[Pagina precedente]...de; e ti porrebbero altrettanto odio se tu torcessi il grifo con dire: "Siamo chiare se ci par esser la reina Isotta: io vedrò anco l'una parte e l'altra andare a cacar senza lume". E per mia fé che il martorio che ha una puttana nel veder bene addobbate l'altre puttane, è più crudele che non è una doglia vecchia di mal francioso anidiata ne la cavicchia d'un piede o ne la chiovola d'un ginocchio o ne la commessura d'un braccio: o per dir più forte, una di quelle doglie di testa le quali guariria santo Cosmio e Damiano.
PIPPA. Doglie ai preti.
NANNA. Veniamo a le divozioni utili al corpo e a l'anima. Io voglio che tu digiuni non il sabato, come le altre puttane le quali vogliono essere da più del testamento vecchio, ma tutte le vigilie, tutte le quattro tempora e tutti i venardì di marzo; e dà nome che in così sante notti non dormi con persona: intanto vendile nascosamente a chi più ne dà , guardandoti che i tuoi amanti non ti colghino in frodo.
PIPPA. S'io ne pago gabella, a rifar del mio.
NANNA. Nota questa galantaria. Fingeti talora ammalata, e statti in letto un due dì tra vestita e spogliata: che, oltra a lo esser cortigiata come signora, i vini cappati, i capponcelli e le buone cose verran via pian piano; perché cotali son truffe dei cenni e non de la lingua.
PIPPA. Mi piace cotesto poltreggiare con utile e con pompa.
NANNA. Circa il pregio dei piaceri che tu venderai, bisogna chiarirti: perché è di grande importanza. Tu hai a farla con astuzia, e considerare la condizione di chi ne vuole; e far sì che, mentre chiedi le dozzine dei ducati, non ti scappino de le reti né l'un paio né 'l mezzo paio. Fà che gli assai si bandischino e i pochi si celino, quello che ne dà uno il faccia e nol dica, quello che ne dà dieci trombeggiasi: e in capo del mese il trafugoni è tutto avanzato. E chi non consente se non a le ventine, è una finestra impannata, la quale squarcia ogni venticciuolo. Qui mi accade avvertirti di un bel tratto. Figlia, mentre uccelli ai tordi grassi, venendone uno a la ragna, non lo spaventar con lo strepito, ma ritiene il fiato finché ci dà : come è preso, pelagli il culo, tra morto, vivo e balordo.
PIPPA. Non intendo.
NANNA. Dicoti che venendoti fra i piedi un che ha il modo, nol vogli sbigottire col chiedergli le pazzie, ma togli quei che ti dà impastoiato che egli è, scorticalo tutto quanto: che un baro che vuole assicurare uno che pò perdere, si lascia vincere parecchi poste, e poi gliene fa seconda.
PIPPA. Farassi.
NANNA. Non perder mai tempo, Pippa: và per casa, ficca due punti per un bel parere, maneggia drappi, smusica un versolino da te imparato per burla, trempella il manecordo, stronca il liuto, fa vista di leggere il Furioso, il Petrarca e il Cento, che terrai sempre in tavola; fatti a la gelosia e levatene, pensa, ripensa a lo studiare il puttanesimo: e come il fare altro ti rincrescerà , serrati in zambra, e tolto lo specchio in mano, impara da lui ad arrossarti con arte, e i gesti, i modi e gli atti coi quali hai a ridere e a piangere ne lo abbassare gli occhi nel grembo e ne lo alzargli dove bisogna.
PIPPA. Che punti sottili.
NANNA. Mi viene in mente il gergo furfante da furfanti afurfantati: non te ne dilettare, né ascoltar chi se ne diletta, perché saria forza che tu fosse tenuta una lana di quelle che so dire io, né apriresti mai bocca che ognuno non sospettasse di te, e benché io ti dia licenzia di usar le truffe il dì de la loro stagione e con alcuno di quelli che fa Domenedio per non gli tornar più a vedere, il gergo non ti ametto per conto niuno.
PIPPA. Basta accennarmi.
NANNA. Io non ti insegno in che modo dei ripararti dagli scandoli commessi con le scuse e con le risposte, perché la tua avvertenza mi tocca il piè e mi fa cenno che non duri fatica a dirtelo. Onde io la ubidisco; e dicoti che circa il dar passione a chi ti ama, fallo in forgia che non pata tanto che si avezzi a patir di sorte che ne faccia quello abito che fa uno de la quartana stata con seco a pigione cinque o sei anni. Usa la via del mezzo, atenendoti al libro del Sarafino, il qual dice:
Né troppo crudeltà né troppo grazia
perché l'una dispera e l'altra sazia.
