DIALOGO, di Pietro Aretino - pagina 13
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Ma perché io faccio conto che il mio ragionare sia un convito di più ragion vivande, non essendo mai suta scalca non so che darmiti nel principio; e benché gli antipasti sien fatti per aguzzar l'appettito, a me giova mangiando di cominciar dal migliore: e perciò venga via una traditoraggine de le più sforgiate che io abbia; che anco il bel visetto d'una donna è il primo a comparire dinanzi agli occhi altrui; e chi saria quello che si curasse di lei, avendo visto prima il suo esser cattiva spesa sotto panni, che il volto? anzi il veder prima il bel viso, fa spacciare il resto per buona robba.
PIPPA.
Son pur nuove di zecca le similitudine vostre; or dite.
NANNA.
Un barone romanesco, non romano, uscito per un buco del sacco di Roma come escano i topi, essendo in non so che nave, fu gittato con molti suoi compagni da la bestialità dei venti pazzi al lito di una gran cittade de la quale era padrona una signora che non si può dire il nome: e andando ella a spasso, vidde il povero uomo sceso in terra molle, rotto, smorto, rabuffato, e più simile a la paura che non è a la furfantaria le corte d'oggidì; e peggio era che i villani, credendolo qualche grande spagnuolo, gli stavano intorno per far di lui e dei compagni quel che in un bosco fanno i malandrini di chi senza armi ha smarrito la strada.
Ma la signora, cacciategli a le forche con uno alzar di testa, se gli fece incontra: e con aspetto grazioso e con atto benigno, lo confortò; e adagiatolo nel suo palagio fece ristorar la nave e i navicanti più che signorilmente, e visitato il barone, il quale s'era tutto riavuto, stette a udire il proemio, la diceria, il sermone e la predica che le fece, dicendo che egli si scorderia de la sua gentilezza quando i fiumi correranno a lo insù (uomini traditori, uomini bugiardi, uomini falsi), e mentre frappava romanescamente, la meschina, la poveretta, la sempliciotta se lo beeva con gli sguardi: e rimirandogli il petto e le spalle, stupiva, fornendosi di traboccar di maraviglia nel contemplare l'alterezza de la sua faccia; i suoi occhi pieni di onore la facevano sospirare, e i capegli di niello anellato, perdersi a fatto a fatto.
Né si potendo tòrre dal vagheggiar la sua gentil persona, né da la grazia datagli da quella porca de la natura, stava tutta astratta ne la divinità de la sua cera: che maladetta sia la cera e il mèle.
PIPPA.
A che proposito maladirla?
NANNA.
Elle tradiscano bene spesso, elle ingannano il più de le volte: e me ne è testimonio la presenzia del barone, la quale fece diventar corriva la signora che io dico.
Ella, in meno che non si muta di fantasia una donna, fece apparecchiar le tavole, e sendo in punto la realissima cena, si pose a sedere, con il messere allato e gli altri suoi e de la terra di mano in mano, secondo l'ordine di Melchisedeche.
Intanto la magnificenzia dei piatti d'ariento carichi di vivande son portati inanzi agli affamati da la moltitudine dei servidori: e finito di saziar l'appetito, il barone presentò la signora.
PIPPA.
Che le diede egli?
NANNA.
Una mitrea di broccatello che sua Santità portava in capo il dì de la Cenere; un paio di scarpe con lavori di nastro d'oro, le quali teneva in piedi quando Gian Matteo gliene basciuccava; il pastorale di papa Stoppa, volsi dir Lino; la palla de la guglia, una chiave strappata di mano al sanpietro guardiano de le sue scale, una tovaglia del tinello secreto di Palazzo e non so quante reliquie di santa santorum, le quali la sua proposopea, secondo lo sbaiaffar suo, aveva scampate di mano dei nimici.
In questo comparse un valente ribichista: e accordato lo stormento, cantò di stranie chiacchiere.
PIPPA.
Che cantò, se Iddio vi guardi?
NANNA.
De la nimicizia che ha il caldo col freddo e il freddo col caldo; cantò perché la state ha i dì lunghi e il verno corti; cantò il parentado che ha la saetta col tuono e il tuono col baleno il baleno col nuvolo e il nuvolo col sereno; e cantò dove sta la pioggia quando è il buon tempo e il buon tempo quando è la pioggia; cantò de la gragnuola, de la brina, de la neve, de la nebbia; cantò, secondo me, de la camera locanda che tiene il riso quando si piagne, e di quella ch tiene il pianto quando si ride; e in ultimo cantò che fuoco è quello che arde il culo de la lucciola, e se la cicala stride col corpo o con la bocca.
PIPPA.
Bei secreti.
NANNA.
Già la Signoria de la signora, che udì il cantare come odano il chirieleisonne i morti, si era imbriacata de la ciarlia e de la galantaria del suo oste; e parendole tanto vivere quanto egli ciurmava, cominciò a entrare nei papi e nei cardinali; doppo questo venne a supplicarlo che gli piacesse contare in che modo l'astuzia pretesca si lasciò incappare ne le unghie di male branche.
Allora il barone, volendo ubidire ai comandamenti de la sua supplica, traendo uno di quei sospiri che malandrinamente escano del fegato d'una puttana che vede una borsa piena, disse: "Da che la tua Altezza, signora, vuole che io rammenti quello che mi fa portare odio a la mia memoria che se ne ricorda, io ti narrarò come la imperadrice del mondo diventò serva di gli Spagnuoli, e dirotti anco quel che io viddi di miseria: ma qual marrano, qual todesco, qual giudeo sarà sì crudele che racconti cotal cosa ad altrui senza scoppiar di pianto?"; poi soggiunse: "Signora, egli è ora di dormire, e già le stelle spariscano via; pure, se la tua volontà è di sapere i nostri casi, se bene mi rinovano i dolori a dirgli, cominciarò".
Così dicendo entrò ne la gente che, per avanzar dieci ducati, fu cassa, poi venne a la novella che udì Roma dei lanzi e dei giuradii i quali ne venivano a bandiere spiegate per farla coda mundi.
Onde diceva l'uno a l'altro: "Toglie garabattulo tuo e ambula": e certo ognuno la dava per le magesi se quel bando traditore de lo "a pena de le forche" non andava.
Egli contò come doppo il bando la gente avilita si diede ad appiattar i denari, gli arienti, le gioie, le collane, i vestimenti e tutte le cose di valuta; contò come i capannelli e i cerchi degli uomini sparsi e raccolti in qua e in là dicevano di chi era cagione de la lor paura quello che gli pareva.
Intanto i rioni e i caporioni, e la peste che gli giunga, andavano zanzeando co le fila dei fanti: e certo se la valenteria fosse stata nei bei giubboni ne le belle calze e ne le spade indorate, gli Spagnardi e i Toiescardi erano i malvenuti.
Contò il barone come un romito gridava per le strade: "Fate penitenzia, preti; fatela, ladri; e chiedete misericordia a Iddio: perché l'ora del vostro gastigo è presso, ella è giunta, ella suona"; ma la lor superbia non aveva orecchie: e perciò gli scribi e i farisei apparsero a la croce di Montemari (diceva egli), e dando il sole ne l'armi loro, il lume bestiale che ne usciva faceva tremare i merloni, corsi su per le mura, con altro spavento che non fa il balenar dei tuoni, talché questo e quello non pensava più al modo di rompere chi gli veniva contro, ma adocchiava le tane per nascondersi.
In questo il romore si lieva al monte di Santo Spirito, e i nostri belli-in-piazza nel primo assalto fecero come un che s'imbatte a fare una cosa che mai più la fa sì buona: dico che ammazzàr Borbone; e guadagnati non so quante banderiuole, le portarono a Palazzo con un "viva, viva" che assordava il cielo e la terra; e mentre gliene pareva aver vinta, ecco rotte le sbarre del monte: e fatto pasticcio di molti che non avevano né colpa né peccato ne le battaglie, scorsero in Borgo.
Onde alcuni dei nimici passarono il ponte e, andato fino in Banchi, ritornarono indrieto; e dicesi che la buona memoria di Castello, nel quale era scampato l'amico, non gli sbombardò per due conti: uno per miseria di non gittar via le pallottole e la polvere; l'altra per non fargli adirare più che si fossero; attendendo a mandar giù corde, tirando in sacrato i gran baccalari i quali avevano la stipa al culo.
Ma ecco venir la notte; ecco le botti guardiane di ponte Sisto che si sbarrattano, ecco lo essercito che di Trastevere si sparpaglia per Roma: già i gridi si odano, le porte vanno per terra, ognun fugge, ognun si asconde, ognun piagne.
Intanto il sangue bagna lo spazzo, la gente si ammazza, i tormentati raitano, i prigioni pregano, le donne si scapegliano, i vecchi tremano: e volta la città coi piedi in suso, beato è quello che muor tosto o, indugiando, trova chi lo spaccia.
Ma chi potria dire il mal di così fatta notte? I frati, i monaci, i cappellani e l'altre ciurmaglie, armati e disarmati, si appiattavano ne le sepolture più morti che vivi: né ci rimase grotta, né buca, né pozzo, né campanile, né cantina, né lato alcuno secreto che non fosse subito pieno di ogni sorte di persone.
Erano tambussati gli spettabili viri e, con i panni stracciati indosso, dileggiati e sputacciati.
Né chiese, né spedali, né case, né altro si riguardava; e fino nei luoghi dove non entrano uomini, entrarono coloro: e per dispregio cacciarono le lor femine dove si scomunica ogni femina che vi va.
Ma la compassione era a vedere il fuoco ne le logge d'oro e nei palagi dipinti; il cordoglio era a udire i mariti che, fatti rossi dal sangue che gli usciva da le ferite, chiamavano le mogli perdute con una voce da far piangere quel sasso di marmo del Coliseo il quale si atiene senza calcina.
Il barone contava a la signora ciò che io ti conto; e volendo entrare nel lamento che faceva il papa in Castello, maladicendo non so chi che gli aveva rotto la fede lasciò scapparsi tante lagrime dagli occhi che l'ebbero ad affogare: e non potendo più isputar parole rimase come muto.
PIPPA.
Come può essere che egli piangesse il mal del papa, essendo nimico dei preti?
NANNA.
Perché noi siamo pur cristiani, ed eglino son pur sacerdoti: e l'anima dee pur pensare al fatto suo.
E perciò il barone venne quasi in angoscia: talché la signora si levò suso, e pigliatelo per mano, con istringergliene due voltarelle, lo accompagnò fino a la camera; e lasciatolo con la buona notte, se ne andò a riposare.
PIPPA.
Voi avete fatto bene a stroncarla, perché io non poteva più udirvi senza doglia.
NANNA.
Io te ne ho racconto uno straccio a calzoppo, e dettane una parolina in qua e l'altra in là: che, a dirti il vero, io ho dato la memoria a rimpedulare; e poi non se ne verria mai a capo tante crudeltà furono nel sacco.
E se io ti volesse dire le rubarie, gli assassinamenti e gli sforzamenti di quelli ne le case dei quali si credette salvar chi vi fuggì, portarei pericolo di nimicarmi con alcune persone che si credano che non si sappia come assassinarono gli amici.
PIPPA.
Lasciate andar le verità e datevi a le bugie: e metteracci più conto.
NANNA.
Io lo farò un dì a ogni modo.
PIPPA.
Fatelo, e nol dite.
NANNA.
Tu 'l vedrai.
Ora a noi: la signora, presa a la pania di che amore imbrattò la presenzia e la maniera del barone, era tutta di fuoco; e il suo core le brillava in seno non altrimenti che fosse di ariento vivo; e pensando al grandissimo onore de la generazion sua e a le prove che ella stimava che egli avesse fatto in cotal notte, giostrava per il letto come persona che ha uno aghiadato e cocente martello; e standole fitto nel pensiero la faccia e le parole del cicalone, faceva poco guasto del sonno.
Già il dì seguente con i colori di messer Sole aveva dato il belletto a le gote di monna Aurora: onde ella se ne andò a la sorella, e doppo il contarle uno sogno a strapiè, le disse: "Che ti pare del peregrino giunto a noi? Vedestù mai il più bello aspetto del suo? Che miracoli devé fare con l'arme in mano mentre si combatteva Roma! Non pò essere che non sia nato di gran seme: certamente se io, da poi che la morte mi furò il primo consorte, non avessi fatto boto di vedovanza, forse forse che io mi sarei volta a questa colpa e a costui solo, e certo sorella, io non mi ti nascondo, anzi ti giuro per la nuova affezione che io porto a la nobiltà del forestiero, che poi che egli morì, il mio core è stato scarsissimo d'amare, e ciò mi avviene per conoscere i segni de la fiamma antica, la quale mi consumò tutta in un tratto e non poco a poco.
Ma prima che io faccia disonestade alcuna, aprisi la terra e inghiottiscami viva viva o saetta dal cielo mi subissi nel profondo; io non son per istracciar le leggi de l'onore: colui che ebbe l'amor mio se lo portò seco ne l'altro mondo, e là ne goderà in seculorum secula" e qui fornendo il favellare, si diede a piangere che parea battuta.
PIPPA.
Poveretta.
NANNA.
La sorella che non era ipocrita e pigliava le cose pel dritto, facendosi beffe del suo boto e del suo pianto, le rispose con dire: "È possibile che tu non voglia imparare quanto sieno dolci i figliuoletti e quanto sieno melati i doni di madonna Venere? Che pazzia è la tua, se ti credi che l'anima dei morti non abbino altri pensieri che de le mogli che si rimaritino o no: ma voglio che tu abbia questa vittoria di non ti esser piegata a tòrre uno di cotanti prencipi i quali ti hanno voluta.
Vuoi tu contrastare con quella fraschetta di Cupido? matta nol fare perché ne andarai col capo rotto; oltra di questo, tu hai tutti i vicini per nimici: sì che sappi conoscere la ventura che ti ha messo il crine in mano; e caso che il nostro sangue si mescoli con il romano, qual cittade aggiugnerà a la nostra? Ora faciam fare orazione a tutti i monasteri acciò che il Cielo ci conduca a bene; in questo mezzo noi averemo agio di ritardarlo qui: e forse lo averà di grazia per essere sfracassato e deserto, e anco per l'asprezza del freddo che esce del cor del verno".
Tu vai cercando, Pippa: ella le seppe sì ben cantare il vespro, che ella diede la stretta ai boti e a la onestà; e gittatasi l'onor drieto le spalle, se sta, se va, vede e ode il barone.
Vien la notte e quando fino ai grilli dormano, ella vegghia: e scagliandosi da questo a quel lato, favellando di lui seco stessa, arde con uno affanno solamente inteso da chi si corca e leva secondo che il martel che lavora vuol che altri si corchi e levi.
E per chiarirtela, ella che aveva l'animo in compromesso, fece con l'amico le maladette fini: ella le fece, figlia.
PIPPA.
Saviamente.
NANNA.
Anzi pazzamente.
PIPPA.
Perché?
NANNA.
Perché dice il canto figurato che
Chi s'alleva il serpe in seno
le intervien come al villano:
come l'ebbe caldo e sano
lo pagò poi di veleno.
Ti dirò ben poi del traditore.
Tosto che la signora ebbe messe le corna a la buona memoria de lo andato a porta inferi un tempo prima, la fama cicala, la fama scioperata la fama malalingua l'andò bandendo per tutto: talché i signori che la avevano chiesta in matrimonio, ne diedero l'anima a Satanasso con le maggior braverie del mondo, e dissero del Cielo e de la fortuna mille mali.
Intanto il gaino, il qual si vede sfamato rivestito e rifatto a suo modo, chiama i compagni e gli dice "Fratelli, Roma mi è apparsa in visione, e mi comanda da parte d'ogni santi che io mi parta di qui; perché io sono deputato a rifarne una altra molto più bella: perciò mettetevi a ordine queti queti; e mentre farete ciò che io vi dico, trovarò qualche destra via da licenziarmi da la signora".
Ma chi po' gittar la cenere negli occhi degli innamorati, i quali veggano quello che non si vede e odano quello che non si sente? Prima ella vidde le cose sottosopra, onde si accorse che la buona limosina voleva fare con la sua nave il leva eius: e posta in furor per ciò senza lume e senza animo correva per la terra come insensata e giunta inanzi al barone col viso smorto con gli occhi molli e con le labbra asciutte, snodò la lingua ingroppata nei lacci de la passione lasciandosi cader di bocca cotali voci : "Credesti disleale, trafugarti di qui senza mia saputa, ah? E ti basta la vista che l'amor nostro, la fede promessa e la morte a la qual son disposta non possa ritenerti del partir deliberato? Ma tu sei pur crudele ancor inver te stesso, da che vuoi navicare or che il verno è ne la maggior furia de l'anno, dispietato che non solamente doveresti cercare i paesi strani, ma non ritornare a Roma per tali tempi, se bene ella fosse più in fiore che mai: tu fuggi me, crudo; me fuggi, empio.
Deh! per queste lagrime che mi si movano dagli occhi, e per questa destra che dee por fine al mio martire, e per le nozze cominciate da te e se per le dolcezze in me gustate merito nulla abbi pietà del mio stato e de la mia casa che, tu partendo, cade, e se i preghi che piegano fino a Iddio hanno luogo nel tuo petto, spogliati questa volontà di partire: già per essermiti data in preda son venuta in odio non solo ai duchi, ai marchesi e ai signori dei quali refutai il matrimonio, ma mi hanno a noia i propi miei cittadini e vasalli; e mi par tuttavia esser prigiona di questo o di quello.
Ma ogni cosa si potria sopportare se io avessi un figliuol di te; il qual giocando mostrassi ad altrui le tue fattezze e la tua faccia propia".
Così ella gli disse singhiozzando e piangendo.
Il simulatore, il maestro de le astuzie, ostinato ne l'albagia del sogno fatto, non batte punto gli occhi, né si volge al pregare né al piangere suo: simigliando un avarone miserone al tempo de la carestia, il qual vede morire i poveri per le strade e non vuol dare un boccone a la fame che gli manuca.
A la fine, con poche parole disse che non negava gli oblighi che aveva seco, e che sempre era per tenergli ne la mente, e che non pensò mai di partirsi senza dirgnele; negando con volto invetriato di averle promesso di torla per moglie, dando la colpa del suo andarsene a celi celorum: e le giurò che l'angelo gli era apparito e comandatogli gran faccende.
Ma predicava ai porri, perché ella già lo guardava con occhio contrario; e la rabbia, che fuor del cor di fuoco gli moveva il giusto sdegno e il duolo le usciva per gli occhi e per la bocca.
Per la qual cosa se gli voltò e dissegli: "Tu non fosti giamai romano, e menti per la gola di essere di cotal sangue: Testaccio, uomo senza fede, ti ha creato di quei cocci di che si ha fatto il monte, e le cagne di quel luogo te han dato il latte: perciò non hai fatto niuno atto compassionevole mentre ho pregato e pianto.
Ma dinanzi a chi contarò io i miei casi, poiché lassuso non par che ci sia niuno che risguardi i torti con dritta ragione? Certamente oggi non è più fede alcuna, e che sia il vero, io ricolgo costui sconquassato dal mare, io gli faccio parte d'ogni mia cosa, io me gli do e dono: e non basta a far sì che egli non mi abandoni tradita e vituperata, e per più strazio mi vuol far credere che il messo gli sia venuto dal Cielo riferendogli i secreti di Domenedio, il quale non ha a far altro che pigliare i tuoi impacci.
Ma io non ti tengo: và pur via e seguita le pedate dei sogni e de le visioni che certo certo tu rifarai il popolo d'Israelle, ma ho speranza se vai, che ne patirai le pene tra gli scogli, onde chiamarai il mio nome, augurando la gentilezza e la bontà mia più di sette volte, e io ti seguirò come nimica, e con fuoco e con ferro farò le mie vendette, e quando sarò morta ti perseguitarò con l'ombra, con l'anima e con lo spirito...", non poté dire, perché la passione le serrò la via de le parole, talché lasciò il parlare nel mezzo e come inferma, perduta la vista, non potendo tenersi in piei, si fece letto de le braccia de le sue donzelle: le quali la portarono a giacere, lasciando il barone non senza la faccia vituperata dal rossore de la vergogna del tradimento che faceva a la meschina..., tu piangi, Pippa?
PIPPA.
Che sia ucciso il poltrone!
NANNA.
E squartato possa essere, poiché egli doppo il lamento de la signora si dispose a la partita.
E menando le sue genti la nave a riva, parevano formiche le quali si forniscano di semi pel verno: alcun di loro portava acqua dolce, altri rami con le frondi, altri i guai che lo piglino.
PIPPA.
Che faceva la sventurata in quel mentre?
NANNA.
