[Pagina precedente]...o il termine di assai, si gitta vestito sopra i panni: né bocconi, né rovescio, né i
sui lati trova tanto di riposo che gli faccia serrar gli occhi; e il pensiero è sempre fitto in colei che se ne ha fatto beffe. Si leva suso, spasseggia, ritorna a la finestra, si ricolca: e in quello che sta per addormentarsi per istracchezza, si sveglia, e sospirando si leva, essendo già il dì alto. Vien l'ora del mangiare, e puzzandogli l'odore de le vivande, ci torce il gusto: e assaggiatone un bocconcino, lo sputa come se fosse veleno. Fugge gli amici; s'un canta, gli par che lo trafigga; s'un ride, l'ha per male; non si pettina barba, non si lava viso e non si muta camiscia; va solo, e mentre i pensieri, il core, la mente, la fantasia e il cervello gareggia coi suoi fernetichi, cade là più morto che vivo. E facendo sempre giardini in aria, non conchiude mai nulla: scrive lettere, e poi le straccia; manda imbasciate, e poi se ne pente; or prega e or minaccia, mo' spera e mo' si dispera; e sempre il suo "ei si sia" è amannito.
BALIA. Io mi risento tutta nel raccontarmi ciò che tu mi racconti e tristo a chi prova cotali tormenti. Aspro è il martorio con che amore percote gli innamorati; o Iddio, che animo è quello d'un tale: ogni cosa gli è a noia, il mèle gli pare amaro, il riposo fatiga, il mangiar digiuno, il ber sete, e il dormire vegghia.
COMARE. In .X. dì o .XII., se tu lo avesse veduto, ad ogni altra cosa che a uomo l'averesti simigliato: non si raffigurava da se stesso ne lo specchio, e certamente io non gli diedi cotal fune per volergli male ma volsi provare una ricetta da martellare uomini. Sì che, Balia, poiché la riesce, usala: e averai ciò che tu vuoi da le persone condotte a simile sorte.
BALIA. Avestigli tu poi pietà ?
COMARE. Sì, ben sai che sì.
BALIA. L'ho caro.
COMARE. Io la feci venire a dormir con seco più e più volte: e come lo vedeva stregnere il pugno meco, io tirava la cavezza de la cavalla, e s'egli allargava, io allentava.
BALIA. Anche io allentarò la briglia, se un tale allarga la mano.
COMARE. Fà llo, se ci vuoi reggere. Ma è pur grande il miracolo che fa uno il qual racquista la donna sua, ed è pur vero che, tosto che la ribascia e abbraccia, gli torna il colore nel viso, le forze nel corpo, l'aria ne la fronte, il riso negli occhi e ne la bocca la fame, la sete e la parola, il suo senno ritruova l'amicizia, piacegli i suoni, i balli e i canti: e per dirtela in un fiato, egli risuscita più tosto che non more.
BALIA. O Amore, tristo a chi tu ti cogli a urto.
COMARE. Veniamo in su le allegre. Un certo fiuta-cupidi, il quale non averebbe dato la man dritta a la bellezza del Parmigiano cameriere di papa Giulio, e perché un suo servidore gli disse che tutte le cortigiane e le gentildonne de la terra nel suo passare stavano per gittarsi de le finestre per amor suo, diede l'arra a quante coltrici e a quanti materazzi ci erano, con fantasia di farsegli portar drieto donde passava, acciò che le non si rompessero nel trarsegli a dosso. E con tutte rideva, con ciascuna faceva il morto, sempre smusicava, a ogni ora scriveva lettere amorose, tuttavia leggeva sonetti, e a otta a otta si spiccava da qualcuno e correva a favellare a le pollastriere; e come aveva chiavato tutte le donne con gli occhi, si finiva di chiarire drieto Banchi. A costui ne feci io una dolce dolce.
BALIA. Ti sono schiava in catena, perché mi parrebbe esser contessa se ne vedessi trarre un dì uno di cotali sciagurati nel cesso, e quanti ce ne sono.
