[Pagina precedente]...n poco giuso, le dico: "Non v'ho io a dire? Il galante, il dio d'amore mi voleva ficcare, anzi mi ficcò, una lettera in seno, la quale profumò tutta la chiesa dove io la gittai coi suoi odori; e che soprascritta d'oro che ella aveva! Io credo che non mi potrò tenere di non far qualche male: io sono a mal partito con costui, egli mi è drieto con le canne aguzze, e non posso mover passo senza aver cotal cane a la coda. Per questa croce, madonna, credetemelo quando io lo giuro, che fui per tòrla e per farla... io nol vo' dire"; ed ella: "Dovavate farlo, e se avviene che ve la voglia ridare portatemela, che ne rideremo un poco insieme". Balia cara, io le portai la storia, e perché arìa mosso un monte, mosse ancora lei: e si conchiuse altro parentado che quello che si cercava di conchiudere per via di moltissimi mezzani. E così io con la destrezza vinsi la castità , ruffianando senza ruffianare: la quale arte è sottile più che quella de la seta, e dotta e laudabile e sicurissima.
BALIA. Qui sta il punto.
COMARE. Venne a me un gentil gentiluomo, il quale nel dar d'occhio a una pur cittadina, molto gran donna, se ne cosse senza spettare altro: e mi dice come io, volendo, posso metterlo in paradiso; e distesomi il che e il come de la sua volontà , mi dà un ducato, anzi due, e fa sì che io gli prometto di favellare a la sopradetta cittadina. E volendomi contare la chiesa dove va sempre a messa e lo altare al qual si inginocchia e la predella dove si siede, gli tolgo le parole di bocca con dirgli: "Io so bene chi ella è, e la chiesa e l'altare e la predella: ma io non son ruffiana; pure la presenzia di vostra Signoria mi pare uomo da servirla, e perciò non passarà doman vespro che vi saperò consolare con qualche novella". La da ben persona e il bel fante era forestiero, e non conoscendo a fatto noi altre ruffiane, si lasciò dare ad intendere che io le avesse parlato, e che ella mi avesse detto: "S'egli indugiava un poco più, era forza che io mandasse a far la imbasciata a lui, la quale ha mandata a me".
BALIA. Chi crede senza pegno non ha ingegno.
COMARE. Pensalo tu, s'egli capiva ne la pelle, uden
si amare da la amata: l'allegrezza teneva corte bandita ne la sala del suo petto, e il core ballava a le nozze del suo credersi le bugie. Intanto io, che l'aveva trovato bona persona, compongo una letterina in su le grazie, e dico in nome di lei:
Signor mio, quando scontarò io mai l'obligo che io ho con la fortuna, con le stelle, coi cieli e coi pianeti, i quali mi han fatto degna di esser servitrice de la dolcezza vostra? Felice mi posso io ben chiamare, anzi beata, poiché la bontà di un tanto giovane consente che io l'adori. Oimè misera me, se voi non fosse pietoso come bello, e bello come cortese. Le signore de le cittadi mi doverebbero invidiare cotanto amore, del qual godendo non cambiaria sorte con la sorte imperiale. E caso che istanotte non veniate dove e a le quante ore vi dirà la fedele aportatrice di questa, ecco che io mi ammazzarò.
E perché paresse che la carta fosse molle de le sue lagrime, la spruzzai con l'acqua: e fattoci le cerimonie del soprascritto e del sottoscritto, gliene porto.
BALIA. Ah! ah! eh! eh!
COMARE. S'io avessi avuti tanti scudi quanti ebbi laude e benedizioni, e la lettera basci, buon per me: egli tremava per la allegrezza, e non la poteva aprire; e apertola, la leggeva, e sopra ogni parola si fermava con dire: "Comare, io non vi sarò ingrato; e a sua Signoria farò conoscere chi io sono"; e io, ringraziatolo, gli fo sapere che a le otto ore venga nel tal luogo, e ivi mi spetti. E beccati due altri scudarelli, lascio il beatus viro che manda per il barbieri, e fassi fare la testa antica coi panni e con i ferri caldi, i quali sempre portava seco; poi, mutatosi di camiscia, si profumò tutto quanto, e vestitosi un saio di velluto pavonazzo tempestato di ariento battuto, frangiato e sfrangiato per tutto, cenò solamente uova fresche e cardoni con pepe a furia; e ragionando con quella baldanza che si vede in quello il quale ha ricevuta la novella secondo il suo desiderio, fa stare uno a posta ad ascoltare l'oriuolo. E già sono le sei, onde non pò più tenersi in cavezza: ma piglia la cappa e la spada, dando prima uno sguardetto a una collana di dodici o quatordeci ducati incirca, la quale portava per donarla, con un rubinetto appresso di cinque in sei; la dà fuor de lo alloggiamento con un suo servidore valente seco. E portato dove gli diedi la posta, sona le sette, e io non vengo; sonano l'otto, e io non comparisco.
