[Pagina precedente]...ali metteva inanzi a chi voleva andar con lui?
PIPPA. Che?
NANNA. La piazza di Navona quando è folta di ronzini venderecci; e come i ronzini si stanno ivi con le code intrecciate, con le crina stricate, stregghiati ben bene, con le selle rassettate, con le staffe a la divisa, coi ferri rifatti e con le briglie racconce spettando di andar di passo, di trottare e di correre me' che possano: così le creature, imbrunitesi più che non sogliono, rafazzonate con l'altrui robbe, facevano i loro atti in letto e fuor del letto con colui col quale si pensavano rimanere. Ma che t'ho io a dire? Egli, carico dei più maligni roviglion franciosi che avesse mai gran maestro, pose il frugatoio ne le tane di tutte, e con lo spazzatoio carnefice spazzò tutti i forni; e dandogli un cappio che lo appicchi, doppo uno, due, tre e quattro dì, le sbrigò da sé con dire: "Questa è troppo galluta, questa altra è malcreata, costei è sfatata, colei sperticata de la persona": a chi putiva il fiato, e chi non aveva grazia. Onde a le lor balle rimasero segnali crudeli; dico che a tutte diede parte de le sue gomme, de le sue bolle e de le sue doglie in pagamento: ed era il male di così fatta condizione, che pelava le ciglia, il pitignone, sotto le braccia e il capo, meglio che l'acqua bollita non pela i capponi; e senza un dente al mondo lasciava la turba errante. Sì che pà rti che gli uomini sieno uomini o che?
PIPPA. Mi par che sieno il collo che se gli dinoccoli e ponendosi in una frombola se gli scagli a casa calda; che si possa far lucignoli de la pelle, e succhielli de le gambe, e scudisci de le braccia loro: parlo di chi fa cotal tristizie, e non di chi non le fa.
NANNA. Tu favelli bene; ma io t'ho pizzicato il gorgozzule con lo albume de l'uovo, nel contarti le gaglioffarie dei gaglioffi: spetta pure che io ti porga inanzi il tuorlo e che io attacchi agli uncinelli del tuo cervello i miei ditti, appuntando il saliscende de l'uscio de la mia memoria acciò che stia aperto, e racconti fino a una maglietta e a uno aghetto de la gonnella, la quale mi ho spogliata per mostrarti la verità ignuda nata.
PIPPA. Io spetto.
NANNA. Io vado ripescando con la fantasia la favella che io ho tralasciata nel mutar paese: e ho un dolor grande per essermi dimenticata quasi de le più sode parole che dice la nostra toscana; e la vecchia che favellò con il signor zugo, favorito del duca di Sterlicche, o del re che si chiami, mi ha fatto venir voglia di spurar la lingua sputando le parole a nostro modo; e non mi tener fastidiosa se io entro e rientro tante volte ne le cose de la favella: perché non si può più viverci, sì ci danno di becco le civettine a tutte l'ore. E benché io ti abbia detto del mio avermi più tosto dilettato di incassar denari che di bel dire, ti farei trasecolare da vero se io volessi parlarti inchinevolmente. So che in molti luoghi ho favellato di galanti parolette, massimamente nei lamenti de la signora abandonata dal barone; e parte ne so da me stessa, e parte ne ho imparate: non da chi non sa la differenzia che è tra "stoppa", "capecchio", e "succiola" e "balocio", e se il "vinco" è giunco e quel che si sia il "chiavistello" de l'uscio, l'"orliccio" dei pane, il "zaffo" del tino, un "pignuolo" di lino, un "paniere" di ciriege, uno "orcio" da olio, i "trecciuoli" dal capo, le "fedre" dei guanciali, i "sarchielli" degli orti, i "tralci" de le viti, i "grappoli" d'uva, e il non esser tutto uno il "rastrello" che si chiude come porta e quel che rastrella il grano battuto ne l'aia; e si stuperieno udendo mentovare "randello" e mille altre nostre usanze di parole vecchie e nuove: le quali hanno fra noi addottorati fino ai contadini, dai quali le bergoliere vanno graspugliando i dettati, credendosi andare a Cielo per cotali cianciumi.
PIPPA. Ritornate agli uomini, che mi par così udir darvi de la treccola pel mostaccio, facendosi rimore del vostro cercare i fichi ne le vette di quella ficaia dove saliste ieri o poco fa: poi riprendete il mio avere io de la bambina più che de la fanciulla.
