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Biografia di Pietro Aretino
DIALOGO, di Pietro Aretino - pagina 32
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...atena che la stima assai, e vuol fingere di credere che vostra Signoria sia or
fo; e perché la fante riportatrice non se ne avvegga, vi mostrarà la catena, e diravvi quanto costarà ad acconciarla e quando l'arà : e voi, non uscendo di proposito, fate sì che ella rimanga sodisfatta".
BALIA Che diavolo d'intrigo.
COMARE. La berta venne in campo, e si aboccarono a sieme: e saresti crepata de le risa se mentre l'uccellaccio maneggiava la collana, se avesse visto come la boce e le mani gli tremavano; e sforzandosi di cicalare per parabole, non si lasciava intendere, né manco intendeva la vedova. A la fine si partì col promettere di mandarla a vedere un lavoro simile a quello de la catena rotta. E lasciossi menar per il naso tre mesi dal mio "oggi" e "domani sarete a le strette": e tanto gli parlai di lui mai, quanto ne parlasti tu. Al tratto dirieto, si chiarì; e per vergogna del suo aversi lasciato aggirare, non ne fece più motto. E sopra tutte l'altre burle si arrossava d'una bella mattinata fatta a la vedova, ne la quale accozzò i primi musici d'Italia; e con gli stormenti e senza, cantò molte cosette nuove.
BALIA. Se te ne ricordi, dimmele.
COMARE. Così mi ricordassi io di avere a morire, e degli orazioni i quali mia madre mi insegnò da piccina. Egli cantò suso il liuto:
Alma mia fiamma e donna,
s'io veggio ogni mio ben nel vostro viso,
io dico che ivi solo è il paradiso;
e s'egli è pure altrove
debbe esser uno essempio da voi tolto,
ed è bel perché vien dal vostro volto.
BALIA. Soave e corto.
(COMARE.) Cantarono al libro, con un monte di gente intorno:
Poi che il mondo non crede
che in me, d'amor mercede, ogni mal sia,
e ogni ben ne la nimica mia,
o empio re de le perdute genti,
e tu dio degli dèi,
questa grazia vorrei:
ch'un togliesse a le fiamme, ai mostri e al gelo
la più tormentata alma;
e l'altro, la più alma
agli angeli del Cielo;
e la mal nata stesse una ora meco,
e la beata seco.
Son certo che la rea a ognun direbbe,
fuggendo i miei lamenti:
"Io ho del fallir mio minor tormenti".
E la buona contenta non vorebbe,
presa dal volto adorno
lassù far più ritorno.
Perché in me è un più crudele inferno,
e un paradiso in lei più sempiterno.
BALIA. Questo è bello bestialmente, e dicano di gran poltronerie cotesti tuoi poeti cicale, e ferneticano continuamente.
COMARE. Ai dipintori e a loro sta bene ogni bugia: ed è un modo di favellare facendo grandi le donne che amano e la passione che sopportano amando.
BALIA. Una fune, e legare insieme dipintori, scultori e poeti: perché son pazzi.
COMARE. I dipintori e gli scultori, salvo la grazia di Baccino, son matti volontari: e che sia il vero, tolgano il naturale a lor medesimi per darlo a le tavole e ai marmi.
BALIA. Leghiamogli adunque.
COMARE. Lasciamo il biscantare
Occhi, per voi, per voi morir sopporto:
voi, voi mi avete morto...
BALIA. FÃ tu.
COMARE. ...e quel che dice ne la fine, a non so che occhi:
Faccia il sole fra noi
chiara la notte come fate voi.
Io ti vo' contare de le menutezze, perché non ci è dubbio alcuno che la ruffiana non voglia essere a le volte simile al ragnatelo: e s'avviene che i disegni le sieno guasti, rifacciagli come egli rifà le tele che se gli rompano; e sì come il ragno sta tutto un dì paziente per tarpare una mosca, così la ruffiana dee stare queta e fissa per carpire altrui; e veduto il bello, lanciasi al suo utile nel modo che il ragno si scaglia a lo animaletto dato ne le sue reti; e se bene la caccia è pochina, non importa: purché si becchi un boccone, basta. E quando la ruffiana s'imbatte ad alloggiare a discrezione, mercé de la menchionaria di qualcuno, sugga il sangue de le borse, come sugge il ragnatelo quel dei mosconi presi da lui. Il ragno vegghia, e la ruffiana è desta; il ragno, ad ogni pelo che dà ne le maglie, corre; e la ruffiana senza indugio apre a chi le tocca pur la porta: sempre buscando, come anche sempre busca il ragno.