Gemeva, sospirava, si pelava tutta quanta; e ne l'udire i gridi dei marinai sfamati e il rimescolamento de la ciurma e de l'altra brigata, spasimava, scoppiava e moriva: ahi amor crudele, perché ci crocifiggi tu sì aspramente e per tante vie? Ma ecco la signora che, avendo anco un poco di speranza, parla con la sorella dicendole: "Sorella, non vedi tu che gli se ne va via, e già la nave si acconcia per moversi? Ma perché, o cieli ingrati, s'io potei sperare cotanto affanno, nol posso io patire? Pur, sorella, tu sola mi aiutarai, poiché quel traditore ti fece sempre segretaria dei suoi pensieri e sempre fidossi di te: onde và e parlagli, e parlandogli cerca di umiliarlo, con dirgli per mia parte che io non fui compagna di coloro che col nome di accordo posero in rovina la sua patria; e che io non trassi de la sepoltura l'ossa di suo padre: e se così è, piacciagli di ascoltarme quattro parole prima che io moia; diragli che faccia a me che l'adoro sventuratamente questa sola grazia, che non se ne vada ora, ma quando il camino sarà più navicareccio.
Io non gli voglio esser moglie, poiché mi disprezza, né meno che resti qui, ma un poco d'indugio che sia spazio al duolo: e ciò desidero per imparare a sopportarlo".
E qui si tacque lagrimando.
PIPPA.
Il cor me si spara.
NANNA.
La misera sorella sua, Pippa mia, riporta le parole, il pianto e la disperazione in su e in giù; ma il crudo non si rinteneriva punto, anzi pareva un muro percosso da le palle a vento: a la fine la signora, risoluta de la sua partita, provò di fargli uno incanto, ancora che ella se ne avesse sempre fatto coscienza.
PIPPA.
Giovolle?
NANNA.
Appunto! Ella chiamò streghe, fantasime, demoni, versiere, fate, spiriti, sibille, lune, sole, stelle, arpie, cieli, terre, mari, inferni e altri diavolamenti; sparse acque nere, polvere di defunti, erbe secche a l'ombra; disse parole intrigate, fece segni, caratteri, visi strani, bisbigliò con seco medesima: e non fu mai santo che mostrasse di aver cura degli amanti falsi.
Era mezzanotte quando incantava a credenza: e i gufi, gli alocchi e le nottole dormivano sonnacchiando; solo ella non poteva carpire il sonno con gli occhi, anzi amore tuttavia la tormenta più.
E doppo lo esser stata un pezzo muta, comincia a favellare dicendo a se stessa: "Or che faccio io trista? Richiederò io per marito qualunche si sia di quelli che io ho disprezzati? Seguirò io le voglie romane? Sì, perché mi sarà utile per averle sovvenute, e per esser cotal gente riconoscitrice dei benefici.
Ma chi mi accettarà, se ben volessi andare ne la nave superba? E poi non conosco io gli spergiuri di quei Romani, i quali si farien beffe di me, andando a loro? Oltra questo, debbo io comportare che essi faccino vela e al presente entrino in mare? Deh! mori mori, misera, e col ferro scaccia il tuo dolore.
Ma tu, sorella, mi spingesti contra al mio male: tu mi proferisti al mio nimico tu mi facesti tradire la cenera del mio marito e il boto de la mia castitade, disleale e rea femina che io sono".
PIPPA.
Che bel lamento.
NANNA.
Se ti commovi udendolo raccontar da me, che non ne dico straccio che bene stia e lo scompiglio ne lo raccontarlo pietosamente, che aresti tu fatto udendolo da la sua bocca?
PIPPA.
Io mi sarei dileguata dirieto al dolore suo
NANNA.
Così sarebbe stato.
Ora il barone diede i remi a l'acque: e scarpinando via, si voltava spesso indrieto, parendogli aver tuttavia il suo popolo a le spalle.
E spuntando fuora l'alba, la sconsolata, a la quale parse che quella notte fosse rinterzata come le messe di Natale, si fece a la finestra, e vedendo la nave lontana dal suo porto, battendosi il petto, graffiandosi il volto e squarsciandosi i capegli, piglia a dire: "O Iddio, andrassene costui a mio dispetto, e un forestiero spregerà la mia signoria, e le mie forze non hanno a poter nulla seco e nol seguiranno per tutto il mondo? Su, portate arme e fuoco! Ma che dico io? e dove sono? e chi mi toglie la mente dal suo luogo? Ahi, infelice, la tua fortuna crudele è poco lungi: io doveva far ciò quando io poteva, e non ora che non posso.
Ecco la fede di costui che ha salvate le reliquie romane, ecco il pietoso de la patria: eccolo là, che mi viene incontra con le spalle, e con quelle mi paga la benivolenza mia e la mia cortesia.
Ma perché, tosto che io seppi la sua fellonia, non lo avelenai? o vero, facendolo minuzzare, non mi mangiar la sua carne tremolante e calda? forse che il farlo era dubbioso o con pericolo: e quando pur ci fosse suto, poteva io venire a peggio di quel che son venuta? e avendo a morire, era pur meglio affogargli prima o ardergli insieme con la lor nave".
Ciò detto maladisse il seme, il sito, i passati i presenti e gli avvenire di Roma: e pregò il Cielo e lo abisso che facesse nascere, de l'ossa dei suoi, uomini di vendetta e di nimicizia, e poi che ebbe detto quello che le uscì di bocca mandata una sua balia a far non so che servigio, dispose di ammazzarsi.
PIPPA.
Come ammazzarsi?
NANNA.
Ammazzarsi.
PIPPA.
In che modo?
NANNA.
Ella, tutta smarrita nel viso, con le gote macchiate del livido de la morte, con gli occhi spruzzati di sangue, se ne entra in camara; e messa in furore da le lusinghe de la disperazione, sfoderò non so che spada donatale dal caino, e volendosi senza dire altro trapassar con essa il petto, le venne inanzi agli occhi tutti rannuvolati alcune veste romane e il letto nel qual giacque col giuda: onde si ritenne alquanto.
E ritenendosi per l'ultime parole, fece quasi queste propie, le quali, da che un pedagogo me le insegnò, ho sempre tenute nel cervello come il pane nostrum quotidiano: "Spoglie che fosti dolci quando Iddio e la sorte volsero che voi fosse, pigliate, io ve ne prego, questa anima disciolta dal suo fuoco.
Io che ho visso il tempo il qual debbo, me ne vado sotterra con la imagine; io ho fatta cittade di assai gran nome; ho visto i miei edifici, e hommi vendicata contra il fratel del marito che ebbi: onde sarei stata oltra le felici felice, se la nave romana non fosse capitata a le mie rive".
Ciò detto scompiglia il letto col capo, e tutta rabbiosa lo calca in giuso; e battendo i denti dice stridendo: "Noi non perdaremo perciò la vita senza vendetta; perché tu, ferro, passandomi il petto, ucciderai quel romano crudo che mi sta vivo nel core: sì che moriamo così, poiché così convien morire".
Appena fornita la dirieta parola, che le altre sue compagne viddero fitta in lei la spada micidialissima.
PIPPA.
Che disse il barone quando lo seppe?
NANNA.
Che era stata una mattacciuola.
Ora ella andò a dare una voltarella ne l'altro modo ne la forgia che hai udito: e ciò le avvenne per i gran piaceri fatti ad altrui.
Uomini, ah? uomini, eh? Per Dio che sono un zuccaro gli assassinamenti che facciamo a loro, considerando quelli che fanno a noi.
E perché mi si creda, veniamo a la berta che a una tirata puttana fece so ben chi scolare e so ben chi cortigiano.
PIPPA.
Voi non mi avete insegnato come io ho a vivere con gli scolari e con i cortigiani.
NANNA.
Queste due ribaldarie te lo insegnaranno per me: e fà che da un solo scolare e da un solo cortigiano tu impari tutte le cose.
PIPPA.
Benissimo, ma fermatevi ancora, fermatevi.
NANNA.
A che effetto?
PIPPA.
Io feci istanotte due sogni, e hovvene conto uno.
NANNA.
Io non viddi mai fanciulla, che avesse più de la bambina di te: e perciò esci del manico per dir la tua.
PIPPA.
Udite quel che io sognai doppo la camera parata.
NANNA.
Dillo, che sarà mai?
PIPPA.
Mi pareva che tutta Roma gridasse a la strangolata: "Pippa, o Pippa, tua madre ladroncella ha furato il Quarto di Vergilio, e vassene facendo bella".
NANNA.
Ah! ah! ah! Un gocciol gocciolo più ti faceva trasandare più oltre.
Che domin so io chi cotestui si sia? Ma senza intendere altro, egli debbe essere un badalone, lasciandosi tòrre il quarto di se stesso: e pò securamente gittar il resto ai cani, se così è.
PIPPA.
A lo scolare e al cortigiano.
NANNA.
Uno scolare afinato ne le capestrarie più che nei libri, astuto, sagace, vivo, soiatore e cattivo superlativo grado, se ne va a Vinegia, e statoci sopiattoni tanti dì che gli bastarono a informarsi de le più ladre e più ricche puttane che vi sieno, chiama in secreto un coglione che lo alloggiava in casa, al quale aveva dato ad intendere come egli era nipote di un cardinale, e venuto ivi in mascara per darsi piacere un mese e per comprar gioie e drappi a suo modo; e chiamatolo gli dice: "Fratello, io desidero di dormir con la tal signora: và a lei e dille chi io sono; ma con giuramento che ella non mi scopra: e ciò facendo vedrà la bellezza del mio animo".
Il nunzio trotta via; e giunto a la sua porta, con un ticche tocche tacche fa comparir la massara al balcone (dicano elleno): e conosciuto il sensale de la mercatantia de la padrona, tira la corda senza farne altrimenti imbasciata; ed egli, raguagliata l'amica del tutto, conduce in isteccato il nipote posticcio di monsignore reverendissimo: il quale va salendo le scale con maestà pretina.
E la signora, fattasigli incontra, prima squadra come egli signoreggia bene in campo accotonato, e in giubbone di raso nero, e in berretta, e in scarpe di terziopelo (spagnolescamente parlando); e poi gli porge la mano e la bocca con la più onesta puttanaria che si possa fare; ed entrato a parlar seco, in ogni proposito gli udiva adattar "monsignor mio zio": egli dimenava la testa con certi cadimenti oltra il signorile signorili, e pareva che ogni cosa gli puzzasse, e parlava adagio, soave, onesto; e con alcuni sputi fatti al torno, si ascoltava se medesimo.
PIPPA.
Io lo veggo con la fantasia.
NANNA.
Che vai tu carendo? La viniziana stava a l'erta, e a ogni laude che il ribaldo gli dava, rispondeva "moia", "basta", "fazende".
Io non ti so dir tante ciance: il dormire insieme si concluse; onde lo scolare accenna colui che n'è mezzano, e gli dà due zecchini, con dire "spendi" e "fà tu"; il ser bestia va, spendacchia, e spendacchiando trafuga marchetti, soldi, marcelli, e manda le cose da vivere per un facchino a casa de la diva.
PIPPA.
Par che voi ci siate stata, in modo favellate di facchino e di cesto.
NANNA.
Nol sai tu, se io ci sono stata?
PIPPA.
Sì, sì.
NANNA.
La cosa venne a lo andarsene a letto: e spogliandosi il dottore avvenire, doppo il "non voglio" e il "non fate", soggiugnendo "Vostra Signoria è troppo cortese", lasciò aiutarsi a trar di dosso un giacchetto di tela marcia, greve e sconcio bontà del peso che facevano duemila dei ducati che intenderai.
PIPPA.
Stà pure a vedere.
NANNA.
Quando la puttana sente cadersi giù la mano dai cusciti-nel-vestitello, parse un mariuolo che adocchia uno di quei moccoloni che si lasciano tòr la borsa da canto al pinco: e posatelo su la tavola, fa vista di non si accorgere di nulla, attendendo ad accecarlo con le carezze e con i basci, e con il fargli pala, sendo colcata seco, de le mele e del finocchio.
Vien la mattina, e il ragazzo del traforello entra in camera con inchini nuovi; e lo scolar maladetto gli avventa la borsa, la qual cadendo in terra fece poco rimore, con dir: "Và per malvagìa e marzapani"; né stette molto che i marzapani e la malvagìa vengano, e uova fresche appresso.
Si desina pur per via del comprator de la cena; e ridormesi e rilevasi cinque notti e cinque mattine a la fila: e fà conto che il malandrino ci stesse a un .XV.
scudi vel circa; e così fece uno amorazzo e una amicizia da buon senno, e tuttavia lo scolar cattivo-di-nido alzava le voci dicendo: "Perché non ingravido io la Signoria vostra d'un maschio, che gli rinunziarei il priorato, la pieve e la badia?", ed ella: "Magari".
"Ora non bisogna perder tempo", disse il falla-a-chi-le-fa; e che fece egli? Si cavò il giacco, e tenendolo in mano, vede là una cassa ferrata e serrata diabolicamente; onde la pregò che le piacesse riponerci drento i denari i quali aveva confitti e appiattati per buon rispetto: ella gli chiude e dà la chiave a lui, pensando certissimamente di averne avere almeno uno o due centinaia.
Intanto il mala-lana e la trista spezie dice: "Io vorrei comperare una catena da donna di un centocinquanta pezzi d'oro di valore; e perché io non son pratico, fatemela portar qui oggi o domane, che la comprarò subito".
La corre-in-posta, credendosi che il presente avesse a toccare a lei, finse di mandare per il tale, anzi per il cotale, e fece venir catene e catenelle di minor prezzo; e non si accordando, tolse la sua che pesava ducento ducati d'oro larghi, e fecela portare, ivi a poco, da un che pareva orafo, a sua Altezza; e mostrategliene con dirgli "Che fin oro, e che manifattura miracolosa", fece sì che si venne al mercato.
E serrossi la compra a .CCXXV.: e la signora allegra, dicendo fra se stessa: "Oltra che sarà mia, io avanzarò i .XXV.
de la fattura".
PIPPA.
Io la veggo e non la veggo.
NANNA.
Lo scozzonato, tenendo la collana in mano, la lodava non altrimenti che l'avesse a vendere ad altri, e mentre la mirava e maneggiava, disse: "Signora, quando me ne facciate sicurtà, io darò quella cosa che vi ho data in serbo qui al mastro: perché vo' andare a mostrarla a un mio amico; e poi levarò la somma, che io debbo per il lavoro, di donde mi manda questa lettera di cambio"; e fattale vedere una scrittuccia, fece correre la non-insalata-a-fatto.
PIPPA.
Come correre?
NANNA.
Ella, per non si lasciare uscir de la cassa il giacco tempestato di ducati d'ottone, disse: "Portatela pure, che, la Dio grazia, io ho credito per maggior quantità"; e voltatasi al suo secretario, lo mandò via con un cenno: e lo scolare tolse su i mazzi e sbucò di casa.
Vien la sera, ed ei non appare; vien la mattina, e non ci capita; passa tutto il dì, e non se ne ode novella; manda per colui che lo alloggiava, ed egli si stringe ne le spalle e accusa un paio di bisacce con una camiscia sudicia e un cappello rimastegli in camera, di suo: ed ella, ne lo udir ciò, si fece di quel colore del quale si imbiancano le facce di chi si accorge che il suo famiglio l'ha fatto rimanere in zero; e fatta sfracassare la cassa, fin coi denti squarciò il giacco: e trovatolo zeppo di fiorini da fare i conti, non si impiccò perché fu tenuta.
PIPPA.
Che diavolo fanno i bargelli per le mondora?
NANNA.
Nulla, nulla, né ci è più giustizia per la ragion de le puttane, e non ci veggo la grascia che ci viddi già: ed era pur un bel mondo il nostro, al buon tempo.
E me ne diede un galante essempio il mio buono compare Motta, egli mi disse: "Nanna, le puttane d'oggidì si simigliano ai cortigiani dal dì d'oggi che per la divizia di loro stessi bisogna mariolare: altrimenti si moiano di stento, e per un che abbia pane in l'arca, ci son gli stuoli di accatta-tozzi.
Ma il male sta nel gusto che hanno mutato i gran maestri: così sieno squartati i capretti e i caproni che ne son cagione".
PIPPA.
Che sta a fare il fuoco? Che, balocca egli?
NANNA.
Il fuoco si sta scaldando i forni, e menasi l'agresto intorno agli arosti: sai tu perché?
PIPPA.
Non io.
NANNA.
Perché il gaglioffo se ne diletta anche egli: e perciò dà miglior sapore ai quarti dirieto arostendogli, che a quei dinanzi essandogli.
PIPPA.
Che sia arso.
NANNA.
Qualcosa sarà, se ben non aviamo il manico da impregnargli come i ragazzacci, famigliacci, poltronacci.
Ascolta del cortigiano: o santa, dolce e cara Vinegia, tu sei pur divina, tu sei pur miracolosa, tu sei pur gentile; ma se non fosse mai per altro, io vo' digiunar per te due quaresime intere solo perché tu chiami i ghiotti, gli sviati, i ladroncelli, gli sbricchi e simili tagliaborse, "cortigiani"; e perché? Per i ribaldi effetti che escano dei loro andamenti.
PIPPA.
Adunque le cortigiane ancora sono peccatrici come loro.
NANNA.
Se eglino ci hanno dato il nome, è di necessità che ci abbino anco dato il viso: verbo et opere dice il Confitebor.
Ma eccomi a lui.
Un messere signore-vive-in-tinello-e-more-in-paglia, un certo sputa-in-cantone, un cotal porta-berretta-in-torto, un mena-culo, un va-di-portante, il più aguzzo e il più bel civettino che alzasse mai portiera, o portasse piatti, o votassi orinale, il suo pugnal col fiocco, i suoi drappi forbiti intorno, e in ogni suo movimento fraschetta cicaluzza e poltroncino: frappò tanto ne le orecchie d'una disgraziata, che ella si cosse al fume de le sue chiacchiare ben bene.
Egli durò un quattro mesi a donarle alcune coselline: come saria a dire anelluzzi, pianellette di raso e di velluto frusto, guanti ingarofanati, velaregli, scuffiette e, una volta in dieci, un paio di capponi magri, una filza di tordi, un baril di corso e cotali presentuzzi da fottiventi: e ci spese, fa conto, venti scudi in tutto il tempo che la maneggiò come gli parve.
Ella che era accommodata al par d'ogni altra, non si curando se non de la sua grazia pidocchiosa, si lasciò uscir di sotto quanti amici che aveva; e solo attendendo al cortigiano, tanto ringrandiva quanto il vedeva grandeggiare.
PIPPA.
A che modo grandeggiava egli?
NANNA.
Del cardinal suo, la reverendissima Signoria del quale lo teneva in collo ogni dì due volte, né mangiava cosa che non la partissi seco, e tutti i suoi secreti gli sgoluppava; e come aveva anfanato di regressi, conserve e spettative, mostrando avvisi di Spagna, di Francia e de la Magna, si dava a biscantare con voce di campana fessa:
Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,
e
Sì è debile il filo, oh,
avendo sempre piena la sacchetta del saio e il seno di madricali di mano dei poeti, i nomi dei quali contava nel modo che raccontano le feste i preti di contado: e il Calendario non le sa sì appuntino come gli sapeva già io; e gli imparai per cagion d'una certa comedia, e basta; e mi fecero utile, e basta, e feci credere a uno che io fosse poetessa, e basta.
PIPPA.
Insegnatemegli anche a me: che, accadendomi di far quel che voi faceste, io possa farlo.
NANNA.
Coi nomi puoi tu ben praticare, ma con le persone no.
PIPPA.
Perché co' nomi, e non con le persone?
NANNA.
Perché i lor denari hanno la croce di legno, e pagano di gloria patri, e sono, perdonimi loro, una gabbia di pazzi, e come ti dissi ieri, aprigli, accarezzagli, mettegli in capo di tavola: ma non gliene dare, se non te ne vuoi pentirte.
E per tornare al cortigiano profumatino, mongrellino, anebbiatino, eccolo una sera picchiar l'uscio a la sua signora; e messo il piè drento, spicca un te deum laudamus su le grazie; e salite le scale con quella sollecitudine che le sale un che porta buone novelle, bascia lei che gli è venuta incontra, e basciatala le dice: "Il diavolo ha pur voluto che io esca di povertà al dispetto de le corti e de le lunghe, le quali danno a chi serve i reverendi schiericati".
La corriva tutta si scuote al suo parlare, e come colei che pensa di avergli dato a usura i piaceri fatti, con una sforgiata baldezza gli dice: "Che cosa hai tu di buono?"; "Egli è morto quel mio zio riccone, il qual non aveva figliuoli né figliuole, né altro nipote che me", "Ah, ah" disse, "la Signoria vostra parla del vecchio misero che mi ha conto più volte", "Così è" rispose egli.
Ella, da cattiva, gli cominciò a dare del signor nel ceffo, tosto che intese de la redità; ed egli si arrischiò a darle del tu, paredogli che tale arte bastasse per farle credere la sua nuova grandezza.
PIPPA.
Vedi ghiottarelli.
NANNA.
La cosa andò dove il cortigiano pose la mira, ciurmandola di sorte che la fece andare sopra le vette de l'alboro.
Egli le favellò tali chiacchiare: "Padrona mia, io non ho fin qui potuto mostrarvi con gli effetti l'amore che io vi porto, per avere speso l'anima in servigio di monsignore: spettando pure che la discrezione venisse da lui.
Ora Iddio ha voluto col tirare a sé il fratello di mio padre, farmi conoscere che egli è, son suto per dire, tanto misericordioso quanto sono ingrati i ladroni.