Non ti mostrar tanto d'uno, si ben ne credi ogni bene, che non possa dargli due colpi di martellino ne l'ancudine del core. E sopra tutto spalanca la porta a chi ti reca, e conficcala a chi non ti porta: e fà che chi manda (col far tu vista che non ti oda) senta quando fai intendere a chi non porge "Vogliami pur bene il tale, che non mi curo d'altri". Sia sempre la prima a corrucciarti con gli offesi da te: perché, vinti da l'amore, ti diranno maxima colpa dei tuoi fallimenti. E caso che ti adiri con qualcuno, non metter troppo tempo in mezzo a l'ira; che andresti a rischio di restarne senza; perché il suo si somiglia a una certa famarella rimasta ne lo appetito non sazio a suo modo, che levandosi da tavola si passa in un tratto: non assaggiaria un boccon più per nulla.
PIPPA. Io l'ho provato.
NANNA. Hotti io favellato dei giuramenti?
PIPPA. Sì, ma ridicendovi.
NANNA. Io mi dico e ridico secondo l'usanza de le donne: che replicano ancora una medesima cosa dieci volte, come ho fatto forse io.
PIPPA. Voi mi diceste che io non giurassi per Dio né per santi; e poi mi insegnaste a sacramentare con chi per gelosia mi vietasse qualche amicizia.
NANNA. È vero, sì che giura e non bestemmiare: perché sta male in bocca d'uno che si abbia perdute le budella, non che in una femina che sempre guadagna.
PIPPA. Taccio.
NANNA. Ammaestra la fante e il famiglio in sapere, mentre cicalano coi tuoi amanti, sendo tu in camera, a mettergli inanzi alcuni tuoi appetitetti, e sappin dirgli: "Volete voi farvi schiava la signora? Or comperatele la cotal cosa, perché ella ne ha una voglia spasimevole". Ma fà che non chiegghino se non gentilezze, come sarebbero uccellini con le gabbie dorate, un pappagalletto di quei verdi...
PIPPA. Perché non bigio?
NANNA. Coston troppo; e tu per tal verso puoi ritrarne il poco. Appresso torrai a certi tempi impresto da questo e da quello ciò che ti pare; e ritarda il rendere, e se non te si richiede non dare: perché l'uomo che ti ha prestato indugia, mastica e aspetta la tua discrezione. In questo mezzo ne l'animo di molti nasce una certa grandezza la qual si vergogna di rimandar, poniam caso per veste, saio o camiscia che ella si sia: onde spesso spesso avanzi di belle cosette.
PIPPA. Ci mancava questa.
NANNA. Io l'ho pescata: eccoti un .XV. dì inanzi a San Martino e tu fa un concistoretto di tutti i tuoi amanti: e sedendogli in mezzo, fagli tutti i favori che sai e che puoi; e intonicati che tu gli hai con le cacarie, digli: "Io voglio che facciamo il re de la fava, e che fino a carnasciale duriamo a darci una cena per uno; e cominciaremo da me: con patti che non si spenda le pazzie, ma onestamente, spassandoci il tempo". E cotale ordine e di grande spasso e d'assai utile, perché ci sono degli avanzi per più vie: prima, la cena che farai uscirà de la borsa loro, doppo questa, il re è obligato a dormir teco la sera de la sua cena, la qual dormitura è forza che sua Maestà paghi da re, da l'altro canto, d'ogni mangiar che si fa, i suoi retagli ci spesacchiano una stomana; e graffignando guadagnarai di olio, di legne, di vino, di candele, di sale, di pane e di aceto: e quando tu potesse con qualche secreto rivendere a questo e a quello cotali civanzamenti, fallo; ma se si sapesse te si levarebbe un nome da non trovar sapone che gli lavassi il capo: onde è bene di non ci si arrischiare.
PIPPA. Oh questa sì che è cottoia.
NANNA. Ora ti do tanti rubini per tante parole: e certo le puoi infilzare come s'infilzano le perle. Fatti talora fare dai succhi de la fante un signuzzo ne la gola, o darti due fitte coi denti in una gota: acciò che si diguazzi lo stomaco di colui che si crede che sia suto il suo concorrente, guasta anco il letto di giorno, rabùffati i capegli e fatti rossa con lo afaticarti, ma poco e vedrai sbuffare chi è geloso di te come sbuffa un che trova la moglie in peccavisti.
