[Pagina precedente]...sideri e accettissimi. Adunque ora, Lionardo, se da noi qui ti piace essere pregato, usa, priegoti, l'umanità e consuetudine tua facilissima e in renderci ogni dà migliori operosissima; dona, priegoti, questa opera agli studii e desiderii nostri; fruttiamo questo ozio in aseguire teco dottrina, per condurci a laude, per adurre utilità e fama alla famiglia nostra Alberta. E spera, Lionardo, da noi mai mancherà in obedire tuoi ammonimenti. Per te cosà non manchi di tutto ammunirci e ammaestrarci.
LIONARDO Tutte queste cose ci sono ozio, affezione a voi e agli studii vostri. E quando io ben fussi altrove occupato, sempre a me parrebbe da preporre questa opera satisfacendo ai desiderii vostri lodevoli e in tutto onestissimi. Ma voglio sappiate queste sono cose ample e maggiori a spiegarle che voi forse non istimate. Truovonsi disseminate e quasi nascoste fra molta copia di varii e diversi scrittori, onde volerle racontare tutte e ordinare, e ne' luoghi suoi porgerle, sarebbe faccenda a qualunque ben dotto molto faticosa. Bisognerebbemi avere assai prima ripensato, riscelto e meglio rassettato ogni parte. Né però poi potrei sanza maggiore memoria profferirle e aperto esplicarle; le quali tutte cose conosco, fratelli miei, poco essere in me. Eppure volendo versare testé qui in mezzo cosà le cose aviluppate, interverrebbe a chi me udisse come a quelli e' quali caminano in sul primo albeggiare della aurora: que' di loro, e' quali altre volte sono pel paese stati e col chiarore del sole scorsono tutti e' siti, allora riconoscono e di chi e' siano e quanto siano ornati, e in quell'ombra discernono se ivi piú fosse o manco che l'usato; gli altri, e' quali a migliore luce mai essaminorono que' paesi, passando 'n poco mirano ove poco si scorga, e a chi piace e a chi dispiace. Cosà a me testé interverria sanza avere prima in me dilucidato lo 'ntelletto mio con molto studio e lezione di molti scrittori, distinguendo e ordinando come chi conscende a mezzo del campo perducendo le schiere ed esserciti suoi. Me stessi nel recitare inordinato perturberei, e nella dottrina poco preparato porgerei a voi di me poca utilità . Né io fra 'l buio e tenebre della poca per sé e non bene alluminata mia memoria, di me solo vi porgerei forse qualche ombra di documenti perfetti altrove, ma poco a voi aperti e manco per me chiari; onde piú tosto qui potrei da e' dotti esser negletto che dagli imperiti lodato. Ma voi meglio per voi queste erudizioni tutte con miglior guida e di piú autorità potrete riconoscere. Arete fra' Greci Platone, Aristotele, Senofonte, Plutarco, Teofrasto, Demostene, Basilio, e tra' