[Pagina precedente]... i lacciuoli, e piglia i merloni a la trappola come si pigliano le volpi vecchie; e quando vuoi che venghino via, non chiedere a la grossa, ma beegli il sangue a ciantellini a ciantellini, dicendo: "Io non la posso fare a petizione di cinque ducati tignosi".
PIPPA. Che, la veste?
NANNA. La vesta, sì. E così dicendo lo vedrai storcere come un che vorria fare il suo bisogno e non sa dove; e storcendosi masticare, grattarsi la testa, pigliarsi la barba e far di quei volti di matrigna che fa un giocatore che non ha né buon né tristo ed è invitato del resto: pur te gli darà rimbrontoloni. Avuti che tu gli hai, dagli una frotta di basci con mille muine; e stata così un tre dì, soffia, morditi le dita, e non gli far cera: e si egli ti dice "Che hai?", rispondegli: "Una pessima sorte ho, e di qui nasce che son nuda e cruda, e ciò mi avviene per essere troppo buona: che, se io fosse altrimenti, men di quattro scudi non mi terrebbero con questa gonnelluccia". Ed eccoti a mal partito il misero poltrone, con dirti: "Tu non ti empisci mai, tu gli gitti nel fango; to' qui, e non mi romper più il capo, che non te ne darei un minimo"; e riserrando la scarsella andrà di subito a trovare il modo di rubà gli o a questo o a quello.
PIPPA. Perché non gliene chiedere tutti in un tratto?
NANNA. Per non lo spaventare con la quantità .
PIPPA. Vi intendo.
NANNA. Coi liberali, mo', non accade astuzia asinina, ma leonesca: e quando se gli chiede, chieggasegli corampopolo, perché i boriosi crescano un somesso come gli publichi per grandi: che da grandi è il dare, se bene i grandi non l'usano e senza che gli dimandi tosto che entri in dire "Io voglio fare una robba in su le forge", diranti: "Purché ci sia brigata, và : che te la vo' fare io". A costoro, figliuola cara, sia liberale tu ancora, e assettati come ti recano, e non gli disdir mai la cosa che ti chiede il loro appetito.
PIPPA. È onesto che io il faccia.
NANNA. Avvertisci a certi che non ti darebbero un curiandolo, chiedendolo tu; altri non ti servirieno d'un danaio se tu non gli fosse con gli spiedi ai fianchi. Ai cortesi non dar legge, ma lascia fare a la lor natura, la quale sguazza donandoti del continuo; e pargli, dando senza richiesta, non ispendere puttaneggiando, ma guadagnare signoreggiando: perché, come ti ho detto, i signori doverebbero donare. Onde con simili non hai a fare altro che compiacergli e stimargli, non solo dirgli "Datemi e fatemi"; ma dandoti e facendoti, finge di non voler che ti dieno né che ti faccino.
PIPPA. Molto bene.
NANNA. Ai somari (disse la Romanesca) non lasciar mai di non perseguitargli col "dammi" e "fammi": perché i villancioni vogliono esser trafitti da cotali pungoli; ed essendoci gente quando gliene dici, l'hanno stracaro, acciò che paia che sien pratichi e non corrivi; oltra questo gli par pizzicar di gran baccalario facendosi pregare da la signora; e benché sieno parenti dei formiconi di sorbo, se scoppiassero, escano per bussare."
PIPPA. Usciranno o morranno.
NANNA. Non vo' che mi si scordi: ancora che io dica e "tu" e "voi" nel favellar mio, fà che tu dica "voi" a ogni uomo, e giovane e vecchio, e grande e piccolo, perché quel "tu" ha del secco e non garba troppo a le persone. E non ci è dubbio che i costumi sono buon mezzani a farsi in suso: e perciò non esser mai prosuntuosa nei tuoi andari, e atienti al proverbio il qual dice "Non motteggiar del vero e non ischerzar che dolga". Quando sei e con gli amici e con i compagni di chi ti ama, non ti lasciare scappar cose di bocca che pungano; né ti venga mai voglia di tirare capegli o barba, o di dar mostacciate, né pian né torte, a niuno: perché gli uomini sono uomini, e toccandosigli il muso, torcano il ceffo, e sbrufano come son punto punto offesi e ho visto far di bestiali cenni, e fatti ancora, ad alcuna fastidiosa che piglia sicurtà fin di tirar le orecchie altrui: e ognun le dice "Ben ti sta".
PIPPA. Meffé sì, che le sta bene.