BALIA. Lo aspettar de la colomba, volli dir del corbo, sarà il suo.
COMARE. Ascolta pure. Egli cominciò, sonate che fur l'otto, a dire: "Tu non le hai conte bene, e non lo faria Cristo che non fossero le sette"; "Padrone, elle son le otto", replica egli; "Bestia, le son sette", risponde il signore. E datosi a spasseggiar, ogni strepitino che sentiva, diceva: "Eccola! certo ella non arà potuto far così presto"; e così dicendo dà due altre volte in su e in giù, e poi fermatosi dice al famiglio: "A me par pure che la vecchia ne sia venuta a la bona e senza ciance; ma qualche volta nascono degli sturbi, e non si pò venire a sua posta: e penso a me, che talvolta piglio la veste per andar fuora, e son ritenuto due ore da chi mi viene a trovare".
BALIA. Egli se lo beccava.
COMARE. Standosi in cotal ferneticamento, ecco scroccar le nove ed egli: "Puttana vergine, s'io sono ingannato a lo onor del Cielo, se la ruffiana ladra mi ci ha fatto stare, le darò tante ferite, le ne darò tante... spetta, spetta: adunque io sono uomo da soie, ah?", e ritornatosi a spasseggiare, soffiava come uno che si accorge del piantone datogli. E parendogli pure che io non dovesse né potesse mancargli, tre passi faceva a lo inanzi per ritornarsi a casa, e quattro a lo indrieto per aspettarmi dove gli dissi; e così andando e venendo, pareva non uno di quei bufoli che correno il palio, ma uno che non sa qual sia il suo meglio o l'andare o lo stare. Gianicco intanto lo refrustava a suo modo, arostendogli con il sufolo suo le orecchie e il viso, e col mordergli le labbra, gli cavava di bocca bestemmie nuove di trinca. A la fine chiarito e da le otto e da le nove e da le dieci, gridando un pezzo per la via "Oimè", se ne tornò donde si partì; e gittata la spada e la cappa in terra, diceva strignendo i denti: "Che, non le mozzarò il naso? non le darò ducento staffilate? non le mangiarò una gota coi morsi? Ruffianaccia traditora"; e colcandosi faceva croccare il letto con i suoi rivolgimenti; e recandosi ora in su quello e ora in su questo lato, squizzava come una biscia per i lenzuoli, si grattava il capo, si mordeva il dito, dava dei pugni al vento, e faceva un lamento crudele. E per ispassarsi il martello chiamò a dormir seco la sua alloggiatrice; e perché il fastidio che si ha, poi che l'hai fatto a una tocca da te acciò che te si passi il duolo che patisci per quella de la quale stai male, è incredibile, ficcata che l'ebbe, non se la potendo sofferire a lato, la cacciò da sé spettando il giorno: che penò, a suo giudicio, un mese a farsi, e tosto che si aprì, ecco saltarlo fuor dal letto e correre a casa mia. E io, conosciutolo al picchiare a l'arrabbiata, ne rido da me a me; e apertolo, sento fulminare: "A questo modo, ah? Con chi ti pare aver a fare, eh?", "Con un signore dei cortesi e da ben d'Italia" gli rispondo io, "e mi meraviglio de la Signoria vostra che corra così a furia contra una sua affezionata. Infine io ne farò il boto, io il farò certo: và e impacciati coi gran maestri và ! Io l'ho aspettato fino a l'alba, e mi sono aghiadata di freddo per servirvi, e non ho fatto niente".
BALIA. O questa è bella, che ti paressi anco aver ragione.
