[Pagina precedente]...a febbre subitana e un mal di petto crudele, e lasciatosi cader là il rimor grande si sparse nel vicinato: e corsi a lui i servidori e le servidore, gli rammentarono l'anima, parendogli che il corpo, il quale non aveva male niuno, fosse spacciato.
PIPPA. Chi non si pon mente ai piedi inciampa.
NANNA. Il frate venne, e con "Iddio vi renda la sanità " si gli pose a sedere allato; e confortatolo a star di bona voglia, gli entrò nei peccati grevi e mortali: e domandògli se aveva ammazzato o fatto ammazzare. Il taccagno gittò fuora le lagrime, dicendo: "Io ho fatto peggio; e questo è il tradimento usato da la mia perversità a madonna..."; e proferito tanto del suo nome che il frate lo intese, fece vista di venir meno: onde lo "aceto, aceto" s'udì per tutto; e bagnatigli i polsi con esso, si riebbe in un tratto. E ritornato a la confessione, con parole affannate disse: "Padre, io moio, io sento bene io ciò che io ho, e perché l'anima ci è, ed ècci anco l'inferno, io lascio il tal podere a colei che io vi ho detto: fategnele intendere come da voi, e caso che io migliori punto, farò distenderlo dal notaio nel testamento"; e qui stroncossi la confessione. Assolvéllo la sua Reverenzia, e andossene di lungo a trovare madonna, la quale tirò da parte e dissele lealmente de la lascita.
PIPPA. Eccola rovinata.
NANNA. Come ella sentì il suono del podere cominciò a ballarci suso col core, il quale gli galluzzò subito, ma storcendosi un poco, dimenava il capo con certi crolli e strigner di labbra che parea lo sprezzasse; e aprendo appena la boccuccia, disse: "Io non mi curo di poderi né di lascite". Onde fe' stizzare il padre; e se le voltò dicendo: "Che materia è la vostra? Hassi a beffeggiar la robba donatavi per dominum nostrum a questa forgia? E poi qual paterina giudea sofferirebbe che si perdesse una anima? Recatevi la mente al petto, figliuola mia spirituale, e vestitivi adesso adesso e andatevene in un baleno a lui che mi pare udir buccinarmi ne le orecchie "egli guarirà s'ella vi va"". Pippa, egli è il dià scane il sentir toccarsi da le redità : e per questo si crocifiggano insieme i fratelli, i cugini; e perciò la infregiata da sua Paternità trottò via: e giunta a l'uscio, lo bussa con quella sicurtà che lo picchiano le padroni dei signori de le case ne le quali vanno. Tosto che si udi il tocche ticche, il messere, che si stava come morto in letto non avendo nulla, le fece aprire; ed ella, saliti gli scaloni in due passi ed avventatasigli a dosso, l'abbraccia senza dire altro: perché il pianto, il quale non era in tutto finto né in tutto da vero le impediva la favella.
PIPPA. Chi ne saperà più?
NANNA. Lo scariotto, lo scariotto ne seppe più, dormendo, che non fece ella vegghiando; e perciò, come la sua venuta lo avesse risuscitato, si levò suso: e posto nome a la sua visita "il miracolo", mostrò la sua sanità in quattro dì. Onde le disse: "Andiamo al podere che io ti lasciava morendo; perché te ne faccio donagione, poiché per tua bontà son ravisolato". Ella vi andò: e quando credette entrare in possessione de le terre, fu data per merenda a la fame di più di quaranta contadini i quali, per essere la festa di San Galgano, si stavano ragunati in una casaccia senza finestre e mezza rovinata: e chiacchiaravano appunto del farlo a le cittadine e a le puttane grandi, quando la manna gli cascò fra i denti.
PIPPA. Adunque la fraga si gittò in bocca a l'orso?
NANNA. Così fu; e se io ti volessi fare una simiglianza dei cotali rugginosi che gli spuntar fuora de le brache, trovarei altro che le corna de le lumache: ma non è onesto. Neanco debbo dipignerti gli atti i quali facevano mentre davano il bottaccio de l'acqua al molino; basta che scotevano il pesco a la contadina e, secondo che la tradita da la esortazion fratina ebbe a dire, che la puzza del sudiciume di che essi ulezzavano, i rotti di radici che tra
vano, e con le coregge appresso, le fu di più noia che non furono li strazi del suo onore.
PIPPA. Crédovelo.