Quello che io ti vo' dire è che io sono ereditario di cinquantamilia ducati tra case, possessioni argenti e contanti, e non ho padre, né madre, né fratelli, né sirocchie: per la qual cosa io eleggo te per legittima sposa, e perché io ti voglio remunerare, e perché io mi voglio contentare", e ciò detto, il veramente degno famigliare d'un prete la basciò: e cavatosi uno anelletto di dito lo mise nel suo.
Or pensa tu se la trama la fece diventar lieta e rossa e si, abbracciandolo, le lagrime stettero ferme a le mosse: ella voleva ringraziarlo, e non poteva.
Intanto il traforello spiega la lettera de lo avviso fatto di suo inchiostro e a suo modo; e postosi a sedere, le disse: "Ecco la carta che canta"; e spianolle il tutto.
PIPPA.
Al verbo de lo al-quia (disse la Betta).
NANNA.
La signora, doppo il tirarselo a dosso un trattuccio, gli diede licenzia che egli andasse a mettersi a ordine di partir seco come le aveva intestata; e non fu sì tosto fuor de l'uscio, che ella apre una cassetta dove, fra gioie, denari, collane e bacini, era il valor di più di trenta centinaia di scudi; e le sue vesti e massarizie passavano milleducento.
E spalancato ogni cosa là, eccolo a casa; ed ella a lui: "Consorte mio, questa è la povertà mia e non ve la do per dota, ma per un segno d'amorevolezza".
Il traditoraccio prese le cose di valuta, e riposele nel luogo dove stavano e chiusele di man sua.
La matta spacciata, che non sapeva che via trovarsi da ficcarsigli in grazia, volse che la chiave stesse appresso di lui; e mandati per i Giudei, fece oro di qualunche robba e massarizia che aveva.
Ed egli con i denari de la vendita si vestì da paladino; e comperati in Campo di Fiore due chinee da camino, senza far motto, vestitela da uomo la menò via: né volse in lor compagnia se non le gioie e l'altre importanzie de la cassetta.
E avviatosi inverso Napoli...
PIPPA.
Pur là, mariuoli.
NANNA.
...per due o tre alloggiamenti la trattò da marchesana: e la notte la teneva in braccio con le maggior cacarie del mondo.
A la fine egli la volse stroncare: e dandole non so che opio, che portò da Roma, nel vino, nel più bello del ronfare la piantò nel letto de l'oste cortigianescamente; e tolto il suo cavallo, ci fe' montar suso un ragazzo, che appunto ne lo spuntar de l'osteria vidde apparire: dandola per le peste di così fatta maniera, che non si seppe mai più dove si fosse.
PIPPA.
Che fece la sventurata, desta che fu?
NANNA.
Messi a rimore tutto quel paese, e corsa a la stalla, prese la cavezza de la sua chinea, appiccossi a la rastelliera de la mangiatoia: e si disse che l'oste, per guadagnare i panni, si stette a vedere.
PIPPA.
Chi è menchiona, suo danno.
NANNA.
Un di quelli che fa sacrificio giuntando una puttana: come le puttane avessero a esser tutte sante Nafisse; e non altrimenti che le puttane non pagassero pigion di casa, né comprassero pan né vino né legne né olio né candele né carne né polli né uova né cascio né acqua e fin entro al sole, e andassero ignude o, vestendo, i fondachi le donassero panni, sete, velluti e broccati, e di che hanno elleno a vivere, di spirito santo? e perché hanno esse a darsi in preda a ognuno in dono? I soldati vogliono la paga da chi gli manda in campo; i dottori dicano de le parole per la lite bontà dei soldi, i cortigiani avelenano i lor padroni s'egli non gli provede di benefizi; i palafrenieri hanno il suo salario e la sua colazione, e perciò trottano a la staffa: e si ogni esercizio faticando è sodisfatto, perché doviam noi entrar sotto a chi ci richiede per nonnulla? Belle gentilezze, bei discorsi, bei trovati: al sacramento mio che ella è mal fatta, e doveria il governatore mandare un bando "a la pena del fuoco" a chi ci rubassi o piantasse.
PIPPA.
Forse che lo mandaranno.
NANNA.
A lor posta.
Dico che fu uno di cotali truffa-femine, il quale si stava in casa come un signorotto: mangiava a la franciosa, beeva a la todesca, e in una sua credenzietta faceva mostra di un bacino e un boccale d'ariento molto bello e grande: e il bacino e il boccale stava in mezzo di quattro tazzoni pur d'ariento, di due confettiere e tre saliere.
Costui saria morto se ogni stomana non avesse mutato puttana: e aveva trovata, per chiavar senza costo, la più nuova tresca e la più bella ragia che se pensasse mai da forca e da capestro che viva.
Il poltrone in questo, ne l'altre cose persona da bene, aveva una veste di raso cremesi senza busti, e subito che menava una signora a dormir seco, nel fin de la cena entrava a dirle: "Vostra Signoria ha forse inteso il piantone che mi ha dato la tale: al corpo, al sangue, che non si fa così, e meritaria altro che parole", e non era mo' ver nulla di ciò che diceva.
La buona donna, dando ragione al frappatore, si sforzava tuttavia di fargli credere di non esser di quelle; e giurando di non aver mai promesso cosa che non avesse osservata, il galante uomo le teneva la mano dicendo: "Non giurate, che io ve lo credo e so che sète una di coloro che non si trovano".
A la fine, chiamato un suo famiglio che era, figliuola mia, ti-so-dire, faceva cavar del forziere la sopradetta vesta, e levatosi da tavola, la provava a la signora, dandole ad intendere che voleva donargliene a ogni modo.
La vesta, per non aver i busti, stava dipinta in sul dosso d'ognuna: e perciò si confece benissimo a quello de la puttana che io dico; onde il fàlla-a-tutte grida rigogliosamente al famiglio con dir: "Trotta per il mio sarto, e digli che porti da tòr la misura a la signora; e che venga mo' mo', perché io sono stracco di i suoi "testé testé"".
Il ragazzon vola, non pur trotta: e in men che non si sciuga una caccia, torna col maestro, il quale era secretario de le burle de la vesta; e salito la scala con quello ansciare che fa chi ha corso, dice con una sberrettatina: "Che comanda vostra Signoria?".
PIPPA.
Odi baia.
NANNA.
"Voglio" risponde egli, "che tu trovi tanto raso cremesi che faccia i busti a questa": e mostragli la roba anco indosso de la cacozza; il sarto mastica un dire: "Sarà fatiga a trovar di cotal raso; ma vo' servirvi, e credo far tanto che aremo di quel proprio che è avanzato a le pianete di monsignore, le quali ha fatto per dar in gola ai suoi peccati, e quando pur pure non si potessi aver di quello, arò del taglio dei cappelli dei cardinali da le quattro tempora che vengano".
"Maestro, vi sarò schiava se lo farete", sfodera vezzeggiando madonna-da-lagonnella-di-verde-indugio; ed egli, lasciandola con uno "non dubitate", finge di portar la vesta a bottega, e vassene via.
Ed ella rimane a stuccare de le sue frutta il baionaccio: la ciancia del quale, tenutola quanto gli pare con la speranza di "Istasera l'arete: se non, domattina senza niun fallo", piglia il tratto inanzi e corrucciasi con seco fuor di tutti i propositi; e fingendo collera grande: "Presto" dice al garzone, "rimenala a casa a questa forgia, ah?" e serratosi in camera, può gracchiare lo scusarsi di lei, che non ci si dà udienza.
PIPPA.
La mia secchia non atigne anco di questa acqua.
NANNA.
Mandala giuso ne la fonte, e l'empirai del sapere come egli faceva provare la veste e venire il detto sarto per tutte le puttane malmenate da lui in casa sua; e godutele lesse e aroste, veniva con loro in corruccio a posta e le rimandava via senza dargli nulla: parendogli aver fatto assai a pagarle de la speranza de la veste, che a ognuna promesse e a niuna diede.
PIPPA.
Che razza!
NANNA.
Propio razza da non volerne poledro.
Io ti vado toccando ciancette in qua e in là, perché le tristizie degli sputa-inferni e mangia-paradisi sono tali che non le ritrovarebbono le negromanzie, le quali ritrovano gli spiriti: oh che pericolose bestie, oh che mèle-in-bocca-e-rasoio-in-manica! Noi donne, se ben siamo astute, cattive, tenaci, ladre e sfeducciate, non usciamo di donnarie; e chi ci pon mente a le mani, ci conosce meglio che non conoscano i pratichi pel mondo gli ascondaregli di coloro che giocano di bicchieri e di pallottole di sugaro.
E poi è da metterci la scusa: perché siamo avare per amor de la viltà de la natura nostra, e ci crediamo tuttavia morirci di fame, e perciò trafughiamo, chiediamo, tentiamo; e ogni piccola cosetta ci s'ataglia, e le formiche non procacciano come procacciamo noi: e così così ci va ella busa, de le cento volte, le novantanove.
Ma gli uomini, che fanno miracoli con le lor vertù e diventano, di un pochetto di esser che gli è dato "illustri" e "illustrissimi", "reverendi" e "reverendissimi", son sì disonesti che non si vergognano di furare per le nostre camere libri, specchi, pettini, sciugatoi, vasetti, una palla di sapone un paio di forbicine, due dita di nastro e s'altro gli dà ne le dita che vaglia meno.
PIPPA.
Dite voi da vero?
NANNA.
Da verissimo.
E quale è più gran vituperio che scorgere una meschina che ha solamente la ricchezza d'una botta scudaia, la qual si porta il suo avere a dosso: e doppo lo averle lograto e l'orlo del pozzo e de la citerna, pagarla di un diamantino falso, di quattro giuli dorati e di una collanuzza d'ottone; e sperar poi, nel vantarsene, di avere a essere gonfaloniere di Gerusalemme? Che crudeltà è egli a sentire uno salito in bigoncia sopra il fatto nostro, trovando cose che mai furono né nate né poste; essi dicano: "Io fui due dì fa a toccar la tale: oh che slandra, oh che solenne sudicia! Ella ha le groppe punteggiate come l'oca, un fiato di morto, un sudor di piei una valigia di corpo, un pantano dinanzi e un profondo dirieto da far tornar casto non so chi"; saltano poi in quella altra dicendo: "Che rozza, che vacca, che ladra, che troia: ella lo vuol tutto nel tondo, e ci fa suso scaramucce stupende; e nel cavarlo fuora lo lecca, lo palmeggia e lo netta in un modo non più pensato né visto"; e quanto più si veggano gente a torno più alzano le boci: e la "coreggera", e la "fratiera", e la "bandiera".
E quando gli facciamo qualche sbarleffo ne lo andar giù per le nostre scale, non si ricordano di quelli che fanno a noi ne lo scendere giù per le loro: e bisogna ben che noi siamo tradite e assassinate, a trapassare il segno in dirne male; e quando ci scappa di bocca "Egli è un misero e uno ingrato" o vero, infiammate da una gran ragione, "un traditore", non si pò andar più suso; e se gli togliamo alcuna cosa, lo facciamo per fornirci di pagare: perché non pagaria l'onestà che ci tolgano, il tesoro dei tesori.
PIPPA.
Voi mi impaurite con le lor tristizie.
NANNA.
Io ti impaurisco perché tu impaurisca loro con le saviezze che io ti ho insegnate: e chi paragonasse le finzioni, le bugie i pianti, i giuramenti, le promesse e le bestemmie, le quali usano per corsaletti nel volerci vincere, con le doppiezze, con le soie, con le lagrime, con gli spergiuri, col dargli la fede e con le maladizioni che gli esercitiamo contra, conoscerebbe chi sa meglio ingannare.
Un gentiluomo (cancaro a le gentilezze) credo piamontese o savoino (salvo il vero) un certo volto-di-lanterna, aveva, giocando, vinta una lettiera di noce profilata d'oro, molto bella; e come entrava in parlamento con alcuna signora, faceva tornare a proposito la sua beata lettiera, e doppo il lodarla e stimarla i cinquanta ducati, la proferiva: e con simile ragia veniva a dormir seco.
E datole in premio la lettiera, godeva di lei una decina di notti, e saziatosene a bello agio pareva uno di questi sbriccarelli i quali vorrebbono acquistar nome di bivilacqui stando tuttavia in volere attaccarsi a quistione con le mosche: dico che si attaccava fin nel tagliar del pane per volerla rompere con lei: e venendogli fatta, si leva su con un "Deserta, lendinosa, dammi la robba mia: se non, io ti farò la più malcontenta bordelliera, dammela, rendemela", e sfoderando una coltella non atta a fare un rigagnolo di sangue fra mille pecore, l'abbarbagliava talmente, che le pareva aver .XXX.
soldi per lira a non sentire altro che dischiodarla e riportarla altrove.
PIPPA.
Bella cosa il dare e ritorre come i fanciulli.
NANNA.
A una sessantina la donò e ritolse nel modo che io ti ho detto; e non se gli è mai levato il nome del "gentiluomo da la lettiera"; e tutte le puttane il mostrano a dito, come fanno anco a quello da la vesta senza busti: e Pontesisto non gli daria un bascio se credesse perdere la infamia che egli ha.
PIPPA.
Io gli vorrei così conoscere.
NANNA.
Di cotesto non mi curo io: e sappi che, tra il nome di gentiluomo e la presenzia de la lor cera, farebbero star forte me che ti insegno, non che tu che impari.
PIPPA.
Potria essere.
NANNA.
Te ne vo' dire una bella, ma non per chi l'ebbe a l'uscio.
Stavasi là dal Popolo madonna nol-vo'-dire, una soda tacca di femmina grandona, bellona, morbidona al possibile; e se puttana pò essere di buona natura, ella era di quelle: sollazzevole, tratenetrice, con ognun motteggiava e con tutti si afaceva con quella graziosa grazia che si porta da la culla.
Costei fu invitata a cena a la vigna e a mangiar la fogliata romanesca; e quelli che la invitarono non la pregàr molto, perché ella tanto sguazzava quanto si faceva dei compiacimenti di chi le pareva da bene: come le parvero gli sciagurati i quali, in su le .XXII.
ore, in groppa d'una mula, la condussero a la maladetta vigna.
Certamente la cena andò a piè pari: capretti, mongara, vaccina, starne, torte, guazzetti e ogni convenevolità di frutti; ma fecero il mal pro' a la troppo troppo servente madonna.
PIPPA.
Che, la tagliarono a pezzi?
NANNA.
A pezzi no, ma a quarti, nel modo che tu udirai.
Era appunto il primo tocco de l'avemaria quando ella chiede in dono ai signori coi quali cenò che le dessero licenzia, perché voleva andare a dormire con colui che la manteneva.
I briachi, i matti, i cattivi le fecero rispondere a uno buffon da scoreggiate, e dirle: "Signora, questa notte è obligata a noi e ai nostri famigli di stalla, e vogliamo che siate contenta di far sì che i trentuni ugnoli diventin doppi, e così, mercé vostra, si chiamaranno arcitrentuni, onde sarà tra loro la differenzia che è tra i vescovi e gli arcivescovi, e se non sarete trattata secondo il merito scusate il luogo".
Non disse altro lo scribo, ma pigliata la tempella in mano venne via cantando:
La vedovella quando dorme sola
lamentasi di sé:
di me non ha ragione.
La tradita de la sua bontà e da l'altrui tristizia, udendo ciò, parve me quando, ne la selva di Montefiascone, in su l'alba del dì urtai con la spalla nel petto d'uno impiccato: e le venne un dolor così fatto, che non poté scior parola.
Intanto il porcaccio la stiracchia fino al ceppo di un mandorlo tagliato, e appoggiatole ivi la testa, le rovescia i panni in capo, e cacciatognele dove gli parve, la ringraziò del servigio con dui sculacciate de le più crudeli che si potesson sentire.
E questo fu il cenno che si fece al secondo, il quale la travoltò sul ceppo, e facendolo a buon modo, aveva piacer grande de le punte del legno mal polito le quali le pungevano il sedere: onde ella, a suo dispetto spingeva inverso colui che, nel compire, le fece fare il capotomolo scimiesco; e il gridar che ella fece chiamò il terzo giostrante.
Ma son gentilezze lo spasso che egli si pigliò del trarlo e rimetterlo che in ogni buco fece: la morte fu il vedere una mandra di famigliacci, di sottocuochi e di osterie, usciti de la casa de la vigna con quel rimore che escano i cani affamati di catena, e avventarsi al pasto come i frati al bruodo.
Figliuola mia, io ti farei piangere se ti contasse minutamente il fargnelo che fecero, e come la scompisciarono per tutto, e in che atto l'arrecava questo e quello, e gli storcimenti e i ramarichi de la malcondotta; e sia certa che tutta quanta la santa notte la tempestarono.
E stracchi dal vergognarla a ogni via, la imitriarono di foglie di ficaia, e con un vincastro di salcio la frustarono da ladro senno; e un giorneone ad alta boce lesse il processo da malefizio: e cantò i furti, i maliamenti, le truffe, le sodomitarie, i puttanesimi, le falsità, le crudeltadi e le ribaldarie che si ponno imaginare, mettendo ogni peccato a conto suo.
PIPPA.
Io mi trasecolo.
NANNA.
Venuta la mattina, cominciarono a darle una baia di fischi, di strida, di petate e di crocchiate, con più strepito che non fanno i contadini vedendo la volpe o il lupo; ed ella, più di là che di qua, con le più dolci e piatose parole che si potessino udire gli pregava a lasciarla ormai stare.
I suoi occhi infocati, le sue gote molli, i suoi capegli scompigliati, le sue labbra secche e le sue veste squarciate la facevano simigliare a una di quelle suore maladette dal babbo e da la mamma, date nei piei dei Todeschi ne lo andar a Roma: dove la mandarono pretorum pretarum.
PIPPA.
Io le ho compassione.
NANNA.
La finì anco peggio che non cominciò: solo perché la rimandarono a casa ne l'ora di Banchi e suso una cavalla da basto, simile a quelle bardellate le quali portano i trecconi al mercato del grano.
E sappi che non si scopò mai ladra che avesse la vergogna che ebbe ella, e perdette il credito di sorte, che non fu più dessa: e morì di duolo e di stento.
Si che considera che s'essi fanno di cotali scherzi a chi gli serve, quel che farieno a chi gli diserve.
PIPPA.
Uomini, ah?
NANNA.
Un signor capitano, bravo, famoso, grande e tristo (il dirò pure), venne a Roma per i fatti del soldo, e volse, sera e mattina, seco una cortigiana, non bella bella, ma così fatta che ci si poteva stare: ben vestita, assettatina in casa, tutta sugo e tutta saporita e se bene ella faceva perdita d'amici col non si partir mai né dì né notte da lui, non se ne curava, dicendo seco stessa: "Io guadagno più con questo che io non perdo con quelli".
Or egli accade che il capitano dee partirsi il dì seguente a bonissima otta, onde la scempia si credeva che sua Signoria, che la teneva per mano, dicesse a un suo favorito, al quale parlava ne l'orecchia, "Dàlle cento scudi": ed egli ordinò che le fossero legati i drappi in capo, e con due stivali da verno, in mezzo a due torchi accesi, stivalata per Borgo Vecchio e Nuovo, per Ponte e fino a la Chiavica.
E così fu grappata e con una cinta di taffettà legate in cima del suo capo l'estremità de la veste da piei, il suo sesso apparve tondo e bianco come la quintadecima: oh egli era sodo! oh egli era ben fatto! né grasso né magro, né grande né piccolo, e lo sostenevano due coscette sopraposte a due gambe afusolate, più galanti che non sono due colonnine di quello alabastro tenero il quale si lavora al torno in Firenze, e le propie vene che ha la pietra che io dico si scorgevano per le coscettine e per le gambettine.
E mentre era drento i suoi panni gridava con la medesima boce che esce d uno rinchiuso in qualche cassa, sendo i torchi appicciati e gli stivali a l'ordine i famigli chiamati a lapidarla, stupefatti ne la bellezza del culiseo, vennero in capogirlo, e lasciatosi cader gli stivali di mano, rimasero incantati: onde fur desti da parecchi bastonate di zecca: di modo che gli ripresero, e avviatela fuor de la porta, si diedero a dargnele e tante e tante, che il rosso venne in mostra, e poi il livido, e poi il nero, e poi il sangue; e nel far tuff toff taff degli stivali, la gentaglia e la non gentaglia alzava di quei propi taleni che alzano i fanciulli quando il manigoldo fa il suo debito col frustare i ghiottoni.
E così la malcapitata fu posta a casa sua, dove se ne stette un tempo, vituperata e disfatta per la baia datale da ognuno che lo intese.
PIPPA.
O pugnali, che state voi a vedere? Perché perdete voi tempo, spade?
NANNA.
Io non so dove si venga questo mal nome, che noi abbiamo, di fare e dire agli uomini; e rinasco a non sentire chi conti i portamenti loro inverso de le puttane: che tutte son puttane le donne che si intabaccano seco.
Ma ponghinsi da un canto tutti gli uomini rovinati da le puttane, e da l'altro lato tutte le puttane sfracassate dagli uomini: e vedrassi chi ha più colpa o noi o loro.
