[Pagina precedente]...'ingiuria della fortuna. E da ora stimate quanto in voi non mancherà diligenza, sollecitudine e amore alle cose pregiate e oneste, tanto rarissimo v'acaderà desiderare la presenza mia e molto meno l'aiuto degli altri mortali. Chi in sé arà virtú, a costui pochissime altre cose di fuori saranno necessarie. Troppo ampla ricchezza, troppo grande possanza, troppo singulare felicità risiede in colui el quale saprà essere contento solo della virtú. Beatissimo colui el quale si porge ornato di costumi, forte d'amicizie, copioso di favori e grazia fra' suoi cittadini. Niuno sarà piú in alta e piú ferma e salda gloria, che costui el quale arà sé stessi dedicato ad aumentare con fama e memoria la patria sua, e' cittadini e la famiglia sua. Costui solo meriterà avere il nome suo apresso de' nipoti suoi pien di lode e famoso e immortale, el qual d'ogn'altra cosa fragile e caduca ne giudicherà quanto si debba, da nolla curare e da spregiarla, solo amerà la virtú, solo seguirà la sapienza, solo desiderrà intera e corretta gloria. Qui, figliuoli miei, nella virtú, nelle buone arti, nelle lodate discipline sarà vostro officio essercitarvi, e dare opera che per voi non manchi di venire tali quali costoro aspettano voi siate e desiderano. Cosà fate, cercate in qualunque onesto modo, con tutte le fatiche, con molto sudore, con ogni forza e industria meritare apresso di costoro lodo e grazia, e insieme apresso degli altri benivolenza, dignità e autorità , e apresso de' nipoti e di chi de' nipoti verrà memoria di voi, di vostri singulari detti e fatti e opere.
E siate di migliore animo. Qui è Adovardo, e Lionardo, e saracci Ricciardo, a' quali spero sarete racomandati. Io conosco la natura di ciascuno di casa nostra Alberta molto amorevole, e stimo non vorranno essere riputati sà duri, né sà spiatati che non aiutassero e' suoi vedendo essercitarvi in virtú. Cosà vi priego, Adovardo e tu Lionardo; voi vedete l'età di questi garzoni, conoscete el pericolo della gioventú, gustate el bene e onore di casa; siate adunque solliciti, pigliatene ciascuno di voi tutta la somma fatica. Egli è debito a tutti studiare che nella casa crescano ingegni con virtú e fama. Perché piace egli onorare chi già sia caduto di vita con sepulcri, ornarli con quelle superchie e a' passati inutile pompe de' mortorii, se non perché la piatà e officio de' vivi sia lodata e approvata? Se cosà credete, non serà egli necessario molto piú ornare e onorare e' vivi, contribuirvi, concorrere ove bisogna a pignerli inanti e statuirli in luogo prestante e famoso a tutta la famiglia. Non però voglio s'intenda questo esser ditto perché io stimi tanta cosa in alcuno di costoro due miei, ma pure sarà vostra faccenda monstrare che questo mio racomandarvegli, qual fo in presenza, doppo me gli sia giovato.
Cosà aveva detto Lorenzo. Adovardo e Lionardo stavano muti, intenti, ascoltando. In questi ragionamenti e' medici sopragiunsero e consigliorono Lorenzo alquanto si riposasse. Cosà fece. Asettossi, e noi usciti fuori in sala: - Chi potrebbe stimare, - disse Adovardo, - se none chi in sé stessi lo pruova, quanto sia l'amore de' padri inverso a' figliuoli grande e veemente? Ciascuno amore a me pare non piccolo. Sonsi veduti molti e' quali hanno esposto la roba, el tempo e ogni suo fortuna, e sofferte ultime fatiche, pericoli e danni, solo per dimonstrare quanto in sé sia fede e merito inverso dello amico. E dicesi essere stato chi per desiderio delle cose amate, stimando sé già esserne privato, non ha sofferto piú restare in vita. E cosà sono le storie e la memoria degli uomini piene di queste forze, le quali simili affezioni d'animo in molti hanno provate. Ma per certo non credo amore alcuno sia piú fermo, di piú constanza, piú intero, né maggiore che quello amore del padre verso de' figliuoli.