NANNA. Una altra cosa ho da rammentarti: esci de la via de le puttane, che il non osservar mai fede è la lor fede; e stà prima a patto di morire che di piantare alcuno; prometti quello che tu puoi mantenere e non più, e vengati che partito si voglia, non dar la cassia coi piantoni a chi merita di dormir teco, salvo se venisse il francioso che ti ho detto. E venendo, chiama colui che dee venir la sera, e digli: "Io vi ho promessa questa notte, ed è vostra, perché io son vostrissima; ma io potrei guadagnare con essa una buona mancia: sì che prestatemela, che ve ne renderò cento per una. Un monsignor di Francia la vuole, e gliene darò se vi piace, e se non vi piace, eccomi al comando di vostra Signoria". Egli, vedendosi stimare, per donarti come savio quello che non ti può vendere, chinandosi al tuo utile, oltra che ti fa la grazia, te ne resta schiavo; ma se tu senza fargliene motto lo piantasse, andaresti a rischio di perderlo: e più anco che, lamenta
dosi de la villania che gli faresti, ti metteria in uggia di tutti quelli che ti avevano in fantasia.
PIPPA. Onde sarebbe male sopra male, volete dir voi.
NANNA. Tu l'hai detto. Or scrivi questa: egli avverrà che tu sarai fra tutti i tuoi amanti; per la qual cosa debbi pensare che se i favori non vanno del pari, la mostarda sale al naso di chi ne ha meno. E perciò pesagli con la bilancia de la discrezione; e caso che l'animo vada più a uno che a un altro, fingi, mostralo coi segni e non con gesti sbracati; e fà sì che questo o quello non se ne parta adirato e con teco e col favorito: ognuno che spende merita; e se chi più ne dà più ne doveria avere, facciasi con bel modo, la via ci è per andare in tutti i paesi del mondo: sì che sappi fare, sappi vivere, sappici essere.
PIPPA. Lo farò per eccellenza.
NANNA. Or questo è il punto: non ti dilettare di scompigliare le amicizie con il riportar di ciò che tu odi, sfugge gli scandoli e dove tu puoi metter pace, fallo. E intervenendo che la tua porta sia impeciata o arsa, rìdetene: perché sono i frutti che nascano degli arbori che gli ammartellati piantano nei giardini puttaneschi; né per villania che te si faccia o te si dica, non metter mai a le mani coloro ai quali puoi comandare. S'un ti fa dispiacere, tace; e non correre a dirlo piagnendo a chi muor per te e ha il cervello che gli fuma. E quando ti viene in casa uno di questi spassa-martello, non dir male di colei con la quale egli è in uno di quei corrucci che si ripacificano con tutte le vergogne e con tutti i danni di chi sbrascia; anzi riprendalo e dì: "Voi avete torto ' adirarvi con lei, perché ella è bella vertuosa, da bene e aggraziata al possibile", e qui verrà che egli che de l'altro dì ritornarà a la mangiatoia, te ne arà obligo, ed ella che lo intenderà , te ne renderà il cambio, caso che alcuno dei tuoi pigli ombra teco
PIPPA. Io so che voi sète fina
NANNA. Figliuola, vattene con questa: se io che sono stata la più scelerata e ribalda puttana di Roma, anzi d'Italia, anzi del mondo, con il far male, con il dir peggio, assassinando gli amici e i nimici e i benvoglienti a la spiegata, sono diventata d'oro e non di carlini, chi sarai tu vivendo come io ti insegno?
PIPPA. Reina de le reine, non pur signora de le signore.
NANNA. E perciò ubidiscimi.
PIPPA. Io vi ubidirò.
NANNA. Fallo, non ti perdendo nel giuoco; perché le carte e i dadi sono gli spedali di chi ce si ficca drento: e per una che ne porti nuova la sbernia, e ne son mille che ne van mendicando. Il tavoliere e lo scacchiere ti ornino la tavola; e quando si giuoca un giulio o due, ti bastano per le candele: perché il poco che si vince tutto è de la Signoria vostra; e non si giocando a la condennata né a la primiera, non si sente mai uno scorruccio, né si dice mai parola che non si convenga; e quando sia che uno appassionato ne' giocacchiamenti ti voglia bene, chiedegli di grazia, ma che ognuno oda, che non giuochi più: e mostra di farlo perché egli non si rovini, e non perché gli dia a te.
PIPPA. Io v'ho pel becco.
