[Pagina precedente]...à che non si possa imaginar carezza che non facci a chi dorme teco e stà sempre in su le vedette, grattandolo dove gli dole. Ah! ah! ah!
PIPPA. Di che ridite voi?
NANNA. Rido de la scusa che hanno trovata coloro ai quali non si rizza la coda.
PIPPA. Che scusa è questa?
NANNA. Il dar la colpa al troppo amore; e certo certo, se non fosse il dir così, rimarrebbono più impacciati che non sono i medici quando lo ammalato, che domandano s'ei va del corpo, risponde "Si", non sapendo dargli altro rimedio: onde si vergognano come i vecchi che montatici a dosso ci pagano di doppioni e di cantafavole.
PIPPA. Appunto vi voleva dimandare come io mi ho ad arrecare sotto un bavoso correggero che puzza di sotto e di sopra, e in che foggia io mi ho a lasciar pestare dal suo starmi tutta notte a dosso: e mia cugina mi racconta che una non so chi venne meno in cotal novella.
NANNA. Figliuola, la soavità degli scudi non lascia arrivare al naso i fiati marci né la puzza dei piedi: ed è peggio il tòrsi una ceffata che il sopportare il cesso che è ne la bocca di chi spende comperando il patire che si fa dei lor difetti a peso d'oro. E stammi a udire, che ti vo' contare come hai a reggerti con ogni musico musicorum, e come tu maneggi le nature altrui: e che tu le voglia sopportare con pacienzia, tu sei più padrona di quel che loro hanno che non sono io tua e mia.
PIPPA. Entratemi un poco in su questi vecchi.
NANNA. Eccoti a cena con quei lussuriosi che hanno buona volontà e triste gambe. Pippa, le vivande ci sono a sbacco, i vini a l'ordine, le ciance a la signorile; e chi gli ode frappare diria "Questi tali andranno .XV. miglia per ora": e se le prove del letto si assimigliassero a quelle che fanno intorno ai fasciani e a la malvagia, ne incacarebbero Orlando. Ma se contentassero l'amiche in chiavarle come le contentano in darle dei buon bocconi a tavola, beate loro! I boriosi e volonterosi, sperando nel pevere, nei tartufi, nei cardi e in certi lattovari calidi che vengano di Francia, ne fanno maggiori scorpacciate che i contadini de l'uva; e inghiottendo l'ostrighe senza masticarle, vorrebber pure far miracoli. A così fatte cene puoi tu manicare quasi senza cerimonie.
PIPPA. Perché?
NANNA. Perché il piacer loro è d'imboccarti come si imboccano i bambini: e hanno più sollazzo che si mangi a l'affamata, che non ha il cavallo del sufolare del famiglio che lo abevera; e poi i vecchi son nimichi de le sposarie.
PEPPA. Sì che io potrò, mangiando seco, rendere i coltellini a le continenze dette di sopra.
NANNA. A la croce d'Iddio che tu mi riesci: e se vai di bene in meglio, l'altre restaranno come il prete da le poche offerte. Mi era smenticato di avvertirti che non ti netti i denti col tovagliuolo, risciacquandogli con l'acqua pura, tosto che arai cenato coi vecchi (come farai nel tuo cenar coi giovani): perché potrebbero schifarsi, con dir seco stessi "Costei dileggia i nostri, che si dimenano standoci in bocca appiccati con la cera".
PIPPA. Io me li voglio forbire a lor posta.
NANNA. Faccende.
PIPPA. Orsù, io non me gli nettarò.
NANNA. Tu puoi ben razzolargli intorno con uno stecco di ramerino ascosamente.
PEPPA. Veniamo al coricarsi seco.
NANNA. Ah! ah! ah! Io non mi posso tener di ridere, perché bisogna che si guardino di non andar al destro come ho detto che te ne guardi tu: oh che vesce, oh che loffe che tranno! I mantici dei fabri non soffiano sì forte, e mentre torcendo il muso si sforzano di cacare stroppelli, tengano in mano uno scartoccio di peneti per racquetar la tossa che gli crocifigge. È ben vero che, spogliandosi in giubbone, son vaghi da vedere. Come si sia, essi, che si ricordano de la gioventudine come dei sermenti verdi gli asini e le micce, stanno in zurlo con più appetito che mai; e abbracciando la ninfa, non ti potria dire con che filastroccola la lusingano; e quelle cianciarelle che le balie usano ai fanciulli che non sanno ciò che si voglino, sono i confetti loro. Ti mettano lo spa
viere in pugno, ti suggano le pocce, salgonti a dosso a cavalcioni e ti voltano di qua, ti aggirano di là ; onde tu, solleticandogli e sotto le braccia e nei fianchi, mettetegli intorno: e come l'hai fatto risentire, ripiglialo e diguazzalo con tanti arzigogoli che egli alzi la testa balordon balordoni.