NANNA. Saziati quei contadini, che la fecero diventar botte de l'olio loro, mentre ella scarmigliata si graffiava tutta, fu lanciata drento una coperta coi manichi, e balzata dai medesimi trentunieri sì alta, che stava un terzo d'ora e ricaderci giuso, e la camiscia e i panni che nel volare suo si gavazzavano col vento, le facevano mostrare la luna al sole: e se non che la paura le mosse il corpo, onde la coperta e le mani attaccateci si invernicarono, ella si balzarebbe ancora.
PIPPA. Balzato sia il capo a chi il consentì.
NANNA. E perché gli pareva che il trentone l'avesse grattata e la coperta spassata, fece tòrre un fascettino di vincastri e levarla a cavallo in su le spalle d'un traferfero, il quale la teneva sì forte che aveva agio di inaspare col dimenarsi e col trar di calcio; ma ella adoperava al suo arcolaio una matassa d'accia troppo scompigliata: e perciò, dimenatasi un buon pezzo, si beccò sul culo tante vincastrate quanti dì ella si aveva fatto pregar di venire a lui; e perché non mancasse nulla a la neronaria del tristo doloroso, gli tagliò i panni intorno a la centura e lasciolla andare con la sua benedizione.
PIPPA. Lasciato sia egli a discrezion del maglio, quando il manigoldo l'alza per mozzare il collo a chi il merita meno.
NANNA. Si disse, e fu vero, che mentre ella andando volse coprirsi la vergogna con mano, che uno sciamo di api l'entrar fra le cosce, credendosi che ivi fosse la fabrica loro.
PIPPA. To' su il resto.
NANNA. Sono schiava a una giovane de le scaltrite puttane di Roma, la quale fu alettata da trecento ducati lasciati a lei in un testamento fatto da uno che ne moriva. Ella si accorse come egli fingeva di star malissimo, e che il testamento, il qual cantava dei trecento, era per farla correre e per darle a vedere che pur poteva sperare secondandolo. Sai tu ciò che ella fece?
PIPPA. Io non lo so, ma vorrei ben saperlo.
NANNA. Gli diede un bocconcillo di tosco e mandollo al palegro: e così il testamento sborsò i contanti.
PIPPA. Io vo' dir la corona per lei; e voglio, per mezzo dei miei paternostri, che Domeneddio da Imola lasci stare il fiorir de le zucche, perdonandole un così galante peccato.
NANNA. Ma uno spino non fa siepe, né una spiga manna: e se quella seppe le sue, questa drizzò i papaveri nei gambi; e avendo a torto e a peccato ricevuto un fresciaccio dal suo amante più cotto che crudo, un fresciaccio di sette punti, per parecchi lagrimucce che egli gittò e per non so quanti sospiri, sotto la fede dei falsissimi giuramenti, avendo ancora la fascia al viso, non pur consentì a non gli voler male, ma si ridiede a dormir con seco quasi ogni notte; e quando si credeva di avere in ristoro del danno qualche gran presente da lui, si trovò una mattina peggio che la buona memoria di don Falcuccio: egli le nettò suso fino a un ditale di ariento, e lasciolla a darsi tanti pugna nel petto e tante pelature di capegli, che più non se ne danno le figliuole nel serrar gli occhi de la madre.
PIPPA. Dià cene, che io non sappi uscir del buio, andandomi voi inanzi con il doppiere acceso?
NANNA. Pippa, ricorditi egli quando tu solevi levarti a pisciare mentre io dormiva?
PIPPA. Sì, madonna sì.
NANNA. Non sai tu che, nel voler ricolcarti, il più de le volte non ritrovavi il letto, e più andavi a tastoni, più ti perdevi, né mai ti ci saresti imbattuta se non mi avessi desta?
PIPPA Vero è.
NANNA. E perciò, se fin ne le cose minime non puoi far senza me, fà anco che ne le grandi io ti sia a candellieri, e in ogni tuo andare ricorditi di me, odi me, ubisci me e tienti a me: e non dubitare, se lo fai, dei giganti, non che dei nani. E certamente bisogna stare in cervellissimo, perché noi siamo come giocatori: i quali, se si vestano del carteggiare e del dadeggiare, non se ne calzano; e sia pur qual puttana si voglia, e ricca e favorita e bella, che tutto si assimiglia a un cardinale vecchio cascato, il quale non è papa perché la morte gli dà la sua boce.
PIPPA Voi favellate cupamente.
