[Pagina precedente]...lzassero nei borselli; amà lati e non pagare, e vedrai il medico doman da sera; togli una fante e non le dar salario, e farai tu l'ufficio suo; và per la insalata, và per le ramolacce, và per l'olio, và per la salina, và per ciò che tu vuoi senza denari, e tornarai senza: si paga la confessione, la perdonanza...
PIPPA. Non si paga più, fermatevi.
NANNA. Che ne sai tu?
PIPPA. Me lo ha detto il penetenzieri quando mi diede con la bacchetta in sul capo.
NANNA. Può esser; ma pon mente al prete, o a chi ti ha confessato: quando non gli porge, vederai i
bel viso che ti fa. Ma sia che vuole, le messe si pagano; e chi non vuole esser sepellito nel cemiterio o longo le mura, paghi il chirieleisonne, il porta inferi e il requiem eternam. Non te ne vo' dir più: le prigioni di Corte Savella, di Torre di Nona e di Campidoglio ti tengano rinchiusi e stretti, e poi vogliano essere strapagate. Infino al boia tocca i tre e quattro ducati per i colli che attacca e per i capi che mozza: né faria un segno ne le fronti ladre, né tagliaria un naso ghiotto, né uno orecchio traditore, se il senatore o il governatore, il podestà e il capitano non gli desse il suo dovere. Vattene a la beccaria e abbi quattro onciarelle di pecora più: e se ti son lasciate se non ci aggiugni il danaio, di che io non sia dessa. E infino ai pretacchioni che benediscano l'uova tolgano la rata loro. Sì che, se ti par lecito di dar tutto il tuo corpo e tutte le tua membra, tutti i tuoi sentimenti per un "gran mercé madonna", fà tu; e se ai mercatanti, i quali non guardano niuno in viso se non ne cavano usura, ti vuoi dare in dono, datti.
PIPPA. Non io che non voglio.
NANNA. E perciò intendimi bene; e intesa che tu mi hai, mette in opra i miei avvisi: e se lo fai, gli uomini non saperanno guardarsi da te, e tu ti saprai guardar da loro. Lasciagli pure civettare da le finestre de le camere rispondenti in quelle de la tua, con le collane in mano, coi zibellini, con le perle, con le borse piene, facendo sonare i doppioni che vi son drento col percuoterle con la mano. Baie, cacabaldole, arzigoghelarie e giuochi da puttini sono cotali zimbellamenti; anzi arti per dileggiar coloro che ci porgano l'occhio: e tosto che si avveggano che ci fai l'amore credendoti che te le voglia donare, ti squadra le fica dicendo: "Togli queste, carogna, scrofa, cioncola".
PIPPA. Se mi fanno di cotali cilecche, le vendette non si lasciaranno a fare ai miei figliuoli.
NANNA. Pà gati ancora dei pignatti e dei pentolini di pece che ti avventano a le finestre per ardertele e per isconguazzartele, con la giunta dei panni incerati coi quali ti disgà ngarono la porta rivoltandola col capo in giuso. E per condir ben la fava menata, ci vogliono essere i rimori, i gridi, i fischi, le baiacce, le villanie, le coregge, i rotti, le bravate che usano per destatoio quando dormi ed eglino ti fanno la processione intorno a la casa, bandendo i tuoi difetti ne la forgia che si doverebbono arcibandire i loro.
PIPPA. Che gli venga il mal del petto.
NANNA. Uno uccel perde-il-giorno trovò una solenne fantasia, anzi la più sciocca che mai si trovasse amante bugiardo, falso e alocco.
PIPPA. Che fantasia fu la sua?
NANNA. Per parere di vivere in isperanza de l'ottenere la donna de l'amor suo, e perché ella intendendolo cominciasse a far pensiero di contentarlo, si vestì tutto tutto di verde: la berretta verde, la cappa, il saio, le calze, il fodero, il puntale, il manico de la spada, la cintura, la camiscia, le scarpe; e fino al capo e a la barba pare a me che si facesse far verde: il pennacchio, la impresa, i puntali, le stringhe, il giubbone e tutto.
PIPPA. Che erbolata!
