[Pagina precedente]...tano a le sue amicizie quando tornano da predicare di qualche lato, faceva stupire le stigmate: perché io so ciò che fanno con le vedove che gli presentano di camisce, di fazzoletti e di desinari, e le tresche e i guazzabugli. E fu pur grande quella di colui che mentre si scagliava in sul pergamo come un drago, mettendoci tutti per perduti, gli cadde fra il popolo, che a la moccicona lo ascoltava la berretta che si teneva ne la manica, onde viddero i ricami ascosti: nel mezzo del di drento stava un core di seta incarnata che ardeva in un fuoco di seta rossa, e intorno a l'orlo, di lettere nere si leggeva:
Amor vuol fede, e l'asino il bastone;
talché la turba, scoppiata nel tuono de le risa, la riposono per reliquia. E circa le figure di santa Nafissa e di Masetto da Lampolecchio, non è ver nulla, e certissimamente in cambio dei cotali ci sono appiccati per le mura cilici, discipline con le punte di agora, pettini aguzzi, zoccoli con le guigge, radici che testimoniano il digiuno che esse non fanno, ciottole di legno con le quali si misura l'acqua che si dà a chi fa astinenzia, capi di morti che fanno pensare al fine, ceppi, corde, manette, flagelli: le quali cose impauriscano chi le guarda, e non chi erra né chi ce le appicca.
PIPPA. È possibile che sieno tante novelle?
NANNA. Ci sono anche di quelle che io non mi ricordo. Ma che averebbono detto alcune ignorantuzze, alcune fiuta-stronzi, se io avesse publicato in che modo la maestra de le novizie si avvede quando suora Crescenzia e suora Gaudenzia è al cane? Petegole di feccia di birro, che voi siate scopate, poiché date di becco fino al favellare de chi ve ne terria a scuola.
PIPPA. Che, non si pò favellar come altri vole?
NANNA. Tanto abbin fiato le scimonite come esse non fanno mai altro che appuntare ciò che si favella a la usanza del paese, minuzzando le lor dicerie come si minuzza il radicchio: e ti prego, figliuola mia, che non eschi de la favella che ti insegnò mammata, lasciando lo "in cotal guisa" e il "tantosto" a le Madreme; e dagliene vinta quando elleno con alcune voce nuove e penetrative dicano "Andate, che i Cieli vi sieno propizi e l'ore propinque", dileggiando chi favella a la buona, dicendo "vaccio", "a buonotta", "mo' mo'", "testé testé", "alitare", "acorruomo", "raita", "riminio", "aguluppa', "sciabordo", "zampilla", "cupo", "buio", e cento mille d'altre parole senza fette.
PIPPA. Cornacchie.
NANNA. Tu l'hai battezzate bene, poiché vogliano che si dica "tosto" e non "presto", "in molle" e non "in macero", e se dimandi loro perché, rispondano: "Perché "porta" e "reca" non è di regola"; di modo che è un pericolo di aprirci più bocca. Ma io, che sono io, favello come mi pare e non con le gote tronfie, sputando salamoia; vado coi miei piedi e non con quelli de la grue, e do le parole come elle vengano e non me le cavo di bocca con la forchetta. Perché son parole e non confezioni; e paio, favellando, una donna e non una gazzuola: e perciò la Nanna è la Nanna, e la genia che va cacando verbigrazie, apponendo al pelo che non fu mai ne l'uovo, non ha tanto credito che gli ricopra il culo; e in capo de le fini, chi tutto biasima senza far nulla, non fa mai sbucare il suo nome de le taverne: e io ho fatto trottare il mio fino in Turchia. Si che cibeche, io voglio ordire e tessere le mie tele a mio senno perché so dove trovarmi l'accia per le fila che ci vanno, e ho molti gomitoli di refe per cuscire e ricuscire i miei sdrusciti e tagliati.
PIPPA. Le sfatate vanno stuzzicando il formicaio: e scoppiano se un dì non gli facciamo le fica a occhi veggenti, da che cincischiano il nostro favellare.
NANNA. Gliene farem certo. To' su questa: una sibilla, una fata una beffana che insegna a cinguettare ai pappagalli, mi dimandò non ier l'altro quel che vuol dire "anfanare", "trasandare", "aschio", "ghiribizzo", "merigge", "trasecolo", "mezza moscia", "sdrucciola" e "razzola"; e mentre io le chiariva le cifere, l'andava scrivacchiando: e mo' se ne fa bella come fosse sua farina. Ma io, che vivacchio a la schietta, non me ne curo; e non mi dà noia se "covelle" è più goffo che "nulla".
