[Pagina precedente]...isonesti che non si vergognano di furare per le nostre camere libri, specchi, pettini, sciugatoi, vasetti, una palla di sapone un paio di forbicine, due dita di nastro e s'altro gli dà ne le dita che vaglia meno.
PIPPA. Dite voi da vero?
NANNA. Da verissimo. E quale è più gran vituperio che scorgere una meschina che ha solamente la ricchezza d'una botta scudaia, la qual si porta il suo avere a dosso: e doppo lo averle lograto e l'orlo del pozzo e de la citerna, pagarla di un diamantino falso, di quattro giuli dorati e di una collanuzza d'ottone; e sperar poi, nel vantarsene, di avere a essere gonfaloniere di Gerusalemme? Che crudeltà è egli a sentire uno salito in bigoncia sopra il fatto nostro, trovando cose che mai furono né nate né poste; essi dicano: "Io fui due dì fa a toccar la tale: oh che slandra, oh che solenne sudicia! Ella ha le groppe punteggiate come l'oca, un fiato di morto, un sudor di piei una valigia di corpo, un pantano dinanzi e un profondo dirieto da far tornar casto non so chi"; saltano poi in quella altra dicendo: "Che rozza, che vacca, che ladra, che troia: ella lo vuol tutto nel tondo, e ci fa suso scaramucce stupende; e nel cavarlo fuora lo lecca, lo palmeggia e lo netta in un modo non più pensato né visto"; e quanto più si veggano gente a torno più alzano le boci: e la "coreggera", e la "fratiera", e la "bandiera". E quando gli facciamo qualche sbarleffo ne lo andar giù per le nostre scale, non si ricordano di quelli che fanno a noi ne lo scendere giù per le loro: e bisogna ben che noi siamo tradite e assassinate, a trapassare il segno in dirne male; e quando ci scappa di bocca "Egli è un misero e uno ingrato" o vero, infiammate da una gran ragione, "un traditore", non si pò andar più suso; e se gli togliamo alcuna cosa, lo facciamo per fornirci di pagare: perché non pagaria l'onestà che ci tolgano, il tesoro dei tesori.
PIPPA. Voi mi impaurite con le lor tristizie.
NANNA. Io ti impaurisco perché tu impaurisca loro con le saviezze che io ti ho insegnate: e chi paragonasse le finzioni, le bugie i pianti, i giuramenti, le promesse e le bestemmie, le quali usano per corsaletti nel volerci vincere, con le doppiezze, con le soie, con le lagrime, con gli spergiuri, col dargli la fede e con le maladizioni che gli esercitiamo contra, conoscerebbe chi sa meglio ingannare. Un gentiluomo (cancaro a le gentilezze) credo piamontese o savoino (salvo il vero) un certo volto-di-lanterna, aveva, giocando, vinta una lettiera di noce profilata d'oro, molto bella; e come entrava in parlamento con alcuna signora, faceva tornare a proposito la sua beata lettiera, e doppo il lodarla e stimarla i cinquanta ducati, la proferiva: e con simile ragia veniva a dormir seco. E datole in premio la lettiera, godeva di lei una decina di notti, e saziatosene a bello agio pareva uno di questi sbriccarelli i quali vorrebbono acquistar nome di bivilacqui stando tuttavia in volere attaccarsi a quistione con le mosche: dico che si attaccava fin nel tagliar del pane per volerla rompere con lei: e venendogli fatta, si leva su con un "Deserta, lendinosa, dammi la robba mia: se non, io ti farò la più malcontenta bordelliera, dammela, rendemela", e sfoderando una coltella non atta a fare un rigagnolo di sangue fra mille pecore, l'abbarbagliava talmente, che le pareva aver .XXX. soldi per lira a non sentire altro che dischiodarla e riportarla altrove.
PIPPA. Bella cosa il dare e ritorre come i fanciulli.
NANNA. A una sessantina la donò e ritolse nel modo che io ti ho detto; e non se gli è mai levato il nome del "gentiluomo da la lettiera"; e tutte le puttane il mostrano a dito, come fanno anco a quello da la vesta senza busti: e Pontesisto non gli daria un bascio se credesse perdere la infamia che egli ha.
PIPPA. Io gli vorrei così conoscere.
NANNA. Di cotesto non mi curo io: e sappi che, tra il nome di gentiluomo e la presenzia de la lor cera, farebbero star forte me che ti insegno, non che tu che impari.