PIPPA. La mi è andata al core.
NANNA. Al core andarà ella a me se le mie parole fanno quel frutto nel tuo cervello che fa il grano seminato nei campi, ma se elle son gittate al vento, con la mia pacienzia e disperazione ci sarà la tua rovina: e in una stomana ti esce di sotto ciò che io ti lascio in redità . E si avviene che tu ti atenga ai miei consigli, benedirai l'ossa, le polpe e la polvere di tua madre; e l'amarai morta come credo che tu l'ami viva.
PIPPA. Il potete stracredere, mamma.
NANNA. Ora io la mozzo qui; né ti dolere se la giunta è maggior de la derrata: bastiti il mio non ti voler dire altro.
"Che voreste voi più dirmi?", rispose la Pippa a sua madre. Ed ella, levatasi suso essendo indoglita per il troppo sedere, sbadigliando e stirandosi se ne andò in cocina, e ordinata la cena, la sua figliuola sacente, per l'allegrezza de lo avere ad aprir fondaco, l'andò sbocconcellando: e pareva propio una fanciulla a cui il padre ha promesso maritarla a lo amante suo, onde tutta lieta non cape a pena ne l'alterezza di se stessa. Ma perché l'una era stracca per il favellare e l'altra per lo ascoltare, se ne andarono a dormire insieme in un letto medesimo. E la mattina levandosi tutte sincere, desinarono quando tempo gliene parve, e ritornando al ragionare, la Pippa che aveva fatto un bel sogno in sul far del dì, lo squinternò a la madre: appunto quando ella apriva la bocca per contarle i tradimenti che escano de l'amore degli uomini.
Il fine de la prima giornata.
IN QUESTA SECONDA GIORNATA
DEL DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO
LA NANNA RACCONTA A PIPPA SUA
LE POLTRONERIE DEGLI UOMINI INVERSO DE LE DONNE.
PIPPA. Lasciate che io vi conti il mio sogno, e poi vi ascoltarò.
NANNA. Contalo.
PIPPA. Spianaretemelo?
NANNA. Spianarottelo.
PIPPA. Stamane in su l'alba mi pareva essere in una camera alta larga e bella, la quale era parata di raso verde e giallo, e sopra i paramenti stavano appiccati spade indorate, cappelli di velluto ricamato, berrette con medaglie, brocchieri, dipinture e altre gentilezze. In un canto de la camera sedeva un letto di broccato riccio; e io badial badiale mi riposava in una sedia di cremisi tutta patacchiata di borchie d'oro a usanza di quella del papa: intorno a me si raggiravano buoi, asini, pecore, bufalacci, volpi, pavoni, barbagianni e merloni, i quali né per pugnerli io, né per bastonargli, né per tosarle, né per iscorticargli, né per iscardassargli il pelo, né per trargli le penne e maestre e de la coda, né per berteggiargli, non si movevano, anzi mi leccavano da capo a piei: sì che io vorrei che mi schiarisse la verità di cotal bugia.
NANNA. Questo sogno intendo io come Daniello, e te ne puoi ben tener buona: perché i buoi e gli asini da te punti e bastonati sono i miseroni che ci staranno se crepassero, le pecore e i bufoli significano i disgraziati che da le tue novelle lasciarannosi tosare e scorticare; le volpi fingo per i trincati che rifrustarai nel lor dar ne le reti; per i pavoni scodati piglio i ricchi giovani e belli; i barbagianni e i merloni son brigataccia le quali si perderanno solamente a vederti e a udirti favellare.
PIPPA. Dove lasciate voi l'altre cose?
NANNA. Adagio: la camera parata dinota la tua grandezza, le galantarie appiccate sono i furtarelli che invisibilium e visibilium trafugarai di mano a questo e a quello: la seggiola pontifica dimostra gli onori che tu arai da tutto il mondo. Sì che la andrà al palio.
PIPPA. Spettate, spettate: i pavoni che io ho sognati, guardandosi i piedi, non ischiamazzavano come sogliano fare. Che vuol dire?
NANNA. Ecco le mie profezie che ritornan vere: ecco che sarai savia, e perciò i rimasti ne le secchie di Barberia per tuo amore non si lamentaranno. Ora ascolta me e, ascoltandomi, suggella i miei discorrimenti: e Iddio voglia che le ammonizioni di tua madre ti bastino a guardarti da le astuzie uominesche. Oimè! io dico oimè in servigio di quelle poverelline che ci son chiappate bontà de le ruffiane, dei tabacchini, de le letter...
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