[Pagina precedente]...rassettate le membra sul dosso e guardati un tratto sottomano i compagni che ragionevolmente gli staranno poco di lungi, affige umilmente i tuoi occhi nei suoi, e sciorinata che tu hai una profumata riverenzia, sguaina il saluto con quella maniera che sogliono far le spose e le impagliate (disse la Perugina), quando i parenti del marito o i compari gli toccano la mano.
PIPPA. Io diventarò forse rossa a farlo.
NANNA. E io allegra, perché il belletto che ne le gote de le fanciulle pone la vergogna, cava l'anima altrui.
PIPPA. Basta dunque.
NANNA. Fatte le cerimonie secondo che si richiede quello col quale tu hai a dormire, la prima cosa te si farà seiere a lato, e nel pigliarti la mano accarezzarà me che, per far correre il volto dei convitati nel tuo viso, terrò sempre fitti gli occhi ne la tua faccia, facendo vista di stupire de le tue bellezze. E così cominciarà a dirti: "Madonna vostra madre ha ben ragione di adorarvi perché le altre fanno donne, ed ella angeli", e si avviene che dicendo simili parole si chini per basciarti l'occhio o la fronte, rivolgetigli dolcemente e sfodera un sospiretto che appena sia inteso da lui: e si fosse possibile che in cotal atto tu ti facessi le guance del rosato che io dico, lo coceresti al primo.
PIPPA. Si, eh?
NANNA. Madesì.
PIPPA. La ragione?
NANNA. La ragione è che il sospirare e lo arrossare insieme, sono segni amorosi e un principiar di martello; e perché ognuno si contiene stando in sul tirato, colui che ha a goderti la seguente notte cominciarà a darsi ad intendere che tu sia guasta di lui: e tanto più il crederà , quanto più lo perseguitarai con gli sguardi; e ragionando tuttavia teco, ti tirarà a poco a poco in un cantone: e con le più dolci parole e con le più accorte che potrà , entraratti su le ciance. Qui ti bisogna risponder a tempo, e con boce soave sforzati di dire alcuna parola che non pizzichi del chiasso. Intanto la brigata, che si starà giorneando meco, si accostarà a te come bisce che si sdrucciolano su per l'erba, e chi dirà una cosa e chi un'altra, ridendo e motteggiando: e tu in cervello; e tacendo e parlando, fà si che il favellare e lo star queta paia bello ne la tua bocca; e accadendoti di rivolgerti ora a questo e ora a quell'altro, miragli senza lascivia, guardandogli come guardano i frati le moniche osservantine, e solamente lo amico che ti dà cena e albergo pascerai di sguardi ghiotti e di parole attrattive. E quando tu vuoi ridere, non alzar le boci puttanescamente spalancando la bocca, mostrando ciò che tu hai in gola: ma ridi di modo che niuna fattezza del viso tuo non diventi men bella; anzi accrescile grazia sorridendo e ghignando, e lasciati prima cadere un dente che un detto laido; non giurar per Dio né per santi, ostinandoti in dire "Egli non fu così", né ti adirare per cosa che ti si dica da chi ha piacere di pungere le tue pari: perché una che sta sempre in nozze debbe vestirsi più di piacevolezza che di velluto, mostrando del signorile in ogni atto; e ne lo essere chiamata a cena, se bene sarai sempre la prima a lavarti le mani e andare a tavola, fattelo dire più d'una volta: perché se ringrandisce ne lo umiliarsi.
PIPPA. Lo farò.
NANNA. E venendo la insalata, non te le avventare come le vacche al fieno: ma fà i boccon piccin piccini, e senza ungerti appena le dita póntigli in bocca; la quale non chinarai, pigliando le vivande, fino in sul piatto come talor veggo fare ad alcuna poltrona: ma statti in maestà , stendendo la mano galantemente, e chiedendo da bere, accennalo con la testa; e se le guastade sono in tavola, tòtene da te stessa, e non empire il bicchiere fino a l'orlo, ma passa il mezzo di poco: e ponendoci le labbra con grazia, nol ber mai tutto.
PIPPA. E s'io avessi gran sete?
NANNA. Medesimamente beene poco, acciò che non te si levi un nome di golosa e di briaca. E non masticare il pasto a bocca aperta, biasciando fastidiosamente e sporcamente: ma con un modo che appena paia che tu mangi; e mentre ceni favella men che tu puoi: e se altri non ti dimanda, fà che non venga da te il ciarlare, e se te si dona o ala o petto di cappone o di starna da chi siede al desco dove tu mangi, accettalo con riverenzia, guardando perciò l'amante con un gesto che gli chiegga licenza senza chiederla, e finito di mangiare, non ruttare, per l'amor d'Iddio!