Io potria anoverarti le dicine, le dozzine e le trentine de le cortigiane finite ne le carrette, negli spedali, ne le cocine, ne la strada e sotto le banche, e altrettante tornate lavandaie, camere-locande, roffiane, accatta-pane e vendecandele, bontà de lo aver sempre puttanato col favor di colui e di costui; ma non sarà niuno che mi mostri a lo incontro persone che per puttane sien diventati osti, staffieri, stregghiatori di cavalli, ceretani, birri, spenditori e arlotti.
Almeno una puttana sa mantenersi un pezzo quello che per le sue fatighe riceve dagli uomini; ma gli asini scialacquano in un di ciò che ci furano e quello che le pazze a bandiera gli gittano drieto.
PIPPA.
Io mi pento de la voglia che mi è venuta più volte di essere uomo.
NANNA.
Una altra infamia ci è posta a tortissimo.
PIPPA.
Quale è?
NANNA.
La colpa che ci si dà quando si ferisce o ammazza insieme qualcuno che ci vien drieto: che diavolo potiam far noi de le lor gelosie e de le lor bestialità? E quando ben fossemo cagion degli scandoli, dicamisi un poco qual son più: i fregi che si veggano ne la faccia de le puttane che stanno al comando degli uomini, o i tagli che appaiono nel volto degli uomini che si dilettano de le puttane? Oimè che ella non va come doverebbe andare.
PIPPA.
Non certo.
NANNA.
Il mal francioso ne vien via ora.
Io mi consumo quando sento dire ad alcun sorcone: "Il tale è stroppiato bontà de la tale"; altro ci è che squarta e crocifigge con le bestemmie la puttanaccia, con dire: "Ella ha guasto il poverino".
Io ho speranza, poi che s'è trovato che nacque prima la gallina o l'uovo, che si trovarà anco se le puttane hanno attaccato il mal francioso agli uomini, o gli uomini a le puttane; ed è forza che ne domandiamo un dì messer san Giobbe, altrimenti ne uscirà quistione.
Perché l'uomo fu il primo a stuzzicar la puttana, la quale si stava chiotta, e non la puttana a stuzzicar l'uomo: e questo si vede tuttodì per i messi, per le lettere e per le imbasciate che mandano, e i Pontesisti si vergognano a correr drieto a le persone; e s'eglino sono i primi a richiederci, furono anco i primi ' attaccarcelo.
PIPPA.
Voi ne cavate la macchia per ogni verso.
NANNA.
Ritorniamo a le leggende che si potrebbero fare dei tradimenti che ci fanno.
Una donzella di una gran gran signora, la più gentile e la più dolce cosetta che si vedesse ai nostri di, si stava servendo la sua madama, la quale non aveva il maggior piacere che vedersela raggirare inanzi, sì erano cari i suoi modi e le sue acuratezze: e nel darle bere, nel vestirla e ne lo spogliarla mostrava una così aggraziata maniera, che innamorava la gente, non senza invidia de l'altre cameriere infigarde.
A costei pose l'occhio a dosso un conte di Feltro, il qual si portava tutta la sua entrata nei ricami del saio ne le mercerie de la berretta, nei cordoni de la cappa e ne la la guaina de la spada.
Dico che il conte se ne imbriacò; e perché egli aveva domestichezza in corte, le parlava spesso, e spesso ballava seco: e tanto parlò e ballò con lei, che il fuoco appicciò l'esca.
E avvistosene il conte da due bagari, fece fare un sonetto in sua laude, e mandognele serrato in una letteruccia piena dei suoi sospiri, dei suoi guai, dei suoi fuochi e de le sue fornaci, e puntellando le bellezze de la giovanetta con le frappe de le sue giornee, diceva dei suoi capegli, del suo viso de la sua bocca, de le sue mani e de la sua persona cose de l'altro mondo: ed ella, che aveva più de lo scemo che i granchi fuor di luna, gongolacchiava credendosi esser per ciò l'Angelica d'Orlando da Montalbano.
PIPPA.
Rinaldo voleste dir voi.
NANNA.
Io dico Orlando.
PIPPA.
Voi errate, perché Orlando fu d'uno altro paese.
NANNA.
Suo danno s'ei fu; io, per me, ho studiato tutta la vita mia in avanzar denari, e non leggende e detti quisiti: e Orlando mi <è> drieto; e ho mentovato Angelica e colui per avergli uditi cantare da un ragazzo che ogni notte a quattro ore passava dal nostro uscio.
Come si fosse, la donzella, che sapeva de la scrittura, si imbertonava di se stessa mentre leggeva le dicerie false come chi gnele mandava; e così standosi la cervellina, tanto si vedeva lieta quanto il vagheggiava e aveva dei suoi scartabelli.
Talvolta egli veniva a corte: e appoggiatosi al muro là in un cantone, stiracchiava il fazzoletto coi denti, e gittandolo un poco in alto, lo ripigliava con mano in atto di sdegno, e non altrimenti che la sorte facesse nottumia del suo fegato, minacciava il ciel con le fica.
Talora ballava con una altra, non facendo se non sospirare; e sempre era in campo un suo paggetto indivisato dei colori datigli da lei per favore.
Ma la fortuna traditora non si contentò fino a tanto che non gli condusse in un modo strano ad aboccarsi insieme: onde ella aguluppata da le promessioni, da lo amore e dal mondo che il dà, con un pezzo di fune datale da lui si spendolò giù da la finestra a la qual faceva tetto lo sporto d'un verroncello che riusciva drieto il palazzo; e perché la fune non giugneva a un pezzo a terra, fu per fiaccarsi le gambe lasciandosi andar giù.
Come ella scese, il conterello, il contuzzo, il contaccio se la fe' porre in groppa da un suo famiglio che, montato a cavallo, seguitò il padrone il quale staffetteggiava con la preda presa.
PIPPA.
Io sarei caduta, sendo in groppa del cavallo che correva.
NANNA.
Ella era atta come un ragazzino da barbari, e cavalcava meglio che non fa una soldata: e perciò giunse col poltrone, che tanto traversò di via in via, che si assicurò da quelli che potevano corrergli dirieto.
Il capo de la cosa è che in .XXII.
dì ella gli venne a noia; e una sera, per due paroline date in risposta a un suo ragazzo che il governava, toccò il premio de le promesse speranzali, cioè un monte di mazzate, e ivi a un otto dì la lasciò di secco in secco, con quella sottanella di raso giallo logaro, sfrangiato di ermisino verde, e con la cuffia da la notte che ella se ne portò.
E così colei che da la sua padrona saria suta maritata a qualche degna e ricca persona, diede ne le mani di una brigata di giovanastri, i quali se la prestarono l'un l'altro: ma come fu vista tutta fiorita de le bolle attaccatele dal conte, non trovò mai più can né gatta che la fiutasse, e solo il bordello ne ebbe misericordia.
PIPPA.
Ch'ei sia benedetto.
NANNA.
Dice chi ce la vidde, che l'altre sue cittadine stupivano a sentirla favellare, e che quella certa onestà portata seco da la corte ne la quale si allevò, faceva parere il bordello un convento: e non ci è dubbio che la onestà che acostuma una puttana, siede in mezzo del chiasso con più onore che non ha un prete parato posto fra le nozze de la sua messa novella.
PIPPA.
Se l'onestà è bella fra le puttane, che debbe essere fra le verginità?
NANNA.
Una dea de le dee, un sol del sole e un miracolo dei miracoli.
PIPPA.
Onestà buona, onestà santa.
NANNA.
Odi la crudeltà d'uno uomo mentovato, bontà de le sue vertù, di là da Caligutte un mondo di miglia: e l'ho cavata de la pentola or ora, onde è calda calda.
L'uomo famoso che io vo' dire, per mala ventura vidde una giovane de .XVII.
anni gittatasi con tutto il lato manco su la finestrella de la picciola casetta che sua madre teneva a pigione: la bona grazia de la quale valeva più che le bellezze di sei de le belle d'Italia; ella aveva gli occhi e i capegli sì vivi e sì biondi che averieno potuto ardere e legare altro core e altra libertà che d'uomini di carne; le dolcezze de' suoi movimenti ammazzavano altrui, né si potria stimare quanta vaghezza le aggiugneva la mansuetudine di che ella era composta; e la povertade la quale la vestiva d'una saia lionata (pare a me) listata di saia pure, ma gialla, campeggiava meglio, ne la persona de la poveretta, che non fanno i ricci sopra ricci e i panni di seta e d'oro fregiati di perle indosso a le reine.
È ben vero che le fattezze de le sue membra, per il patire che ella faceva non mangiando né bevendo né dormendo a bastanza, non potevano dimostrarsi ne la perfezion loro: e quello che più la faceva rilucere, era la onestà che la guardava, standosi a la finestra o facendosi in su l'uscio.
Di cotante sue qualità si invaghì l'amico, anzi s'impazzì (perdonami sua Signoria); e non trovando luogo, si diede a trovar mezzani, e gli trovò con poca briga, mercé de la fama del suo nome e bontà de la superbia dei vestimenti che ogni dì si mutava: le quali mutazioni sono l'esche che infregiano le balorde.
Tu vai cercando: egli si condusse a parlamento con una Lucia compagna de l'Angela (che così ha nome la buona fanciulla), e se non frappò seco, non vaglia.
Ei la basciò, la tenne per mano, le donò le promesse, e per più farla sua, le diè la fede di cresemarle un sol figliuolino che ella ha: onde la camiscia non le toccava l'anche.
E così frastagliata da le promesse del compare, in due colpetti aterrò la sirocchia di colei che fiaccò il collo: come ella fu convertita, in un soffio si conchiuse il parentado.
PIPPA.
So che niuno ci arìa colto me sì presto.
NANNA.
Colto te, ah? Santa Petornella non staria salda a le percosse de la sirocchia, quando ti mette in pugno le beatitudini, le contentezze e i denari; e chi non alzarebbe i panni udendo dirsi: "Egli è il più caro uomo, il più piacente, il più bello e il più liberale che sia; egli ti ama e ti adora, e hammi detto che val più una tua treccia e un tuo occhio che tutti i tesori; e giura che tosto che si chiarisce che non gli vogli bene, che si farà romito"?
PIPPA.
Ed ella il credette?
NANNA.
Dio non voglia che tu abbi gli sproni di simili roffiane ai fianchi, che vederesti se si crede o no: sorelle, vicine e speranza di arricchirsi e grandezza di uomini? Cagna!
PIPPA.
Ditemi, prima che seguiate altro: fassene mai frate niuno per amor nostro?
NANNA.
Il mal punto che gli giunga: con le parole si impiccano, con i sagramenti si avelenano, con il ridersi di chi il crede piangono; essi fan vista di volersi uccidere col pugnale, accennano di trarsi de le cime dei tetti, di gittarsi nei fiumi, fingano di andarsene in luogo dove non si sappia mai novella di loro: e vorrei che tu gli vedessi inginocchiarsi ai piedi de le corrive con la coreggia al collo e con pianti che gli affogano i singhiozzi.
Oh! oh! oh! ribaldi, come sapete voi dar del capo nel muro per farci credere ciò che vi pare.
PIPPA.
Aprir gli occhi bisogna, sendo così.
NANNA.
Al parentado conchiuso: dico che la colomba fu cavata del nido e menata in casa d'una graziosa e gentile comare del valente Cesto, e postagli fino in grembo di propia mano de la sorella, sotto la parola de la fedaccia che la cosa andrebbe invisibile.
PIPPA.
Non andò segreta?
NANNA.
Se fosse andata segreta, come il saperei io? I trombetti, i campanai, i canta-in-banca, i mercati, la ruota, i vespri, i cantarini e le fiere son più segrete che non fu egli; e qualunche bestia incontrava, a tutte diceva: "Non mi favellate, che io sono in paradiso: una puttetta di latte e di sangue sta mal di me; e domattina inanzi dì consumaremo il matrimonio, perché la madre a cotal ora va per boto a San Lorenzo fuor de le mura".
Ma todo è nada (dice lo spagnardo), a petto ai te deum laudamus che ei fece ritrovandosela in collo: e voleva far quistione con quel fremitar che fa il toro il quale ha visto la giovenca.
PIPPA.
Che noia gli dava il fremitare?
NANNA.
Gli interrompeva, col non potere spiccar la favella, le frappe che voleva fare con le promessioni.
E la sempliciona, toccandogli la veste di broccato, il saio fregiato d'oro massiccio, i coscioni di tela d'argento, e maneggiandogli la gran collana, pareva un contadino di quei salvatichi che hanno appena veduto i tabarri di grigio e i gonnellini di romagnuolo: il quale accostatosi, per gli urti de la turba che lo spigne, al domine che dà le candele, sdrucciola e frega la man terrosa su per il morbido del piviale di vellutaccio che gli ha indosso.
Tanto è: ella, doppo il giocarsi coi suoi ricami, si acconciò come altri volse; e consentì di suo consentimento a la tentazione più e più volte, di modo che il fuoco cominciò a lavorar drento al seno di tutti due: e pareva a la senza-un-vizio-al-mondo, avendo l'amicizia di così fatto personaggio, di essere da più che il settecento, non pur del sei.
Ma lo avanzo che ne fece la sua bontà, fu il demonio che prese per i capegli la bizzarria de lo innamorato, al quale non bastava averne, de le quattro parte, le tre: ma volendola tutta, fece profetizzare al proverbio del "chi tutto vuol tutto perde".
PIPPA.
Ben gli stette.
NANNA.
Se lo dice egli che ben gli sta, lo puoi dire anche tu.
Or per aprirti il tutto, la giovane aveva marito in questo modo: un garzonastro, già guasto, d'una sorella sua, se l'aveva tolta per moglie, e impalmatala con pensiero di indugiar più che poteva a darle lo anello e a menarsela a casa; e il nome era più tosto che non la sposasse altrimenti che sì, cavandosene la voglia come si usa oggidì: e te ne contarei assaissime de le tolte da chi se ne innamora per cotal via, e stucchi che ne sono, le piantano là senza darle pure un pane.
La cosa si condusse a termine strano; e l'uomo che ne spasimava, credendosi insignorirsene a fatto, trovò una malizia, de la sciocchezza de la quale si saria vergognato un milanese e un mantovano.
PIPPA.
Buono.
NANNA.
La pazzia fu che tenne per fermo d'inturbolare la fonte de lo sposalizio e far sì che il marito, intendendo il suo esser mezza puttana e mezza donna da bene, la gittasse via; e gli veniva fatta se l'amor del marito non poteva più di quel de l'amante: non che ella gli volesse meglio, che, avendolo amato più de l'amante, non gli averia poste le corna; ma la paura del baston de la madre la trabalzò a suo modo.
E così, ferneticato una notte sopra tal partito, mandò per il gramo donno novello, e gli spianò ogni cosa; e per fargli meglio toccar con mano la verità, gli disse fino a un minimo pelo, a un piccolo bruscolino, a un solo segnetto che ella aveva sotto panni; e di mano in mano, ogni parola, ogni corruccio e ogni pace di lui e di lei; poi venne a le cose che le aveva donate, e nominogliene tutte a una a una: onde il dolente cadde morto standosi anco in piei; e stendendo il collo, simigliava la nostra scimia quando faceva i visacci; e diventato di sasso trasognava, rispondendo senza proposito "Ah? Eh?"; e dando il sì per no e il no per sì, stralunando gli occhi e sospirando forte, si lasciò cadere il mento in seno: e le sue labbra parevano incollate insieme.
A la fine tremando pel freddo de la gelosia, staccò le parole; e con un di quei ghigni che fa chi si giustizia per parere animoso, disse: "Signore, anche io, giovane come sono, ne ho fatto la parte mia; ma vi giuro per questo battesimo che io tengo in capo", e ponendoci la mano cercava per il cimiere, "che non la voglio: ella non è mia moglie, e mente per la strozza chi lo vuol dire", e lo innamorato, galluzzando, gli diceva: "Tu sei uno uomo di quelli che non si trovano; e val più l'onor che tu apprezzi, che una cittade; né ti mancaranno mogli: lascia pur fare a me".
PIPPA.
Pàrti che il poverino l'avesse colta?
NANNA.
Egli, per cagione del subito sdegno preso col mal far de la moglie, mostrava una allegrezza posticcia; e dicendo "Io mi vo' governar da vecchio", fu portato, non sapendo da quali piedi, a casa di colei che gli aveva fatte le fusa torte: e pensati che le disse quello che direbbe ognuno che fosse stato ne lo esser suo.
Ma le lagrime de la assassinata, i gridi e gli scongiuri, lo abarbagliarono in un tratto: e portate uova fresche confortò lei che, gittatasi nel suo letticciuolo, pareva che si volesse uccidere; e perché il gentiluomo aveva detto di averla avuta prima di lui, e il beccarello credendolo, la madre se gli voltò raitando, e con dirgli "O nol sai tu se l'hai trovata vergine?", lo ammutì: come fosse una gran manifattura il ristringerla e il farle far sangue.
PIPPA.
Me lo avete detto.
NANNA.
Io non ti vo' dire altro: il pane-e-uva, tosto che si avvidde di avere i grandi per rivali, non pure la refutò, ma menatosela a casa, fece le nozze; e ci ebbe a morir suso, tante volte gnele fece; e vendendo alcuni stracci che aveva, si fece una vesta nuova acciò che ella gli portasse l'amore che egli portava a lei.
PIPPA.
Adunque il dirlo al marito, per la qual cosa la tolse, fu il suo bene.
NANNA.
La cosa durarà poco; perché il più de le volte, e quasi sempre, le donne prese per amore e senza dota capitano male: perché l'amor di chi corre a furia a tòr moglie per rabbia amorosa è come il fuoco che abbruscia il camino, il quale fa un rimore da sbigottire il Tevere, e poi si lascia spegnere da due conche di ranno; e a la fine il non aver mai una ora di bene è il manco mal che elle abbino: rimbrottoli, pugna, calci e bastonate in chiocca; son serrate in camera, son confinate in casa, né son degne pur d'andare a confessarsi, e guai a le lor spalle se si facessero a la finestra.
E se elle hanno cotal vita non errando, come credi tu che l'abbia colei il marito de la quale si è chiarito dei puttanamenti suoi?
PIPPA.
Pessima, non che trista.
NANNA.
Vado pensiereggiando a le trafolarie che gli uomini hanno per mezzane quando vogliono tradir le donne credule; e son baie quelle che dicano che noi sapiam finger divinamente.
Ecco là, appoggiato a l'altare d'una chiesa, un gabba-femine; eccolo che cade tutto con la persona inverso colei adocchiata da lui: già odo i sospiri tratti de l'armario de la sua finzione.
Egli è ivi solo, per parer d'esser segreto, e attende solamente a far sì che la uccellessa gli presti gli occhi; e nel vagheggiarla si abandona con la testa indrieto, e mirando il Cielo, par che dica: "Io son morto per colei che è uscita di mano ai tuoi miracoli"; e ritiratola suso, con il rivolgerla di nuovo a lei, vedi alcune soavità di faccia, alcuni affisamenti di sguardi troppo ben cavati di pugno a la lor traditoraggine.
In questo comparisce un povero, ed egli al famiglio: "Dàgli un giulio"; e il famiglio gliene dà.
PIPPA.
Perché non un quattrino?
NANNA.
Per parere di esser liberalissimo e d'avere il modo di spendere.
PIPPA.
Che cosa.
NANNA.
E non comandano ai servidori, quando sono uditi da coloro con le quali fanno a la civetta per cogliercele, con boce rubesta né con viso altiero, come usano di fare in casa; ma con quella piacevolezza che farebbono favellando con chi gli è compagno: e ciò fanno per acquistar nome di gentili creature, e non di terribili bestiacce.
PIPPA.
Cani.
NANNA.
E come comprano a peso d'oro una sberrettatina che gli è fatta da chi passa.
PIPPA.
Che giovamento gli fanno le sberrettate?
NANNA.
Gli dan credito appresso la dea, che vede apprezzarlo; e in quel suo rendere onor di capo a le brigate, scolpiscano nel viso con lo scarpello de la finzione una cera la quale par che gli proferisca a ognuno.
PIPPA.
I maestri son loro.
NANNA.
Quando entrano in ragionamento con alcuna in presenzia di coloro per via de le quali disegnano contentarsi, cicalano con quella grazia e con quella galantaria che mostra colui che vuol convertirci ne la sua amicizia; e nel più bello del dire si rizzano suso andandosene in sala, dando agio di parlar de le sue dabenaggini a le aggirate.
PIPPA.
Và e nascici donna, và.
NANNA.
Partiti di dove par che sia il lor paradiso dicano a chi gli sta aspettando: "Che ruffianacce, che caccia-diavoli; pàrti che elle corrano al fischio?"; e ritrovandosi in ciancia con altri posti in parlamento di dame, subito gli cade di bocca: "Io ho avuto stamattina a la messa lo spasso degli spassi: madonna tale si stava in orazione, e io ho finto l'amore seco; che vacca, che puttanaccia: io le voglio cavar de le mani certi soldi che ella ha, e poi bandirlo per le piazze".