NANNA. A lor posta: io me ne faccio beffe, e le ho dove si soffia a le noci; e il mio culo suona il dolcemele meglio che le lor mani. Ora ai nostri nimici, anzi di chi non sa pelargli, e da buone massaie riponendo fino ai sorgi avanzati a le teste dei panni che fanno tagliare. Dico che quelle buone donne e altre sorti di puttane le quali ne danno più tosto a fattori, a staffieri, a ragazzoni, a ortolani, a facchini e a cuochi che a gentiluomini, signori e monsignori, han del buono e fanno una opra di pietà : e son sante, non pur savie e ingegnose.
PIPPA. Perché dite voi così?
NANNA. Perché i fattori, gli staffieri, i ragazzoni, gli ortolani, i facchini e i cuochi almen ti sono schiavi, e andrebbono a porre il capo nel fuoco e fra il ceppo e la mannaia per compiacerti; e se gli tritassi a minuzzoli, non gli cavaresti il segreto di bocca, e poi non si crederia, quando ben si dicesse "Lo spenditor di messer tale gli soprescia la moglie". Oltra questo, simili gentarelle non sono svogliati, e pigliano il panno pel verso, e secondo che son recati si acconciano, né pigliano mai la lucerna in mano acciò che il suo lume gli faccia veder quanti borselli ha la tua fica strupicciandole gli orli, né ti fanno alzare il culo in alto, sculacciandolo con la palma e graffiandolo con l'unghia; né ti fanno spogliare ignuda nel bel mezzodì, voltandoti ora di drieto e ora dinanzi; né si curano, mentre ti sforicchiano il cioncio, di alcuno azzichetto, né che tu dica parole disoneste per crescergliene la volontà , né ti stanno quattro ore in sul corpo, né ti scommettano l'ossa col disnodarti tutta, ne le forge di alcuni "alza le gambe in suso e incavicchiale insieme", le quali essi trovano, hanno trovato e trovaranno per iscialacquarci le persone: ed è un zuccaro quei pascipecora e quelle altre poltronerie che ti dissi ieri, pare a me.
PIPPA. Madonna sì, ieri me lo diceste.
NANNA. I porconacci ce lo mettano in bocca,...
PIPPA. Io recerò.
NANNA. ...ce la poppano,...
PIPPA. Reciarò, dico.
NANNA. ...e poi se ne empiano la bocca bandendolo come fosse una bella cosa.
PIPPA. Che sieno impiccati.
NANNA. E non si accorgano del vituperio loro: perché eglino ci hanno fatte puttane e insegnatici le sporcarie; e cotali vertù son venute dai ghiribizzi di questo e quel puttaniere; e ne mente e stramente chi vuol dire che il primo che trovò lo adoperarci per maschi, assaggiandoci col piuolo, nol fece sforzatamente: ed è chiaro che i denari maladetti incantarono colei che fu la prima a voltarsi in là ; e io che ne ho fatto la mia parte, e son suta de le più scelerate, non mi ci recava se non per non poter più resistere al predicare di colui che mi infradiciava tanto, che io gliene ficcava in grembo con dire: "Che sarà poi?".
PIPPA. Propio, che sarà poi?
NANNA. E che risa gli escano di gola nel vedercelo entrare e nel vedercelo uscire; e dando alcune spinte a schincio e certe punte false, par che tramortischino per la dolcezza del farci male. Talotta tolgano uno specchio grande grande, e ispogliatici ignude, fanno starci nei più sconci modi che si sappino fantasticare: e vagheggiandoci i visi, i petti, le pocce, le spalle, i corpi, le fregne e le natiche, non potrei dirti come se ne sfamano il piacere che ne hanno. E quante volte stimi tu che faccino stare i lor mariti, i lor giovani ai fessi perché vegghino ciò?
PIPPA. Sì, eh?
NANNA. Così non fosse. E quante volte pensi tu che a l'usanza pretesca faccino ai tre contenti? O abisso, apriti mai più, spalancati se vuoi! E ne ho conosciuti alcuni che hanno a tutti i partiti del mondo lusingate tanto le amiche, che le han cacciate ne le carrette in presenzia del carattiere e ne la via dove passa ognuno: godendosi, mentre i cavalli son messi in fuga da le fruste, di quel saltellare de la carretta, onde ricevevano spinte non più provate.
PIPPA. Che voglie.