PIPPA. Anco quei dei vecchi si levano in superbia?
NANNA. Qualche volta, ma l'abbassano tosto, e se tu vedesti tuo padre buona memoria, quando ne la sua malatia si sforzava di levarsi a sedere sul letto ricadendo subito a ghiacere, vedi la menchia d'un simile, la quale è de la natura dei lombrichi, che rientrano in se stessi e risospingansi in fuora caminando.
PIPPA. Mamma, voi mi avete insegnato gli atti che io ho a fare stando di sopra e ogni cacariuola che ci accasca, ma non come io l'ho a conchiudere.
NANNA. Non dire altro, che io ti afferro: e mi cresce di sorte l'animo, vedendoti stare a casa, che io vado in cimbalis, e tornando indrieto, dico che tu vuoi dire che io ti dica a che ti hanno a servire i savoretti che tu farai standoti sopra il fottente (parlando a l'usanza).
PIPPA. Voi l'avete pel ciuffetto.
NANNA. Non ti ricordi tu, Pippa, quando il Zoppino vendette in banca la leggenda di Campriano?
PIPPA. Mi ricordo di quel Zoppino che quando canta in banca tutto il mondo corre a udirlo.
NANNA. Quello è desso. Hai tu in mente il ridere che tu facesti sendo noi dal mio compar Piero, mentre con la Luchina e con la Lucietta sue lo ascoltavate?
PIPPA. Madonna sì.
NANNA. Tu sai che 'l Zoppino cantò come Campriano cacciò tre lire di quattrini nel forame del suo asino: e menollo a Siena e lo fece comperare a due mercatanti cento ducati, dandogli ad intendere che egli cacava moneta.
PIPPA. Ah! ah! ah!
NANNA. Poi seguitò la storia fino a la metà : e come ebbe adescata la turba ben bene, voltò mantello; e inanzi che si desse a finirla, volse spacciar mille altre bagattelle.
PIPPA. La non mi va.
NANNA. Sai tu, baston de la mia vecchiezza, quello che ti interverrà lasciandomi finir di favellare?
PIPPA. Che?
NANNA. Quello che interviene a chi mira un che si tuffa sotto acqua notando: che sempre il vede apparire dove mai non pose mente. Dicoti che come l'arai messo in dolcezza coi tuoi atti di sorte che stia per isputar la lumaca senza guscio, fermati con dire "Io non posso più"; prieghi a sua posta, di pure "Io non posso".
PIPPA. Dirò anco "Io non voglio".
NANNA. Dillo: perché, dicendolo, verrà in quella volontà che ha chi, ardendo di sete per la febbre che il fa bollire, si vede strappar di mano una secchia d'acqua fresca che la compassione del suo famiglio, traendola del pozzo allotta allotta, gli aveva data. E nel tuo far vista di smontar da cavallo ti prometterà cose grandi: e tu in contegno. A la fine, lanciatosi a la borsa, ti gli darà tutti mentre, fingendo tu di non gli volere, stenderai la mano per torgli: perché il dire "non voglio" e "non posso" in sul bel del fare, sono le recette che vende il Zoppino, nel lasciare in secco la brigata che smascellava, stroncando la novella di Campriano.
PIPPA. Gli è fatto il becco a l'oca. Ora al vecchio.
NANNA. Al vecchio che, sudando e ansciando più che non suda e non anscia uno al quale fa il culo lappe lappe, ti stemperarà tutta quanta nel fartelo nol facendo, è forza dar la baia, e ponendogli il viso sul petto, dire "Chi è la vostra putta? chi è il vostro sangue?" e "Chi è la vostra figlia? Pappà , babbino, babbetto, non sono io il vostro cucco?"; e grattandogli ogni bruscolino e ogni rughetta che gli trovi a dosso, digli "ninna, ninna" cantando ancora una canzoncina sottovoce trattandolo da rimbambito: e so ch'egli ti si rivolgerà con atti bambineschi e chiamaratti "mammina, mammotta" e "mammetta". In questo affrontalo, e atasta se la scarsella è sotto il piumaccio: ed essendoci, non ce ne lasciare uno, e s'ella non ci è, faccela essere. E cotale arte bisogna usare, perché i miseroni lambiccano un danaio quattro ore quando non si trastullano: e se ti promettano veste o collane, non te gli spiccar da le spalle finché non si ordina il dono. Poi, o co le dita o con quello che gli pare, mettinlo pure nel dritto e nel rovescio, che non te ne darei un pistacchio.