NANNA. Io esco dei solchi per volergli far troppo diritti: e questo interviene anco a coloro che acoppiano le parolette come si acoppiano l'uve durà cini. Io vorrei tirarti a credere che la più felice e la più contenta puttana è infelice e scontenta: lascia pur treccolare a chi treccola e ciarlare a chi ciarla, che ella è così. Soleva dire lo scalco di Malfetta che la felicità e la contentezza d'una puttana erano sirocchie carnali de le speranze di quel cortigiano il quale tiene in mano lo avviso del tale che si more: e poi guarisce appunto in quello che ha ottenuto i suoi benefizi. Ma dicanmi, quelle che se ne fanno belle: è felice una la quale, come ti ho narrato, se sta, se va, se dorme e se mangia, bisogna, o voglia o non voglia, che segga con l'altrui chiappe, vada con gli altrui piei, dorme con gli altrui occhi e mangi con l'altrui bocca? è contenta colei, la quale mostrano tutti i diti per bagascia e per femina del popolo?
PIPPA. O è femina del popolo ogni puttana?
NANNA. Sì.
PIPPA. Come sì?
NANNA. Ognun che spende da contentarsene, dee montar suso, sia pur ricco in fondo e pelacane e plebeo a sua posta: perché i ducati tanto lucano ne le palme dei famigli quanto dei padroni, e sì come gli scudi d'uno acquaruolo, rimescolati con quei d'un caca-spezie, son de la medesima valuta, e chi gli piglia non vantaggia questi da quelli, così, essendoci la pecunia, tanto si dee aprir al re quanto al servo. Per la qual cosa ogni puttana che vuol denari, e non ispade e bastoni, è pasto del popolo.
PIPPA. Non si pò dir meglio.
NANNA. Dimandinsi i pergami, non pure i predicatori, se noi siamo felici e contente. Eglino si recano lassuso, e dannoci drento: "Ahi! scelerate concubine del cento-paia, spose dei foletti, sorelle di Lucifero, vergogna del mondo, vitupero del sesso de lo in mulieribus: i dragoni de lo inferno vi divoraranno l'anima, ve l'abbrusciaranno, le caldaie del zolfo bollente vi aspettano, gli spedoni infocati vi chiamano; i graffi dei demoni vi squartaranno, voi sarete carne degli uncini loro, e sarete scudisciate dai serpi: in eternum, in eternum". Ecco poi il confessore: "Ite in igne, in igne dico, ribaldacce, valige da peccati, rovinatrici di uomini, maliarde, streghe, fatucchiaie, spie del diavolo, luponacce"; e non ci vogliono pure udire, non che assolverci. E venendo la stomana santa, i Giudei, i quali conficcarono in croce il nostro Signore, son meglio visti di noi; e la coscienzia ci rimorde, e dicici "Andatevi a sotterrare in un monte di litame, e non comparite fra i Cristiani". E perché siamo condotte a sì rio partito? Per amor degli uomini, per sodisfare a loro, e perché ci hanno così fatte.
PIPPA. Perché non si grida agli uomini come a noi altre?
NANNA. Questo voleva dire io: doverebbe la paternità de la Reverenzia di messer lo predicatore voltarsi a le loro Signorie, dicendogli: "O voi, o spiriti tentennini, perché sforzate, perché contaminate, perché piegate le donne puracce, le donne lascele-stare, le donne balocche? e se pur le colcate donde vi pare, a che fine svaligiarle? a che proposito sfregiarle? e a che far bandirle?". Il frataccio doveria far sì, che quei serpenti, quelle caldaie, quelli spedoni, quelle fruste di bisce, e i graffi, gli uncini e i satanassi si spedissero inverso le lor magagne.
PIPPA. Forse lo faranno.
NANNA. Non ci pensare, non te lo credere, non ci far disegno; perché tristo a chi manco ci può: e perciò gli uomini son grattati non isgridati, dai frati. Ora al farci pagare da chi ci trassina per in giù e per in sù.
PIPPA. Mi par che me ne abbiate favellato.
NANNA. Non è vero; e poi le imbasciate che importano si replicano due e tre volte. Pippa, io vorrei saper da quelli belli-in-banca, i quali ci apongano solo perché cerchiamo il nostro utile facendoci pagare dei servigi che facciamo a chi ci comanda, per che conto, per qual ragione aviamo a servire altrui per i loro begli occhi. Ecco il barbiere ti lava e rade: e perché? per i tuoi denari; i zappatori non ficcarebbono zappa in vigna, né i sarti ago in calza, se i quattrini non gli ba...
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