NANNA. Riprendalo anco del suo darti troppo da mangiare: fingendo di farlo per non ti dilettare, e non perché tu gli voglia per moia. E sopra ogni ricordo, ti do per ricordanzia che ti diletti di avere in casa persone degne: che, se ben non sono innamorate di te, te acquistano amorosi con la lor presenzia, facendoti onorare dagli altri. Il tuo vestire sia schietto e netto; ricami per chi vuole gittar via l'oro e la manifattura, che vale uno stato: e volendosi rivendere, non se ne trova nulla; e il velluto e il raso segnato dai lavori dei cordoni che ci sono suso, è peggio che di cenci. Sì che stà in su l'avanzare per cotal modo, perché in capo de le fine le robbe nostre si convertano in danari.
PIPPA. Sta bene.
NANNA Ci resta mo' le vertù, de le quali naturalmente le puttane son nimiche come di chi non gli porge a man piene. Pippa, niuno è atto a negarti uno stormentino; e perciò a uno chiedi il liuto, a l'altro l'arpicordo, a colui la viola, a costui i fiuti, a questo gli organetti e a quello la lira: che tanto è avanzato. E facendo venire i maestri per imparare le musiche, tiengli in berta, e fagli sonare a stracci, pagandogli di speranze e di promesse, e di qualche pasto a cavallo a cavallo. Doppo gli stormenti, entra ne le pitture e ne le sculture; e carpisce quadri, tondi, ritratti, teste, ignudi e ciò che tu puoi: perché non si vendano manco che i vestimenti.
PIPPA. Non è egli vergogna a vendere i panni di dosso?
NANNA. Come vergogna? Non è più strano il giocargli nel modo che fur giocati quelli di messer Domenedio?
PIPPA. Voi dite il vero.
NANNA. Certo il giuoco ha il diavolo nel core; e perciò ritorno a dirti che non tenghi carte né dadi in casa: perché basta vedergli, ed è bello e spacciato chi se ne consuma. Io ti giuro per la vigilia di Santa Lena da l'Olio che atoscano le brigate che le guatano, non altrimenti che si ammorbino altrui i panni apestati che si toccano dieci anni da poi che sono stati rinchiusi.
PIPPA. Carte e dadi, in là .
NANNA. Ascolta, ascolta quel che io ti dico circa la boria de la pompa de le feste Pippa, non ti aguluppare in cacce di tori, né in correre di inguintane né a l'anello; perché ne escano di mortali inimicizie, né son buone ad altro che a dare spasso ai putti e a la canaglia: e se pure hai volontà di vedere ammazzarne e del correre a queste e a quello, và e vede cotali giuochi a casa d'altri. E accattando tu saî, robboni o cavalli di pregio da mascararti, fanne quello conto che ne faresti essendo tuoi, e rendendogli non gli rimandare senza nettargli, come usano le puttane, ma forbitissimi e ripiegati nel modo che stavano in prima: perché i padroni te ne portano odio bestiale, facendo altrimenti; e spesso spesso si adirano con chi è stato cagione che te gli prestino.
PIPPA. Non mi avete per sì trascurata, e son micce chi nol fa.
NANNA. Propio micce. Or s'io ti volesse dire in che forgia ti hai a conciar le trecce, e come trarne fuora una ciocchetta che ti forcheggi per la fronte o intorno a l'occhio, onde si chiuda e apra con la capestraria de la lascivia, bisognaria cicalar fino a notte; così volendo insegnarti a tener le pocce in seno con un modo che chi le vede a lo sportello de la camiscia gli affisi il guardo ficcandolo drento a quel tanto che se ne scorge: facendone più carestia che non ne fanno divizia alcune le quali par che le voglino gittar via col farle saltar fuora dei petto e del vestimento. Ora io me ne spedisco in uno o due fiati, o in tre al più.
PIPPA. Io vorrei che voi durasse di favellare un anno.
NANNA. Quello che io mi scordo a dirti, e quel che io non so, ti insegnarà il puttanesimo da per sé; perché i punti suoi stanno in se stessi, e nascano in un tratto non aspettato d'altrui e non pensato da lei: onde suplisci col tuo naturale a la mia naturaccia smemorata. Ma non t'ho io a dire?
PIPPA. Che?
NANNA. I preti e i frati mi volevano sdruscire il cervello, e uscirsene per le maglie rotte.
PIPPA. Guata ribaldi.
NANNA. Anzi ribaldoni e ribaldacci.
PIPPA. Come mi avete detto ne la maniera che io ho a vivere con loro, vo' sapere che male mi ...
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