PIPPA.
Bello.
NANNA.
Almen quando una puttana strazia costui e colui, si dee ametterle la scusa: perché lo fa per farsi grata a questo e a quello; ma a chi sodisfa il treccolare d'un uomo che vitupera una feminuccia dinanzi a le brigate?
PIPPA.
A la coscia che possin fiaccare sodisfanno.
NANNA.
E perciò fatti savia, se vòi corcegli senza che ti ci colghino.
Sì che becca su quest'altra.
Uno (mi vien voglia di dirti chi) fece si pò dire andare un bando, come egli vorria trovare una giovane di diciotto o venti anni al più, per menarla a goder seco de la felicità ne la quale l'aveva posto il re di Sterlicche; e che, quando ella fosse di quelle che oltra a qualche bellezza avesse alquanto di governo, farebbe tal cosa per lei, e basta: accennando quasi di torla, passato un poco di tempo, per moglie.
Tosto che la trama si intese, le ruffiane cominciarono ' andare in volta: e bussando la casa di questa e di quella, appena potevano contare la ventura loro, si le tritavano l'aver caminato in fretta.
Onde ognuna si rincriccava, credendosi esser quella che il signore desiderava; e accattata impresto o tolta a tanto il dì una veste, una gorghiera, o simil bazzicature da ornar donne, tutte oneste trottavano inanzi a le conducitrici loro.
E comparite al cospetto de la Signoria sua, doppo la riverenzia, sedendo là davano d'occhio a lui: che mentre con uno stricatoio d'avorio si abelliva la barba, fermatosi su le gambe con gagliardia, scherzava col servidore che gli leccava il saione, le calze e le scarpette di velluto con la spelatoia; e fornito di assettarsi, dato uno scapezzone al famiglio pian piano, acciò che la schiattoncella venuta ivi per diventargli sposa giudicassi, col zurlar con lui, qual fosse la dolcezza de la sua piacevol natura...
PIPPA Eccoci pure a le nostre.
NANNA.
...levatosi a la fine da cotali canciarelle, manda fuore ognuno, salvo la vecchia e colei che si credeva inghiottir la imbeccata; e sedendogli in mezzo, comincia a dire l'animo suo: e come gli piaceva l'aria de la fanciulla, ma che non vorrebbe ritrosarie in casa né cervelline, e che in due dì dicesse: "Io me ne voglio andare, e non ci staria chi mi pagassi".
A questo si leva suso la vecchia, dicendo: "Signore mio, costei è una erba tagliata e un pesce senza lische, e le sue vertù si sgretolano in bocca di coloro che le assaggiano; e se la togliete, gli altri che cercan donne buone e belle ponno menarsi l'erpice; e non credendo a me, potete dimandarne il nostro vicinato, il quale si è dato a piagnere sentendo il suo doversi partire: ella è la pergamena de la conocchia e la conocchia de la pergamena, il fuso del fusaiuolo e il fusaiuolo del fuso; io vi dico che ella è la invoglia e la bandinella attaccata presso a l'acquaio ne la quale si ripongano i coltelli, i pezzi del pane e i tovagliolini che si levano di tavola, oltra che ci si sciuga le mani".
PIPPA.
Vecchia saporita, tu sapevi pur vantarla.
NANNA.
Così diceva la madricciuola; intanto egli razzolava con due dita fra le sue pocce, e con un risetto che teneva di sogghigno diceva: "Sète voi sana de la persona? avete voi rogna o altro difetto?"; e la vecchia rispondeva per lei e lui: "Toccate pure, sfibbiatela di grazia: rogna, ah? difetto, eh? Ella è sana come una lasca, e le sue carni son più nimiche de le bruttezze che non è ella degli sgherri; e vi so chiarire che con le seste si misurano le cose sue, e fa per voi come il trepiei per la tegghia dai migliacci; e sapiate che io non vi stropiccio con le muinelle perché la togliate, né per piluccarvi covelle: che certo i miei bicchieri non son da rinfrescatoio, e posso andare in sui tegoli e in su le lastre del tetto senza peduli".
PIPPA.
Che lingua.
NANNA.
Ella è la lingua del suo paese; e se vòi dir la verità, ti pare udir una di quelle vecchiarelle dal tempo antico, le quali favellano a la buona e come si dee.
PIPPA.
Voi l'avete.
NANNA.
Vedrai pure che ritornarà l'usanza de la favella di prima, perché anco del vestire è ritornata: e incaparbischisi pur chi vuole, ecco le maniche strette hanno sbandite quelle a gonzi, le pianelle non son più alte come i trampoli; e i telai de le favellatrici non vogliono più né ordire né tessere gli anfanamenti loro: perché son cruscate, fiori vani di sucini verdacchi, e meritarebbono di esser poste in un truogo dandole a succhiare ai porci come beveroni.
Che forgia di chiappole, che tignuole, che trafalcione son quelle le quali abbaiano con le favelle nuove! Or lasciamo andare.
Il Signore ha maneggiato pelle pelle la colei, e rivoltatosi a la vecchia, le dice: "Madre mia, quando ve ne contentiate, la faciulla si restarà qui con mia sorella"; e ciò diceva forte, perché la sirocchia da canto del cantone l'udisse; e col venir drento, pigliando la mezzana per mano, la sforzasse col pregare a lasciarla.
Ed ella, racquetata con una favola, andava via: e così la sciocca, sfamato di se stessa lo stallone, con un grembo pien di ben-faremo se ne ritornava donde si partì.
PIPPA.
Che poltroneria a non la pagare almeno.
NANNA.
Sai tu, Pippa, ciò che pareva la casa del tradisce-femine tosto che si sparse il nome dei gran partiti, i quali metteva inanzi a chi voleva andar con lui?
PIPPA.
Che?
NANNA.
La piazza di Navona quando è folta di ronzini venderecci; e come i ronzini si stanno ivi con le code intrecciate, con le crina stricate, stregghiati ben bene, con le selle rassettate, con le staffe a la divisa, coi ferri rifatti e con le briglie racconce spettando di andar di passo, di trottare e di correre me' che possano: così le creature, imbrunitesi più che non sogliono, rafazzonate con l'altrui robbe, facevano i loro atti in letto e fuor del letto con colui col quale si pensavano rimanere.
Ma che t'ho io a dire? Egli, carico dei più maligni roviglion franciosi che avesse mai gran maestro, pose il frugatoio ne le tane di tutte, e con lo spazzatoio carnefice spazzò tutti i forni; e dandogli un cappio che lo appicchi, doppo uno, due, tre e quattro dì, le sbrigò da sé con dire: "Questa è troppo galluta, questa altra è malcreata, costei è sfatata, colei sperticata de la persona": a chi putiva il fiato, e chi non aveva grazia.
Onde a le lor balle rimasero segnali crudeli; dico che a tutte diede parte de le sue gomme, de le sue bolle e de le sue doglie in pagamento: ed era il male di così fatta condizione, che pelava le ciglia, il pitignone, sotto le braccia e il capo, meglio che l'acqua bollita non pela i capponi; e senza un dente al mondo lasciava la turba errante.
Sì che pàrti che gli uomini sieno uomini o che?
PIPPA.
Mi par che sieno il collo che se gli dinoccoli e ponendosi in una frombola se gli scagli a casa calda; che si possa far lucignoli de la pelle, e succhielli de le gambe, e scudisci de le braccia loro: parlo di chi fa cotal tristizie, e non di chi non le fa.
NANNA.
Tu favelli bene; ma io t'ho pizzicato il gorgozzule con lo albume de l'uovo, nel contarti le gaglioffarie dei gaglioffi: spetta pure che io ti porga inanzi il tuorlo e che io attacchi agli uncinelli del tuo cervello i miei ditti, appuntando il saliscende de l'uscio de la mia memoria acciò che stia aperto, e racconti fino a una maglietta e a uno aghetto de la gonnella, la quale mi ho spogliata per mostrarti la verità ignuda nata.
PIPPA.
Io spetto.
NANNA.
Io vado ripescando con la fantasia la favella che io ho tralasciata nel mutar paese: e ho un dolor grande per essermi dimenticata quasi de le più sode parole che dice la nostra toscana; e la vecchia che favellò con il signor zugo, favorito del duca di Sterlicche, o del re che si chiami, mi ha fatto venir voglia di spurar la lingua sputando le parole a nostro modo; e non mi tener fastidiosa se io entro e rientro tante volte ne le cose de la favella: perché non si può più viverci, sì ci danno di becco le civettine a tutte l'ore.
E benché io ti abbia detto del mio avermi più tosto dilettato di incassar denari che di bel dire, ti farei trasecolare da vero se io volessi parlarti inchinevolmente.
So che in molti luoghi ho favellato di galanti parolette, massimamente nei lamenti de la signora abandonata dal barone; e parte ne so da me stessa, e parte ne ho imparate: non da chi non sa la differenzia che è tra "stoppa", "capecchio", e "succiola" e "balocio", e se il "vinco" è giunco e quel che si sia il "chiavistello" de l'uscio, l'"orliccio" dei pane, il "zaffo" del tino, un "pignuolo" di lino, un "paniere" di ciriege, uno "orcio" da olio, i "trecciuoli" dal capo, le "fedre" dei guanciali, i "sarchielli" degli orti, i "tralci" de le viti, i "grappoli" d'uva, e il non esser tutto uno il "rastrello" che si chiude come porta e quel che rastrella il grano battuto ne l'aia; e si stuperieno udendo mentovare "randello" e mille altre nostre usanze di parole vecchie e nuove: le quali hanno fra noi addottorati fino ai contadini, dai quali le bergoliere vanno graspugliando i dettati, credendosi andare a Cielo per cotali cianciumi.
PIPPA.
Ritornate agli uomini, che mi par così udir darvi de la treccola pel mostaccio, facendosi rimore del vostro cercare i fichi ne le vette di quella ficaia dove saliste ieri o poco fa: poi riprendete il mio avere io de la bambina più che de la fanciulla.
NANNA.
A lor posta: io me ne faccio beffe, e le ho dove si soffia a le noci; e il mio culo suona il dolcemele meglio che le lor mani.
Ora ai nostri nimici, anzi di chi non sa pelargli, e da buone massaie riponendo fino ai sorgi avanzati a le teste dei panni che fanno tagliare.
Dico che quelle buone donne e altre sorti di puttane le quali ne danno più tosto a fattori, a staffieri, a ragazzoni, a ortolani, a facchini e a cuochi che a gentiluomini, signori e monsignori, han del buono e fanno una opra di pietà: e son sante, non pur savie e ingegnose.
PIPPA.
Perché dite voi così?
NANNA.
Perché i fattori, gli staffieri, i ragazzoni, gli ortolani, i facchini e i cuochi almen ti sono schiavi, e andrebbono a porre il capo nel fuoco e fra il ceppo e la mannaia per compiacerti; e se gli tritassi a minuzzoli, non gli cavaresti il segreto di bocca, e poi non si crederia, quando ben si dicesse "Lo spenditor di messer tale gli soprescia la moglie".
Oltra questo, simili gentarelle non sono svogliati, e pigliano il panno pel verso, e secondo che son recati si acconciano, né pigliano mai la lucerna in mano acciò che il suo lume gli faccia veder quanti borselli ha la tua fica strupicciandole gli orli, né ti fanno alzare il culo in alto, sculacciandolo con la palma e graffiandolo con l'unghia; né ti fanno spogliare ignuda nel bel mezzodì, voltandoti ora di drieto e ora dinanzi; né si curano, mentre ti sforicchiano il cioncio, di alcuno azzichetto, né che tu dica parole disoneste per crescergliene la volontà, né ti stanno quattro ore in sul corpo, né ti scommettano l'ossa col disnodarti tutta, ne le forge di alcuni "alza le gambe in suso e incavicchiale insieme", le quali essi trovano, hanno trovato e trovaranno per iscialacquarci le persone: ed è un zuccaro quei pascipecora e quelle altre poltronerie che ti dissi ieri, pare a me.
PIPPA.
Madonna sì, ieri me lo diceste.
NANNA.
I porconacci ce lo mettano in bocca,...
PIPPA.
Io recerò.
NANNA.
...ce la poppano,...
PIPPA.
Reciarò, dico.
NANNA.
...e poi se ne empiano la bocca bandendolo come fosse una bella cosa.
PIPPA.
Che sieno impiccati.
NANNA.
E non si accorgano del vituperio loro: perché eglino ci hanno fatte puttane e insegnatici le sporcarie; e cotali vertù son venute dai ghiribizzi di questo e quel puttaniere; e ne mente e stramente chi vuol dire che il primo che trovò lo adoperarci per maschi, assaggiandoci col piuolo, nol fece sforzatamente: ed è chiaro che i denari maladetti incantarono colei che fu la prima a voltarsi in là; e io che ne ho fatto la mia parte, e son suta de le più scelerate, non mi ci recava se non per non poter più resistere al predicare di colui che mi infradiciava tanto, che io gliene ficcava in grembo con dire: "Che sarà poi?".
PIPPA.
Propio, che sarà poi?
NANNA.
E che risa gli escano di gola nel vedercelo entrare e nel vedercelo uscire; e dando alcune spinte a schincio e certe punte false, par che tramortischino per la dolcezza del farci male.
Talotta tolgano uno specchio grande grande, e ispogliatici ignude, fanno starci nei più sconci modi che si sappino fantasticare: e vagheggiandoci i visi, i petti, le pocce, le spalle, i corpi, le fregne e le natiche, non potrei dirti come se ne sfamano il piacere che ne hanno.
E quante volte stimi tu che faccino stare i lor mariti, i lor giovani ai fessi perché vegghino ciò?
PIPPA.
Sì, eh?
NANNA.
Così non fosse.
E quante volte pensi tu che a l'usanza pretesca faccino ai tre contenti? O abisso, apriti mai più, spalancati se vuoi! E ne ho conosciuti alcuni che hanno a tutti i partiti del mondo lusingate tanto le amiche, che le han cacciate ne le carrette in presenzia del carattiere e ne la via dove passa ognuno: godendosi, mentre i cavalli son messi in fuga da le fruste, di quel saltellare de la carretta, onde ricevevano spinte non più provate.
PIPPA.
Che voglie.
NANNA.
Alcuno altro pattovisce con la sua signora, sendo là presso a l'agosto, i dì piovaiuoli; e venuti che sono, bisogna che ella si colchi seco, e seco stia nel letto finché le burlate del piover durano: e pensa tu che fastidio sia quel d'un sano fatto stare fra i lenzuoli un dì e due, mangiando e beendo ne la forgia degli amalati.
PIPPA.
Non ci potria mai durare.
NANNA.
Che crepaggine è quella de una femina occupata nel piacere che si piglia alcuno di farsi grattare e palluzzare i granelli; e che passione è lo aver a tener sempre desto il rosignuolo, e tuttavia le mani su le sponde del cesso! Dicami un poco, un di questi perseguita-puttane, che denari potria pagare una così lorda e puzzolente pacienzia.
Io non dico questo, figliuola mia, perché tu te ne faccia schifa; anzi voglio che sappi farlo meglio d'ogni altra: ma gli ho tocchi, i tasti, per mostrare che noi non furiamo gli avanzi che si fanno de la merce che si mercata per mezzo de l'onestade sbarattata da le nostre miserie.
Io do l'anima a Satanasso quando siamo battezzate per mancatrici di fede: e con effetto la rompiamo spesso; e che è perciò? non siamo noi donne, se ben puttaniamo? ed essendo femine e puttane, è sì gran cosa il fregarla a la fede che si dà per via di due mani insensate? Il fatto sta nel fracasso che ne fate voi altri uomini da sarti, e non in quello che ne faciamo noi donne da scacchi, che per nonnulla la diamo e ridiamo e per nonnulla la togliamo e ritogliamo: e ciò nasce perché i nostri cervelli non seppero mai qual vivanda gli andasse più a gusto.
Alcuno dice che le vivande del gusto nostro si condiscano con l'oro e con l'ariento: noi siam rifatte, se gli uomini vogliono farci più avari di loro; tu puoi contar col naso le donne che per aver denari tradischino le rocche, le città, i padroni, i signori e dominusteco; ma si anoverano ben con le dita, anzi con la penna, quelli che l'accoccano, hanno accoccato e accoccarebbono ai Padri santi, del mondo pastori.
PIPPA.
Voi sète in vena, e perciò cappate le più belle del sacco.
NANNA.
Lascia pur fare a fece, e dire a chi disse, e, tacendo fatti beffe di chi la squacquara rimoreggiando: "La poltroncionaccia puttanissima mi ha pur mancato de la sua traditora promessa"; e se pur vuoi rispondere, dirai ad alta voce: "Ella ha imparato da voi mancatori".
PIPPA.
Gliene appiccarò con grazia.
NANNA.
Che bel fargli rosso il sedere con una sferza di sovatto, quando ci tassano del non contentarci di .XXV.
innamorati e ci dicano lupacce e cagnacce: non altrimenti che i luponacci e cagnonacci se ne stessero con una sola.
Lasciando il fiutarne quante ne veggano, né gli bastando tutte, con ogni industria si cacciano a sbramar la lussuria fin coi guattari de le più sudice taverne di Roma; e se non fosse che si direbbe che noi vogliam male ai sodomiti perché ci tolgano i tre terzi del guadagno, te ne direi cose, dei gaglioffacci, te ne direi cose che te ne farei chiuder le orecchie per non udirle.
PIPPA.
Vadinsi a sotterrare i tristi.
NANNA.
A le rovinate da le imbriacature degli uomini scoscienziati.
PIPPA.
A loro.
NANNA.
Accadde che una non-ci-fosse-mai-nata, doppo il sofferimento de le rabbie, de le villanie, degli spregiamenti, de le bestemmie e de le busse con le quali due anni di lungo la combatté il suo bertoncione, tolse suso: e sgombrando da lui solamente se stessa, lasciandogli ogni mobiliuzza e datale da lui e fatta da lei, e ne l'andarsene fatto boto di non tornarci prima che ella diventasse cenere; e così si stava, e con ostinazion di femina ostinata si avventava con l'unghie al viso di qualunche le parlava di rimpiastrarsi con seco: onde egli ci messe amici, amiche, ruffiane, ruffiani e fino al suo confessore, né mai la poté convertire.
È ben vero che le sue robbe non se gli rimandàr mai, perché pare a uno che ha perduta la sua donna averla a ritrovare per il mezzo de le cose rimase ne le sue mani: or sì pure.
Il ribaldo pensando continuamente al modo di riaver costei, passati alquante stomane, il trovò e trovatolo parendogli già vendicarsi con il suo non aver voluto ancora ritornargli in casa, si infocò tutto ne l'ira: e che fece? Finse una febbre subitana e un mal di petto crudele, e lasciatosi cader là il rimor grande si sparse nel vicinato: e corsi a lui i servidori e le servidore, gli rammentarono l'anima, parendogli che il corpo, il quale non aveva male niuno, fosse spacciato.
PIPPA.
Chi non si pon mente ai piedi inciampa.
NANNA.
Il frate venne, e con "Iddio vi renda la sanità" si gli pose a sedere allato; e confortatolo a star di bona voglia, gli entrò nei peccati grevi e mortali: e domandògli se aveva ammazzato o fatto ammazzare.
Il taccagno gittò fuora le lagrime, dicendo: "Io ho fatto peggio; e questo è il tradimento usato da la mia perversità a madonna..."; e proferito tanto del suo nome che il frate lo intese, fece vista di venir meno: onde lo "aceto, aceto" s'udì per tutto; e bagnatigli i polsi con esso, si riebbe in un tratto.
E ritornato a la confessione, con parole affannate disse: "Padre, io moio, io sento bene io ciò che io ho, e perché l'anima ci è, ed ècci anco l'inferno, io lascio il tal podere a colei che io vi ho detto: fategnele intendere come da voi, e caso che io migliori punto, farò distenderlo dal notaio nel testamento"; e qui stroncossi la confessione.
Assolvéllo la sua Reverenzia, e andossene di lungo a trovare madonna, la quale tirò da parte e dissele lealmente de la lascita.
PIPPA.
Eccola rovinata.
NANNA.
Come ella sentì il suono del podere cominciò a ballarci suso col core, il quale gli galluzzò subito, ma storcendosi un poco, dimenava il capo con certi crolli e strigner di labbra che parea lo sprezzasse; e aprendo appena la boccuccia, disse: "Io non mi curo di poderi né di lascite".
Onde fe' stizzare il padre; e se le voltò dicendo: "Che materia è la vostra? Hassi a beffeggiar la robba donatavi per dominum nostrum a questa forgia? E poi qual paterina giudea sofferirebbe che si perdesse una anima? Recatevi la mente al petto, figliuola mia spirituale, e vestitivi adesso adesso e andatevene in un baleno a lui che mi pare udir buccinarmi ne le orecchie "egli guarirà s'ella vi va"".
Pippa, egli è il diàscane il sentir toccarsi da le redità: e per questo si crocifiggano insieme i fratelli, i cugini; e perciò la infregiata da sua Paternità trottò via: e giunta a l'uscio, lo bussa con quella sicurtà che lo picchiano le padroni dei signori de le case ne le quali vanno.
