[Pagina precedente]...per la nuova affezione che io porto a la nobiltà del forestiero, che poi che egli morì, il mio core è stato scarsissimo d'amare, e ciò mi avviene per conoscere i segni de la fiamma antica, la quale mi consumò tutta in un tratto e non poco a poco. Ma prima che io faccia disonestade alcuna, aprisi la terra e inghiottiscami viva viva o saetta dal cielo mi subissi nel profondo; io non son per istracciar le leggi de l'onore: colui che ebbe l'amor mio se lo portò seco ne l'altro mondo, e là ne goderà in seculorum secula" e qui fornendo il favellare, si diede a piangere che parea battuta.
PIPPA. Poveretta.
NANNA. La sorella che non era ipocrita e pigliava le cose pel dritto, facendosi beffe del suo boto e del suo pianto, le rispose con dire: "È possibile che tu non voglia imparare quanto sieno dolci i figliuoletti e quanto sieno melati i doni di madonna Venere? Che pazzia è la tua, se ti credi che l'anima dei morti non abbino altri pensieri che de le mogli che si rimaritino o no: ma voglio che tu abbia questa vittoria di non ti esser piegata a tòrre uno di cotanti prencipi i quali ti hanno voluta. Vuoi tu contrastare con quella fraschetta di Cupido? matta nol fare perché ne andarai col capo rotto; oltra di questo, tu hai tutti i vicini per nimici: sì che sappi conoscere la ventura che ti ha messo il crine in mano; e caso che il nostro sangue si mescoli con il romano, qual cittade aggiugnerà a la nostra? Ora faciam fare orazione a tutti i monasteri acciò che il Cielo ci conduca a bene; in questo mezzo noi averemo agio di ritardarlo qui: e forse lo averà di grazia per essere sfracassato e deserto, e anco per l'asprezza del freddo che esce del cor del verno". Tu vai cercando, Pippa: ella le seppe sì ben cantare il vespro, che ella diede la stretta ai boti e a la onestà ; e gittatasi l'onor drieto le spalle, se sta, se va, vede e ode il barone. Vien la notte e quando fino ai grilli dormano, ella vegghia: e scagliandosi da questo a quel lato, favellando di lui seco stessa, arde con uno affanno solamente inteso da chi si corca e leva secondo che il martel che lavora vuol che altri si corchi e levi. E per chiarirtela, ella che aveva l'animo in compromesso, fece con l'amico le maladette fini: ella le fece, figlia.
PIPPA. Saviamente.
NANNA. Anzi pazzamente.
PIPPA. Perché?
NANNA. Perché dice il canto figurato che
Chi s'alleva il serpe in seno
le intervien come al villano:
come l'ebbe caldo e sano
lo pagò poi di veleno.
Ti dirò ben poi del traditore. Tosto che la signora ebbe messe le corna a la buona memoria de lo andato a porta inferi un tempo prima, la fama cicala, la fama scioperata la fama malalingua l'andò bandendo per tutto: talché i signori che la avevano chiesta in matrimonio, ne diedero l'anima a Satanasso con le maggior braverie del mondo, e dissero del Cielo e de la fortuna mille mali. Intanto il gaino, il qual si vede sfamato rivestito e rifatto a suo modo, chiama i compagni e gli dice "Fratelli, Roma mi è apparsa in visione, e mi comanda da parte d'ogni santi che io mi parta di qui; perché io sono deputato a rifarne una altra molto più bella: perciò mettetevi a ordine queti queti; e mentre farete ciò che io vi dico, trovarò qualche destra via da licenziarmi da la signora". Ma chi po' gittar la cenere negli occhi degli innamorati, i quali veggano quello che non si vede e odano quello che non si sente? Prima ella vidde le cose sottosopra, onde si accorse che la buona limosina voleva fare con la sua nave il leva eius: e posta in furor per ciò senza lume e senza animo correva per la terra come insensata e giunta inanzi al barone col viso smorto con gli occhi molli e con le labbra asciutte, snodò la lingua ingroppata nei lacci de la passione lasciandosi cader di bocca cotali voci : "Credesti disleale, trafugarti di qui senza mia saputa, ah? E ti basta la vista che l'amor nostro, la fede promessa e la morte a la qual son disposta non possa ritenerti del partir deliberato? Ma tu sei pur crudele ancor inver te stesso, da che vuoi navicare or che il verno è ne la maggior furia de l'anno, dispietato che non solamente
