[Pagina precedente]...i prima le mani per fame che favellarti, e che egli possa esser dato a la beccaria dai suoi nimici, con l'altre filastròcchele che cascano fra i denti a chi si lascia trasportar da l'ira, non ne sarà nulla, né andrà ne lo inferno per tali sboccamenti, perché messer Domenedio non fa conto degli spergiuri degli innamorati, i quali non ponno far testamento mentre anfanano in albagia ammartellata. E quando pure la ostinazione durassi in lui ostinato fin entro ne le fasce, scrivegli una bibbia: và e trovalo a casa e mostra di volergli spezzar la porta; e non ti aprendo, pazzeggia con parole alte, maladisci. E non ti giovando, fà vista di volerti impiccare: ma guarda che lo scherzar non torni da senno, intervenendo a te come a non so chi in Modena.
PIPPA. Oh! se io mi appicco né da beffe né da dovero, che io sia impiccata.
NANNA. Ah! ah! ah! Eccoti il verso di sciorre il nodo: fà la cerca per casa, per i forzieri e per ogni buco, e fà un fardello di sue camisce, di sue calze e di ciò che ci è di suo, fino a un paio di pianelle logre, guanti vecchi, berretta da la notte e ogni ciabatteria; e si hai maniglie o anello che ti abbia dato, rimandagliene.
PIPPA. Non farò.
NANNA. Fallo pur sopra di me, perché l'olio santo di chi lavora in estremo amando, è il vedersi restituire i doni offerti a la manza: per i quali si chiarisce de la stima che si fa di lui e de la robba sua. Onde viene in tanto dolore, che la minor pazzia che faccia è il trarre i sassi: e senza più indugio pigliarà le merciarie e te le rimandarà del certo.
PIPPA. E s'egli fosse uno spilorcio?
NANNA. Gli spilorci non danno e non lasciano cosa di valuta: perciò arrischiati a far l'atto che io ti dico; e se non si fa la pace di marcone, dimmi che io sia una ignocca. Come sono alcune che si piantano là distese; e purché sieno tenute de le prime, gli par aver acconci i fatti suoi vendendo le lor carni a libbre e a chi più ne dà : e son pur carni, e non massarizie d'incanto. Poverette poveracce, che non sanno il fine che nel principio e nel mezzo si accorda con gli spedali e coi ponti, dove elle, sfranciosate, sconquassate e deserte, fan recere qualunche le può sofferire di guardare. E ti dico, figlia, che il tesoro che hanno trovato gli Spagnuoli procaccini nel Mondo Nuovo, non pagaria una puttana per brutta e disgraziata che ella sia: e chi pensa finamente a la vita loro, peccarebbe dannatamente a non confessarlo. E che io favelli con la bocca de la verità , eccone là una obligata a costui e a colui: ella non ha mai una ora di riposo, né se va né se sta, né a tavola né in letto; perché, avendo sonno, non può dormire; anzi bisogna che ella stia desta e faccia carezze a un rognoso, a un che ha la bocca di sterco, a un bufolaccio che la pesterà tutta quanta, e s'ella nol fa, i ramarichi sono a l'ordine, e "Tu non mi meriti, tu non sei degna di me, s'io fosse quel poltrone o quel furfante, tu vegghiaresti". S'ella è
tavola, ogni mosca gli pare un baco; e nel dare un boccone a chi che si sia altri, bronfia e fuma per la rabbia, masticando pane e gelosia magra. S'ella va, eccolo in furia, e con dir "Trama ci è", ti tien la favella, bandendo per le piazze il tradimento che gli pare che gli sia suto fatto: e portando odio a questo e a quello, non truova luogo. S'ella sta, e abbia quel non so che che spesso spesso fa stare altrui tutto maninconoso senza aver maninconia, onde non puoi fare la cera che tu suoli, il sospetto si distringa: e "Io ne era chiaro, io ti puzzo, io so ben dove ti duole, ben lo so bene; a te non mancaranno uomini, né a me donne per denari, che puttane ci sono a iosa". Ma questi sarieno manuscristi e morselletti dorati non ci essendo quel vituperio vituperoso che manda il lezzo in abisso non che in Cielo: noi siam menate e rimenate per tutti i versi e di dì e di notte, e chi non consente a tutte le sporcarie che si sa pensare, si mor di stento. Chi la vuol lessa e chi la vuole arosto, e hanno trovato il "conno indrieto", il "gambe in collo", "a la giannetta", la "grue", la "tartaruga", la "chiesa in campanile", la "staffetta" il "pascipecora" e altre attitudini più strane che i gesti dichi atteggia: talché io che posso dir "Mondo fatti con Dio", mi vergogno a dirlo. Insomma oggidì si fa notomia di qualsivoglia signora, e perciò sappici esser, Pippa, sappilo fare: altrimenti a Lucca ti viddi.