COMARE. Egli veniva ogni mattina a la Pace, e ponendosi sempre nei luoghi più onorati, con tutte la voleva; e aresti detto vedendolo civettare: "Costui pone la sella a ciascuna". Onde io poi che l'ebbi visto ascoltare quello che favellavamo, dico a la mia compagna: "Il barbagianni ci spia, non ti guastare, e stupisci del mio dire"; e ciò detto, alzo un poco più la favella e dico: "Io sono ormai fradicia per i rompimenti di cervello che mi fa quel del Piombo, il quale è sì gran dipintore: io gli ho mostro il dito, ed egli ha preso il dito e la mano"; "Come?" mi risponde ella, "Io gli feci l'altro dì ritrarre una, non bella, anzi miracolosa fanciulla, e con una fatiga da cani; e pagommi, il vero si debbe confessare. Ora mi è a le spalle per ritrarla di nuovo, non gli bastando averla avuta più volte: egli l'ha ritratta per l'angelo, per la Madonna, per la Madalena, per santa Apollonia, per santa Orsola, per santa Lucia e per santa Caterina e gli ametto la scusa, perché è bella, ti dico". Il corrivo, che ci aveva spalancate le orecchie, partita che io fui dal chiacchiarare con l'amica mia, mi tien drieto: e s'io camino, camina, s'io vo adagio, va adagio, e s'io mi fermo, si ferma, tosse un pochetto, si rischiara, saluta altrui con boce che io la sento, e fa mille movimenti acciò che io mi accorga che egli è lui. Intanto io mi lascio cascare la corona, e passo via col fingere di non me ne essere avveduta: e il coglioncino spicca un saltetto e la ricoglie, e con "Madonna, o madonna" mi fa voltare; e porgendomela, dico: "Smemorata che io sono: gran mercé a vostra Signoria; s'io posso nulla, quella mi comandi". E volendo movere il passo, ecco che mi tiene; e tiratami da canto, comincia a dirmi il desiderio che ha di farmi piacere, e che per esser giovane non gli par prosunzione il richiedere il mio mezzo per acquistarsi una manza: e che, bontà de le laude che mi ha sentito dare a colei più e più volte ritratta per lo angelo Gabriello, è caduto in un fuoco e in una fiamma che ne spasima.
BALIA. Oh, tu il facesti uscir con grazia.
COMARE. Io gli rompo il parlar con quel "perdonatemi" che si usa quando altri vòl cicalare anche egli; e rispondo a le partite, conchiudendo che il domesticarsi con colei saria impossibile e gli allego i rispetti e i sospetti; e licenziatami da lui, faccio cinque o sei passi masticando il "pensatici suso" col quale mi aveva lasciato, e poi mi rivolto indietro e lo accenno, ed egli a me: "Che comanda la mia madre?"; "Io spero ben per voi e mi son ricordata... basta mo': fate di essere istasera in su la mezza ora di notte in casa nostra, che forse forse... State con Dio".
BALIA. Che bei tratti.
COMARE. Oh, se tu avesse veduto con che sbragiar di andar galante si partì il matto spacciato, ne aresti pur riso: se ne andò subito a veder a l'oriuolo quante ne son sonate; e ogni amico il qual trovava, poneva la mano in su la spalla e gli diceva pian piano: "Istasera toccarò una cosa che se ne terria buono un duca: non ne favellare, perché non ti posso dire altro".
BALIA. Al goffo.
COMARE. Ecco l'ora sona, ed egli viene; e io gli dico: "Non vi ho io a dire? Ella vi conosce, e perciò sta sopra di sé con buone ragioni"; "Come buone?" risponde il zugo, "non sono io uomo, ah?"; "Signor sì, non collera" gli dice la Comare, "ella sa che voi le volete tutte, e che tutte l'avete; e dubita che saziato che ne foste, di non rimanere imbertonata. Ma io che conosco le persone in due sguardi, ho tanto fatto e tanto detto, che è rimasa servitora vostra"; "Anzi padrona, potta di santa Bella, cane de la gatta", sfoderò egli. Io seguito: "Sappia vostra Signoria, che mi aveva dato uno anello propio come cotesto che avete in dito, perché voi il portassi per amor suo, ma io le dissi: anzi egli vòl donarvi il suo, acciò che in segno de la sua fede il godiate"; appena fornii la parola che, fregatosi il dito con la lingua, il cavò fuora, con dirmi: "Voi eravate nel mio animo quando gnele diceste: e perciò non vi incresca il portarlo a lei, e ordinare quella faccenda".
BALIA. Ah! ah! ah! Chi non rideria del modo col quale gli trafugasti la gioia?
