[Pagina precedente]...ne è tornata qui con venti paia di forzieri pieni di sassi.
NANNA. Ti dirò: i Viniziani hanno il gusto fatto a lor modo; e voglino culo e tette e robbe sode, morbide, e di quindici o sedeci anni e fino in venti, e non de le petrarchescarie. E perciò, figliuola mia, pon da canto le cortigianie e contentagli del proprio, se vuoi che ti gittino dirieto oro di fuoco e non ciance di nebbia. E io per me, sendo uomo, vorrei colcarmi con una che avesse la lingua melata, e non addottorata, e più mi saria caro di tenere in braccio una robba sfoggiata che messer Dante; e credo che sia altra melodia quella di una mano avventurata che fa le ricercate del liuto pel seno, fermandosi nel corpicello non troppo fitto in drento né troppo spinto in fuora; e il suono de la mano che dà de le sculacciatine nel consacrato de le meluzze mi par d'altra soavità che la musica che fanno i piferi di Castello quando i cardinali vanno a Palazzo in quei cappucci che gli fan parere civette in una buca. E mi par veder la mano che io dico spiccarsi dal suono e ripatriarsi nel corpetto: il quale, nel raccogliere e nel mandar fuor l'anscio, si alza e abbassa come farebbe una dipintura s'ella avesse lo spirito.
PIPPA. O voi sète la sufficente dipignitrice con le parole: e mi son tutta risentita udendovi; e mi è parso che la mano che dite mi abbia tocco le pocce e... presso che non vel dissi.
NANNA. Io mi sono avveduta del tuo risentirti al viso: che ti si è tutto cambiato, poi fattosi rosso, mentre ti ho mostro quel che non si vede. E per saltarti da Fiorenza a Siena, dicoti che i Senesi pazzaroni son dolci matti, ancorché da parecchi anni in qua sono incattiviti, secondo il cicalar d'alcuni; e di quanti io ho praticati uomini, mi paiano il caffo. Essi tengano, circa le gentilezze e le vertù, del fiorentino; ma non sono sì scaltriti né sì tirati dai cani: e chi gli sa ingannare, gli scortica e rade fino al vivo; e sono pinchelloni anzi che no, e pratiche onorevoli e piacevoli.
PIPPA. Faran dunque per me.
NANNA. Sì certo. Or oltre a Napoli.
PIPPA. Non me ne ragionare, che solo a pensarci mi vien l'asima.
NANNA. Audi, signora mea, per vita di tua morte. I Napolitani son fatti per cacciar via il sonno, o per torne una scorpacciata un dì del mese, quando tu hai il tuo tempo nel cervello o sendo sola o vero accompagnata d'alcuno che non importa. Ti so dire che le frapperie vanno al cielo: favella dei cavalli, essi gli hanno dei primi di Spagna, di vestimenti, due o tre guardarobbe; danari in chiocca, e tutte le belle del Regno gli moiano drieto. E cadendoti o il fazzoletto o il guanto, lo ricolgano con le più galanti parabole che s'udisser mai ne lo seggio capuano: sì signora.
PIPPA. Che spasso.
NANNA. Io soleva già far disperare un traditor che si chiama Giovanni Agnese, con isforzarmi di contrafarlo ne le parole, perché nei fatti il boia non lo contrafaria, sì è egli la schiuma de la ribaldaria dei ribaldi: e un genovese ne scoppiava de le risa; al quale mi rivoltai una volta e dissi: "Genova mia, superbia tua: per saper voi comprar la vaccina senza lasciarvi dar punto d'osso, noi altre potiamo civanzar poco a darvene". Ed è così: perché stracavano il sottile dal sottile e lo acuto de lo aguzzo; e son troppo buon massai, e la tringiano come si dee, e non ti darebbono tantino di più. Gloriosi nel resto non ti potrei dir quanto; amatori di gentil creanze napolitane aspagnolate, riverenti: facendoti parer di zuccaro quel poco che ti danno, non mancando mai di quel tanto. Tu a costoro falla saper buona, e mesura le tue cose come essi mesurano le loro; e senza farti stomaco con quel favellar in gorgia, col naso e col singhiozzo: tòtela come ella va.
PIPPA. I Bergamaschi han più grazia che la lor favella.