PIPPA. Non baloccate più con le punteruole, perché il cervello mi s'ingarbuglia: onde mi si scordarà tutto quello che importa al caso mio.
NANNA. Tu hai ragione; e la stizza che io ho de le alfane che stanno in sugli archetti facendo insalatucce e salsette di paroline affamate, e con ostinazione di zecche e di piattole le voglion vincere, mi ha fatto uscir del seminato. Pure io mi rammento che ti diceva come devi accarezzare i vertuosi che il più de le volte si ritrovano a le tavole dei signori.
PIPPA. Cotesto mi diciavate di bel punto.
NANNA. Accarezzagli, ragiona con loro; e per parere che tu ami le virtù, chiedegli un sonetto, uno strambotto, un capitolo e simili pazzie: e quando te gli danno, basciagli e ringraziagli non altrimenti che tu avessi ricevuto gioie. E tuttavia che ti picchiano a l'uscio, aprigli sempre: perché sono discreti; e se ti veggano occupata, senza altro cenno se ne andranno, corteggiandoti doppo le spedizioni.
PIPPA. E se pur pure io non avessi fantasia d'aprirgli, che sarebbe?
NANNA. Saresti zombata da le più crudeli villanie che s'udisser mai: per che, tra il cervello che gareggia seco a ogni punto di luna e lo sdegno che pigliarieno per ciò, guarda la gamba. E perché egli è propio costume di donna di non appiccar mai una parola con l'altra, prima che io ritorni al signore col quale sarai, vo' dirti un tratteto che favellandoti dei vecchi m'era uscito di mente.
PIPPA. Debbe esser galante, poiché ritornate indrieto per dirmelo.
NANNA. Ah! ah! Io voglio, Pippa, che di quei confetti che si spargeranno per tutta la tavola levata la tovaglia, che tu ne pigli .V. grani e che, bugliandoli, tu dica: "S'essi fanno bella croce, il mio vecchio caro e dolce non ama se non me, se la croce è sgangherata egli adora la tale". Pippa, se la croce stia bene alza le mani ai cielo, poi, allargate le braccia, legalo tutto con esse e dagli un bascio con tante cacabaldole quante ti sai imaginare: intanto lo vedrai cader giuso come uno che crepa de caldo dove fiata un poco di ventarello. Caso che la croce venga male, lasciati scappare, se si può, due lagrimucce accompagnate da due sospiri ladri, e levati da sedere e vanne al fuoco, facendo vista di stuzzicarlo con le molli perché te si trapassi la collera: in questo il coglion bue te si avventarà a dosso rimbambitamente giuracchiandoti per corpi e per sangui che madesì, e tu, andandotene in camara, affronta lo fin d'un non so che prima che tu facci la pace.
PIPPA. Io vi servirò, mamma.
NANNA. Non ho altra fede, figlia. Eccoti al signore, eccoti a lui che frappa d'amori dicendo "La signora tale, madama cotale la duchessa, la reina" (e la merda che gli sia in gola), "mi diede questo favore, e questo altro quella altra", e tu lauda i favori e stupisciti come tutte le belle di Tunisi non si battezzano per tirarselo a dosso, e mentre egli entra in su le prove che ha fatto ne lo assedio di Firenze e nel sacco di Roma, accòstati a quello che ti è più presso e digli, che il giorneon ti intenda "Oh, che bel signore! La grazia sua mi cava di sesto", ed egli fingendo di non intendere, si pavoneggiarà tutto. E sappi che chi non usa seco le astuzie che usano i cortigiani del mal tempo con i monsignori, ponendo sopra de le gerarchie le lor gaglioffarie, gli diventa nimici.
PIPPA. Io l'ho inteso.
NANNA. Adulazione e finzione son la pincia dei grandi: così si dice; e perciò sbalestra la soia con tali, se vuoi carpirne qualche cosa; altrimenti tu mi ritornarai a casa con la pancia piena e con la borsa vota. E se non che la loro amicizia ha de l'onorevole più che de l'utile, ti insegnerei a fuggirgli: perché vorrebbero esser soli al pacchio; e perché son signori, che altri non ne desse ad altri; e han per manco, come non vieni o non gli apri, di mandar gli staffieri a bravar la porta, la strada, le finestre e la fante, che di sputare in terra. E paiono quei cagnacci che si imbattono dove molti cagnoletti montano una cagnola: che, sbranando questi e quelli coi rinchi e coi morsi, tengano tutta la via e non ci è dubbio che tal pratica dà la fuga a chi ha paura di concorrer con loro, ed è perfetta per quelle che han più caro il fume che l'arosto.