Ben confesserei a Platone que' suoi quattro furori essere nell'animo e mente de' mortali molto possenti e veementissimi, quali e' ponea de' vaticinii, de' ministerii, de' poeti e dell'amore. E cosà la passione venerea molto piú in sé mi par feroce e furiosissima. Ma vedesi quello non rade volte per disdegno, per disuso, per nuova volontà , o per che altro si sia, scema, perisce e quasi sempre di sé lascia inimistà . Né anche ti negherei la vera amicizia star legata d'uno amore bene intero e ben forte. Ma non credo però ivi sia maggiore, né piú officiosa e ardente affezione d'animo che quella la quale da essa vera natura nelle menti de' padri tiene sua radice e nascimento, se già a te altro non paresse.
LIONARDO A me non acade giudicare quanto ne' padri verso de' suoi nati sia l'animo affezionatissimo, perché io non so questo avere figliuoli, Adovardo, che piacere o che dolcezza e' si sia. Ma quanto da lungi compreenda per coniettura, ben mi pare giustamente potere essere di questa tua sentenza, e dire che l'amore del padre per piú rispetti sia troppo grandissimo; come d'altronde, cosà vedendo da ora con quanta opera e con quanta tenerezza Lorenzo testé ci racomandava questi suoi, non perché essistimasse necessario rendere a noi piú grati costoro, e' quali conosce ci sono gratissimi, ma credo quel fervore del paterno amore lo traportava, e non gli parea che uomo alcuno, per sollecitissimo, curiosissimo, prudentissimo che sia, possa abastanza negli altrui figliuoli avere quanto riguardo e consiglio l'amore de' padri vi desidera. E dicoti el vero, quelle parole di Lorenzo testé movevano me non piú là se non quanto mi pareva giusto e ragionevole avere pensiero e buona diligenza de' pupilli e della gioventú di casa. Pure io non poteva alle volte ritenere le lacrime. Te vedevo io stare tutto astratto; parevami pensassi fra te stesso molto piú oltre che io in me forse non faceva.
ADOVARDO Or cosà era. Ogni parola di Lorenzo premeva me parte a pietà , parte a compassione. Conoscermi ancora me essere padre, a' figliuoli d'un amico, parente buono amorevole, a quelli che per sangue mi debbono essere cari, e tanto piú poiché e' sono a noi stati racomandati, non far quel medesimo loro che a' miei, non essere inverso di loro animato come a' propri miei figliuoli, veramente, Lionardo, sarei non buono parente né vero amico, anzi mi giudicaresti spiatato, fraudulento e bene di cattivissima condizione, sare'ne biasimato, infame. E chi non dovesse de' pupilli avere piatà ? E chi non dovesse avere sempre inanzi agli occhi quel padre di questi orfani, quel medesimo tuo amico, e quelle ultime parole inscritte nel cuore, quali coll'ultimo spirito quel tuo, quel parente e amico ti racomanda la piú carissima cosa sua, e' figliuoli, fidasi di te, lasciali nel grembo, nelle braccia tue? Quanto io, Lionardo mio, sono di questo animo, che inanzi che io lasci costoro qui avere minimo disagio alcuno, prima patirò che a' miei proprii ogni cosa manchi. Delle necessità de' miei io solo n'ho a conoscere, ma de' mancamenti in chi m'è racomandato n'arà ogni buono, ogni piatoso, ogni discreto a giudicare. E cosà a noi è debito satisfarne alla fama, allo onore, al ben vivere e a' costumi. E stimo cosÃ: chi o per avarizia, o per negligenza lascia uno ingegno atto e nato a conseguire pregio e onore perire, costui merita non solo riprensione, ma ben grandissima punizione. S'egli è poco lodo non custodire, non tenere pulito e in punto el bue, la giumenta; e s'egli è biasimo, per inutile ch'ella sia, lasciare la bestia per tua negligenza perire, chi uno umano ingegno terrà sommerso fra le necessitati e malinconie, disonorato, arallo a vile, patirà per sua inerzia e strettezza che manchi e perisca, non sarà costui degno di grandissima riprensione? Sarà egli da nollo stimare ingiusto e inumanissimo? Ah! guardisi di tanta crudeltà , tema la vendetta d'Iddio, oda quel publico espertissimo e verissimo proverbio quale si dice: «chi l'altrui famiglia non guarda, la sua non mette barba».
