel carattere de' fratelli mediante il commercio cogli altri individui della società . Ma se questo [2863]commercio non avesse avuto luogo, quella confidenza sarebbe stata perpetua, com'ella non è mai cessata fino a quell'ora. Che vuol dir ciò, se non che nei caratteri degli uomini, novantanove parti son opera delle circostanze? e che per diversissimi ch'essi appariscano, come spesso accade anche tra fratelli, in questa diversità non è opera della natura, se non una parte così menoma che saria stata impercettibile? È quasi impossibile il caso che tutte le minute circostanze e avvenimenti che incontrano all'un de' fratelli nell'uso della società , incontrino all'altro, o sieno uguali a quelle che incontrano all'altro, ancorchè postogli da vicino. Questa diversità diversifica due caratteri che parevano affatto, ed erano quasi affatto, compagni, e com'ella è inevitabile, così la diversificazione di questi caratteri nella società non può mancare. E ho detto le minute circostanze, contentandomi di queste, perchè anche la somma di cose minutissime basta a produrre grandissimi e visibilissimi effetti sull'indole degli uomini, massime allora ch'eglino sono principianti nel mondo, e che in essi la capacità delle abitudini e delle opinioni, ossia la formabilità dell'indole, è ancor [2864]molta e grande e in buon essere.
(30. Giugno. 1823.)
Diminutivi che nelle lingue figlie della latina sono passati in luogo dei positivi latini, del che ho ragionato altrove, sia che questi positivi non esistano più in esse lingue, sia che questi diminutivi sieno fatti loro sinonimi. Fratello, sorella, figliuolo ital. orilla da ora, cioè estremità , spagn. V. il Glossar. il Forcell. e i Diz. spagn. quanto alle tre suddette voci italiane. (30. Giugno. 1823.). Orecchia, oreja, oreille da auricula; pecchia, aveja, abeille da apicula o apecula, come vulpecula. Flagellum s'usava anche nell'antico latino pel suo positivo flagrum; siccome ora flagello, fléau; e ...
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