doveresti cercare i paesi strani, ma non ritornare a Roma per tali tempi, se bene ella fosse più in fiore che mai: tu fuggi me, crudo; me fuggi, empio. Deh! per queste lagrime che mi si movano dagli occhi, e per questa destra che dee por fine al mio martire, e per le nozze cominciate da te e se per le dolcezze in me gustate merito nulla abbi pietà del mio stato e de la mia casa che, tu partendo, cade, e se i preghi che piegano fino a Iddio hanno luogo nel tuo petto, spogliati questa volontà di partire: già per essermiti data in preda son venuta in odio non solo ai duchi, ai marchesi e ai signori dei quali refutai il matrimonio, ma mi hanno a noia i propi miei cittadini e vasalli; e mi par tuttavia esser prigiona di questo o di quello. Ma ogni cosa si potria sopportare se io avessi un figliuol di te; il qual giocando mostrassi ad altrui le tue fattezze e la tua faccia propia". Così ella gli disse singhiozzando e piangendo. Il simulatore, il maestro de le astuzie, ostinato ne l'albagia del sogno fatto, non batte punto gli occhi, né si volge al pregare né al piangere suo: simigliando un avarone miserone al tempo de la carestia, il qual vede morire i poveri per le strade e non vuol dare un boccone a la fame che gli manuca. A la fine, con poche parole disse che non negava gli oblighi che aveva seco, e che sempre era per tenergli ne la mente, e che non pensò mai di partirsi senza dirgnele; negando con volto invetriato di averle promesso di torla per moglie, dando la colpa del suo andarsene a celi celorum: e le giurò che l'angelo gli era apparito e comandatogli gran faccende. Ma predicava ai porri, perché ella già lo guardava con occhio contrario; e la rabbia, che fuor del cor di fuoco gli moveva il giusto sdegno e il duolo le usciva per gli occhi e per la bocca. Per la qual cosa se gli voltò e dissegli: "Tu non fosti giamai romano, e menti per la gola di essere di cotal sangue: Testaccio, uomo senza fede, ti ha creato di quei cocci di che si ha fatto il monte, e le cagne di quel luogo te han dato il latte: perciò non hai fatto niuno atto compassionevole mentre ho pregato e pianto. Ma dinanzi a chi contarò io i miei casi, poiché lassuso non par che ci sia niuno che risguardi i torti con dritta ragione? Certamente oggi non è più fede alcuna, e che sia il vero, io ricolgo costui sconquassato dal mare, io gli faccio parte d'ogni mia cosa, io me gli do e dono: e non basta a far sì che egli non mi abandoni tradita e vituperata, e per più strazio mi vuol far credere che il messo gli sia venuto dal Cielo riferendogli i secreti di Domenedio, il quale non ha a far altro che pigliare i tuoi impacci. Ma io non ti tengo: và pur via e seguita le pedate dei sogni e de le visioni che certo certo tu rifarai il popolo d'Israelle, ma ho speranza se vai, che ne patirai le pene tra gli scogli, onde chiamarai il mio nome, augurando la gentilezza e la bontà mia più di sette volte, e io ti seguirò come nimica, e con fuoco e con ferro farò le mie vendette, e quando sarò morta ti perseguitarò con l'ombra, con l'anima e con lo spirito...", non poté dire, perché la passione le serrò la via de le parole, talché lasciò il parlare nel mezzo e come inferma, perduta la vista, non potendo tenersi in piei, si fece letto de le braccia de le sue donzelle: le quali la portarono a giacere, lasciando il barone non senza la faccia vituperata dal rossore de la vergogna del tradimento che faceva a la meschina..., tu piangi, Pippa?
PIPPA. Che sia ucciso il poltrone!
NANNA. E squartato possa essere, poiché egli doppo il lamento de la signora si dispose a la partita. E menando le sue genti la nave a riva, parevano formiche le quali si forniscano di semi pel verno: alcun di loro portava acqua dolce, altri rami con le frondi, altri i guai che lo piglino.
PIPPA. Che faceva la sventurata in quel mentre?
