[Pagina precedente]...on l'arebbe fiutata. Ella aveva saziati i famigli degli Spagnuoli e dei Todeschi, i quali fecero il bello scherzo a Roma; aveva sfamati quelli de lo assedio di Fiorenza, e quanti ne furono mai drento e fuora di Milano: or pensa, se al tempo de la guerra si portò sì bene, che prove fece al tempo de la pace, e per le stalle, e per le cucine, e per le birrarie. Ma le sue bellezze ricoprivano i difetti de la sua verginità : ella aveva due occhi che, a la barba de la canzona la qual dice "duo vivi soli", si poteva dirgli "due morte lune".
BALIA. Perché? Erano cispi?
COMARE. Messer sì, madonna. Oltra questo, un gozzo assai orrevole le faceva postema ne la gola: e si disse che Cupido il teneva pieno de la ruggine dei dardi che faceva brunire da non so che suo patrigno fabbro; le sue poppe parevano litighe ne le quali Amore manda gli amanti che si ammalano in suo servigio a lo spedale.
BALIA. Non me ne contar più.
COMARE. Son contenta. Ti contarò bene che il frate vestito da capo di squadra venne a casa mia a l'ora che io gli dissi; e perché ne doveva spettare anco tre, se misse a leggere un libretto tenuto da me per passar tempo; e ne lo aprire legge forte un cotale che dice:
Madonna, per ver dire,
s'io vel facessi, che io possa morire:
perché so che sapete
che ne la vulva vostra
sovente Amor con le piattole giostra;
poi sì grande ano avete
che v'entrarebbe tutta l'età nostra.
E tu, Amor, senza giurar mel credi,
che egualmente le puzza il fiato e i piedi.
Adunque, per ver dire,
s'io vel facesse, che possa morire.
Letto che l'ebbe, dà lla nel ridere a scoppia-core; e credendo che io ridessi per il suo rider raddoppiava lo "ah! ah!", né si accorgendo che la Comare smascellava perché la robba che egli doveva toccare era simile a quella de la canzona,...
BALIA. O bene.
COMARE. ...il frate volge carta e legge cantando:
Madonna, io 'l vo' pur dir che ognun m'intenda,
io vi amo perché io ho poca faccenda:
ma se io comperassi
un quattrin l'uno i passi,
a non dirvi bugia,
men d'una volta il mese vi vedria.
O voi potresti dire
che io ho detto che il foco
mi ancide, mercé vostra, a poco a poco:
egli è ver che io l'ho detto, ma per fola,
e mento mille volte per la gola.
E andò seguitando il resto, che le cure di maggiore importanza mi hanno tolto de la mente.
BALIA. Oh che bella fine che debbe avere.
COMARE. L'ha per certo. Ne lesse poi un terribile, fatto in laude di una signora Angela Zaffetta, il quale ancora vado cinguettando quando non ho che fare, o vero nel darmi noia i miei guai.
BALIA. Che, i guai si discacciano con il cantare?
COMARE. Io ti dirò, Balia: colui che a mezzanotte passa per un cimitero, canta per fare animo a la sua paura; e colei che similmente canta pensando ai suoi affanni, il fa per dare core al suo fastidio.
BALIA. Mai più, mai più sarà una altra Comare: abbai chi vòle, e per invidia e per ciò che gli pare, che ella è così.
COMARE. Ora eccoti quel che lesse il frate:
L'esser prive del Cielo
non sono oggi i tormenti
de le mal nate genti:
sapete voi che doglia
l'alme dannate serra?
il non poter mirar l'Angela in terra.
Sol la invidia e la voglia
ch'elle han del nostro bene,
e 'l non aver mai di vederlo spene,
le afflige a tutte l'ore
ne l'eterno dolore:
ma se concesso a lor fosse il suo viso,
fòra lo inferno un nuovo paradiso.
BALIA. Oh bello, oh buono, oh galante! E se ne pò ben tenere bona colei per la quale fu fatto, se ben le lodi non empieno il corpo.
COMARE. Lo empieno e non lo empieno. Il frate lo rilesse tre volte, e poi cominciò quello che dice:
Io mor, madonna, e taccio:
dimandatene Amore,
che tanto è foco in me, quanto in voi ghiaccio.
Egli non lo fornì, perché lo avanzo era stracciato, e vedendone uno altro bene scritto, lo volse leggere, né gli potei ritòrre il libro di mano. Io tel vorrei dire e non vorrei dirtelo...
BALIA. Dillo a mio conto.
COMARE.
S'è possibile, Amore,
compartisci nel cor d'altre persone
questa mia passione.