PIPPA. Meffé sì che ci vuole altro a esser cortigiana che alzarse i panni e dir "Fà , che io fo", come dicesti dianzi, e non ne sta nel buona robba: voi sète indovina
NANNA. Come uno spende dieci ducati in cavarsi tutte le voglie che si pon cavare di una giovane, egli è suto crocifisso a Baccano; e come ci fanno uno straccio intorno, il popolo strabilia e va chiacchiarando per tutto come la tal traditora ha rovinato il cotal garzone. Ma quando giuocano le costole del petto rinegando il battesimo e la fede, son laudati, che se ne spenga il seme. Lascimiti fornir di contare quello che io ti ho promesso e poi consumarò tutto domani in leggerti il calendario degli uomini ladroni; e ti farò piagnere mentre che io ti dirò le crudeltà e i tradimenti che i turchi, i mori, i giudei fanno a le feminucce; e non è tosco, né pugnale, né fuoco, né fiamma che ci possa vendicare: e io per me ne ho due paia in su l'anima, e me ne son confessata e non me ne son confessata
PIPPA. Non vi stizzate.
NANNA. Non può far che i ribaldi che me la faccino salire: e udirai come sanno ritorre quel che danno, e la valentigia loro in isfregiare e in dar trentuni. Ora io non vo' che sia il dirieto consiglio che io ti ho a dare circa la ciancia, la maniera e il modo che hai a usare negli intertenimenti: perché son la chiave del giuoco.
PIPPA. Qui vi voleva io.
NANNA. E qui mi hai. Lo intertenere con quella certa ciarlia che non vien mai in odio, è il limone che si spreme ne le coradellette soffritte ne la padella, e il pepe che ce si spolverizza suso ed è una dolce novella, quando ti ritrovi a trebbio con diverse generazioni, sodisfacendo a tutti con un berlingare che non venga in fastidio; e han pur troppo del buono alcuni motti insalati e alcune strettine che si danno a chi entra sul volertici còrre: e perché i costumi altrui son di più ragioni che le fantasie de le persone, studia, spia, antivedi, considera, pon mente, asottigliati e crivella i cervelli di tutti. Ecco a te uno spagnuolo attillato, odorifero, schifo come il culo d'uno orinale, che si rompe tosto che si tocca; la spadiglia a canto, fumoso, il mozzo dirieto, "Per vida de la imperadrice", e con l'altre sue lindezze a torno. E tu a lui: "Io non merito che un si gran cavaliere mi faccia cotanti onori; vostra Signoria copra la testa: io non la ascoltarò se quella non se la copre"; e se le "vostre Altezze" che ti darà nel capo e i basci coi quali ti succhiarà le mani, fossero l'archimia di arricchirti, tra quelle e le cerimonie sue tu avanzaresti la redità di Agostin Chisi.
PIPPA Io so ben che non ci è guadagno con loro.
NANNA. Tu non hai da fare altro seco che render fume per vento, e fiato per quei sospiri che sanno sì sbudellatamente formare: inchìnati pure ai loro inchini, basciandogli il guanto, non che la mano e se non vuoi che ti paghino de la vincita di Milano, disbrigategli dianzi il meglio che sai.
PIPPA. Farollo.
NANNA. Stà salda. Un francioso, aprigli tosto, aprigli in un baleno, e mentre tutto allegro ti abbraccia e a la carlona ti bascia, fa comparire il vino. E con tal nazione esci de la natura de le puttane, che non ti darieno un bicchier d'acqua se ti vedesser transire, e con due fette di pane, cominciate a domesticar l'amore insieme; e senza star molto in sul convenevole, accettalo a dormir teco, cacciando con bel modo ogn'altro. Intanto parrà che tu abbia a fare il carnasciale, tanta robba ti digrandinerà in cocina. Che più? Egli ti scapparà de l'unghie in camiscia: perché i bottiglioni, che sanno meglio perdere che guadagnare, e più facilmente scordasi di se stessi che rammentarsi d'ingiuria che si gli faccia, non darà punto di cura se tu lo rubi o no.
PIPPA. Franciosi da bene, che voi siate benedetti.