NANNA. Ci sono anche dei dolci e dei cari, sì certo. Ma veniamo ai nostri Romaneschi: da le crocchiate salviti Rienzo. Figlia, se tu ti diletti di mangiar pane e prevatura, e punte di spade e di picche per insalata condita ne le belle bravate che i lor bisavoli solevano fare ai bargelli, impacciati seco. Infine il di del sacco ci cacò suso (con riverenzia parlando), e perciò papa Clemente non gli guatò mai più.
PIPPA. Non vi scordate di Bologna: se non per altro, per amor del conte e del cavaliere già tutti di casa nostra.
NANNA. Scordarmene ah? Che sarieno le stanze de le puttane senza l'ombra di quei loro sperticati fusti,
nati qui sol per far numero ed ombra,
disse la canzona? Parlo in quanto a l'amore, e non a l'armi. Diceva frate Mariano, secondo che un bel pollastrone di. XX. anni tutto sua cosa mi raccontava, che mai vidde pazzi più paffuti né più ben vestiti. Onde tu, Pippa, fagli festa come a riempitori de la corte che tu arai; e pigliati piacere di quella lor favella spensierata e dolciona: e non è in tutto in tutto senza utile cotal pratica; e saria utilissima più che niuna altra se si dilettassero di capre come si dilettano di capretti. Il resto poi dei Lombardi lumaconi e farfalloni, tratta a la puttanesca, carpendone quel che tu puoi, e più presto, meglio: dando a ognuno del cavaliere e del conte nel mostaccio; e il "signor sì" e il "signor no" è il loro occhio. E con tali qualche truffetta non guastaria la minestra; ed è onesto a fargliene e vantarsene ancora: perché anche essi truffano le povere cortigiane e poi se ne vantano per tutte le osterie dove alloggiano. E acciò che tu sappi ciò che sia il truffare senza truffare, te ne vo' dir due non dette a l'Antonia cicalaccia: anzi me le ho riserbate in petto pei casi che potessero intravenire.
PIPPA. Oh! io ho caro di saperle.
NANNA. La prima truffa è bassa bassa, l'altra poi sarà alta alta. E per venir a la dolce, dico che io aveva una putta che mi si morì di tredeci anni, tuffolotta tuffolotta, bella bellissima, astuta, trincata, cattiva al possibile, gazzolatrice Dio tel dica: una cotal volpetta, una cotal sottopiattoncella da fuggirla. A costei insegnai io come ella dovesse fare a guadagnarmi, anzi a trafugarmi, i denari de le spese minute: e a che verso, Nanna? Imparato che ella ebbe a furar le grazie di chiunque mi capitava in casa, e domestico e forestiero, dando ciance ora a questo e ora a quello, di maniera che quello e questo non aveva altro giuoco che adastarla, io gli faceva tener in mano una scodella di porcellana spezzata in tre parti, e tosto che alcun gentiluomo bussava la porta ella tirando la corda si recava in capo la scala scapigliata, gridando con voce sommessa: "Oimè che io son morta, oimè che io sono spacciata", e facendo vista di volersene fuggir via, l'altra mia fante vecchia la teneva forte per un lembo de la gonnella dicendo: "Non far, non far, che la signora non ti farà male". Il non-ci-pensa, vedutola così sottosopra, tutto scompigliato la piglia pel braccio con dire: "Che cosa è? di che piagni tu? di che gridi?"; ed ella: "Sciagurata me, che ho rotto questa che costò un ducato: lasciatemi andare, che mi ammazzarà se mi ci giugne". E diceva così fatte bugie con una certa sorte di atti nuovi e con alcuni sospiri accorati e con una finzione di venir meno che aria mosso a compassione la giustizia del governator da la man mozza, non che il cavalier che veniva per cicalar meco: che mi stava a un fesso de la camera, con il grembiule in bocca per non esser sentita smascellare, mentre egli, più stretto che un pugno, le poneva in mano lo scudo, mettendolo a conto di limosina, e credeva crepare quando la vecchia gnele toglieva, e dandola giù per la scala, gli faceva credere di andare a ricomperarne un'altra.
PIPPA. Che ladra.
NANNA. In questo io compariva in sala, ed egli: "Io vengo a far riverenzia a vostra Signoria"; e pigliandomi la mano, me la basciucchiava bavosamente. E postosi a giornear meco, stato così un terzo d'ora, la putta ne veniva a me con la sirocchia de la scodella rotta, e dicendomi "La vado a riporla in camera vostra", le diceva: "Che hai tu? che vuol dir che tu sei tutta accigliata?"; e la ghiottoncella marioletta lo accennava che non me dicessi la trama.