PIPPA. Potria essere.
NANNA. Te ne vo' dire una bella, ma non per chi l'ebbe a l'uscio. Stavasi là dal Popolo madonna nol-vo'-dire, una soda tacca di femmina grandona, bellona, morbidona al possibile; e se puttana pò essere di buona natura, ella era di quelle: sollazzevole, tratenetrice, con ognun motteggiava e con tutti si afaceva con quella graziosa grazia che si porta da la culla. Costei fu invitata a cena a la vigna e a mangiar la fogliata romanesca; e quelli che la invitarono non la pregà r molto, perché ella tanto sguazzava quanto si faceva dei compiacimenti di chi le pareva da bene: come le parvero gli sciagurati i quali, in su le .XXII. ore, in groppa d'una mula, la condussero a la maladetta vigna. Certamente la cena andò a piè pari: capretti, mongara, vaccina, starne, torte, guazzetti e ogni convenevolità di frutti; ma fecero il mal pro' a la troppo troppo servente madonna.
PIPPA. Che, la tagliarono a pezzi?
NANNA. A pezzi no, ma a quarti, nel modo che tu udirai. Era appunto il primo tocco de l'avemaria quando ella chiede in dono ai signori coi quali cenò che le dessero licenzia, perché voleva andare a dormire con colui che la manteneva. I briachi, i matti, i cattivi le fecero rispondere a uno buffon da scoreggiate, e dirle: "Signora, questa notte è obligata a noi e ai nostri famigli di stalla, e vogliamo che siate contenta di far sì che i trentuni ugnoli diventin doppi, e così, mercé vostra, si chiamaranno arcitrentuni, onde sarà tra loro la differenzia che è tra i vescovi e gli arcivescovi, e se non sarete trattata secondo il merito scusate il luogo". Non disse altro lo scribo, ma pigliata la tempella in mano venne via cantando:
La vedovella quando dorme sola
lamentasi di sé:
di me non ha ragione.
La tradita de la sua bontà e da l'altrui tristizia, udendo ciò, parve me quando, ne la selva di Montefiascone, in su l'alba del dì urtai con la spalla nel petto d'uno impiccato: e le venne un dolor così fatto, che non poté scior parola. Intanto il porcaccio la stiracchia fino al ceppo di un mandorlo tagliato, e appoggiatole ivi la testa, le rovescia i panni in capo, e cacciatognele dove gli parve, la ringraziò del servigio con dui sculacciate de le più crudeli che si potesson sentire. E questo fu il cenno che si fece al secondo, il quale la travoltò sul ceppo, e facendolo a buon modo, aveva piacer grande de le punte del legno mal polito le quali le pungevano il sedere: onde ella, a suo dispetto spingeva inverso colui che, nel compire, le fece fare il capotomolo scimiesco; e il gridar che ella fece chiamò il terzo giostrante. Ma son gentilezze lo spasso che egli si pigliò del trarlo e rimetterlo che in ogni buco fece: la morte fu il vedere una mandra di famigliacci, di sottocuochi e di osterie, usciti de la casa de la vigna con quel rimore che escano i cani affamati di catena, e avventarsi al pasto come i frati al bruodo. Figliuola mia, io ti farei piangere se ti contasse minutamente il fargnelo che fecero, e come la scompisciarono per tutto, e in che atto l'arrecava questo e quello, e gli storcimenti e i ramarichi de la malcondotta; e sia certa che tutta quanta la santa notte la tempestarono. E stracchi dal vergognarla a ogni via, la imitriarono di foglie di ficaia, e con un vincastro di salcio la frustarono da ladro senno; e un giorneone ad alta boce lesse il processo da malefizio: e cantò i furti, i maliamenti, le truffe, le sodomitarie, i puttanesimi, le falsità , le crudeltadi e le ribaldarie che si ponno imaginare, mettendo ogni peccato a conto suo.
PIPPA. Io mi trasecolo.
NANNA. Venuta la mattina, cominciarono a darle una baia di fischi, di strida, di petate e di crocchiate, con più strepito che non fanno i contadini vedendo la volpe o il lupo; ed ella, più di là che di qua, con le più dolci e piatose parole che si potessino udire gli pregava a lasciarla ormai stare. I suoi occhi infocati, le sue gote molli, i suoi capegli scompigliati, le sue labbra secche e le sue veste squarciate la facevano simigliare a una di quelle suore maladette dal babbo e da la mamma, date nei piei dei Todeschi ne lo andar a Roma: dove la mandarono pretorum pretarum.