NANNA. Ah! ah! ah! Egli non mangiava se non cose verdi: zucche, cidriuoli, melloni, minuto, cavolo, lattuche, borace, mandorline fresche e ceci; e perché il vino paresse verde, lo poneva in un bicchiere di vetro verde; e mangiando geladia succhiava solamente le frondi del lauro intermesseci drento; faceva fare il pane di ramerino pesto con l'olio, perché tenesse di lega verde; sedeva su gli scanni verdi, dormiva in un letto verde, e sempre ragionava di erbe, di prati, di giardini e di primavere. Se cantava, non si udiva se non speranza inalborata nei campi da metere; e ingioncava i versetti con le pergole, con le pimpinelle e con le caccialepri; e mandando lettere a la diva, le scriveva in fogli verdi: e credo che il suo andar del corpo fosse verde non altrimenti che la sua cera e la sua orina.
PIPPA. Che matto spacciato.
NANNA. Matta spacciata era colei la qual si credeva ciò farsi per le sue divinitadi, e non per le cattivanze sue. Vuoi tu altro, che egli finse tanto la speranza e tanto la predicò, che la buonaccia, la quale non la voleva far mentitrice, ci si lasciò còrre, parendole che il trovato del verde fosse a le sue bellezze un bel che: e il merito che le ne rendette il verderame fu il lasciarla svaligiata de la coltrice del letto.
PIPPA. Ghiotto da forche.
NANNA. Una certa monna Quinimina sgraziatella, a la quale la natura aveva dato un pochetto di viso e un poco di bella persona per farla fiaccare il collo e per più suo disfacimento, a l'usanza di colui che sa tanto giocacchiare che gli basta a perdere, sapeva tanto di lettera che intese una lettera mandatale da un ciarlone. O Domenedio, dove diavolo si trova egli che Cupido colga la gente al buio? e come è possibile che un cacasi-sotto tiri l'arco e ferisca i cori? Egli ferisce il gavocciolo che venga a noi femine, da che diam fede a le ceretanarie, credendoci avere gli occhi di sole, la testa d'oro, le gote di grana, i labbri di rubini, i denti di perle, l'aria serena, la bocca divina e la lingua angelica: lasciandoci accecare da le lettere che ci mandano i gabba-donne nel modo che si lasciò gabbare la sfatata che ti dico. Ella, per dar da favellare a la brigata del suo saper leggere, ogni volta che poteva furare il tempo, si piantava in su la finestra con il libro in mano: onde la vidde un gracchia-in-rima, e avvisandosi che potria esser molto bene che per via di qualche cantafavola scritta d'oro gnele accoccaria, tinse un foglio con il sugo di viole a ciocche, di quelle vermiglie, e intignendo la penna nel latte di fico, scrisse come ella faceva disperare con le sue bellezze quelle degli angeli, e che l'oro toglieva il lustro dai suoi capelli, e la primavera i fiori da le sue gote, facendole anco stracredere che il latte si fosse imbucatato nel candido del suo seno e de le sue mani. Ora stimalo tu se ella peccò in vanagloria udendosi millantare.
PIPPA. Balorda.
NANNA. Quando ella ebbe finita di leggere la sua disfazione, da la quale si senti dar più lalde che non si dà al laudamus, si rintenerì tutta quanta, e vedendosi scongiurare de la risposta, si gittò ne le braccia di quel "solo e segreto", il quale gli ingannatori fanno ne le lor dicerie a lettere di scatole, acciò che noi gli porgiam l'occhio al primo; e ordinato il suo venire il terzo dì, perché in quella ora il suo marito andava a la villa, si stava spettando il tempo.
PIPPA. Ella aveva marito, che?
NANNA. Sì, in malora.
PIPPA. E in mal punto.
NANNA. Avuto che ebbe il messer fa-sonetti il sì, trovò non so quanti sconquazza-carte e stiracchia-canzone, dicendo: "Io vo' fare la serenata a un puttanino maritato, assai gentil cosetta, la quale gualcarò tosto tosto; e che sia il vero, eccovi qui la posta manu propria". E mostrategli alcune righe scrittegli da lei, se ne risero un pezzo insieme; poi, tolto un liuto, accordandolo in un soffio, stroncò una calata assai contadinescamente; e doppo uno "ah! ah! ah!" a la sgangarata, si messe sotto la finestra de la camera de l'amica, la quale rispondeva in un borghicciuolo dove passava una persona l'anno; e appoggiato con le rene al muro, adattatosi lo stormento al petto, porse il viso in alto; e mentre ella balenava lassuso, biscantò questo cotale:
Per tutto l'or del mondo,
donna, in lodarvi non direi menzogna,
perché a me e a voi farei vergogna.