NANNA. Pensati pur che essi dan denari, e gli Spagnuoli coppe. I Todeschi mo' son fatti d'un'altra stampa, e ci è da farci suso disegno: parlo dei mercatanti che s'imbertonano negli amori, non vo' dir come nel vino, perché ne ho conosciuti dei costumatissimi, ma come ne le luteranarie; e ti daranno de granducati se gli saprai andare ai versi, non sbaiaffando che sieno tuoi innamorati, né che ti faccino, né ti dichino: pelali secretamente, che si lasciaranno pelare.
PIPPA. Buon ricordo
NANNA. La lor natura è dura, acra e bestiale, e quando s'intestano una cosa, Iddio solo gliene caveria: e perciò ungegli con le dolcezze del sapergli conoscere.
PIPPA. E che arò io a fare altro?
NANNA. Io ti vorrei confortare a una impresa, e non mi arrischio a farlo.
PIPPA. A che?
NANNA. A nulla
PIPPA. Ditemelo; che io il vo' sapere.
NANNA. Non voglio, perché mi saria di biasimo e di peccato.
PIPPA. Perché mi avete messo in fantasia di intenderlo?
NANNA. A dirtelo, che domin sarà . Se tu ti puoi rimescolare coi Giudei, mescolatici, ma con destrezza e trova scusa di voler comperare spalliere, fornimenti da letti o simili frascariuole: e vedrai che ci sarà ben qualcuno che ti rimetterà nel banco dinanzi gli avanzi di tutte l'usure e di tutti i rubbacchiamenti loro, aggiugnendoci fino agli aggi; e se puzzano di cane, lasciagli puzzare.
PIPPA. Io credetti che voi mi volesse dir qualche gran cosa.
NANNA. Che so io? Il fetor di che essi ammorbano mi metteva pensiero a dirtelo. Ma sai tu come ella è: i guadagni sfoggiati di chi navica stanno nel pericolo de le galee dei Catelani, de lo anegare, de lo andar in man dei Turchi di Barbarossa, del romper la nave, del mangiare il pan secco e verminoso, del ber l'aceto adacquato, e degli altri disagi che ho inteso dir che ci sono; e se chi va per mare non cura né venti né piogge né stento veruno per ispacciare la sua mercatantia, perché non ha una cortigiana a farsi beffe de la puzza dei Giudei.
PIPPA. Voi fate le simiglianze bellissime. Ma s'io mi impaccio con loro, che diranno i miei amici?
NANNA. Che vuoi tu che dichino se nol sanno?
PIPPA. Come no?
NANNA. Non gnelo dicendo tu: il giudeo, perché non gli sieno peste l'ossa, starà zitto come un ladro.
PIPPA. A cotesto modo si.
NANNA. Io ti veggo un fiorentino in camera con i suoi chiacchi-bichiacchi. A carezzarlo, perché i Fiorentini fuor di Fiorenza son simili a persone che hanno piena la vescica e non ardiscano di andare a pisciare per rispetto del luogo dove si trovano: che usciti di quivi, allagano uno spazio lungo lungo con l'urina che versa il lor pincone. Dico che son più larghi altrove che in casa stretti; oltra di questo, son vertuosi, gentili, politi, argutetti, saporitini: e quando non ti dessin mai altro se non la lor galante favella, non ti potresti tu contentare?
PIPPA Non io.
NANNA II mio è un modo di dire: basta che spendano al possibile, fanno cene papali e feste con altro garbo che non fan gli altri; e poi a ognun piace la lor lingua.
PIPPA Venitemi un poco in sui Viniziani.
NANNA. Io non te ne voglio informare: perché, s'io ne dicessi quanto meritano che se ne dica, mi sarebbe risposto "L'amore te ne inganna", e certamente egli non me ne inganna punto: perché son iddii e padroni del tutto e i più bei giovani e i più begli uomini e i più bei vecchi del mondo, e cavatigli fuor di quelle veste savie, tutto il resto de le genti parrebbero fantaccini di cera al paragone, e benché sieno altieri per aver di che essere, son la bontà ritratta al naturale. E ancorché vivino da mercatanti, circa il fatto nostro la fanno a la reale; e chi gli ha pel dritto è felice. E ogni altra cosa è burla, salvo i cassoni che hanno zeppi zeppi di ducati: e tuoni o piova se sa, che essi non te ne darieno un bagattino..
PIPPA. Dio gli mantenga.
NANNA. Egli lo fa bene.
PIPPA. Ma or che mi ricorda, chiaritimi perché la signora che ne tornò l'altro dì non ci ha saputo stare: e secondo che mia santola ha detto, se ...
[Pagina successiva]