PIPPA. Non dubitate.
NANNA. Odi questa: eglino son gelosi, ed entrano sul gigante menando le mani con le parole a la bestiale: ma se gli vai ai versi, oltre che pioveranno i presenti, ne cavarai uno spasso de l'altro mondo. E mi par vedere uno più scaduto che il bisavolo de l'Antecristo, con i calzoni e il giubbone di broccato tutto tagliuzzato, con la berretta di velluto impennacchiata coi puntali e con un martello di diamanti in una medaglia d'oro con la barba d'ariento di coppella, e le gambe e le mani tremolanti, la faccia guizza; caminando a schincio spasseggiarà fin entro al di intorno a casa, fischiando, abbaiando e ronfiando come i gatti di gennaio. E sto per iscompisciarmi sotto per le risa pensando a una berta che rifaria il millesimo.
PIPPA. Ditemela.
NANNA. Un ceretan poltrone gli diede ad intendere che aveva una tinta da barbe e da capegli, sì nera e sì morata che i diavoli son bianchi a comperazione. Ma la voleva vender sì cara che lo fece stare parecchi e parecchi dì a dargli orecchie. A la fin fine parendogli che la sua testa di porro e la sua barba di stoppa gli scemassi reputazione con l'amore, contò .XXV. ducati vineziani al ceretano, il quale, o fosse per burlarlo o fosse per giuntarlo, gli fece i capegli e la barba del più azzurro turchino che dipignesse mai coda di cavallo barbaro o turco: di modo che bisognò raderlo fino a la cotenna, onde ne fu favola del popolo un tempo, anzi se ne ride ancora.
PIPPA. Ah! ah! ah! Me lo par vedere, vecchio pazzo. Ma se me ne dà alcuno ne l'unghie, voglio che sia il mio buffone.
NANNA. Anzi fà il contrario; né lo soiare per conto alcuno, e massimamente dove son brigate: perché la vecchiezza dee riverirsi, poi saresti tenuta una sciagurata e una scelerata a dar baie a un cotal uomo: io voglio che tu dimostri di averlo nel core inchinandotigli per ogni paroluzza che ti dice; onde nascerà che degli altri vecchi ringiovaniranno amandoti: e se pur pur vuoi tortene riso, fallo qui fra noi.
PIPPA. A farlo, se facendolo ho a far bene
NANNA. Entriamo ne le signorie.
PIPPA. Entriamoci.
NANNA. Ecco un signore ti richiede: e io ti mando o tu vai, tanto è. Qui ti conviene dar del buono, perché sono avvezzi con gran donne, e più si pascano di ragionamenti e di chiacchiare che d'altro. Sappi favellare, rispondi a proposito, non iscappare trasandando di palo in frasca: perché i servidori suoi, non pur sua Signoria, ti faranno drieto i visacci, non ti recar là da goffa né da civetta, ma gentilmente. E se si sona o canta, tieni sempre tese le orecchie al suono e al canto, lodando i maestri de l'uno e de l'altro, benché tu non te ne diletti e non te ne intenda, e se ci è alcun vertuoso, accostategli con faccia allegra, mostrando di apprezzar più loro che (mi farai dire) il signor ch'è ivi.
PIPPA. A che fine?
NANNA. Per buon rispetto.
PIPPA. Suso!
NANNA. Perché non ti mancarebbe altro se non che un tale ti facesse i libri contra, e che per tutto si bandisse di quelle ladre cose che sanno dir de le donne: e ti staria bene che fosse stampata la tua vita come non so chi scioperato ha stampata la mia, come ci mancassero puttane di peggior sorte di me: e se si avesse a squinternare gli andamenti di chi vo' dir io, si oscurarebbe il sole. E quanti abbai sono suti fatti sopra il fatto mio! Chi riprende ciò che io ho detto de le suore, dicendo "Ella mente d'ogni cosa", non si accorgendo che io lo dissi a l'Antonia per farla ridere e non per dir male, come forse arei saputo dire: ma il mondo non è più desso, né ci pò più vivere una persona che ci sa essere.
PIPPA. Non collera.
NANNA. Guarda, Pippa: io son suta suora, e ne uscii perché ne uscii: e s'io avessi voluto informar l'Antonia come elle si maritano, e chiamano il frate "la mia amicizia", e il frate chiama la suora "la mia amicizia", lo arei molto ben saputo dire. E solamente a contare le cose che i brodai raccon...
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