MARE. Avuto l'anello, gli prometto il dormir con lei la notte che verrà ; e fattolo trarre di cinque giuli, con un "andate felice" il licenzio. Poi trovo una ciarpa assai sufficiente, e la vesto di robbe tolte a pigione, la striscio e l'acconcio pulitamente: e così in la casetta d'un mio compare, gliene colco a canto; e perché un lumicino, che tuttavia accennava di spegnersi lambiccato da me, non gliene lasciava discerner a suo modo, rinegava il Cielo. Ma fu per far boto di farsi frate quando io, una ora inanzi , lo scovai e il feci levar suso, pelandomi tutta quanta, con dirgli: "Noi siamo scoperti: i fratelli, il marito, i cognati; disfatta a me! trista a me!". Possa io fare pessimo fine se la paura che ebbe non gli fece scordar la borsa sotto il capezzale: e venendo la mattina per favellarmi, gli messe tanto sospetto un mio bertone che pareva disperato, che non ci tornò mai più.
BALIA. Come mi piace che simili stracca-amori sieno trattati in cotal maniera; venite via frasche, venite via code triemole, che elle si sbracono per tirarvisi in sul corpo: bestiuoli, caca-muschio, sputa-rubini, visi-di-mone.
COMARE. A quella d'una monica.
BALIA. Gran faccende son quelle de la ruffiana: per tutto bisogna che sia, e che a ogni cosa ponga mano, e prometta e sprometta, e neghi e confermi.
COMARE. Cappe, che son gran faccende quelle de la ruffiana! Una ruffiana dee trasformarsi in un sarto.
BALIA. Come così, in un sarto?
COMARE. Al sarto dee simigliarsi nel promettere. Ecco che ti taglia una veste, un giubbone, un paio di calze e un saio, e benché sia certo di non poter servire non pure il dì de la promessione, ma né l'altro che segue, né l'altro che viene, né il doppo meno, pur ti promette e rafferma: e ciò fa per non si lasciare uscir di mano i lavori. Viene la mattina, e colui che si crede vestire, spettato una e due ore nel letto, manda dire che si spacci; ed egli: "Adesso adesso fornisco di ficcarci dieci punti che mancano, e vengo via". Passa l'otta di terza, l'otta di desinare, l'otta di nona, e non comparisce: talché il messere lo squarta con le bestemmie e con le braverie. Ma il maestro pratico, finiti che gli ha, trotta a casa di chi n'è padrone, e spiegati là i vestimenti, frappa, si scusa, si umilia, stringe ne le spalle, dà ragione altrui, patisce: non facendo conto veruno del "ladro" né del "poltrone" che se gli dà di prima giunta. Come ancora fa la ruffiana, la quale lascia gracchiare chi gracchia con il suo non osservare così di punto le promesse de la sua fede data a credenza: e quando non va a torno altro che "ruffianaccia", "ribaldaccia", "troiaccia", è un sollazzo.
BALIA. Un sollazzo veramente.
COMARE. Ed è proprio a la similitudine di colui che si distrugge ne lo aspettar le vesti nuove, quello uomo il quale vede passar l'otta de la posta, onde vòle strozzar la ruffiana: la quale in ogni sua occorrenzia dee far quel viso, al burlato da lei, che fa uno oste al forestieri tirato dal suo garzone ad alloggiar seco.
BALIA. In che modo ad alloggiar seco?
COMARE. Ti dirò. I garzoni degli osti stanno in su la sera un miglia discosto a l'ostaria; e visto un viandante, cominciano a dirgli: "Signore, o messere, venite con meco che vi darò starne, fagiani, tordi, tartufi, beccafichi, trebiani", e fino al zuccaro brusco gli promettano; e menatolo dove vogliono, appena ha di pollastri e d'un solo vino; e gridando per ciò, l'oste si scusa con dirgli: "È vero che poco fa un monsignore cavalcato a staffetta si ha mangiato tutto quello che il mio famiglio si credeva che ci fosse"; onde è forza che chi è smontato e spogliatosi fino agli stivali, mangi di quel che ci è.
BALIA. Come anco debbe far l'uomo al quale la ruffiana ha promesso signora o gentildonna, e poi gli pone inanzi una vitella che tien di vacca.
COMARE. Colta l'hai. Or torniamo a la monica, a la suora, a la bizzoga, la castità de la quale corruppi con una bestemmiuzza e con un sagramentino. Ma perché non mi si smentichi, ti voglio insegnare, inanzi che io parli dei monisteri, un bel colpo: fà una professione ostinata di non bestemmiare e di non giurare, e usa ogni studio perché si divulghi che fra tutte le tue pecche è mescolata una sola bontà rada radissima in ruffiana cioè che tu non bestemmi e non giuri mai.
BALIA. Perché ho io a far cotesto che tu dici?
COMARE. Perché il punto nostro sta nel cacciar carote, in far creder quello che non è e non pò essere; e o...
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