COMARE. Ed egli a me: "Io ho conto le sei, le sette, l'otto, le nove e le dieci, e non sète venuta"; e io a lui: "Quando vi partesti voi?"; "Finite che furono di sonare le dieci"; "Appunto nel finire del sonare che fecero, comparsi ivi: e spetta spetta, poteva spettare! E per dirlo a la Signoria vostra, io la lavai con queste mani, con l'acqua rosa e non con l'acqua schietta; e mentre le spurava le pocce, il petto, le reni, il collo, stupiva de la sua morbidezza e de la sua bianchezza. Il bagnuolo era tepido e il fuoco acceso, e io sono stata la colpa d'ogni male: perché nel lavarle le cosce e le meluzze e la cotalina, mi venni meno per la dolcitudine del piacere. Oh che carni delicate, oh che membra candide, oh che spesa non più fatta da veruno: io l'ho palpata l'ho basciata e maneggiata per una volta, sempre parlando di voi". A che fine sprolungarla? Io il messi in volontà : e rizzandosigli il piei-del-trespolo, me si lascia cadere a dosso, e diemmene una che se gli poteva dir "arcivoi", non pur "voi".
BALIA. Tu mi farai crepare, ah! ah! ah!
COMARE. E quante ne ho beccate su ai miei dì per cotal via: insomma tutti i buon bocconi son trangusciati dai cuochi, e noi ruffiane aviamo, ruffianando, il medesimo piacere che ha colui che fa le cialde, il qual si mangia tutte quelle che si rompano; anzi quello dei buffoni, i quali vestano e mangiano de le robe e dei cibi dei signori. Sbizzarrito e sfoiato che fu sopra di me, prese tanto dispiacere vedendomi ghignare per ciò, che mi si dilequò dinanzi in quella ora e in quel punto, che nol viddi mai più.
BALIA. E chi non si sarebbe dilequato?
COMARE. Io te ne vo' contare una, per via de la quale fu per uscire di sé un grande uomo. Costui che io ti dico s'innamorò di una vaga cosettina: non perciò sì diminutiva che non si trovasse in letto, ma gentiluzza, tutta spirito e tutta grazia; e con certi suoi occhietti, con certi suoi risetti, e con alcuni atti, gesti e modi trovati dai suoi andari, aguzzava il core d'ognuno. Onde il personaggio dettoti se ne infiammò al primo; e spendendo e con seco e con meco, prese la possessione di lei: e gliene lasciai avere cinque o sei volte a suo piacere; ma di giorno, quando a buonotta, quando al tardi, quando a nona e quando a vespro: di modo che quella ingordezza che mostrò nel principio de lo ottenerla, gli passò di tratto, e le faceva più tosto carezze per un bel parere che per un grande amore; e quasi per pigliarsene burla, la pregò che venisse a dormir seco, e ella me ne fa segretaria. Onde risolvo che a fargliene carestia acconciarà i nostri fatti; e ordino che ella gli prometta di venire in casa d'una sua vicina a sei ore: e facciolo piantare sei notte di lungo. La prima si trapassò con niun fastidio; la seconda, venne via un poco di voglia; la terza, il forno comincia a scaldarsi, e i sospiri si mettano in ischiera; la quarta l'ira e la gelosia lo conducano in campo; la quinta, la rabbia e il furore gli pongano l'armi in mano; la sesta e ultima, ogni cosa va in fracasso: la pacienzia rinega, lo intelletto impazza, la lingua taglia, il fiato coce, il cervello si sgangara; e rotto la briglia del rispetto, si dà drento, e con minaccia e con istridi e con pianti e con doglie e con disperazione si sta spettando, ma con altra passione che non provò quello il quale me la caricò mentre spettava chi mai non venne. E credendosi che il mancar di lei venisse dal suo avermi dato troppo poco, me lo dice, mi dà , mi promette; e bravando mi accarezza. Parla a la innamorata e, lamentandosene, la vede giurare che non campa da lei, ma che sua madre la guarda: "E perché la bevanda che per farla dormire mi deste" gli dice ella, "ne l'assaggiarla le parse amara, ha preso sospetto; e non si addormentaria, se non mi vedesse colcata, per tutto l'or del mondo". E promettendogli la notte avvenire di certo e di chiaro, e non venendo, era spasso e cordoglio a vedere un par suo farsi cento volte per attimo a la finestra, con dire: "Quante ore sono? La viene, la non pò stare, e so che non mancaria, perché mi ha promesso su la fede sua"; e ogni nottola che volava gli pareva lei che venisse; e spettando anco un poco e un poco più, con una altra oretta appresso, sbuffava, si rodeva e smaniava come un che ode il bargello che gli dice "Acconcia i fatti tuoi" e mostragli il confessore. Passat...
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