PIPPA. Dio mi aiuti con questi signori.
NANNA. Ma io ti vo' donare un colpetto che, se i villani crepassero, gli costarà. Come sua Altezza si comincia a spogliar per corcarsi, togli la sua berretta e pontela in capo; poi ti vesti il suo saio, e dà due spasseggiatine per camera: subito che il messere ti vede diventata di femina maschio, te si avventarà come la fame al pan caldo; e non potendo patire che tu vada a letto, ti vorrà fare appoggiar la testa al muro o sopra una cassa. Quello che io ti vo' dire è che tu ti lasci prima squartare che tu gliene dia, s'egli non ti dà la berretta e il saio per venir poi a lui con l'abito che più diletta ai signori.
PIPPA. La vacca è nostra.
NANNA. Ma sopra tutte le cose, studia le finzioni e le adulazioni che io ti ho detto, perché sono i ricami del sapersi mantenere. Gli uomini vogliono essere ingannati e ancora che si avveghino che si gli dia la baia e che, partita da loro, gli dileggi vantandotene fin con le fanti, hanno più caro le carezze finte che le vere senza ciance. Non far mai carestia di basci né di sguardi né di risi né di parole; abbi sempre la sua mano in mano, e talvolta di secco in secco strigneli i labbri coi denti si che venga fuor quello "oimè" troppo dolcemente fatto nascere da chi si sente traffigere con dolcezza: e la dottrina de le puttane sta nel saper cacciar carote a' ser corrivi.
PIPPA. Voi nol dite a sorda né a muta.
NANNA. Io penso...
PIPPA. A che?
NANNA. ...a me, che voglio insegnarti i modi che debbi tenere per riuscir dove io spero vederti, e io, insegnandotigli, metto ne la via coloro che aranno a far teco: perché, sapendosi ciò che io ti dico, saprassi anco, non ti credere, quando usarai le tue arti, e così i miei avvedimenti simigliaranno una di quelle dipinture che da tutti i lati guardano chi le mira.
PIPPA. Chi volete voi che lo bandisca?
NANNA. Questa camera, quel letto quivi, le seggiole dove sediamo, e quella finestrella colà, e questa mosca che mi si vuol manicare il naso (diavol pigliela): le son pur prusuntuose, le vincano le importunità dei gelosi che vengano in fastidio fino a lor medesimi con le spigolistrarie che usano in guardare colei che non si può guardare quando la se delibera di accoccargliene. Con bestia di cotal buccia sappiti governare da savia e fagli più tosto le corna che i cenni. Vien qua: tu sarai amica d'uno che si recarà ad uggia uno che ti accommodarà, non come lui, ma di maniera che il perderlo ti nocerebbe assai assai. Costui ti comandarà che non gli apra, non gli parli, né che accetti niuna cosa del suo: qui bisognano giuramenti diabolici fronte sfacciata, scrollature di capo, voci a l'aria e alcuni gesti che si maraviglino di lui che si crede che tu lo cambiasse per cotal pecora; e soggiugnendo "Stiam freschi se si crede che io mi gitti via con quel cera-di-asino, con quel viso-di-mentecatto" e chiedi tu stessa i guardiani, salariandogli le spie; e tenendoti serrata, stavvi pure; se il sospetto gli si scema punto, non perder tempo. Ma quello che tu gli furi, spendalo ne le contentezze del pover foruscito: tirandolo in casa quando il geloso n'esce o ne lo scarcarsi de le legne, o nel portare il pane al forno. Se il farnetico gli cresce, ordina che di notte venga drento, e nascondalo nel camerino de la fante, dove fà che stia sempre la predella da fare i tuoi fatti, e a posta mangia la sera cose che ti movino il ventre, o finge doglie di fianco, e scappagli da canto tuttavia lamentandoti: e vanne là da colui che, per aspettarti col pifero in mano, farà due chiodi a una calda, e fa dolcitudine che piacendo ti solleticarà tutta, ti farà fare altri "oimè" e altri "i' moio", e con più gran ramarico che il mal del madrone. Compito il servigio, rivientene a lui scarica...
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