PIPPA. Io le ho compassione.
NANNA. La finì anco peggio che non cominciò: solo perché la rimandarono a casa ne l'ora di Banchi e suso una cavalla da basto, simile a quelle bardellate le quali portano i trecconi al mercato del grano. E sappi che non si scopò mai ladra che avesse la vergogna che ebbe ella, e perdette il credito di sorte, che non fu più dessa: e morì di duolo e di stento. Si che considera che s'essi fanno di cotali scherzi a chi gli serve, quel che farieno a chi gli diserve.
PIPPA. Uomini, ah?
NANNA. Un signor capitano, bravo, famoso, grande e tristo (il dirò pure), venne a Roma per i fatti del soldo, e volse, sera e mattina, seco una cortigiana, non bella bella, ma così fatta che ci si poteva stare: ben vestita, assettatina in casa, tutta sugo e tutta saporita e se bene ella faceva perdita d'amici col non si partir mai né dì né notte da lui, non se ne curava, dicendo seco stessa: "Io guadagno più con questo che io non perdo con quelli". Or egli accade che il capitano dee partirsi il dì seguente a bonissima otta, onde la scempia si credeva che sua Signoria, che la teneva per mano, dicesse a un suo favorito, al quale parlava ne l'orecchia, "Dà lle cento scudi": ed egli ordinò che le fossero legati i drappi in capo, e con due stivali da verno, in mezzo a due torchi accesi, stivalata per Borgo Vecchio e Nuovo, per Ponte e fino a la Chiavica. E così fu grappata e con una cinta di taffettà legate in cima del suo capo l'estremità de la veste da piei, il suo sesso apparve tondo e bianco come la quintadecima: oh egli era sodo! oh egli era ben fatto! né grasso né magro, né grande né piccolo, e lo sostenevano due coscette sopraposte a due gambe afusolate, più galanti che non sono due colonnine di quello alabastro tenero il quale si lavora al torno in Firenze, e le propie vene che ha la pietra che io dico si scorgevano per le coscettine e per le gambettine. E mentre era drento i suoi panni gridava con la medesima boce che esce d uno rinchiuso in qualche cassa, sendo i torchi appicciati e gli stivali a l'ordine i famigli chiamati a lapidarla, stupefatti ne la bellezza del culiseo, vennero in capogirlo, e lasciatosi cader gli stivali di mano, rimasero incantati: onde fur desti da parecchi bastonate di zecca: di modo che gli ripresero, e avviatela fuor de la porta, si diedero a dargnele e tante e tante, che il rosso venne in mostra, e poi il livido, e poi il nero, e poi il sangue; e nel far tuff toff taff degli stivali, la gentaglia e la non gentaglia alzava di quei propi taleni che alzano i fanciulli quando il manigoldo fa il suo debito col frustare i ghiottoni. E così la malcapitata fu posta a casa sua, dove se ne stette un tempo, vituperata e disfatta per la baia datale da ognuno che lo intese.
PIPPA. O pugnali, che state voi a vedere? Perché perdete voi tempo, spade?
NANNA. Io non so dove si venga questo mal nome, che noi abbiamo, di fare e dire agli uomini; e rinasco a non sentire chi conti i portamenti loro inverso de le puttane: che tutte son puttane le donne che si intabaccano seco. Ma ponghinsi da un canto tutti gli uomini rovinati da le puttane, e da l'altro lato tutte le puttane sfracassate dagli uomini: e vedrassi chi ha più colpa o noi o loro. Io potria anoverarti le dicine, le dozzine e le trentine de le cortigiane finite ne le carrette, negli spedali, ne le cocine, ne la strada e sotto le banche, e altrettante tornate lavandaie, camere-locande, roffiane, accatta-pane e vendecandele, bontà de lo aver sempre puttanato col favor di colui e di costui; ma non sarà niuno che mi mostri a lo incontro persone che per puttane sien diventati osti, staffieri, stregghiatori di cavalli, ceretani, birri, spenditori e arlotti. Almeno una puttana sa mantenersi un pezzo quello che per le sue fatighe riceve dagli uomini; ma gli asini scialacquano in un di ciò che ci furano e quello che le pazze a bandiera gli gittano drieto.
PIPPA. Io mi pen...
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