BALIA. Io non credo che la natura, che fa le cose da le quali togli le simiglianze, sapesse come te trovare le similitudini.
COMARE. O pensa se io ci pensassi.
BALIA. Se tu ci pensassi, faresti stupire il Cielo.
COMARE. Qualcosa farei io, benché non mi curo di nome e non son di quelle vanagloriose spasseggia-largo e gonfia-fama; io mi sto nei miei panni, e mi contento di quel che io sono. Ma lasciamo il mormorare d'altri; io, Balia mia, ho navicato secondo i tempi, non perdendo mai ora: e sempre ho guadagnato, poco o assai. Talvolta, doppo desinare, me ne andava per Banchi, per Borgo e fino in San Pietro; e squadrava i forestieri menchioni, i quali si conoscano altrimenti che non si conoscano i melloni; e squadrato che io ne aveva uno, me gli accostava balorda balorda, e salutatolo gli diceva: "Di che paese sète voi, omo da bene?". Poi gli entrava nel quanto era che si trovava in Roma, e se cercava padrone, e cotali chiacchiarine: e mi domesticava seco al primo. E fatta l'amicizia, stupiva insieme con lui de la gente che tuttavia passa per ponte Santo Agnolo. A la fine gli diceva: "Di grazia, venite meco fin dove io alloggio: perché ho a far conto con la padrona, e non conosco questi baiocchi, questi mezzi giuli e questi interi, né quanto si vaglia un ducato di camera, né altro". Lo scempione, con un "bene e volentieri", senza star punto a l'erta, trottava meco. E così io lo conduceva in una cameretta dove era una puttana frola; e nel giugnere diceva: "Chiamate vostra madre"; ed ella che sapeva il gergo, mi rispondeva: "La vi spetta in casa di sua zia e dice che andate là per ogni modo: perché non so chi, vi vuol parlare; e poi tornarete a far conto".
BALIA. Che pratica, che trama, che andamento: ma non mi cape ancora.
COMARE. "Sta bene", diceva io; e voltatami al cornacchione, dico: "Or ora sarò a voi, fate colazione intanto"; ed egli, vedendo la poledra domata per lo in giù e per lo in su: "Andate pure, che son per aspettarvi uno anno, non che un poco poco". A che fare perdere il giorno in diceria? Il poveruomo non stando forte a le carezze che gli fece la cialtrona, ci diede drento; e credendosene andare senza pagar lo scotto, ella gli leva il rimor drieto: e gli tolse la cappa, e lo spinse fuora di casa con villanie crudeli.
BALIA. Ah! eh! oh!
COMARE. Ogni dì ci coglieva gente, e chi non aveva un quattrino ci lasciava dei panni di dosso: e potevano spettare che io ritornassi!
BALIA. Chi non sa notare ed entra nel cupo senza notaiuolo di giunco e senza zucca, affoga tosto: questo dico per chi si mette nel voler ruffianare senza maestra.
COMARE. Tu la intendi.
BALIA. S'io non la intendo, mi pare intenderla.
COMARE. Attendi ben bene a questa.
BALIA. Io non fo motto.
COMARE. Non so in che modo il diavolo fece rompere il collo a la moglie d'uno uomo di conto, la quale era famosa per le sue bellezze: e se ne andò, né mai si seppe con chi. E mentre non si favellava d'altro che del suo esser fuggita, io chiamo un favorito d'un gran maestro, e gli faccio giurare su la pietra sacrata di tener secreto quel che io gli dirò; ed egli giura e rigiura di non favellarne pure a se stesso. Intanto io gli dico, dandomi la mano per questa fede, che la moglie de l'amico è in camera mia, ma serrata al buio; e saria gran cosa, che facesse scoprirmela a veruna persona. Come egli intende che io l'ho al mio comando, corre al leccarmi con le carezzine, e dammi de la madre, de la madonna, de la sirocchia e de la padrona; e io: "Non vorrei che si sapesse, perché, oltra che la poverina ne andria a pericolo di essere uccisa, io ne scavezzarei il collo, la spalla e la coscia, saria scopata, bollata e forse arsa".
BALIA. A qualche fante darà la stretta costui: mi par così vederla.
COMARE. E a chi credi tu che l'avesse a dare?
BALIA. Non te l'ho io detto?
COMARE. Balia, doppo molte cerimonie, no senza la bene andata, lo condussi a l'oscuro con la fante che indivinasti: la qual pagò e chiavò da uomo; e ringraziatomi se ne andò a trovare uno imbasciadore; e poi che ebbe tolta la sua fede, gli narrò la trama: e fu forza che, travestito venisse a infantescarsi. E la toccò e ritoccò più di dieci volte; e non pur egli, ma un centinaio di cavalieri e di uffiziali e di cortigiani gnele accoccarono: di modo che ne guadagnai quasi tutto quello che io ho.