PIPPA. Che saria se me ne scappasse uno?
NANNA. Ohibò! Tu caderesti di collo a la schifezza non che agli schifi.
PIPPA. E quando io farò quello che mi insegnate e più, che sarà ?
NANNA. Sarà che tu acquistarai fama de la più valente e de la più graziosa cortigiana che viva; e ognuno dirà , mentovandosi l'altre, "State queti, che val più l'ombra de le scarpe vecchie de la signora Pippa, che le tali e le cotali calzate e vestite"; e quelli che ti conosceranno, restandoti schiavi, andran predicando de le tue vertù; onde sarai più desiderata che non son fuggite quelle che han i fatti di mariuole e di malandrine: e pensa s'io ne gongolarò.
PIPPA. Che debbo io fare cenato che aremo?
NANNA. Intertienti un pochettino con chi sarà dove te, non ti levando mai da canto al drudo, e venuta l'ora del dormire, lasciaraimi ritornare a casa, e poi, riverentemente detto "Buona notte a le Signorie vostre", guardati più che dal fuoco di non esser veduta né udita pisciare, né far tuo agio, né portar fazzoletto per forbirtela: perché cotali cose farieno recere i polli, che beccano d'ogni merda. Ed essendo serrata in camera, guarda pure se tu vedi sciugatoio o scuffia che te si atagli e, senza chiedere, và lodando i sciugatoi e le scuffie.
PIPPA. A che fine?
NANNA. A fine che il cane, che è a la cagna, ti proferisca o l'uno o l'altra.
PIPPA. E se egli me le proferisce?
NANNA. Piantagli un bascio con una punta di lingua, e accetta.
PIPPA. Sarà fatto.
NANNA. Poi, mentre egli si corcarà a staffetta, vatti spogliando pian piano, e mastica qualche parolina fra te stessa mescolandola con alcun sospiro: per la qual cosa sarà di necessità che ti dimandi, nel tuo entrargli allato: "Di che sospiravate voi, anima mia?", allotta squinternane un altro e dì: "Vostra Signoria mi ha amaliato", e dicendolo abbraccialo stretto stretto, e bascià telo e ribascià telo che tu lo arai, fatte il segno de la croce, fingendo di essertene scordata a lo entrar giù: e se non vuoi dire orazione né altro, mena un pochetto le labbra acciò che paia che la dica per esser costumata in ogni cosa. Intanto il brigante, che ti stava aspettandoti nel letto come uno che ha fame bestiale e si è posto a tavola senza esserci ancor suso né pan né vino, ti andrà lisciando con la mano le pocce, tuffandoci tutto il ceffo per bersele, e poi il corpo, calandola a poco a poco a la monina, e dato che le arà parecchi mostacciatine, verrà a maneggiarti le cosce: e perché le chiappettine son di calamita, tiraranno a sé la mano che io ti dico, e festeggiatole alquanto, cominciarà a tentarti, con lo intermetterti il suo ginocchio fra le gambe, di voltarti (non si arrischiando di chedertelo così a la prima): e tu soda; e caso ch'egli imiagolando faccia il bambolino cadendo nei vezzi salvatichi, non ti voltare.
PIPPA. E se mi sforzasse?
NANNA. Non si sforza niun, matta.
PIPPA. E che è il lasciarselo far più dinanzi che dirieto?
NANNA. Scimonita, tu parli propio da sciocca come tu sei, dimmi: che val più, un giulio o un ducato?
PIPPA. Io v'ho: l'ariento è da men che l'oro.
NANNA. Pure il dicesti. Ora io penso a un bel tratto...
PIPPA. Insegnatemelo.
NANNA. ...bello, bellissimo.
PIPPA. Deh sì, mamma.
NANNA. Se pur pure egli ti va ponendo la leva fra le cosce per volgerti a suo modo, atasta si egli ha catenine al braccio o anelli in dito; e secondo che il moscone ti si raggira intorno per la tentazione che gli dà l'odore de l'arosto, prova s'egli se gli lascia tòrre: se lo fa, lascialo fare, e svaliscià telo de le gioie, lo truffarai per lettera; quando no, digli a la libera: "Dunque vostra Signoria va dirieto a così fatte ribaldarie?". Ciò detto, ti recarà a buon modo, e montandoti a dosso, fà il tuo debito, figlia: fallo, Pippa, perché le carezze con le quali si fanno compire i giostranti son la rovina loro, il dargliene dolce gli ammazza; e poi una puttana che fa ben quel fatto è come un merciaro che vende care le sue robbe: e non si ponno simigliare se non a una bottega di merciarie le ciance, i giuochi e le feste che escano da una puttana scaltrita.
