[Pagina precedente]...farà il tormi de la verginità .
NANNA. Nulla, poco.
PIPPA. Farammi gridare con le strida d'un che si taglia l'anghio?
NANNA. Appunto!
PIPPA. Come chi si acconcia una mano sconcia?
NANNA. Manco.
PIPPA. Come si cava un dente?
NANNA. Meno.
PIPPA. Nel modo che si taglia un dito?
NANNA. No.
PIPPA. A la forgia di chi si rompe il capo?
NANNA. Tu non ci sei.
PIPPA. A la via di chi si apre un panereccio?
NANNA. Vòi tu che io te lo incastri ne la fantasia?
PIPPA. Voglio.
NANNA. Rammentati tu di averti mai grattata una certa lazzarina minuta come la stizza?
PIPPA. Me ne rammento.
NANNA. A quel cociore che ti abbruscia grattata che ti hai, si assimiglia il dolore che si sente mentre ti si taglia il vergine donzellesco.
PIPPA. O perché si ha così gran paura di questo perder di verginità ? E ho pure inteso che alcuna si fugge del letto, altra grida acorruomo, altra scompiscia squacquaratamente le casse, la camera e ciò che ci è.
NANNA. La paura che hanno coloro che non sanno di che, si usava al tempo antico, quando le donne novelle andavano a marito con le corna, e quando si gittava il gallo da la finestra facendo segno de le nozze; e non è diferenzia dal pentimento di non se lo aver cavato prima, tosto che altri ha in mano il dente che gli ha dato tanta passione, dal pentirsi di quelle che hanno indugiato per amore de l'"egli mi farà male" a farsi grattar la grignappola: e quello "io mi credeva che il cavarsi il dente fosse qualche gran cosa" esce di bocca a la putta che ce l'ha lasciato entrare animosamente.
PIPPA. Io ne ho piacere.
NANNA. Come si par vergine cento volte, se tante bisogna mostrar d'essere, ti insegnarò io il dì inanzi che entri in campo: e questo secreto sta ne lo allume di rocco e ne la ragia di pina bollita con detto allume; ed è una frascariuccia provata da tutti i bordelli.
PIPPA. Tanto meglio.
NANNA. Ora ai frati: che fin di qua mi puzzano di lezzo caprino di micca, di savore e di porco, benché ce ne sono degli attillati ancora, e di quelli che ulezzano più che le botteghe dei profumarieri.
PIPPA. Non perdete tempo, perché io voglio che mi dite in che modo io ho a sbellettarmi e a imbellettarmi, voglio anco sapere se volete che io vada dirieto a le fatture, a le stregarie e agli incanti, o no.
NANNA. Non mi ragionare di coteste pazziule da schiocche: i tuoi incantesimi saranno i miei ricordi saporiti e freschi, de lo strisciare ti dirò come tu dei farlo. Ma i frati mi chiamano e diconmi che io dica come oggimai le femine gli san di tanfo; e tutto vien dai preti, i generali, i priori, i ministri, i provinciali; e l'altre ciurme tengano de la lega dei reverendi e dei reverendissiml: e quando dormano con una donna ne fan quel guasto che fa de le vivande un che ha cenato a crepastomaco allotta allotta. E benché si canti loro la canzona che si canta ai vecchi, cioè il
Luma, lumachella
cava fuor le tre cornella
le tre e le quattro
e quelle del marescalco,
non se gli rizza fino a tanto che non si corcano seco i lor mariti.
PIPPA. O hanno marito i frati e i preti?
NANNA. Così avessero eglino moglie.
PIPPA. Fuoco!
NANNA. Io te lo vorrei dire e non te lo vorrei dire.
PIPPA. Perché no?
NANNA. Perché come si dice il vero, si crocifigge Cristo, io l'ho pur detto, ed è una bella opera, che a dir la bugia si riceva bene e a dir la verità male. Dunque è trista lingua quella che mi dice puttana vecchia e ruffiana ladra. E perciò ti dico che i pesci grossi de la frataria e de la pretaria dormano con le cortigiane per vederle trassinare dai lor bardassoni, bardassoni sì; e aguzzansi lo appetito mentre le veggano trapanare per alia via (disse la pistola): e debbi tenergli per amici, e andare quando ti chiamano; perché i tu-mi-intendi, che gli fan fare ciò che vogliano, s'intabaccano di subito, e trannoti dirieto tutte l'entrate del vescovado, de la badia, del capitolo e de l'ordine.
PIPPA. Ho speranza di far mio, praticandoci, fino al campanil de le campane.