Gli spirti, l'alma e i sensi
per il duol che dispensi
hanno martire in questa carne immensi:
e perch'è pena atroce
su l'amorosa croce,
tue grazie aspetto ne l'estrema voce.
Ma non guardar, signore,
a le mie pene tante:
ch'io vo' morire amante;
e benché nel dolore
il corpo tenti la salute sua,
sia la volontà tua.
BALIA. Egli è in canto, e arìa de l'amor divino: così dice il maestro, che quando era discepolo lo fece con quelli che hai detti e dirai.
COMARE. Il Flagello dei principi gli fece nel fiorire de la sua gioventudine. Or il frate, sentito picchiar la porta, gitta via il libro e corre in camera; e io apro a la poltrona: e presela per mano, la meno a lui senza lasciarla ricòr fiato. E tirato l'uscio de la camera a me, sto così un poco, e odo un ticche tocche ticche: il più bestiale che picchiasse mai porta di ruffiana e di puttana doppo gli assassinamenti fatti.
BALIA. Chi bussava così forte?
COMARE. Certi mei sbricchetti.
BALIA. O perché?
COMARE. Per mia commissione.
BALIA. Non la ricolgo.
COMARE. Io feci accompagnare la paltrocca da forse tredeci miei masnadieri, e ordinai che stessero alquanto e poi picchiassero con furore.
BALIA. Perché cotesto?
COMARE. Perché, ne lo udir battere, accenno il frate e dico: "Ascondetevi sotto il letto; presto, piano, oimè, vituperati siamo: il bargello con tutta la famiglia drieto vuol venire a pigliarvi; non vi dissi io che non ne parlassi nel convento? non so io i costumi frateschi, non so io la invidia che vi manuca, non la so io?". Il frate cade morto, e la volontà de l'uomo gli cascò nel catino de le brache; e non sapendo che si fare, credendosi entrar sotto il letto, messe il ginocchio in su la finestra: e se non che io lo tenni, balzava giuso.
BALIA. Ah! ah!
COMARE. Un ladro colto in furto, pareva il reverendo: e pur la porta si percuote, e con gridi rabbiosi me si minaccia e dice: "Apri, apri, maliarda, o ce lo mena giù". Io tremo, e con un viso di frittella amara dico: "Racquetiamolo coi denari"; "Oh bastassi pure", risponde il porcaccio; "Proviamo", gli dico io. Egli, che arebbe pagato tutta la micca la quale gli veniva in provenda tutto il tempo de la vita sua, mi dà .XX. ducati; e io mi faccio a la finestra, e dico sotto boce: "Signor capitano, signore mio, misericordia e non giustizia: noi siamo tutti di carne e d'ossa, e perciò la sua Paternità non si vituperi né col senatore né col generale...
BALIA. Io per me son fuor di me, udendo quel che io odo.
COMARE. ...godetivi questi", e gittandogli un paio di ducati da sguazzare, rimpongo gli altri e ringrazio il bargello da beffe; il qual mi dice: "Le vostre bontà , le vostre piacevolezze, le vostre vertù, Comare, gli hanno levato la mitera di capo"; e così, tutta riavuta, scovo e faccio sbucar il poveruomo di dove lo feci appiattare; e gli dico: "Voi ne avete scampata una che, quando ci penso, ella è andata bene: denari a sua posta non ve ne mancaranno". Balia, egli voleva far buono animo e ritornare a salir la cavalla, ma non gliene arìen fatto arizzare i puntelli: e se ne andò via senza far peccato. E io con cinque giuli contentai la scanfarda; e il trippa-da-vermini non mi fece mai più motto d'amorose né d'altro.
BALIA. Con il malanno.
COMARE. Un geloso dei più ostinati e dei più maladetti che si vedesse mai, egli la notte stangava la camera, la finestra del letto e quelle di sala e di cucina; né si saria colcato prima che non avesse dato l'occhio e doppo e sotto il letto e le casse: e fino al necessario guardava. Stava in sospetto dei parenti e degli amici, e non voleva che anche sua madre favellasse a una innamorata la quale teneva a posta sua; e a qualunche si passasse onde stava, lo metteva in su le furie: "E chi è quello?", "E chi è quella?". Uscendo di casa, la chiavava e rinchiavava, ponendogli il suggello suo per vedere s'alcuno lo ingannava; né poveretto né poveretta gli picchiava la porta, perché tosto gli diceva "Via ruffiani", "Via ruffiane". Io che sapeva, come ti ho detto, incantare e medicare e risuscitare con le parole ognuno, spio se il geloso ha verun difetto: e trovo che spesso spesso un dente l'ammazza; onde ci faccio disegno, e dico a uno che stava male de la incarcerata: "Non vi disperate".