Tosto che si udi il tocche ticche, il messere, che si stava come morto in letto non avendo nulla, le fece aprire; ed ella, saliti gli scaloni in due passi ed avventatasigli a dosso, l'abbraccia senza dire altro: perché il pianto, il quale non era in tutto finto né in tutto da vero le impediva la favella.
PIPPA.
Chi ne saperà più?
NANNA.
Lo scariotto, lo scariotto ne seppe più, dormendo, che non fece ella vegghiando; e perciò, come la sua venuta lo avesse risuscitato, si levò suso: e posto nome a la sua visita "il miracolo", mostrò la sua sanità in quattro dì.
Onde le disse: "Andiamo al podere che io ti lasciava morendo; perché te ne faccio donagione, poiché per tua bontà son ravisolato".
Ella vi andò: e quando credette entrare in possessione de le terre, fu data per merenda a la fame di più di quaranta contadini i quali, per essere la festa di San Galgano, si stavano ragunati in una casaccia senza finestre e mezza rovinata: e chiacchiaravano appunto del farlo a le cittadine e a le puttane grandi, quando la manna gli cascò fra i denti.
PIPPA.
Adunque la fraga si gittò in bocca a l'orso?
NANNA.
Così fu; e se io ti volessi fare una simiglianza dei cotali rugginosi che gli spuntar fuora de le brache, trovarei altro che le corna de le lumache: ma non è onesto.
Neanco debbo dipignerti gli atti i quali facevano mentre davano il bottaccio de l'acqua al molino; basta che scotevano il pesco a la contadina e, secondo che la tradita da la esortazion fratina ebbe a dire, che la puzza del sudiciume di che essi ulezzavano, i rotti di radici che travano, e con le coregge appresso, le fu di più noia che non furono li strazi del suo onore.
PIPPA.
Crédovelo.
NANNA.
Saziati quei contadini, che la fecero diventar botte de l'olio loro, mentre ella scarmigliata si graffiava tutta, fu lanciata drento una coperta coi manichi, e balzata dai medesimi trentunieri sì alta, che stava un terzo d'ora e ricaderci giuso, e la camiscia e i panni che nel volare suo si gavazzavano col vento, le facevano mostrare la luna al sole: e se non che la paura le mosse il corpo, onde la coperta e le mani attaccateci si invernicarono, ella si balzarebbe ancora.
PIPPA.
Balzato sia il capo a chi il consentì.
NANNA.
E perché gli pareva che il trentone l'avesse grattata e la coperta spassata, fece tòrre un fascettino di vincastri e levarla a cavallo in su le spalle d'un traferfero, il quale la teneva sì forte che aveva agio di inaspare col dimenarsi e col trar di calcio; ma ella adoperava al suo arcolaio una matassa d'accia troppo scompigliata: e perciò, dimenatasi un buon pezzo, si beccò sul culo tante vincastrate quanti dì ella si aveva fatto pregar di venire a lui; e perché non mancasse nulla a la neronaria del tristo doloroso, gli tagliò i panni intorno a la centura e lasciolla andare con la sua benedizione.
PIPPA.
Lasciato sia egli a discrezion del maglio, quando il manigoldo l'alza per mozzare il collo a chi il merita meno.
NANNA.
Si disse, e fu vero, che mentre ella andando volse coprirsi la vergogna con mano, che uno sciamo di api l'entrar fra le cosce, credendosi che ivi fosse la fabrica loro.
PIPPA.
To' su il resto.
NANNA.
Sono schiava a una giovane de le scaltrite puttane di Roma, la quale fu alettata da trecento ducati lasciati a lei in un testamento fatto da uno che ne moriva.
Ella si accorse come egli fingeva di star malissimo, e che il testamento, il qual cantava dei trecento, era per farla correre e per darle a vedere che pur poteva sperare secondandolo.
Sai tu ciò che ella fece?
PIPPA.
Io non lo so, ma vorrei ben saperlo.
NANNA.
Gli diede un bocconcillo di tosco e mandollo al palegro: e così il testamento sborsò i contanti.
PIPPA.
Io vo' dir la corona per lei; e voglio, per mezzo dei miei paternostri, che Domeneddio da Imola lasci stare il fiorir de le zucche, perdonandole un così galante peccato.
NANNA.
Ma uno spino non fa siepe, né una spiga manna: e se quella seppe le sue, questa drizzò i papaveri nei gambi; e avendo a torto e a peccato ricevuto un fresciaccio dal suo amante più cotto che crudo, un fresciaccio di sette punti, per parecchi lagrimucce che egli gittò e per non so quanti sospiri, sotto la fede dei falsissimi giuramenti, avendo ancora la fascia al viso, non pur consentì a non gli voler male, ma si ridiede a dormir con seco quasi ogni notte; e quando si credeva di avere in ristoro del danno qualche gran presente da lui, si trovò una mattina peggio che la buona memoria di don Falcuccio: egli le nettò suso fino a un ditale di ariento, e lasciolla a darsi tanti pugna nel petto e tante pelature di capegli, che più non se ne danno le figliuole nel serrar gli occhi de la madre.
PIPPA.
Diàcene, che io non sappi uscir del buio, andandomi voi inanzi con il doppiere acceso?
NANNA.
Pippa, ricorditi egli quando tu solevi levarti a pisciare mentre io dormiva?
PIPPA.
Sì, madonna sì.
NANNA.
Non sai tu che, nel voler ricolcarti, il più de le volte non ritrovavi il letto, e più andavi a tastoni, più ti perdevi, né mai ti ci saresti imbattuta se non mi avessi desta?
PIPPA Vero è.
NANNA.
E perciò, se fin ne le cose minime non puoi far senza me, fà anco che ne le grandi io ti sia a candellieri, e in ogni tuo andare ricorditi di me, odi me, ubisci me e tienti a me: e non dubitare, se lo fai, dei giganti, non che dei nani.
E certamente bisogna stare in cervellissimo, perché noi siamo come giocatori: i quali, se si vestano del carteggiare e del dadeggiare, non se ne calzano; e sia pur qual puttana si voglia, e ricca e favorita e bella, che tutto si assimiglia a un cardinale vecchio cascato, il quale non è papa perché la morte gli dà la sua boce.
PIPPA Voi favellate cupamente.
NANNA.
Io esco dei solchi per volergli far troppo diritti: e questo interviene anco a coloro che acoppiano le parolette come si acoppiano l'uve duràcini.
Io vorrei tirarti a credere che la più felice e la più contenta puttana è infelice e scontenta: lascia pur treccolare a chi treccola e ciarlare a chi ciarla, che ella è così.
Soleva dire lo scalco di Malfetta che la felicità e la contentezza d'una puttana erano sirocchie carnali de le speranze di quel cortigiano il quale tiene in mano lo avviso del tale che si more: e poi guarisce appunto in quello che ha ottenuto i suoi benefizi.
Ma dicanmi, quelle che se ne fanno belle: è felice una la quale, come ti ho narrato, se sta, se va, se dorme e se mangia, bisogna, o voglia o non voglia, che segga con l'altrui chiappe, vada con gli altrui piei, dorme con gli altrui occhi e mangi con l'altrui bocca? è contenta colei, la quale mostrano tutti i diti per bagascia e per femina del popolo?
PIPPA.
O è femina del popolo ogni puttana?
NANNA.
Sì.
PIPPA.
Come sì?
NANNA.
Ognun che spende da contentarsene, dee montar suso, sia pur ricco in fondo e pelacane e plebeo a sua posta: perché i ducati tanto lucano ne le palme dei famigli quanto dei padroni, e sì come gli scudi d'uno acquaruolo, rimescolati con quei d'un caca-spezie, son de la medesima valuta, e chi gli piglia non vantaggia questi da quelli, così, essendoci la pecunia, tanto si dee aprir al re quanto al servo.
Per la qual cosa ogni puttana che vuol denari, e non ispade e bastoni, è pasto del popolo.
PIPPA.
Non si pò dir meglio.
NANNA.
Dimandinsi i pergami, non pure i predicatori, se noi siamo felici e contente.
Eglino si recano lassuso, e dannoci drento: "Ahi! scelerate concubine del cento-paia, spose dei foletti, sorelle di Lucifero, vergogna del mondo, vitupero del sesso de lo in mulieribus: i dragoni de lo inferno vi divoraranno l'anima, ve l'abbrusciaranno, le caldaie del zolfo bollente vi aspettano, gli spedoni infocati vi chiamano; i graffi dei demoni vi squartaranno, voi sarete carne degli uncini loro, e sarete scudisciate dai serpi: in eternum, in eternum".
Ecco poi il confessore: "Ite in igne, in igne dico, ribaldacce, valige da peccati, rovinatrici di uomini, maliarde, streghe, fatucchiaie, spie del diavolo, luponacce"; e non ci vogliono pure udire, non che assolverci.
E venendo la stomana santa, i Giudei, i quali conficcarono in croce il nostro Signore, son meglio visti di noi; e la coscienzia ci rimorde, e dicici "Andatevi a sotterrare in un monte di litame, e non comparite fra i Cristiani".
E perché siamo condotte a sì rio partito? Per amor degli uomini, per sodisfare a loro, e perché ci hanno così fatte.
PIPPA.
Perché non si grida agli uomini come a noi altre?
NANNA.
Questo voleva dire io: doverebbe la paternità de la Reverenzia di messer lo predicatore voltarsi a le loro Signorie, dicendogli: "O voi, o spiriti tentennini, perché sforzate, perché contaminate, perché piegate le donne puracce, le donne lascele-stare, le donne balocche? e se pur le colcate donde vi pare, a che fine svaligiarle? a che proposito sfregiarle? e a che far bandirle?".
Il frataccio doveria far sì, che quei serpenti, quelle caldaie, quelli spedoni, quelle fruste di bisce, e i graffi, gli uncini e i satanassi si spedissero inverso le lor magagne.
PIPPA.
Forse lo faranno.
NANNA.
Non ci pensare, non te lo credere, non ci far disegno; perché tristo a chi manco ci può: e perciò gli uomini son grattati non isgridati, dai frati.
Ora al farci pagare da chi ci trassina per in giù e per in sù.
PIPPA.
Mi par che me ne abbiate favellato.
NANNA.
Non è vero; e poi le imbasciate che importano si replicano due e tre volte.
Pippa, io vorrei saper da quelli belli-in-banca, i quali ci apongano solo perché cerchiamo il nostro utile facendoci pagare dei servigi che facciamo a chi ci comanda, per che conto, per qual ragione aviamo a servire altrui per i loro begli occhi.
Ecco il barbiere ti lava e rade: e perché? per i tuoi denari; i zappatori non ficcarebbono zappa in vigna, né i sarti ago in calza, se i quattrini non gli balzassero nei borselli; amàlati e non pagare, e vedrai il medico doman da sera; togli una fante e non le dar salario, e farai tu l'ufficio suo; và per la insalata, và per le ramolacce, và per l'olio, và per la salina, và per ciò che tu vuoi senza denari, e tornarai senza: si paga la confessione, la perdonanza...
PIPPA.
Non si paga più, fermatevi.
NANNA.
Che ne sai tu?
PIPPA.
Me lo ha detto il penetenzieri quando mi diede con la bacchetta in sul capo.
NANNA.
Può esser; ma pon mente al prete, o a chi ti ha confessato: quando non gli porge, vederai i bel viso che ti fa.
Ma sia che vuole, le messe si pagano; e chi non vuole esser sepellito nel cemiterio o longo le mura, paghi il chirieleisonne, il porta inferi e il requiem eternam.
Non te ne vo' dir più: le prigioni di Corte Savella, di Torre di Nona e di Campidoglio ti tengano rinchiusi e stretti, e poi vogliano essere strapagate.
Infino al boia tocca i tre e quattro ducati per i colli che attacca e per i capi che mozza: né faria un segno ne le fronti ladre, né tagliaria un naso ghiotto, né uno orecchio traditore, se il senatore o il governatore, il podestà e il capitano non gli desse il suo dovere.
Vattene a la beccaria e abbi quattro onciarelle di pecora più: e se ti son lasciate se non ci aggiugni il danaio, di che io non sia dessa.
E infino ai pretacchioni che benediscano l'uova tolgano la rata loro.
Sì che, se ti par lecito di dar tutto il tuo corpo e tutte le tua membra, tutti i tuoi sentimenti per un "gran mercé madonna", fà tu; e se ai mercatanti, i quali non guardano niuno in viso se non ne cavano usura, ti vuoi dare in dono, datti.
PIPPA.
Non io che non voglio.
NANNA.
E perciò intendimi bene; e intesa che tu mi hai, mette in opra i miei avvisi: e se lo fai, gli uomini non saperanno guardarsi da te, e tu ti saprai guardar da loro.
Lasciagli pure civettare da le finestre de le camere rispondenti in quelle de la tua, con le collane in mano, coi zibellini, con le perle, con le borse piene, facendo sonare i doppioni che vi son drento col percuoterle con la mano.
Baie, cacabaldole, arzigoghelarie e giuochi da puttini sono cotali zimbellamenti; anzi arti per dileggiar coloro che ci porgano l'occhio: e tosto che si avveggano che ci fai l'amore credendoti che te le voglia donare, ti squadra le fica dicendo: "Togli queste, carogna, scrofa, cioncola".
PIPPA.
Se mi fanno di cotali cilecche, le vendette non si lasciaranno a fare ai miei figliuoli.
NANNA.
Pàgati ancora dei pignatti e dei pentolini di pece che ti avventano a le finestre per ardertele e per isconguazzartele, con la giunta dei panni incerati coi quali ti disgàngarono la porta rivoltandola col capo in giuso.
E per condir ben la fava menata, ci vogliono essere i rimori, i gridi, i fischi, le baiacce, le villanie, le coregge, i rotti, le bravate che usano per destatoio quando dormi ed eglino ti fanno la processione intorno a la casa, bandendo i tuoi difetti ne la forgia che si doverebbono arcibandire i loro.
PIPPA.
Che gli venga il mal del petto.
NANNA.
Uno uccel perde-il-giorno trovò una solenne fantasia, anzi la più sciocca che mai si trovasse amante bugiardo, falso e alocco.
PIPPA.
Che fantasia fu la sua?
NANNA.
Per parere di vivere in isperanza de l'ottenere la donna de l'amor suo, e perché ella intendendolo cominciasse a far pensiero di contentarlo, si vestì tutto tutto di verde: la berretta verde, la cappa, il saio, le calze, il fodero, il puntale, il manico de la spada, la cintura, la camiscia, le scarpe; e fino al capo e a la barba pare a me che si facesse far verde: il pennacchio, la impresa, i puntali, le stringhe, il giubbone e tutto.
PIPPA.
Che erbolata!
NANNA.
Ah! ah! ah! Egli non mangiava se non cose verdi: zucche, cidriuoli, melloni, minuto, cavolo, lattuche, borace, mandorline fresche e ceci; e perché il vino paresse verde, lo poneva in un bicchiere di vetro verde; e mangiando geladia succhiava solamente le frondi del lauro intermesseci drento; faceva fare il pane di ramerino pesto con l'olio, perché tenesse di lega verde; sedeva su gli scanni verdi, dormiva in un letto verde, e sempre ragionava di erbe, di prati, di giardini e di primavere.
Se cantava, non si udiva se non speranza inalborata nei campi da metere; e ingioncava i versetti con le pergole, con le pimpinelle e con le caccialepri; e mandando lettere a la diva, le scriveva in fogli verdi: e credo che il suo andar del corpo fosse verde non altrimenti che la sua cera e la sua orina.
PIPPA.
Che matto spacciato.
NANNA.
Matta spacciata era colei la qual si credeva ciò farsi per le sue divinitadi, e non per le cattivanze sue.
Vuoi tu altro, che egli finse tanto la speranza e tanto la predicò, che la buonaccia, la quale non la voleva far mentitrice, ci si lasciò còrre, parendole che il trovato del verde fosse a le sue bellezze un bel che: e il merito che le ne rendette il verderame fu il lasciarla svaligiata de la coltrice del letto.
PIPPA.
Ghiotto da forche.
NANNA.
Una certa monna Quinimina sgraziatella, a la quale la natura aveva dato un pochetto di viso e un poco di bella persona per farla fiaccare il collo e per più suo disfacimento, a l'usanza di colui che sa tanto giocacchiare che gli basta a perdere, sapeva tanto di lettera che intese una lettera mandatale da un ciarlone.
O Domenedio, dove diavolo si trova egli che Cupido colga la gente al buio? e come è possibile che un cacasi-sotto tiri l'arco e ferisca i cori? Egli ferisce il gavocciolo che venga a noi femine, da che diam fede a le ceretanarie, credendoci avere gli occhi di sole, la testa d'oro, le gote di grana, i labbri di rubini, i denti di perle, l'aria serena, la bocca divina e la lingua angelica: lasciandoci accecare da le lettere che ci mandano i gabba-donne nel modo che si lasciò gabbare la sfatata che ti dico.
Ella, per dar da favellare a la brigata del suo saper leggere, ogni volta che poteva furare il tempo, si piantava in su la finestra con il libro in mano: onde la vidde un gracchia-in-rima, e avvisandosi che potria esser molto bene che per via di qualche cantafavola scritta d'oro gnele accoccaria, tinse un foglio con il sugo di viole a ciocche, di quelle vermiglie, e intignendo la penna nel latte di fico, scrisse come ella faceva disperare con le sue bellezze quelle degli angeli, e che l'oro toglieva il lustro dai suoi capelli, e la primavera i fiori da le sue gote, facendole anco stracredere che il latte si fosse imbucatato nel candido del suo seno e de le sue mani.
Ora stimalo tu se ella peccò in vanagloria udendosi millantare.
PIPPA.
Balorda.
NANNA.
Quando ella ebbe finita di leggere la sua disfazione, da la quale si senti dar più lalde che non si dà al laudamus, si rintenerì tutta quanta, e vedendosi scongiurare de la risposta, si gittò ne le braccia di quel "solo e segreto", il quale gli ingannatori fanno ne le lor dicerie a lettere di scatole, acciò che noi gli porgiam l'occhio al primo; e ordinato il suo venire il terzo dì, perché in quella ora il suo marito andava a la villa, si stava spettando il tempo.
PIPPA.
Ella aveva marito, che?
NANNA.
Sì, in malora.
PIPPA.
E in mal punto.
NANNA.
Avuto che ebbe il messer fa-sonetti il sì, trovò non so quanti sconquazza-carte e stiracchia-canzone, dicendo: "Io vo' fare la serenata a un puttanino maritato, assai gentil cosetta, la quale gualcarò tosto tosto; e che sia il vero, eccovi qui la posta manu propria".
E mostrategli alcune righe scrittegli da lei, se ne risero un pezzo insieme; poi, tolto un liuto, accordandolo in un soffio, stroncò una calata assai contadinescamente; e doppo uno "ah! ah! ah!" a la sgangarata, si messe sotto la finestra de la camera de l'amica, la quale rispondeva in un borghicciuolo dove passava una persona l'anno; e appoggiato con le rene al muro, adattatosi lo stormento al petto, porse il viso in alto; e mentre ella balenava lassuso, biscantò questo cotale:
Per tutto l'or del mondo,
donna, in lodarvi non direi menzogna,
perché a me e a voi farei vergogna.
Per Dio che non direi
che in bocca abbiate odor d'Indi o Sabei,
né che i vostri capelli
de l'oro sien più belli,
né che negli occhi vostri alberghi Amore,
né che da quelli il sol toglie splendore,
né che le labbra e i denti
sien bianche perle e bei rubini ardenti,
né che i vostri costumi
faccino nel bordello andare i fiumi:
io dirò ben che buona robba sète,
più che donna che sia;
e che tal grazia avete
che, a farvelo, un romito scapparia.
Ma non vo' dir che voi siate divina,
non pisciando acqua lanfa per orina.
PIPPA.
Io per me gli arei gittato il mortaio in capo, gliene arei gittato per certo.
NANNA.
Ella, che non è cruda, come non sarai anche tu, se ne tenne ben bona e ben grande; e non pur aspettò il dileguarsi del marito: ma il dì seguente se ne fuggì con seco in casa d'un fornaio amico del frappatoraccio, al quale diede in serbo una cosa da cinger donne.
Come il messere vidde la cintura, disse infra sé: "Gli ambracani saranno buoni per farmene una maniglia al braccio, e le galluzze d'oro per empirmi la borsa"; e questo dicendo, se ne andò a la zecca, e trasformò il metallo senza conio in metallo coniato: .XXXVII.
ducati larghi ebbe dei paternostri che tramezzavano l'ambragatta, i quali giocò allora allora.
E venendosene senza essi a casa del fornaio, entrato in una di quelle rabbie che entrano ne la testa di coloro che son rimasti in asso bontà de l'asso, colta a la fegatella la cagion del petorsello (o "prezzemolo" che lo chiamino le savie sibille), la ruppe tutta col bastone, e poi con una precissione di pugni la sospinse giù per la scala.
PIPPA.
Buon pro.
NANNA.
Ora ella se ne stette in una stanzetta di non so qual lavandaia una notte senza dormire oncia; onde ebbe agio di pensare a la vendetta: e ci pensò nel modo che io ti dirò.
