[Pagina precedente]...ede di costui che ha salvate le reliquie romane, ecco il pietoso de la patria: eccolo là , che mi viene incontra con le spalle, e con quelle mi paga la benivolenza mia e la mia cortesia. Ma perché, tosto che io seppi la sua fellonia, non lo avelenai? o vero, facendolo minuzzare, non mi mangiar la sua carne tremolante e calda? forse che il farlo era dubbioso o con pericolo: e quando pur ci fosse suto, poteva io venire a peggio di quel che son venuta? e avendo a morire, era pur meglio affogargli prima o ardergli insieme con la lor nave". Ciò detto maladisse il seme, il sito, i passati i presenti e gli avvenire di Roma: e pregò il Cielo e lo abisso che facesse nascere, de l'ossa dei suoi, uomini di vendetta e di nimicizia, e poi che ebbe detto quello che le uscì di bocca mandata una sua balia a far non so che servigio, dispose di ammazzarsi.
PIPPA. Come ammazzarsi?
NANNA. Ammazzarsi.
PIPPA. In che modo?
NANNA. Ella, tutta smarrita nel viso, con le gote macchiate del livido de la morte, con gli occhi spruzzati di sangue, se ne entra in camara; e messa in furore da le lusinghe de la disperazione, sfoderò non so che spada donatale dal caino, e volendosi senza dire altro trapassar con essa il petto, le venne inanzi agli occhi tutti rannuvolati alcune veste romane e il letto nel qual giacque col giuda: onde si ritenne alquanto. E ritenendosi per l'ultime parole, fece quasi queste propie, le quali, da che un pedagogo me le insegnò, ho sempre tenute nel cervello come il pane nostrum quotidiano: "Spoglie che fosti dolci quando Iddio e la sorte volsero che voi fosse, pigliate, io ve ne prego, questa anima disciolta dal suo fuoco. Io che ho visso il tempo il qual debbo, me ne vado sotterra con la imagine; io ho fatta cittade di assai gran nome; ho visto i miei edifici, e hommi vendicata contra il fratel del marito che ebbi: onde sarei stata oltra le felici felice, se la nave romana non fosse capitata a le mie rive". Ciò detto scompiglia il letto col capo, e tutta rabbiosa lo calca in giuso; e battendo i denti dice stridendo: "Noi non perdaremo perciò la vita senza vendetta; perché tu, ferro, passandomi il petto, ucciderai quel romano crudo che mi sta vivo nel core: sì che moriamo così, poiché così convien morire". Appena fornita la dirieta parola, che le altre sue compagne viddero fitta in lei la spada micidialissima.
PIPPA. Che disse il barone quando lo seppe?
NANNA. Che era stata una mattacciuola. Ora ella andò a dare una voltarella ne l'altro mo
do ne la forgia che hai udito: e ciò le avvenne per i gran piaceri fatti ad altrui. Uomini, ah? uomini, eh? Per Dio che sono un zuccaro gli assassinamenti che facciamo a loro, considerando quelli che fanno a noi. E perché mi si creda, veniamo a la berta che a una tirata puttana fece so ben chi scolare e so ben chi cortigiano.
PIPPA. Voi non mi avete insegnato come io ho a vivere con gli scolari e con i cortigiani.
NANNA. Queste due ribaldarie te lo insegnaranno per me: e fà che da un solo scolare e da un solo cortigiano tu impari tutte le cose.
PIPPA. Benissimo, ma fermatevi ancora, fermatevi.
NANNA. A che effetto?
PIPPA. Io feci istanotte due sogni, e hovvene conto uno.
NANNA. Io non viddi mai fanciulla, che avesse più de la bambina di te: e perciò esci del manico per dir la tua.
PIPPA. Udite quel che io sognai doppo la camera parata.
NANNA. Dillo, che sarà mai?
PIPPA. Mi pareva che tutta Roma gridasse a la strangolata: "Pippa, o Pippa, tua madre ladroncella ha furato il Quarto di Vergilio, e vassene facendo bella".
NANNA. Ah! ah! ah! Un gocciol gocciolo più ti faceva trasandare più oltre. Che domin so io chi cotestui si sia? Ma senza intendere altro, egli debbe essere un badalone, lasciandosi tòrre il quarto di se stesso: e pò securamente gittar il resto ai cani, se così è.
PIPPA. A lo scolare e al cortigiano.