NANNA. Gemeva, sospirava, si pelava tutta quanta; e ne l'udire i gridi dei marinai sfamati e il rimescolamento de la ciurma e de l'altra brigata, spasimava, scoppiava e moriva: ahi amor crudele, perché ci crocifiggi tu sì aspramente e per tante vie? Ma ecco la signora che, avendo anco un poco di speranza, parla con la sorella dicendole: "Sorella, non vedi tu che gli se ne va via, e già la nave si acconcia per moversi? Ma perché, o cieli ingrati, s'io potei sperare cotanto affanno, nol posso io patire? Pur, sorella, tu sola mi aiutarai, poiché quel traditore ti fece sempre segretaria dei suoi pensieri e sempre fidossi di te: onde và e parlagli, e parlandogli cerca di umiliarlo, con dirgli per mia parte che io non fui compagna di coloro che col nome di accordo posero in rovina la sua patria; e che io non trassi de la sepoltura l'ossa di suo padre: e se così è, piacciagli di ascoltarme quattro parole prima che io moia; diragli che faccia a me che l'adoro sventuratamente questa sola grazia, che non se ne vada ora, ma quando il camino sarà più navicareccio. Io non gli voglio esser moglie, poiché mi disprezza, né meno che resti qui, ma un poco d'indugio che sia spazio al duolo: e ciò desidero per imparare a sopportarlo". E qui si tacque lagrimando.
PIPPA. Il cor me si spara.
NANNA. La misera sorella sua, Pippa mia, riporta le parole, il pianto e la disperazione in su e in giù; ma il crudo non si rinteneriva punto, anzi pareva un muro percosso da le palle a vento: a la fine la signora, risoluta de la sua partita, provò di fargli uno incanto, ancora che ella se ne avesse sempre fatto coscienza.
PIPPA. Giovolle?
NANNA. Appunto! Ella chiamò streghe, fantasime, demoni, versiere, fate, spiriti, sibille, lune, sole, stelle, arpie, cieli, terre, mari, inferni e altri diavolamenti; sparse acque nere, polvere di defunti, erbe secche a l'ombra; disse parole intrigate, fece segni, caratteri, visi strani, bisbigliò con seco medesima: e non fu mai santo che mostrasse di aver cura degli amanti falsi. Era mezzanotte quando incantava a credenza: e i gufi, gli alocchi e le nottole dormivano sonnacchiando; solo ella non poteva carpire il sonno con gli occhi, anzi amore tuttavia la tormenta più. E doppo lo esser stata un pezzo muta, comincia a favellare dicendo a se stessa: "Or che faccio io trista? Richiederò io per marito qualunche si sia di quelli che io ho disprezzati? Seguirò io le voglie romane? Sì, perché mi sarà utile per averle sovvenute, e per esser cotal gente riconoscitrice dei benefici. Ma chi mi accettarà , se ben volessi andare ne la nave superba? E poi non conosco io gli spergiuri di quei Romani, i quali si farien beffe di me, andando a loro? Oltra questo, debbo io comportare che essi faccino vela e al presente entrino in mare? Deh! mori mori, misera, e col ferro scaccia il tuo dolore. Ma tu, sorella, mi spingesti contra al mio male: tu mi proferisti al mio nimico tu mi facesti tradire la cenera del mio marito e il boto de la mia castitade, disleale e rea femina che io sono".
PIPPA. Che bel lamento.
NANNA. Se ti commovi udendolo raccontar da me, che non ne dico straccio che bene stia e lo scompiglio ne lo raccontarlo pietosamente, che aresti tu fatto udendolo da la sua bocca?
PIPPA. Io mi sarei dileguata dirieto al dolore suo
NANNA. Così sarebbe stato. Ora il barone diede i remi a l'acque: e scarpinando via, si voltava spesso indrieto, parendogli aver tuttavia il suo popolo a le spalle. E spuntando fuora l'alba, la sconsolata, a la quale parse che quella notte fosse rinterzata come le messe di Natale, si fece a la finestra, e vedendo la nave lontana dal suo porto, battendosi il petto, graffiandosi il volto e squarsciandosi i capegli, piglia a dire: "O Iddio, andrassene costui a mio dispetto, e un forestiero spregerà la mia signoria, e le mie forze non hanno a poter nulla seco e nol seguiranno per tutto il mondo? Su, portate arme e fuoco! Ma che dico io? e dove sono? e chi mi toglie la mente dal suo luogo? Ahi, infelice, la tua fortuna crudele è poco lungi: io doveva far ciò quando io poteva, e non ora che non posso. Ecco la f...
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