La cinta guasta da la mala persona, fu trafugata dal suo uomo di quella casa, là dal cardinal de la Valle, la quale arse non è troppo: ed ella gliene robbò fuora d'un cofano.
Ora, vedendosene rimasta senza, per vendicarsi contra colui che la pestò ben bene, non pensando a quello che ne potesse riuscire, andò al padrone de la casa abbrusciata, e gli disse come il tale aveva la sua cintola.
Il gentiluomo, saputo il tutto, fece dar di grappo a chi gliene imbolò, e credendosi il capitano di Corte Savella per cotale indizio, che egli avesse furate de l'altre zaccare, gli diede parecchi strappate di fune.
E così la pecorella con danno vergogna sua e del marito si rimase; e quello che l'aveva trattata a suo modo, se ne uscì per il rotto de la cuffia.
PIPPA.
Ben gli sta a chi ci si lascia còrre.
NANNA.
Ma io fino a qui ti ho mostro gli acini del pepe, del panico, de l'agresto, del grano e de le melagrane; ma ora ti spiego le lenzuola per in giù e per in su: e con una sola, ne la quale non è borra, ti mando a spasso.
E perciò ascoltami: e se puoi astenerti di piagnere, astientene.
PIPPA.
Che, sarà qualche donna ingrossata e poi cacciata a le forche?
NANNA.
Peggio.
PIPPA.
Qualcuna tolta a la mamma e al babbo, e poi bastonata e abandonata nel mezzo de la via?
NANNA.
Peggio che sfregiata, mozzole il naso, lasciata in camiscia, svergognata, franciosata e mal concia più che si possa.
PIPPA.
Dio aiutici tu.
NANNA.
Così va chi s'infregia a credenza.
PIPPA.
Certo la cosa dee venire dai poeti, ai quali volete che io apra e me gli tiri a dosso.
NANNA.
Cotesto non ti ho detto io; io voglio che gli accarezzi senza dargnele mai fetta: e questo si fa perché non ti dileggino con la baia de le lor laude, e acciò che, beffeggiandoti con la poltroneria del biasimo, non paia che dichino a te.
PIPPA.
Così ci si pò stare.
NANNA.
Io non mi ricordo di quello che io ti voleva dire.
PIPPA.
Né io.
NANNA.
E perciò non mi romper la favella in bocca.
PIPPA.
Bisogna pure che io badi al fatto mio.
NANNA.
Io l'ho atinta: un re! Un re, e non un dottoruccio, né un capo di squadra, un re ti dico: costui, con un mondo di gente a piedi e a cavallo, se ne andò a campo nel paese d'uno altro re suo nimico; e saccomannatolo, arsolo e disfattolo, si pose intorno a una grama città, dove colui che nol poté mai placare per via di accordo niuno, con la moglie e con una sola figliuola che aveva, s'era fuggito.
Ora, durante la guerra, il re che voleva pigliar la città si poteva dibattere: perché era sì forte che il signor Giovanni di Medici, iddio Marte, non l'averebbe presa, sbombarda, scoppietta, archibusa quanto sai.
Ma che accasca? Il re che la combatteva faceva cose di fuoco ne le scaramucce: a chi fendeva il capo, a chi spiccava un braccio, a chi mozzava una mano, e chi gittava, d'uno incontro di lancia, in alto un miglio; di modo che amici e nimici ne avevano che dire.
Onde la fama prosuntuosa, fattasegli guida, menatolo pel campo trionfalmente, se ne andò drento; e trovò la figliuola del re sventurato, e le dice: "Viene in su le mura, e vederai il più bello, il più valente e il più bene armato giovane che nascesse mai".
Appena gnele disse, che ella ci corse sopra: e conosciutolo a le penne terribili che svolazzavano in sul cimiere e a le sopraveste di tela d'ariento le quali abagliavano i razzi del sole mentre lo splendor suo ci feriva drento, uscì di se stessa; e vagheggiandogli il cavallo, l'armadure e i gesti, eccolo fino in su le porte: e nel brandire la spada per uccidere un soldato che gli arancava inanzi, si ruppe la coreggia de l'elmo e sbalzogli fuor di capo.
Per la qual cosa ella vidde quella faccia di rose, fatte tutte vermiglie nel combattere: e il sudore che ci spruzzava la fatica, simigliava la rugiada che le bagna quando l'alba incomincia ' aprirle.
PIPPA.
Scortiamola.
NANNA.
Ella se ne infiammò così fattamente, che ne divenne cieca; e senza più curarsi di quel che avesse fatto o volesse fare al padre, più lo amava che egli non odiava chi la ingenerò: meschina, che sapeva pure che tutto quel che luce non è oro.
Come si fosse, amor la fece si animosa, che una notte aprì lo sportello segreto del suo palagio; il quale sportello era fatto per i bisogni dei tempi, e potevasi andare e venire senza esser veduto: ella che aveva le chiave di cotale uscietto, sbucò fuora e sola sola si condusse dinanzi a lo ingordo del sangue suo.
PIPPA.
Come trovò ella la via al buio?
NANNA.
Dicano che il fuoco del suo core le fece lume.
PIPPA.
Ti so dire che ella ardeva come si dee.
NANNA.
Ella ardeva di sorte che, senza altro rispetto, non pur si diede a conoscere al perfido e disleale, ma giacque con lui, lasciandosi sciloppare dal suo dire: "Ecco, signora, io vi accetto per moglie, e voglio per mio socero e signore il padre vostro: con questo patto, che a me che, non per nimicizia, ma per brama di gloria, guerreggio con sua Maestade; apriate le porte de la città; e subito che arò vinto il tutto, gli farò dono d'ogni mia vittoria e del mio reame ancora".
PIPPA.
Come ella svolse lui, ed egli lei, sarebbe stupendo a udirlo da lor medesimi.
NANNA.
Pènsate che ella, avvertita, consigliata e mossa da lo amore, formò, ritenne e disse tutto quello che le concesse formare, ritenere e dire; e si dee stimar che paresse non fanciulla inesperta e vile, ma donna cauta e ardita: usando ogni parola che rintenerisce i cori gentili, mescolando tra i detti alcune di quelle lagrime e alcuni di quei sospiri asinghiozzati e di quelle accoratagini per il mezzo de le quali si ottiene ciò che si desidera.
E si dee anco credere che l'amico, pietoso di fuora e di drento crudele, il quale tanto more quanto vive suo padre, inzuccarasse la chiacchiara: e con giuramenti e con promessioni la conducesse a spalancargli quelle porte che la scempia gli spalancò.
Onde il traditore la prima cosa prese il vecchio e la vecchia del quale seme ella nacque, scannando l'una e l'altro in sua presenzia.
PIPPA.
E non morì?
NANNA.
Non si mor di doglia.
PIPPA.
Avemaria.
NANNA.
Morti loro, cacciò fuoco a le case, a le chiese, ai palagi e a le botteghe; e parte del popolo lasciò abbrusciare, e parte mandò a fil di spade: non facendo differenzia da piccini a grandi, né da maschi a femine.
PIPPA.
Ed ella non si impiccava?
NANNA.
Non ti dico io che amore l'aveva accecata e tolta di sé per ogni verso? e perciò come insensata ferneticava nei lamenti: e ogni volta che ella affiggeva gli occhi al suo più nimico che marito, non altrimenti che gli avesse obligo lo contemplava.
PIPPA.
La sua era pazzia e non amore.
NANNA.
Dio ne guardi i cani, Pippa, Dio ne scampi i Mori da così fatti casi; certissimamente amore è una bestial novella: e credilo a chi lo ha provato, credilo figliuola; amore, ah? Io per me vorrei prima morire che stare un mese nel tormento d'uno il quale non ha più speranza di riavere la donna che egli adora.
Febbre a suo modo, il non si trovare un soldo, non è nulla; nimicizia, ciance: crudeltà si può chiamare quella d'un che amando non dorme, non bee, non mangia, non sta fermo, non siede e con la fantasia sempre fitta a lei, si stracca in pensare come i suoi pensieri non si straccano nel pensamento.
PIPPA.
E pure ognuno si innamora.
NANNA.
È vero; ma ne cavano quel viso che, del puttanare, le mandre, gli stuoli e la infinità de le furiose.
E sì come de le cento le novantanove puttane son di prospettiva (diceva Romanello), e il puttanesimo tutto insieme simiglia una speziaria fallita in segreto, la quale ha le sue cassette a l'ordine, i suoi vaselli in fila, con le lettere che dicano "treggea", "anisi" "mandorle confette", "noci conce", "pepe sodo" "zafferano", "pinocchiati"; aprendo poi quelle e questi non ci è drento covelle: perché le catenuzze, i ventaglini, gli anelletti, le vesticciuole e i cuffioni de le più profumate, sono le scritte dei vaselli e de le cassette vote che io ti dico.
Così, per uno innamorato che riesca a bene de lo innamoramento, ce ne son millanta che ci si disperano.
PIPPA.
Tornate ormai a la leggenda, se non volete che si dica che la vostra accia sia liccio.
NANNA.
Non si dirà miga: perché le donne son donne, e quando contrafanno la lor naturalità, ponno dire a chi le riprende: "Voi ve lo beccate".
Orsù, la tradita fanciulla se ne va con colui che ha spianato il suo paese e ucciso il padre e la madre sua; e andandosene con seco, ecco venir il tempo che ella, gravida di lui, vuol partorire: intendendolo il dispietato comandò che fosse gittata ignuda sopra una siepe di spine, acciò che le lor punte stracciassero lei e il suo parto.
Oimè che ella, assicurata ne la disperazione, si spogliò da se stessa, con dire: "O ingrato, è questa la mercé de la mia fede? pàrti che una reina meriti così fatta morte? u' si udì mai che il padre ammazzassi il figliuolo prima che peccasse e che nascesse?".
PIPPA.
Misericordia.
NANNA.
Dicendo ella tai parole, le spine, rintenerite per ciò, le fecero luogo: onde l'erbe verdi e fresche, cresciute sotto le spini, la riceverono in grembo; nel quale fece un bambino che aveva tutte le fattezze di chi lo acquistò.
In questo eccoti un servo con viso di demonio che piglia la creatura pel braccio e dice: "Il re mio vuole che io l'uccida, acciò che finisca in un tratto il suo odio, la tua vita e il seme vile"; ciò ditto, il coltello che mi passò il core aperse le membra non rassodate ancora; e lo spiritello il qual vidde prima il Cielo che il sole, sciolse lo stame del vivere appunto nel far del nodo.
E questa è la morte più dolce che la vita: il morire quando altri non sa ciò che si sia vita, è simile a la beatitudine dei santi.
PIPPA.
Ve lo credo; ma chi sopporta così crude crudeltà?
NANNA.
Doppo questo ella fu rivestita, e nel volere sfogarsi col piagnere, ecco in un bacin d'oro il laccio, il veleno e il pugnale.
Quando la sciagurata ode dirsi "Eleggi uno di questi fini, i quali per tre vie ti traranno di impaccio l'anima e il corpo", non si sbigottendo e non si movendo, preso la corda, il tosco e il coltello, isforzossi di tòrsi la vita con tre morti in un tratto: e non potendo, si dolse del Cielo il quale non consenti che in un tempo potesse e impiccarsi e avelenarsi e ferirsi.
PIPPA.
O Iddio mio.
NANNA.
Ella si cinse il collo con la fune: e attaccatela, si gittò giuso, e quella si ruppe, e non poté morire; bevve l'arsenico, e non l'offese: perché, sendo bambina, suo padre le aveva dato i ripari contra il tosco; e pigliando il pugnale, alzò il braccio per trapassarsi il core: e in quello che volse ficcarci la punta, Amore entrato tra il ferro e il seno, gli mostrò il ritratto del suo idolo falso, il quale aveva di varia seta ricamato nel petto; onde le cadde il colpo di mano, avendo più riguardo a la sua imagine dipinta che egli non aveva a la sua vita.
PIPPA.
Mai più non si udì cose sì stranie.
NANNA.
Né ti credere che egli, che per esser lei del sangue del suo nimico la odiava più che la morte, per la pietà mostrata inverso la sua effigie diventassi compassionevole; anzi la fece avventare nel mare vicino: e le sue dee la riportarono a la riva sana e salva.
PIPPA.
Voglio accendere a le dee che dite due candele.
NANNA.
Come il serpente la vidde su la riva, chiamò uno uomo terribile e disse: "Isfodera cotesta spada e mozzale il collo"; egli è ubidito: la spada è in aria, la piomba giuso, e la nostra Donna l'aiuta.
PIPPA.
Come?
NANNA.
Col far che la colga di piatto.
PIPPA.
Lodato sia Iddio.
NANNA.
La non finisce qui: anzi il crudelaccio fece appicciare un gran fuoco e trarvela drento per forza: ma non abbrusciò, perché in quello che ella ci fu per cader sopra, il cielo che ne ebbe misericordia, oscuratosi in un tratto, versò tanta acqua che aria spento le fornaci de lo inferno, non che un capannello di scope e di frasconi.
PIPPA.
Ciel da bene, ciel pietoso.
NANNA.
Tosto che la fiamma, che si voleva col fume levare in alto, fu spenta, il popolo disse col grido: "Deh! signore, non volete quel che non vuole chi sta colassuso; deh! perdonate a la inocente, la quale pur troppo vi ama: e il suo troppo amarvi vi ha fatto vendicare e vincere".
PIPPA.
E non si piegava a simili prieghi?
NANNA.
Piegansi gli immetriati ai bisogni dei vertudiosi?
PIPPA.
Pacienzia.
NANNA.
Tolta del luogo spento dal piovere, a onta di coloro che pregavano per lei, fu messa dove si stava rinchiuso un lione: e fu pure il vero che egli appena la fiutò, e lo fece per aver rispetto a la nobiltà sua, e anco per non degnarsi con donna sì misera.
PIPPA.
Dio gli faccia di bene.
NANNA.
Hai tu mai visto uno cane arrabbiato, il qual morde fino a le sue zampe?
PIPPA.
Sì ho.
NANNA.
Se tu l'ha visto, vedi il diavolo incarnato manicarsi le mani per la disperazione del non poter saziarsi de la morte sua: egli la prese per le trecce e strascinolla in un fondo di torre, e la fece stare ivi otto dì senza voler che niuno le desse mangiar né bere: ma ella mangiò e bevve a suo marcio dispetto.
PIPPA.
A che modo?
NANNA.
Dimandane il duolo e il pianto suo, i quali ti diranno in che modo gli diventarono pane e vino.
Ora, aperta la prigione e ritrovatasi viva, il mastino rinegato ne diede col capo per tutti i muri; e poi che se l'ebbe rotto in dispregio di se stesso, la legò di sua mano al busto d'uno albero, e la fece saettare con gli archi.
Ma chi crederà che il vento, per la compassione che ne aveva, alontanava i colpi da lei, e dividendo il nuvolo de le frecce, la metà ne cadeva di qua e la metà di là?
PIPPA.
Vento gentile.
NANNA.
Ora ne viene la crudeltà: perché egli, gonfiato di quel tosco che gonfia colui il qual non pò sfogare il fuoco che drento al petto gli ha acceso la stizza, comandò che ella fosse gittata de la più alta torre; e così fu presa e portata lassuso; ma vedendosi legar le mani, gridò: "Adunque le nate dei re hanno a morire come serve?".
La torre toccava quasi il cielo coi merli; e non era niuno dei manigoldi che l'avevano a trar giuso, che gli bastassi l'animo di mirar la gente, la quale con le ciglia tese aspettava il volo che suo malgrado doveva far colei che, in migliore stato, tutta si racapricciava guardando ogni poco di profondità.
Il sole che a quella otta luceva in tutta bellezza, per non vederla rovinare si nascose fra le nugole; ed ella, datasi a piagnere, fece con gli occhi un Tevere e uno Arno.
Ma non piagneva per la paura de lo avere a fiaccarsi e a rompersi cadendo: ella si vergognava di riscontrare lo spirito di suo padre ne l'altro mondo; e già le pareva che, in presenzia de l'anima de la madre, le dicessi: "O Cielo! o abisso! ecco colei che mi spogliò quella carne con la quale io la vestii".
PIPPA.
Io son commossa.
NANNA.
Non ti sbigottire anco.
Ella sentendosi sospignere da mano crudele, alzò la boce dicendo: "O voi che rimanete doppo me, scusatimi con chi è e con chi sarà, che io errai più d'ogni altra per amare più d'ognuna"...
Così detto, i gridi intronarono il capo a l'aria, ed ella: "Oimè Pippa! oimè figliuola! Un coltello, olà, presto, tagliatele gli aghetti, acqua da spruzzarle nel viso, aiutatemi a porla in sul letto".
A cotal rimore due fanti che aveva la Nanna, riebbero la Pippa: la quale venne meno ne lo scagliarla giù de la torre con le parole, come una che non pò sofferire il sangue uscito de le reni ai Genovesi, la notte del venardì santo, quando che drieto al crocifisso si conciano male con la disciplina.
Ma ritornata in sé, la Nanna, per non darle più alterazione, non le finì la novella contata in punta di pantufole: che ben sapeva dire, quando le toccava il grillo; e mentre faceva portare da confortarsi, ecco la Comare e la Balia che tempestano la porta a scigurtà; e aperta che fu, vennero suso; e fatte le abbracciate con lei e con la figliuola, disse la Comare: "Noi vogliamo, Nanna, domani che è mezza festa, e più tosto si guarda che no, venire a goderci il tuo orto; e ho caro che tu intenda se io metto in su la buona via la Balia, che vuol darsi al ruffianesimo".
"Appunto costì ti voleva io" rispose la Nanna, "e spiacemi fino a l'anima che non aviate sentito ciò che ieri e oggi ho racconto a Pippa mia del suo saperci esser puttana, e circa i tradimenti che a le puttane e a l'altre fanno gli uomini; e sì come io non ho pare (e nol dico per vantarmi) ne l'arte cortigianesca, così tu non hai chi ti stia a petto ne la ruffianesca: sì che venite a ogni modo, perché la mia tata, la mia putta, la mia pincina oda; e odendo impari, non a ruffianare, ma a sapersi reggere con le ruffiane".
Non si disse né rispose altro fra loro; ma vennero secondo l'ordine, e assettatesi a sedere sotto il pesco, a la Comare toccò lo stare in mezzo de la Balia e de la Nanna, e la galante Pippa al riscontro de la Comare.
In questo una pesca grossa, la quale sola era rimasa nel pesco, cadde in sul capo de la Comare; onde la Balia disse ridendo a più potere: "Tu non puoi negare che il farti dar le pesche non ti sia piaciuto"; "Cotesto no" rispose ella, "anzi in quelle poche o assai volte che mi son sute date, mi è parso andare a la giustizia; ma se i denari fanno e ponno il tutto, che miracolo se ci fanno voltare in là?".
Doppo le risa che ivi si fecero per la caduta de la pesca, la Pippa a bocca aperta si recò ad ascoltare in un modo che pareva che si volessi ber con le orecchie le parole de la Comare; le quali cominciarono...
Fine de la seconda giornata.
IN QUESTA TERZA E ULTIMA GIORNATA
DEL DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO
LA COMARE ESPONE A LA BALIA
PRESENTE LA NANNA E LA PIPPA
IL MODO PER RUFFIANARE.
COMARE.
La ruffiana e la puttana, Balia cara, sono non pur sirocchie, ma nate a un corpo: e madonna Lussuria gli è madre, e messer Bordello padre.
Così dicano le croniche, ma io credo che la ruffianaria sia figliuola de la puttanaria, o vero che la puttanaria sia uscita del ventre a la ruffianaria.
BALIA.
A che fine mi entri tu in cotal disputa?
COMARE.
Per la coscia che possa rompere chi ci ha tolto la man ritta: perché egli è forza che la ruffiana partorisse la puttana; e tientelo per certo che così è: e s'è così, non doveria patirsi che ogni puttanuzza fecciosa ci sedesse di sopra ne le feste.
BALIA.
O bene.
COMARE.
Mi stupisco pensando che Salamone non beccasse di così fatte sottigliezze.
Or lasciamo andare, e contentiamoci de la nostra arte, la quale ti farà rinascere nel raccontartela io, e a tempo e a luogo ti farò vedere come la puttana ci rende il nostro onore non se ne avvedendo: e fino ai signori lo confessano con il metterci, quando ci favellano in segreto, a destram patribus.
Attendimi pure, e poi mi parla.
BALIA.
Eccomi in attezione.
COMARE.
Balia, io son più che certa di quel che la Nanna qui può avere insegnato a la Pippa, e so che il puttanare non è traffico da ognuno; e perciò il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga benefiziata, ce ne son mille de le bianche.
Nientedimeno il ruffianare è di più acutezza.
Non nego che il diseperarsi da sieme non sia uno di quelli impacci che hanno le mani mentre, nel volersi lavare da se stesse, si danno l'acqua da lor medesime: ma la ruffiana pesca più a fondo de la puttana; e non ci si torca il muso, che tanto è.
BALIA.
Chi ce lo torce?
COMARE.
Che so io?