LIONARDO Ben veggio in parte quanto sia sollecita cosa l'essere padre. Le parole di Lorenzo mi pare abbino te piú a lungi tutto commosso che io non istimava. Questo tuo ragionamento mi tira là , credo, dove sta l'animo a te sopra a' fanciulli tuoi. E mentre che tu ragionavi, testé mi parse dubitare fra me stessi qual fusse piú o la cura e sollecitudine de' padri verso e' figliuoli, o il piacere e contentamento in allevare e' nati. Della fatica non dubito io, ma credo però essa sia non ultima cagione a voi padri farvi e' figliuoli piú carissimi. Veggo da natura quasi ciascuno ama l'opere sue, el pittore e il scrittore, e il poeta; el padre molto piú, stimo, perché piú vi dura richiesta e piú lunga fatica. Tutti cercano l'opere sue piaccino a molti, sieno lodate, stiano quanto sia possibile eterne.
ADOVARDO Sà bene, quello in che tu se' affaticatoti piú t'è caro. Ma pure egli è da natura ne' padri non so come una maggior necessità , uno tale appetito d'avere e allevare figliuoli, e apresso prenderne diletto di vedere in quelli espressa la imagine e similitudine sua, dov'elli aduni tutte le sue speranze, e indi aspetti nella sua vecchiezza averne quasi uno presidio fermo, e buono riposo alla già stracca e debole sua età . Ma chi vorrà tutto ripensare seco e considerare, troverrà che in allevare e' figliuoli sono sparse molte e varie malinconie, e vederà come stanno e' padri sempre sospesi coll'animo, qual faceva apo Terrenzio quel buono Mizio perché il figliuolo suo non era tornato ancora. Che pensieri erano e' suoi? Che sospetti gli scorrevono per l'animo? Quante paure lo premevano? Temea che il figliuolo non si trovassi caduto ove che sia, o rotto o fiaccatosi qualche cosa. Va! ha! che alcuno uomo si metta in animo a sé cosa cara piú che sé stesso, e cosà c'interviene. Stiamo sempre coll'animo al presente sollicito e timoroso, o col pensiero innanzi molto a lungi desto e pauroso a scoprire ogni via per la quale noi pensiamo guidare e' nostri a buona fortuna. E se la natura non richiedesse da' padri questa sollicitudine e cura, credo sieno pochi e' quali non si pentissino avere figliuoli. Vedi l'uccello e gli altri animali che fanno solo quanto in loro comanda la natura, durano fatica in finire il nido, le cove, il parto, e stanno obligati e faccendosi a guardare, difendere e conservare quello che è nato, aggirano solleciti per pascere e nutrire que' deboli suoi picchini, e cosà tutti questi e molti piú altri affanni in sé grandi e gravi el debito della natura ce gli alleggerisce. E quello che a te sarebbe spiacere e sconcio incarco, pare che a noi padri sia grata, condecente e lieta soma, essendoci quasi naturale necessità . E che però piú de' figliuoli che d'ogni altra cosa? Io nella vita de' mortali non so in che non sia tanto di male quanto di bene. Le ricchezze sono riputate utili e da volerle, pur si pruova quanto sieno piene di pensieri e malinconie. E sono le signorie riverite e temute, e pur si vede manifesto quanto sieno cariche di sospetti e paure. E pare che ad ogni cosa corrisponda il suo contrario; alla vita la morte, alla luce le tenebre; né puossi avere l'uno senza l'altro. Cosà acade de' figliuoli, ne' quali sta niuna speranza non accompagnata di molto desperare, né ivi truovi dolcezza alcuna o letizia senza qualche tristezza e amaritudine. Quanto e' ti piú crescono in età , non nego, tanto e' ti portano allegrezza e' figliuoli, ma insieme altretante maninconie ti s'aumentano. E negli animi umani si sentono piú le miserie che la felicità , meno le voluttà e letizie che e' dolori e acerbità , però che queste piú veementi pungono e premono, quelle piú soavi ti solleticano. E convienti avere de' figliuoli in ogni età pensiere e persino dalle fasce; ancora e vie maggior sollecitudine quando e' ti crescono, e molta, infinita piú diligenza quando e' vengono piú grandicelli, e molto piú ancora e piú cura e opera quando e' vengono di piú età . Però non dubitare, Lionardo, che l'essere padre non sia cosa non solo sollicita, ma pienissima di maninconia.
LIONARDO Io posso in voi padri credere cosà sia come altrove. Sempre veggo la natura da ogni parte sollecita a provedere che ogni cosa procreata sé stessi conservi, riceven...
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