BALIA. Tu rincori me, solamente ad accennarmi, nel modo che rincorasti lui.
COMARE. Fatto animo a lo avilito, mando un mio ghiottone sconosciuto dinanzi a la porta del geloso, cioè dove teneva rinchiusa la giovane; e nel passare de la gente, ordino che vada in angoscia, e che, tornato in sé, gridi: "Io arrabbio, io moio per i denti". E così fece; e mentre gridava e arrabbiava, lasciatosi cader là , ragunò più di .XXX. persone pietose del suo duolo: talché la madonna, se bene aveva comandamento di non farsi a finestra né a uscio, comparse al balcone tirataci dal rimore. In questo mezzo io passo oltra, e vedendo il caduto in terra, dimando de la cagione; e inteso come la doglia dei denti lo crocifiggeva, dico: "Fatemi largo; non dubitare, che io vo' guarirti; apri la bocca"; e il ribaldo l'apre e toccasi il dente guasto; e io, postoci sopra un filo di paglia in croce, mastico una orazione: e fattogli dir tre volte "credo", sbandisco il suo dolore. E stupito ognuno al miracolo, mi parto con una torma di fanciulli drieto, la simplicità dei quali raccontavano a tutti la cosa del dente.
BALIA. Perché non ci è uno che scriva queste cose e poi le stampi?
COMARE. Mentre io mi tornava a casa, il geloso appare; e visto non so che brigatelle favellare insieme presso al suo uscio, dubitò che non si fosse fatta qualche mischia, ma inteso la trama, corse a la donna la qual teneva sotto le chiavi e le dice: "Hai tu veduto guarire il dente?", "Che dente?" risponde ella, "Io da che vi entrai ne le mani, non ho mai posto mente a l'aria, non che a le persone che abbaiano ne la via: e veduto voi, ho visto ogni bene". Il sospettoso, contatole il tutto, mi viene a trovare e mostrami la magagna che gli apuzzava la bocca; e io la veggo, e vedutala dico: "Io non vorrei far torto a la avvocata dei denti, e me ne faccio coscienzia; pure son per cavarvi il fastidio di bocca. Ma dove state voi?"; ed egli più me lo dava ad intendere, più traeva di lungi. A la fine mi mena seco, e fammi toccare la mano a colei che io doveva convertire per amore di... e cetera.
BALIA. Tu ti domesticasti in casa sua per via di cotal tua malizia, non me ne dire altro.
COMARE. Odi questa, e non più.
BALIA. Dì.
COMARE. Io ebbi tempo e arcitempo a ficcar in core a la madonna la morte che era lo star serrata e a petizione d'un fastidioso; e perché ella non usciva de il ragionevole, non mi tenne troppo a bada col pensarci suso: e non solamente consentì a un bel giovane, ma scampò via con seco. E non vo' dirti questo io, ma una burla.
BALIA. Sono contenta d'ascoltarla.
COMARE. Il geloso poltrone non ebbe la doglia che soleva avere in forse un venti dì che io gli praticai per casa; e perché egli aveva paura di non me si perdere, con doni, con promessioni e con cicalamenti mi cavò la orazione che guariva i denti del segreto: cioè si credette di cavarla. Ma io, che non aveva orazione né leggenda, apposto l'ora che quella che egli teneva fuggì; e trovatolo in una chiesa, nel vederlo favellare con un suo amico, me gli accosto e gli do suggellato come lettera:
La mia donna è divina,
perché piscia acqua lanfa e caca schietto
belgiuì, muschio, ambracane e zibetto;
e s'ella a caso pettina i bei crini,
giù a migliaia piovano i rubini.
Stilla da la sua bocca tuttavia
nettare, corso, ambrosia e malvagìa;
e in quella parte u' son dolci i bocconi,
stanno smeraldi invece di piattoni.
Insomma, s'ella avesse oggi fra noi
un buco solo, come n'ha sol doi,
direbbe ognun che venisse a vederla:
"Ella è propio una perla".
Tu pòi pensar, Balia, quello che restò e ciò che disse il geloso arrabbiato, quando lesse la baia e quando non trovò l'amica in casa.
BALIA. Io l'ho bello che pensato.
COMARE. È un pezzo che io ti volsi dire de la fatiga d'una ruffiana in fare alzare i panni a quelle fila-lana e innaspa-seta e agomitola-accia e te...
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