BALIA.
Par bene a me.
COMARE.
Guarda a una ruffiana riputata bontà de le sue vertù e vedrai un medico dei più famosi del mondo: stammi pure a udire, se vuoi che io ti imbocchi la mia sapienzia.
Ecco là un medico savio ne lo andare, saputo ne lo stare: parla per lettera, scrive per ricette e fa ogni cosa per punti di seste; onde la brigata corre a lui come corre a me la gente, la quale mi conosce per astuta, per sufficiente e per maestra.
Un medico va con scigurtà per tutte le case, e una ruffiana che ci sa essere fa il simigliante; un medico conosce le complessioni, i polsi, i difetti, e collere e le malatie di questo e di quello: e la ruffiana i fernetichi, gli umori, le nature e le magagne di chi si voglia; il medico ripara al mal del fegato, del polmone, del petto e del fianco: e la ruffiana al mal de la gelosia, del martello, de la rabbia e del core de le donne e degli uomini.
Il medico conforta, e la ruffiana consola il medico sana, e la ruffiana con il menar l'amica a letto fa il medesimo.
La cera lieta del medico rallegra lo ammalato, e la faccia balda de la ruffiana ravviva lo amante e tanto più merita la ruffiana del medico, quanto son più pazzi e più indiavolati i mali d'amore che quelli del madrone.
Il medico tocca tuttavia denar nuovi, e la ruffiana ancora, e buon per chi si ammala, se il medico vedesse ne la orina quel che vede la ruffiana nel viso di coloro che vengano a lei per aiuto e per consiglio.
E sì come il medico vuole essere motteggero, parlante e pieno di facezie, così la ruffiana non vale se non ha sempre in punto cento novellette.
Il medico sa promettere di sanare chi si more de l'altro dì, e la ruffiana pone in isperanza colui il qual s'impicca.
BALIA.
Non se ne perde una.
COMARE.
Il medico ha di più sorte robe: e queste porta le pasque quelle i di santi, altre i giorni solenni e altre le domeniche, e la ruffiana muta abito secondo non i tempi, ma secondo le persone con le quali si abocca per condurle a chi le spetta.
Caso che io vada a parlare a una gentildonna o a una cortigiana ricca, mi vesto da poverina, per muoverla prima a compassione de la miseria mia e poi d'altrui, a le basse di condizione e di robba comparisco inanzi addobbata in su le forge, e ciò faccio per dar credito a me e speranza a loro.
BALIA.
Come speranza a loro?
COMARE.
Speranza di arricchirsi, parendole io ricca, con i partiti che io gli pongo in mano.
BALIA.
Bisogna nascerci.
COMARE.
E per tornare a dirti, il medico ha in camera polvere acque, lattovari, erbe, radici bossoletti, scatolini, lambicchi, campane, caldaie e simili ciabattarie; e la ruffiana non pure ha di cotali bazzicature, ma fino agli spiriti costretti da la bugia che le fa giurare di averlo in una verghetta.
Il medico, con le sue medicine, cava il tristo e il buono di corpo a lo infermo e la ruffiana, con le sue salle-fare, cava de le scarselle i ducati e i piccioli.
Il medico vuole esser di mezza età per esser creduto e la ruffiana di mezzo tempo perché se le dia fede.
Ma usciamo al discoperto, e veniamo a lo introibo; e mentre ti discorro gli andamenti ruffianeschi, carpiscigli su: e impara, dai modi che io ho tenuti, i modi che tu hai a tenere.
BALIA.
S'io gli impararò, ah?
COMARE.
Fra l'altre che io ne ho fatte e farò (pur sanità), te ne vo' dir una de le fini.
Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque chiese per mattina, rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di orate fratres, là un gocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di non sum dignus, e altrove un bocconcino di erat verbum, e squadrando sempre questo e quella, e quello e questa, appostol un bel pezzo di polito uomo: una di quelle persone le quali prima lascerebbono il mangiare e il dormire che alcune feste senza vigilia, come saria a dire San Giuseppe, San Girolamo, San Giobbe e San Giovanni Boccadoro.
Costui era di .XXXVI.
anni o de la via, vestito bene e onestamente; e per quello che io ritraeva da lo onore fattogli da le brigate, era dotto dotto; aveva una barba lunga, nera e lucente come uno specchio.
Né ti credere che egli gittasse via le sue parole, né i suoi sguardi: anzi, arrecatosi a canto a l'acqua santa, coi cenni del capo rispondeva ai saluti, e con alcuni sorridimenti savi; e guardando le belle, il faceva con un modo che non se ne accorgeva quasi veruno: e quando costei o colei intigneva la punta del dito ne la pila spruzzandosela nel viso, lodava la mano de la donna con certa maniera che la faceva passar oltre ghignando e porsi in luogo da poter vederlo ne l'aspetto.
Alcune volte si fermava in un piè, e con atto sodo e gentile ricoglieva i suoi ciglioni ne la sua frontona matura; e stato così un credo, rasserenava l'aria de la sua faccia con una grazia, Balia, che imbertonava fino a lo spargolo de l'acqua benedetta.
BALIA.
Me lo par vedere.
COMARE.
A costui deliberò farne una la tua Comarina: e gliene fece come io ti diraggio, suora.
Egli non usciva mai di chiesa se non la vedeva spazzata d'ogni feminuccia che vi fosse: e in San Salvadore era lo sforzo del suo stare.
Onde io lo affronto una mattina che egli aveva fatto un grande uccellare a non so chi e affrontandolo fingo di coglierlo in cambio, e con boce bassa e con volto lieto gli dico: "La Signoria vostra non si parti, perché ho pur fatto tanto che quella la vedrà e vorebbe bene essere altri che voi a mettermi a così strani pericoli".
Il valente uomo sentendomi dir così credendosi al tutto che io l'avessi fallito, come pratico non si guasta, anzi con bocca ridente mi risponde: "Voi non fate piacere a persona ingrata".
Intanto il suo core comincia a salticchiarli in seno, e quel tremare per la dolcezza del piacer che si spetta di godere, già gli impaccia la lingua, e il colore de la faccia tornatagli in un tratto bianca e rossa.
In questo io trotto a l'uscio, e affigendo il guardo in suso, veggo comparire un puttaninuzzo da venti soldi il quale, secondo la mia commessione, veniva a la chiesa.
BALIA.
Che pratica.
COMARE.
Come io lo raffiguro, accenno il messere, e gli dico con mano "Eccola"; ed egli si abellisce la barba con le fregagioni de la palma, e pavoneggiandosi tutto, acconcia la persona in su le gambe e spurgasi; e io ne lo appressarsi la ninfa a la porta gli raddoppio i cenni; e nel suo entrare in santo, gliene mostro con uno alzar di capo, e mi ritiro drento, appunto quando ella si lascia cadere il guanto: e nel voler ricoglierlo, finge una bella disavvertenza.
BALIA.
Dimmela.
COMARE.
Ella nel pigliare il guanto prese anco la veste da basso e scoprì tanto di gambettina che il falcone senza cappello le vidde la calza turchina e la pianelletta di velluto nero: di modo che la pulitezza de l'una e de l'altra lo fecero sospirar di lussuria.
Ma ecco che ella si inginocchia sopra la predella de l'altar grande, e io mi movo; e mirandomi tuttavia intorno e facendo vista di non volere esser veduta, mi accosto a lo amico, e dico pian pian piano: "Venite a darle due occhiate con destrezza intanto la sua fante farà la guardia a la porta".
BALIA.
Ah! ah!
COMARE.
Il gentiluomo mi ubidisce; e tosto che si ebbe rassettato i vestimenti in sul dosso, spiegò uno andar nuovo, il qual dava tre passi al ducato, due sputi al giulio e uno sguardo al quattrino; e dipignendosi il viso, gli occhi, le gote e la bocca de la vaghezza dei sogghigni e dei sorrisi, nel passare inanzi a lei, per poterla veder meglio si fermò alquanto: ma con una galantaria che non parse per conto di vagheggiamento; e l'amica, copertasi col ventaglio solamente la guancia manca, consentì che egli le guardasse il resto a suo piacere.
E così, andato due o tre volte in su e in giù, furò con gli occhi una particella de le sue non troppo belle bellezze; e io, recatami doppo una colonna lo chiamo col cenno, e venuto a me gli dico: "Be', che ve ne pare?"; rispose egli: "Me ne pare veramente bene, ma io non la posso né ho potuta mai vedere a mio modo"; "Orsù" gli spiano io, "io voglio che vostra Signoria la vegga, e forse tocchi, da buon senno; ed escane ciò che uscir ne vuole, che, purché vi contenti, mi basta: il suo marito è andato a la Magliana, e non tornarà fino a vespro, e perciò venitici drieto bellamente; ma avvertite che non sto più a la casa di prima, e ieri mutai massarizia: e ne lo entrare dove noi entriamo fate che non se ne accorga veruno".
Balia, a la fede bona che il gratia agamus appena mi arìa saputo ringraziare come ringraziò egli il mio dire "venitimi drieto"; e udendo quel "fate che a lo entrarmi in casa non siate veduto", dimenò il capo quasi dicesse: "Che, bisogna dir ciò a un par mio?".
BALIA.
Io veggo lui, veggo te, veggo lei e la fante sua con tutti gli andamenti.
COMARE.
Ora io esco di chiesa, e accennata madonna cattiva pessima, mi risponde col diguazzar de la testa che non vuol venire: onde io vado a lei e con le mani in croce, e col viso al cielo e col collo torto, faccio le viste di scongiurarla e di pregarla che venga; e si dee credere che il corrivo rinegasse la cresima in quel suo scontorcersi, e che il core gli morisse nel corpo come a uno al qual cade di mano una gioia che si pò rompere.
Ma riebbe il fiato nel modo che lo rià colui che, destatosi, trova bugiardo il suo sognar di capitar male, nel vederci avviare inverso casa mia; e tenendoci drieto, era cosa da ridere a vederlo porre le punte dei piedi ne l'orme le quali pensava che avessino fatte le pianelle di madonna stucca-al-primo.
BALIA.
Che pazzie.
COMARE.
Noi siamo già a casa: io apro l'uscio, e ne lo entrarvi guardo le finestre dei vicini acciò che non ci veggano, e tutta paurosa ne la apparenza, ma tutta animosa nel fregargliene, sto doppo la porta; e tiratolo drento, sospiro, tremo e mi ristringo in me stessa, con dire: "Guai a me se si sapesse, almen fossi confessata per i casi che potessero intervenire"; "Appunto" dice colui il qual si credeva sballar seta spagnuola e poi vantarsene con tutto il mondo, "non ci è pericolo: e quando ben ci fosse, chi credete voi che io sia?"; "E nol so io?", rispondo io; "E perciò state allegra".
Tu vai cercando: egli si condusse ne la mia camera seco, e olà la intentazione de la carne gli spuntava fuor de la brachetta: onde le mani prosuntuose più che quelle dei preti e dei frati, volevano far le ricercatine non pure nel petto, ma sub ombra alarum tuarum (diceva la insegna de la speziaria del Ponzetta, stitica, medicastra e tisica memoria).
In questo io, che stava a la vedetta come una spia di quelle che son cagione di far tòrre, per via de la contumazia, una stomana di tinello al povero servidore, entro drento, e ne lo entrare affiso gli occhi ne la faccia del galante signore, e allargando le braccia levo le palme in alto e grido pian pianino: "Oimè, disfatta a me, trista a me, sciagurata me; io sono spacciata, io son morta, io sono in conquasso".
Se tu hai a le volte posto mente a la gatta quando, ne lo stender la zampa per grappar qualcosa, le giugne sopra col "gatti, gatti" una bastonatina ancora, onde ella, spiccato un saltetto, si rannicchia sotto il letto, vedi lui tutto sospeso in se stesso per non intendere la cagione del mio lamento.
E io: "Adunque vostra Signoria, a me che l'ho colta in iscambio, ha usato questo termine? deesi far così a una femina? di grazia, andate dove vi piace e, andandovene, promettemi di non aprir bocca, perché, perché...", e volendo dire "sareste la mia disfazione", fingo di nol poter dire bontà del pianto che io seppi farmi scoppiar dagli occhi.
BALIA.
Tristo a chi non ne sa.
COMARE.
Tosto che egli intese il perché io mi disperava, alzò la sua cerona ridentemente dicendomi: "Orsù, io non son quello, ma da più di mille pari suoi; e ho il modo a spendere e a spandere quanto uomo che sia; e non son trombetta del disonor di niuna, anzi più secreto che i luoghi i quali nascondono i tesori: e perciò, madonna mia, non vi tormentate per la ventura che vi è corsa a dosso; e quando saperete la qualità mia, benedirete il vostro scambiarmi da chi si sia".
Io a cotal conforto mi riscuoto un poco, e acquetati tutti i conturbamenti, dico: "La cera vostra dimostra anche più che non dite, e ogni cosa per il meglio; è ben vero che il grande uomo, dico grande grande, al quale l'aveva promessa uno anno fa, le portava un bel presente".
BALIA Tu lo toccasti nel bel presente per farlo uscire, eh?
COMARE.
Se ne avvederieno le tope cieche.
Orbene: egli, doppo il promettermi Montemari e la sua croce, si avventò a la mucciaccia (disse don Diego), e io, tirato l'uscio a me, ficco il lume d'uno occhio ai fessi: e veggo balenare le lingue come le spade di filo di coloro che schermiscano per giuoco; e vistole ora in bocca a lui, ora in bocca a lei, masticava non altrimenti che se quella d'un mio bertone fosse stata ne la mia, o veramente la mia ne la sua; e nel vederle alzare i panni trassi un sospiro di quelli del sacco.
Ma era pur dolce, era pur bello a vederla chiappeggiare e cosceggiare da la mano morbida de la sua Signoria: oh che soavi paroline gli sdrucciolavano fuora de la sua sapienzia! Intanto fra Bernardo picchia la porta del convento, la quale senza molto tempestarla col battitoio gli fu aperta: onde egli entrò drento urtando con la testa per ogni cantone e sfuriando da balordo; mentre la ben contenta, stralunando gli occhi, soffiando e menando, faceva smusicar la lettiera.
Eccogli fermi, ecco che han fatto.
BALIA.
Non dici tu che ella è carne d'Isdraù, che chi ne mangia una volta non ne vuol più?
COMARE.
Io ti ho detto che ella era robba da quattro soldi, ma gli parve bona bontà del mio averla a menare ad altri, e che io non dico bugia il testimoniano tre ducati di papa Nicola, muffati e rugginosi di quel verde che s'impone ne l'oro incassato dagli avaroni, i quali le ficcò in pugno con dirle: "Doman da sera vo' che dormiamo insieme"; e ci dormiva se il diavolo non ci si metteva di mezzo.
BALIA.
Come di mezzo?
COMARE.
Partito che egli fu di casa mia, trovò un suo amico il qual gli disse: "Donde domine venite voi? E chi vi averia mai creduto incontrar qui? Certo certo la Comare ruffa vi dee aver messo in sui salti".
Altro non accade, Balia: egli fu informato del fatto mio di sorte che, come savio dandosi a ridere, confessò con che laccio io l'aveva preso a la trappola.
BALIA.
Ah! ah! ah!
COMARE.
Grande animo, anzi grandissimo, bisogna che abbia una ruffiana: eccone una ragione militaria.
Se l'uomo burlato da me fosse stato un di quelli "puttana nostra vostra", io toccava de le stacci-queta, e il rendere i ducati indrieto era la minore: e perciò è forza di armarsi di una lingua che tagli, d'un core che si arrischi, d'una prosunzione che penetri, d'una faccia sfacciata, d'un passo che non si stracchi, d'una pacienzia che sopporti, d'una menzogna ostinata, d'un sì zoppo e d'un no da quattro piedi.
Il ruffianare, oh! oh! oh! non si dubiti del suo sapere, perché terrebbe a scuola i maestri degli studianti; e non è ciancia che ne la scuola de la ruffiania si sono addottorate le sibille, le fate, le streghe, le fantasime, le negramantesse e le poetesse.
BALIA.
Crédetelo.
COMARE.
Lo ingegno de le ruffiana si potria laureare, e canonizzare, e stampar per tutto; e ho letto la Bibbia, madonna sì che io l'ho letta, e non pure i Giudei, ma le sinagoghe loro hanno taciuto quando io gli ho fatto vedere che le ruffiane saccomannarono il cervello di Salamone: or pensa se missero l'unghie nei suoi denari.
BALIA.
Io ho pur visto dipinto in una sargia verde, anzi rossa, venuta da Fiorenza, come Salamone, nel far vista che si spartisse il figliuol vivo, comandò che se ne desse mezzo per uno: onde conobbe, bontà di colei che disse "Abbiaselo tutto", la madre del morto.
COMARE.
Salamone ci fece star salda una puttana, e non una ruffiana.
BALIA.
Puttane furono, tu hai ragione.
COMARE.
Bella industria è quella d'una ruffiana che, col farsi ognun compare e comare, ognun figliozzo e santolo, si ficca per ogni buco.
Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara e di Milano pigliano la sceda da la ruffiana: ella trova tutte l'usanze de le acconciature dei capi del mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni difetto e di fiati e di denti e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di fuora e di drento e di drieto e dinanzi.
Dimandale come sta il cielo, lo sa così bene come il Garico strologo; e lo abisso è tutto suo: e sa quante legne vanno a far bollire le caldaie dove si lessano le anime dei monsignori, e quanti carboni si lograno ad arostire quelle dei signori, no per altro che per esser messer Satanasso suo compare.
La luna non iscema e non cresce mai senza saputa de la ruffiana, e il sole non si leva e non si colca senza licenzia de la ruffiana: e i battesimi, le cresime, le nozze, i parti, i mortori e le vedovanze sono al comando de la ruffiana: e non accade mai una di cotali cose che la ruffiana non ci abbia un poco di attacco.
Con tutte le persone che passano per la via, la ruffiana si pone a cicalare: né ti parlo di quelli che salutano col capo, coi cenni, col gombito e con gli occhi.
BALIA.
Io la piglio pel verso, e so che vuoi che io sia tale.
Segue pure.
COMARE.
S'intoppa un birro, gli dice "Da paladino ti portasti ieri nel pigliar quel ladro"; imbattendosi in un mariuolo, si gli accosta a l'orecchio con dirgli "Tagliale destramente", dà di petto in una monica, e le fa di capo dimandando de la badessa e dei digiuni che fanno.
Ecco che vede una puttana, e fermatasi seco, la prima cosa le dà del "Voi sète più bella che mai" ne la testa.
S'incontra uno oste, dicegli "Trattate bene i forestieri"; a uno spenditore, "Comprate buona carne"; a un sarto, "Non robbate il panno"; a un fornaio, "Non abbrusciate il pane"; a un fanciullo, "Tu sei fatto uno omicciuolo, impara bene"; a una bambina, "Tu vai a la maestra, eh? Or fatti insegnare il punto incrociato"; a quel de la scuola, "Date le palmate e i cavalli con discrezione, perché dove non son gli anni non ci pò essere intelletto"; a un converso, "Adunque voi dite la corona in cambio de lo uffizio: che, non sapete leggere?"; a un contadino, "Sarà uguanno buona ricolta?"; a un soldato, "Sì che Francia farà de le sue?".
Ecco ella incontra un servidore, e dicegli "Il tuo salario corre; hai tu troppa fatiga?", e "Il tuo padrone è strano?".
Eccola dimandar un chierico s'egli è a pìstola o a vangelo.
Trova un furfante, e a un tratto gli fa squillare le sette allegrezze.
Eccoti che dice a un fraticino "Non risponder sì forte a la messa" e "Non accendere il cero se non quando si leva il Signore, perché costano troppo".
S'abocca con un vecchio dicendogli "Non mangiate aceto per amor de la tossa"; poi gli entra a dire "Ricordivisi quando...ah?".
Vede un garzonetto, e dice "Dàlla qua, perché tua madre e io fummo carne e unghia; quanti basci e sculacciate che io ti ho date! due anni a la fila sei dormito ai miei piedi, e mi pare ne la tua faccia veder le sue fattezze sputate".
Ora ella ha incontrato un giovane e dettogli "Io ho trovato una bella cosetta che se ne contentaria un conte"; appena scorge un romito, che ella gli dice sospirando "Iddio a voi ha tocco il core, e a noi le mondanità"; s'imbatte in una vedova, e si mette a piagner seco il marito che le morrì dieci anni fa; vede uno sbricco, e gli dice "Lascia andar le quistioncelle"; trova un frate, e domandagli se la quaresima viene alta l'anno seguente.
BALIA.
Ora sì che l'hai dette tutte.
COMARE Credi tu che la ruffiana entri in cicalamento con tante brigate per piacere? Tu non ci sei: ella il fa per il compredomine che cerca di avere con tutte le qualità degli uomini e de le donne, e per farsi conoscere da bosco e da riviera.
E ti ho detto cosettine che la ruffiana fa di dì: a quelle di notte mo'.
BALIA.
Sì, di grazia.
COMARE.
La ruffiana la notte è come una nottola che non si ferma mai; e i gufi, i barbagianni, gli alocchi e le civette escano de le
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