NANNA. Farai il tuo debito, se lo farai. Ah! ah! ah! Io mi rido dei mercatanti, dei quali non ho parlato.
PIPPA. Anzi sì.
NANNA. Tu vuoi dir dei Todeschi: essi son quasi tutti fattori d'altri, e perciò si guardano di venire a te, come ti ho detto. Ma i mercatanti grandi, i padri dei denari, l'anguinaia che gli giunga da che vogliono che lo stato puttanesco dirivi da quel che ci danno a soldo a soldo: e per un che spenda, ce ne son venti che han sempre amannito "Io gli ho dati a usura, volli dire a cambio", quando gli chiedi una cosa. Ma il tradimento è che falliscano coi sacchetti pieni, murandosi in casa o sepellendosi vivi ne le chiese, e poi dicano "La tal puttana mi ha rovinato". Io ti consiglio, Pippa, a dargli la cassia: perché le menchione, non sapendo perché, tengano che sia gran riputazione la loro amicizia; e come si dice "Chi è quello?", par che lo intendere che sia mercatante le canonizzi per dee; ma non son tante cose, non, per l'anima mia.
PIPPA. Ve lo credo.
NANNA. Altro che guanti e lettere in mano e che anello in dito bisogna che mostrino al fatto nostro.
PIPPA. Così credo io.
NANNA. Figliuola, io ti ho detto una leggenda da duchessa; e sappi che de le tue madri non ne nascano per le siepi; e non conosco predicatore in Maremma che ti avesse fatto il sermone che ti ho fatto io: e se lo terrai a mente, io voglio esser messa in gogna se non sei adorata per la più ricca e per la più savia cortigiana che fosse mai e che sia e che sarà ; onde io morendo morrò contenta. E sappi che le puzze, i mocci, gli sputacci, i fastidi dei fiati, dei lezzi, de le bizzarrie e de le maladizioni dei tuoi amici son come il vino che ha la muffa: che chi ne bee tre dì si scorda del tufo. Ma odi anche due paroline circa due coselle.
PIPPA. Circa quali?
NANNA. La prima è che non tenghi i guanciali di velluto suso i matarazzi i seta: che le spuzzette gittano per terra facendo stare inginocchioni chi gli favella (porche poltrone che vi morrete anco di fame ne le carrette). Doppo questo abbi discrezion ne le mani, e menale pei bossoletti bellamente, e non ti intonicare il viso a la lombardonaccia: un pochettin pochettin di rosso basta a cacciar via quel pallido che spesso spesso sparge ne le guance una mala notte, una indisposizione e il farlo troppo. Risciacquati la bocca la mattina a digiuno con l'acqua del pozzo; e se pur vuoi che la pelle ti si netti e stia lucida e sempre in uno essere, ti darò il libro da le mie ricette, dove impararai a mantener la faccia e a far vaga la carne, e ti farò fare una acqua di talco mirabile; e per le mani ti darò una lavanda delicata delicatissima. Ho una cosa da tenere in bocca che, oltra che conserva i denti, converte il fiato in garofani. Io stupisco di alcune tinche infarinate che si dipingano e invernicano come le mascare modanesi incinabrandosi le labbra talché chi le bascia sente incendersi le sue straniamente e che fiato, e che denti, e che grinze fanno a questa e a quella i lisci sbardellati! Pippa...
PIPPA. Madonna?...
NANNA. ...non usare moscadi, né zibetti, né altro odore acuto: perché son buoni a ricoprir la puzza di chi pute. Bagnuoli sì: e, più spesso che tu puoi, lavati e rilavati a ogni otta, perché il lavarsi con acqua dove sieno bollite erbe odorifere, fa rimanere ne le carni quel non so che di soave che esce dai panni lini di bucato pure allora tratti del forziere e dispiegati. E come un che vede il suo candido non si pò tenere di non fregarsene il viso, così un che scorge il petto, il collo e le gote pure pure non pò far che non le basci e ribasci. E perché i denti ti si nettino bene, inanzi che levi piglia l'orlo del lenzuolo e fregategli parecchi volte: e leverassi tutto quello che ce s'impone, per esser tenero prima che ci entri l'aria. Ma ecco una frotta di gentilezze che mi scappano de la fantasia appunto nel volerti io finirla col "non t'ho altro a dir che io mi ricordi": e sappi che io sono un pozzo cupo cupo il quale ha tanta grossa la vena che, più se ne cava, più ce n'è. Or legati questa al dito.
PIPPA. Io me la lego.