NANNA. Uno scolare afinato ne le capestrarie più che nei libri, astuto, sagace, vivo, soiatore e cattivo superlativo grado, se ne va a Vinegia, e statoci sopiattoni tanti dì che gli bastarono a informarsi de le più ladre e più ricche puttane che vi sieno, chiama in secreto un coglione che lo alloggiava in casa, al quale aveva dato ad intendere come egli era nipote di un cardinale, e venuto ivi in mascara per darsi piacere un mese e per comprar gioie e drappi a suo modo; e chiamatolo gli dice: "Fratello, io desidero di dormir con la tal signora: và a lei e dille chi io sono; ma con giuramento che ella non mi scopra: e ciò facendo vedrà la bellezza del mio animo". Il nunzio trotta via; e giunto a la sua porta, con un ticche tocche tacche fa comparir la massara al balcone (dicano elleno): e conosciuto il sensale de la mercatantia de la padrona, tira la corda senza farne altrimenti imbasciata; ed egli, raguagliata l'amica del tutto, conduce in isteccato il nipote posticcio di monsignore reverendissimo: il quale va salendo le scale con maestà pretina. E la signora, fattasigli incontra, prima squadra come egli signoreggia bene in campo accotonato, e in giubbone di raso nero, e in berretta, e in scarpe di terziopelo (spagnolescamente parlando); e poi gli porge la mano e la bocca con la più onesta puttanaria che si possa fare; ed entrato a parlar seco, in ogni proposito gli udiva adattar "monsignor mio zio": egli dimenava la testa con certi cadimenti oltra il signorile signorili, e pareva che ogni cosa gli puzzasse, e parlava adagio, soave, onesto; e con alcuni sputi fatti al torno, si ascoltava se medesimo.
PIPPA. Io lo veggo con la fantasia.
NANNA. Che vai tu carendo? La viniziana stava a l'erta, e a ogni laude che il ribaldo gli dava, rispondeva "moia", "basta", "fazende". Io non ti so dir tante ciance: il dormire insieme si concluse; onde lo scolare accenna colui che n'è mezzano, e gli dà due zecchini, con dire "spendi" e "fà tu"; il ser bestia va, spendacchia, e spendacchiando trafuga marchetti, soldi, marcelli, e manda le cose da vivere per un facchino a casa de la diva.
PIPPA. Par che voi ci siate stata, in modo favellate di facchino e di cesto.
NANNA. Nol sai tu, se io ci sono stata?
PIPPA. Sì, sì.
NANNA. La cosa venne a lo andarsene a letto: e spogliandosi il dottore avvenire, doppo il "non voglio" e il "non fate", soggiugnendo "Vostra Signoria è troppo cortese", lasciò aiutarsi a trar di dosso un giacchetto di tela marcia, greve e sconcio bontà del peso che facevano duemila dei ducati che intenderai.
PIPPA. Stà pure a vedere.
NANNA. Quando la puttana sente cadersi giù la mano dai cusciti-nel-vestitello, parse un mariuolo che adocchia uno di quei moccoloni che si lasciano tòr la borsa da canto al pinco: e posatelo su la tavola, fa vista di non si accorgere di nulla, attendendo ad accecarlo con le carezze e con i basci, e con il fargli pala, sendo colcata seco, de le mele e del finocchio. Vien la mattina, e il ragazzo del traforello entra in camera con inchini nuovi; e lo scolar maladetto gli avventa la borsa, la qual cadendo in terra fece poco rimore, con dir: "Và per malvagìa e marzapani"; né stette molto che i marzapani e la malvagìa vengano, e uova fresche appresso. Si desina pur per via del comprator de la cena; e ridormesi e rilevasi cinque notti e cinque mattine a la fila: e fà conto che il malandrino ci stesse a un .XV. scudi vel circa; e così fece uno amorazzo e una amicizia da buon senno, e tuttavia lo scolar cattivo-di-nido alzava le voci dicendo: "Perché non ingravido io la Signoria vostra d'un maschio, che gli rinunziarei il priorato, la pieve e la badia?", ed ella: "Magari". "Ora non bisogna perder tempo", disse il falla-a-chi-le-fa; e che fece egli? Si cavò il giacco, e tenendolo in mano, vede là una cassa ferrata e serrata diabolicamente; onde la pregò che le piacesse riponerci drento i denari i quali aveva confitti e appiattati per buon rispetto: ella gli chiude e dà la chiave a lui, pensando certissimamente di averne avere almeno uno o due centinaia. Intanto il mala-lana e la trista spezie dice: "Io vorrei comperare una catena da donna di un centocinquanta pezzi d'oro di valore; e perché io non son pratico, fatemela portar qui oggi o domane, che la comprarò subito". La corre-in-posta, credendosi che il presente avesse a toccare a lei, finse di mandare per il tale, anzi per il cotale, e fece venir catene e catenelle di minor prezzo; e non si accordando, tolse la sua che pesava ducento ducati d'oro larghi, e fecela portare, ivi a poco, da un che pareva orafo, a sua Altezza; e mostrategliene con dirgli "Che fin oro, e che manifattura miracolosa", fece sì che si venne al mercato. E serrossi la compra a .CCXXV.: e la signora allegra, dicendo fra se stessa: "Oltra che sarà mia, io avanzarò i .XXV. de la fattura".