BALIA. Dimmi, scoprissi la ribaldaria?
COMARE. Scoprissi.
BALIA. Come?
COMARE. Mentre una mattina per tempo si aveva tirato sopra uno schiericato, sendo il freddo grande, una tegghia di carboni, che io aveva posta in camera, levarono da loro stessi un poco di fiamma, per la qual cosa il monsignore la vidde in viso, e conoscendo non esser quella, mi volle manicare: e mi disse una villania de le buone, e due e tre volte mi spinse le dita negli occhi per cavarmigli; né si poté tenere di non darmi un rifrustetto di pugna: e se non che la lingua mi diè socorso, io era spacciata. E poco mancò, ne lo spargersi de la berta che io faceva ad altrui, che il marito di colei che se ne era fuggita, parendogli infatti che gli fosse maggior vergogna la seconda che la prima, non mi tritasse a pezzi e a minuzzoli. Pur, chi scampa da una scampa da cento: e perciò la soia si convertì in risa.
BALIA. Mi piace.
COMARE. Quante puttane e quanti uomini ho io traditi, assassinati e scornati ai miei dì!
BALIA. L'anima scontarà le poste.
COMARE. Pazienzia: non si pò esser santa e ruffiana insieme, e caso che ella paghi i debiti del corpo ne l'altro mondo potrà pur dire "Chi gode una volta non istenta sempre"; e poi ci è tempo a pentirsi.
BALIA. Egli è vero.
COMARE. Io ho fatto dormire venti pollaiuoli, trenta acquaiuoli e cinquanta mugnai con le prime cortigiane che ci sieno, dandogli a credere che fossero signori e cavalieri che vi adunate (dice lo Innamoramento): vero è che hanno dato del buono. Volgendo poi carta, ho fatto trassinare di gran baldracche a molti gran personaggi, repezzando le bruttezze loro con i drappi accattati a vettura: e non mi terrei mai di non raccontartene una che io ne feci per utile de la signora e mio. Guarda, fratellina, benché io faccia accorta la cortigiana che io ti dico, fìccati pur nel cervello che ogni suo accorgimento sia condito col mio olio e col mio sale.
BALIA. Non è lecito a credere per altro verso.
COMARE. Venne qui un mercatante forestiere, anzi ci stava per sue faccende otto mesi de l'anno: e come volse Amore, s'innamorò d'una de le prime, la quale si stava molto più bene che non saprei dirti. Ed essendone cotto come si dee, non avendo altro mezzo, capitò ne le mie mani: e dicendomi il suo affanno, gli rispondo con quel "vedrò" e con quel "non so", "potria essere", "forse", "ma", che si mescola con il dubbio che si ha ne lo ottenere de le cose. Pur vado, favello, ritorno, do speranza, la ritolgo, e simili baie; ed egli mi dà lettere, mi dà sonetti appresso: e io il tutto porto a la sua donna.
BALIA. Sempre i sonetti o le lettere sono i primi a visitarci: e perché non i denari? Altro che carte e versi bisogna, a chi non se lo vuol menare a l'odore di costei e di colei.
COMARE. Tu parli di costrutto: nientedimeno le gentilezze son gentilezze; ed erano già molto usate le canzoni, e quella che non ne avesse saputo una frotta de le più belle e de le più nuove, se ne saria vergognata; e cotal piacere tanto era ne le puttane come ne le ruffiane: e la Nanna qui non mi lasciarà dir bugia, perché so il pro' che ella ne cavò, e con che spasso intertenne un tempo altrui con quella che dice:
Io ho, donne, una cosa
che, quando Amore un solo fa di doi,
l'avete ancora voi.
L'è bianca e il capo ha d'ostro,
i capei come inchiostro,
drizzasi s'un la tocca,
e sempre ha il latte in bocca;
cresce e scema sovente,
non ha orecchie e sente:
dunque, per vostra fé,
ditemi ciò che ella è.
BALIA. So ben: tu vuoi dire quella da la coda.
COMARE. Da la coda, madonna sì. Ma il mondo, più invecchia, più s'intristisce; e le virtù de le cortigiane sono trafigurate in saperci essere, e quella n'è piena che ha più arte e più sorte: come la Pippa dee avere inteso da sua madre. Ma diciamo del mercatante, al quale doppo un mezzo mese ...
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