NANNA. Come si appressa San Filippo, comincia a dire ai tuoi passionati che hai in boto di far dire .XX. messe la vigilia del santo del tuo nome, e di dar mangiare a dieci poveri; e taglieggiagli de la spesa. E venuta la vigilia e la festa, borbotta, mena rovina, dicendo: "Egli mi è forza di caricar la coscienza e l'anima mia ancora"; "E perché?", risponderanno i goffi; "Perché i preti vanno oggi e domani a vettura, e non mi ponno servir de le messe"; e rimettendole a una altra infornata, i danari ti rimarranno in mano con onor tuo.
PIPPA. La mi quadra.
NANNA. Caso che tu ti vegga in casa una mandra di amici e di gentiluomini corsi a intertenersi teco, fingi che ti sia venuto capriccio di andare a piedi due ore: e senza metterci né sal né olio, polisciti con una arte che paia a vanvara; e dà lla fuor de l'uscio con loro, con dire "Andiamo a la Pace"; e ivi, detto uno straccetto del paternostro, piglia la strada del Pellegrino: e a ogni merciaio ti ferma, coi fargli portare ciò che hanno di bello e di mesture e d'ambracani e altre frascariucce, e non dire, come tu vedi qualcosa che ti garbi, "Comprami questa tu, e tu quest'altra", ma "Questa e questa mi piace", falla por da canto replicando "Io mandarò a torle"; e così fà dei profumi e de simili bagattelle.
PIPPA. Dove traete voi?
NANNA. Al colombaio loro.
PIPPA. Con che balestra?
NANNA. Con quella de la lor liberalità : la quale si terrebbe vituperata se allora o poco doppo non comperassi le cose poste in serbo da te, a te donandole.
PIPPA. Chi non ha ingegno, suo danno.
NANNA. Ritornata che tu sarai a casa, trita il favore minutissimamente e fà nel modo che io ti dico.
PIPPA. Voi mi avete detto del favore.
NANNA. Io te l'ho detto e te lo vo' ridire di bel nuovo: perché il saper ciarmar le genti è il rimedio il qual danno contra il veleno i ciarmatori. E perciò ponti in una seggiola bassa bassa e fanne assettar due fra i tuoi piedi, e sedendo in mezzo a due altri, allarga le braccia e dà gli una mano per uno: e voltandoti ora a questo e ora a quello, ne contentarai pur due con la ciancia. Il resto favoreggia con gli sguardi e con il chiuder de l'occhioletto; dà gli ad intendere che il core sta negli occhi, e non in le mani e nei piedi e ne le parole: così l'arti de la tua grazia la fregaranno a otto goccioloni in un tratto
PIPPA. Caccia paro.
NANNA. E ancora che non ti andassi a gusto né quel né questo, sforza la natura; e specchiati in uno infermo il qual piglia la medicina contra stomaco per guarire del male: come guarirai tu, non del povero, che, senza esser altrimenti puttana, sei ricca, ma de la cortigiana, diventando signora più ne lo avere che nel nome.
PIPPA. Si per credere vale, io son dessa.
NANNA. Attà ccati a questa: non ti lasciare metter suso da quelli che ti sbracano per tenerti a posta loro; non gli dar fede, sien pur grandi e ricchi quanto sanno: perché la rabbia de lo amore e la smania de la gelosia gli mette suso; e per fin che la gli dura fanno miracoli; e questo ti pò giurare Angela Greca, che n'ha avanzati i piedi fuori del letto. Importa bene il trovar così fatti partiti, perché gli altri intabaccati saltano, e sappi che quando non ci fosse altro avanzo nel darsi in preda a molti, si diventa più belle: e ne fanno fede le case disabitate, che fino ai ragnateli le invecchiano; e i ferri, per farsi brunire, ne guadagnono il lustro.
PIPPA. È vero.
NANNA. E poi chi dubita che gli assai non faccino gli assai e i pochi il poco, è un cavallo: ed è chiaro che io vo' che tu sia una lupa la quale entra in una mandra di pecore, e non dove n'è una sola. Io la vo' dir mo': figliuola mia, se ben la invidia fu puttana, e perciò è il cocco de le puttane, serretela in corpo e quando senti o vedi che la signora Tullia e la signora Beatricicca sfoggi di razzi, di spalliere, di gioie e di vestimenti, mostrane allegrezza e dì: "Veramente la lor vertù e le lor gentilezze meritano maggior cose; Iddio facci di bene a la cortesia di chi gliene ha fatto dono". In questo elleno ed eglino ti porranno uno amor gran...
[Pagina successiva]