NANNA. Alcuno altro pattovisce con la sua signora, sendo là presso a l'agosto, i dì piovaiuoli; e venuti che sono, bisogna che ella si colchi seco, e seco stia nel letto finché le burlate del piover durano: e pensa tu che fastidio sia quel d'un sano fatto stare fra i lenzuoli un dì e due, mangiando e beendo ne la forgia degli amalati.
PIPPA. Non ci potria mai durare.
NANNA. Che crepaggine è quella de una femina occupata nel piacere che si piglia alcuno di farsi grattare e palluzzare i granelli; e che passione è lo aver a tener sempre desto il rosignuolo, e tuttavia le mani su le sponde del cesso! Dicami un poco, un di questi perseguita-puttane, che denari potria pagare una così lorda e puzzolente pacienzia. Io non dico questo, figliuola mia, perché tu te ne faccia schifa; anzi voglio che sappi farlo meglio d'ogni altra: ma gli ho tocchi, i tasti, per mostrare che noi non furiamo gli avanzi che si fanno de la merce che si mercata per mezzo de l'onestade sbarattata da le nostre miserie. Io do l'anima a Satanasso quando siamo battezzate per mancatrici di fede: e con effetto la rompiamo spesso; e che è perciò? non siamo noi donne, se ben puttaniamo? ed essendo femine e puttane, è sì gran cosa il fregarla a la fede che si dà per via di due mani insensate? Il fatto sta nel fracasso che ne fate voi altri uomini da sarti, e non in quello che ne faciamo noi donne da scacchi, che per nonnulla la diamo e ridiamo e per nonnulla la togliamo e ritogliamo: e ciò nasce perché i nostri cervelli non seppero mai qual vivanda gli andasse più a gusto. Alcuno dice che le vivande del gusto nostro si condiscano con l'oro e con l'ariento: noi siam rifatte, se gli uomini vogliono farci più avari di loro; tu puoi contar col naso le donne che per aver denari tradischino le rocche, le città , i padroni, i signori e dominusteco; ma si anoverano ben con le dita, anzi con la penna, quelli che l'accoccano, hanno accoccato e accoccarebbono ai Padri santi, del mondo pastori.
PIPPA. Voi sète in vena, e perciò cappate le più belle del sacco.
NANNA. Lascia pur fare a
fece, e dire a chi disse, e, tacendo fatti beffe di chi la squacquara rimoreggiando: "La poltroncionaccia puttanissima mi ha pur mancato de la sua traditora promessa"; e se pur vuoi rispondere, dirai ad alta voce: "Ella ha imparato da voi mancatori".
PIPPA. Gliene appiccarò con grazia.
NANNA. Che bel fargli rosso il sedere con una sferza di sovatto, quando ci tassano del non contentarci di .XXV. innamorati e ci dicano lupacce e cagnacce: non altrimenti che i luponacci e cagnonacci se ne stessero con una sola. Lasciando il fiutarne quante ne veggano, né gli bastando tutte, con ogni industria si cacciano a sbramar la lussuria fin coi guattari de le più sudice taverne di Roma; e se non fosse che si direbbe che noi vogliam male ai sodomiti perché ci tolgano i tre terzi del guadagno, te ne direi cose, dei gaglioffacci, te ne direi cose che te ne farei chiuder le orecchie per non udirle.
PIPPA. Vadinsi a sotterrare i tristi.
NANNA. A le rovinate da le imbriacature degli uomini scoscienziati.
PIPPA. A loro.
NANNA. Accadde che una non-ci-fosse-mai-nata, doppo il sofferimento de le rabbie, de le villanie, degli spregiamenti, de le bestemmie e de le busse con le quali due anni di lungo la combatté il suo bertoncione, tolse suso: e sgombrando da lui solamente se stessa, lasciandogli ogni mobiliuzza e datale da lui e fatta da lei, e ne l'andarsene fatto boto di non tornarci prima che ella diventasse cenere; e così si stava, e con ostinazion di femina ostinata si avventava con l'unghie al viso di qualunche le parlava di rimpiastrarsi con seco: onde egli ci messe amici, amiche, ruffiane, ruffiani e fino al suo confessore, né mai la poté convertire. È ben vero che le sue robbe non se gli rimandà r mai, perché pare a uno che ha perduta la sua donna averla a ritrovare per il mezzo de le cose rimase ne le sue mani: or sì pure. Il ribaldo pensando continuamente al modo di riaver costei, passati alquante stomane, il trovò e trovatolo parendogli già vendicarsi con il suo non aver voluto ancora ritornargli in casa, si infocò tutto ne l'ira: e che fece? Finse un...
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