PIPPA. Infine lo esser cortigiana va più oltre che il dottore.
NANNA. E così, accoccandola a ognuno che veniva, tenendo ora un bicchiere, ora una tazza e ora un piattello in mano, traendo e quando due e quando quattro e quando cinque giuli di questa borsa e di quella, le spese minute de la mia casa facevano di belle sdravizze. Ora a la grande.
PIPPA. Ecco che io me la beo prima che la cominciate.
NANNA. Un officiale, un che d'uffici aveva presso a duemilia ducati di camera d'entrata, era innamorato di me sì bestialmente che ne purgava i suoi peccati. Costui spendeva a lune: e bisognava strologare, ti so dire, chi ne voleva cavare, quando egli non era in capriccio di darti. E quello che più importava, la bizzarria nacque il dì che egli venne al mondo; e per ogni paroluzza non ispiccata a suo modo entrava su le furie, e il cacciar mano al pugnale e accostartelo fino in sul viso col taglio era la minor paura che ti facesse: e perciò le cortigiane lo fuggivano, come i villani la piova. Io che ho dato la tema a rimpedulare, mi stava con lui a tutto pasto; e benché mi facesse dei suoi scherzi asinini, mi riparava saviamente, pensando sempre a fargliene una che scontasse il tutto. A la fine tanto pensai che io la trovai: e che feci? Io mi fidai d'un dipintore: di maestro Andrea, io il dirò pure; e gliene diedi alcune fettucce, con patto che egli stesse a l'ordine: e nascoso sotto il mio letto, con i colori e coi pennelli, mi scolpisse un fregio nel viso quando fosse il tempo. Mi apri' anco con mastro Mercurio buona memoria: so che lo conoscesti
PIPPA. Conobbilo.
NANNA. E gli dissi che, mandando per lui la tal sera, venisse a me con stoppa e uova: ed egli, per servirmi, non usci di casa il dì de la festa che io voleva fare. Ora eccoti che maestro Andrea è sotto il letto, e mastro Mercurio in casa, e io con l'ufficiale a tavola; e avendo quasi finito di cenare, io gli mentovai un camarier del Reverendissimo, al qual non voleva che io favellasse per nulla, appunto per farlo uscire: né bisognò troppo levatura al levato, e dicendomi "Slandra, sfondata, bandiera", nel volere io cacciargliene in gola con la mentita, mi diede in una gota una cotal piattonata col pugnale, che me la fe' sentire. E io che ne la gaglioffa aveva non so che lacca oliata datami da maestro Andrea, me ne imbratto le mani e fregomele al viso: e con le più terribili strida che cacciasse mai donna di parto, gli feci credere al fermo che il colpo fosse giunto di taglio. Onde spaurito come uno che ammazza uno altro, datala a gambe, se ne fuggì al palazzo del cardinal Colonna; e serratosi ne la stanza d'un cortigiano suo amico, gridava pian piano: "Oimè, che io ho perduto la Nanna, Roma e gli uffici". Intanto mi rinchiudo in camera con la mia fante vecchia solamente; e maestro Andrea scovato del nido, in un tratto mi dipinse un fregio a traverso la guancia dritta, che guardandomi io ne lo specchio, fui per cascar in angoscia del triemito. In questo mastro Mercurio, chiamato da la trufaruola de la scodella spezzata, vien dentro con dir: "Non dubitate, che non ci è mal niuno", e dato agio a lo asciugar dei colori, acconciata la stoppa con olio rosato e chiara, e così fasciata la ferita con grazia e previlegio, e uscito in sala dove era concorso gran brigata, dice: "Ella non può campare"; e corsa la voce per tutta Roma, ne viene il sentore al micidiale che piangeva come un fanciul battuto. Vien la mattina: ecco il medico, che tenendo una candeluzza da un danaio accesa in mano, leva la cura; talché non so quante persone che avevano messa la testa drento a l'uscio de la camera, che aveva serrate tutte le finestre, ne lagrimarono, e non so chi, non gli bastando l'animo di veder sì crudel ferita, stramortì vedendola: e così il romore era publico de la mia faccia, a la più trista, guasta per sempre. E il malfattore, mandando denari, medicine e medici, cercava pure di ripararsi dal bargello, non si assicurando a fatto del favor colonnese. Passati otto dì, faccio dar nome che io scampo: ma con un segno più aspro, a u...
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