PIPPA. Che similitudine che voi fate.
NANNA. Ecco un merciaro ha stringhe, specchi, guanti, corone, nastri, ditali, spilletti, aghi, cinte, scuffioni, balzi, saponetti, olio odorifero, polver de cipri, capelli e centomilia di ragion cose. Così una puttana ha nel suo magazzino parolette, risi, basci, sguardi: ma questo è nulla: ella ha ne le mani e ne la castagna i rubini, le perle, i diamanti, gli smeraldi e la melodia del mondo.
PIPPA. Come?
NANNA. Come, ah? Non è niuno che non tocchi il ciel col dito quando l'amica che si ama, mentre ti dà la linguina per cantone, ti grappa il cotale, e stringendolo due o tre volte, te lo rizza, e ritto che te lo ha, gli dà una menatina, e poi il lascia in succhio: e stata così un poco poco, ti si reca i sonagli su la palma crivellandogli con essa soavemente, doppo questo ti sculaccia, e grattandoti fra i peli ritorna a rimenartelo: talché la pinca, che è in sapore, pare un che vuol recere e non pò; ma lo imbertonato a così fatte carezze si sta badiale, e non cambiaria il suo spasso con quello d'un porcellin grattato; e quando si vede cavalcare da colei che egli sta per cavalcare, va in dolcezza come un che compisce.
PIPPA. Che odo io?
NANNA. Ascolta e impara a vendere le merci tue: a la fede Pippa che se una che sale il suo amoroso fa una particella di quello che ti dirò, ella è atta a cavargli i denari degli stinchi con altra astuzia che i dadi e le carte non gli cavano di quelli dei giuocatori.
PIPPA. Io vel credo.
NANNA. Tienlo pur per certo.
PIPPA. Volete che io faccia ciò che voi dite con chi io vado' albergo?
NANNA. Si, fallo.
PIPPA. Come il posso io fare, standomi sopra?
NANNA. Ci mancano vie da farlo saltare!
PIPPA. Mostratemene una.
NANNA. Eccola. Mentre egli ti gualca, piagni, diventa ritrosa non ti movere, ammutisci; e se ti domanda ciò che tu hai rugnisci pure, e ciò facendo, è forza che si fermi e dicati. "Cor mio fovvi io male? avete voi dispiacer del piacer che io mi piglio?", e tu a lui: "Vecchietto caro, io vorrei..." (e qui finisci); ed egli dirà : "Che?"; e tu pur mugola; a la fine, tra parole e cenni, chiariscilo che vuoi correre una lancia a la giannetta.
PIPPA. Or fate conto che io sia dove voi dite.
NANNA. Se tu sei con la fantasia a far quel che io vorrei che tu facessi, acconciati bene adagio; e acconcia che sei, fasciagli il collo con le braccia e bascialo dieci volte in un tratto, e preso che gli arai il pistello con mano, stringegnelo tanto che si finisca di imbizzarrire: e infocato ch'egli è, ficcatelo nel mozzo e spigneti inver lui tutta tutta; e qui ti ferma e bascialo; stata un nonnulla, sospira a la infoiata e dì: "Se io faccio, farete?"; lo stallone risponderà con voce incazzita: "Sì, speranza"; e tu, non altrimenti che il suo spuntone fosse il fuso e la tua sermollina la ruota dove ella si rivolge, comincia a girarti, e s'egli accenna di fare, ritienti dicendo: "Non anco, vita mia": e datogli una stoccatina in bocca con la lingua, non ischiodando punto de la chiave che è ne la serratura, rispigni, rimena e rificca; e piano e forte, e dando di punta e di taglio, tocca i tasti da paladina. E per istroncarla, io vorrei che facendo quella faccenda tu facessi di quelli azzichetti che fanno coloro che giuocano al calcio mentre hanno il pallone in mano: i quali schermiscano con artificio e, mostrando di voler correre or qua or là , furano tanto di tempo che, senza esser impacciati da chi gli è contra, danno il colpo come gli piace.
PIPPA. Voi mi ammonite ne la onestade, e poi mi ammaestrate ne le disonestà a la sbracata.
NANNA. Io non esco dei gangari punto, e vo' che tu sia tanto puttana in letto quanto donna da bene altrove: e f...
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