Per Dio che non direi
che in bocca abbiate odor d'Indi o Sabei,
né che i vostri capelli
de l'oro sien più belli,
né che negli occhi vostri alberghi Amore,
né che da quelli il sol toglie splendore,
né che le labbra e i denti
sien bianche perle e bei rubini ardenti,
né che i vostri costumi
faccino nel bordello andare i fiumi:
io dirò ben che buona robba sète,
più che donna che sia;
e che tal grazia avete
che, a farvelo, un romito scapparia.
Ma non vo' dir che voi siate divina,
non pisciando acqua lanfa per orina.
PIPPA. Io per me gli arei gittato il mortaio in capo, gliene arei gittato per certo.
NANNA. Ella, che non è cruda, come non sarai anche tu, se ne tenne ben bona e ben grande; e non pur aspettò il dileguarsi del marito: ma il dì seguente se ne fuggì con seco in casa d'un fornaio amico del frappatoraccio, al quale diede in serbo una cosa da cinger donne. Come il messere vidde la cintura, disse infra sé: "Gli ambracani saranno buoni per farmene una maniglia al braccio, e le galluzze d'oro per empirmi la borsa"; e questo dicendo, se ne andò a la zecca, e trasformò il metallo senza conio in metallo coniato: .XXXVII. ducati larghi ebbe dei paternostri che tramezzavano l'ambragatta, i quali giocò allora allora. E venendosene senza essi a casa del fornaio, entrato in una di quelle rabbie che entrano ne la testa di coloro che son rimasti in asso bontà de l'asso, colta a la fegatella la cagion del petorsello (o "prezzemolo" che lo chiamino le savie sibille), la ruppe tutta col bastone, e poi con una precissione di pugni la sospinse giù per la scala.
PIPPA. Buon pro.
NANNA. Ora ella se ne stette in una stanzetta di non so qual lavandaia una notte senza dormire oncia; onde ebbe agio di pensare a la vendetta: e ci pensò nel modo che io ti dirò. La cinta guasta da la mala persona, fu trafugata dal suo uomo di quella casa, là dal cardinal de la Valle, la quale arse non è troppo: ed ella gliene robbò fuora d'un cofano. Ora, vedendosene rimasta senza, per vendicarsi contra colui che la pestò ben bene, non pensando a quello che ne potesse riuscire, andò al padrone de la casa abbrusciata, e gli disse come il tale aveva la sua cintola. Il gentiluomo, saputo il tutto, fece dar di grappo a chi gliene imbolò, e credendosi il capitano di Corte Savella per cotale indizio, che egli avesse furate de l'altre zaccare, gli diede parecchi strappate di fune. E così la pecorella con danno vergogna sua e del marito si rimase; e quello che l'aveva trattata a suo modo, se ne uscì per il rotto de la cuffia.
PIPPA. Ben gli sta a chi ci si lascia còrre.
NANNA. Ma io fino a qui ti ho mostro gli acini del pepe, del panico, de l'agresto, del grano e de le melagrane; ma ora ti spiego le lenzuola per in giù e per in su: e con una sola, ne la quale non è borra, ti mando a spasso. E perciò ascoltami: e se puoi astenerti di piagnere, astientene.
PIPPA. Che, sarà qualche donna ingrossata e poi cacciata a le forche?
NANNA. Peggio.
PIPPA. Qualcuna tolta a la mamma e al babbo, e poi bastonata e abandonata nel mezzo de la via?
NANNA. Peggio che sfregiata, mozzole il naso, lasciata in camiscia, svergognata, franciosata e mal concia più che si possa.
PIPPA. Dio aiutici tu.
NANNA. Così va chi s'infregia a credenza.
PIPPA. Certo la cosa dee venire dai poeti, ai quali volete che io apra e me gli tiri a dosso.
NANNA. Cotesto non ti ho detto io; io voglio che gli accarezzi senza dargnele mai fetta: e questo si fa perché non ti dileggino con la baia de le lor laude, e acciò che, beffeggiandoti con la poltroneria del biasimo, non paia che dichino a te.
PIPPA. Così ci si pò stare.
NANNA. Io non mi ricordo di quello che io ti voleva dire.
PIPPA. Né io.
NANNA. E perciò non mi romper la favella in bocca.
PIPPA. Bisogna pure che io badi al fatto mio.
NANNA. Io l'ho atinta: un re! Un re, e non un dottoruccio, né un capo di squadra, un re ti dico: costui, con un mondo di gente a piedi e a cavallo, se ne andò a campo nel paese d'uno altro re suo nimico; e saccomannatolo, arsolo e disfattolo, si pose intorno a una grama città , dove colu...
[Pagina successiva]