PIPPA. Io la veggo e non la veggo.
NANNA. Lo scozzonato, tenendo la collana in mano, la lodava non altrimenti che l'avesse a vendere ad altri, e mentre la mirava e maneggiava, disse: "Signora, quando me ne facciate sicurtà , io darò quella cosa che vi ho data in serbo qui al mastro: perché vo' andare a mostrarla a un mio amico; e poi levarò la somma, che io debbo per il lavoro, di donde mi manda questa lettera di cambio"; e fattale vedere una scrittuccia, fece correre la non-insalata-a-fatto.
PIPPA. Come correre?
NANNA. Ella, per non si lasciare uscir de la cassa il giacco tempestato di ducati d'ottone, disse: "Portatela pure, che, la Dio grazia, io ho credito per maggior quantità "; e voltatasi al suo secretario, lo mandò via con un cenno: e lo scolare tolse su i mazzi e sbucò di casa. Vien la sera, ed ei non appare; vien la mattina, e non ci capita; passa tutto il dì, e non se ne ode novella; manda per colui che lo alloggiava, ed egli si stringe ne le spalle e accusa un paio di bisacce con una camiscia sudicia e un cappello rimastegli in camera, di suo: ed ella, ne lo udir ciò, si fece di quel colore del quale si imbiancano le facce di chi si accorge che il suo famiglio l'ha fatto rimanere in zero; e fatta sfracassare la cassa, fin coi denti squarciò il giacco: e trovatolo zeppo di fiorini da fare i conti, non si impiccò perché fu tenuta.
PIPPA. Che diavolo fanno i bargelli per le mondora?
NANNA. Nulla, nulla, né ci è più giustizia per la ragion de le puttane, e non ci veggo la grascia che ci viddi già : ed era pur un bel mondo il nostro, al buon tempo. E me ne diede un galante essempio il mio buono compare Motta, egli mi disse: "Nanna, le puttane d'oggidì si simigliano ai cortigiani dal dì d'oggi che per la divizia di loro stessi bisogna mariolare: altrimenti si moiano di stento, e per un che abbia pane in l'arca, ci son gli stuoli di accatta-tozzi. Ma il male sta nel gusto che hanno mutato i gran maestri: così sieno squartati i capretti e i caproni che ne son cagione".
PIPPA. Che sta a fare il fuoco? Che, balocca egli?
NANNA. Il fuoco si sta scaldando i forni, e menasi l'agresto intorno agli arosti: sai tu perché?
PIPPA. Non io.
NANNA. Perché il gaglioffo se ne diletta anche egli: e perciò dà miglior sapore ai quarti dirieto arostendogli, che a quei dinanzi essandogli.
PIPPA. Che sia arso.
NANNA. Qualcosa sarà , se ben non aviamo il manico da impregnargli come i ragazzacci, famigliacci, poltronacci. Ascolta del cortigiano: o santa, dolce e cara Vinegia, tu sei pur divina, tu sei pur miracolosa, tu sei pur gentile; ma se non fosse mai per altro, io vo' digiunar per te due quaresime intere solo perché tu chiami i ghiotti, gli sviati, i ladroncelli, gli sbricchi e simili tagliaborse, "cortigiani"; e perché? Per i ribaldi effetti che escano dei loro andamenti.
PIPPA. Adunque le cortigiane ancora sono peccatrici come loro.
NANNA. Se eglino ci hanno dato il nome, è di necessità che ci abbino anco dato il viso: verbo et opere dice il Confitebor. Ma eccomi a lui. Un messere signore-vive-in-tinello-e-more-in-paglia, un certo sputa-in-cantone, un cotal porta-berretta-in-torto, un mena-culo, un va-di-portante, il più aguzzo e il più bel civettino che alzasse mai portiera, o portasse piatti, o votassi orinale, il suo pugnal col fiocco, i suoi drappi forbiti intorno, e in ogni suo movimento fraschetta cicaluzza e poltronc...
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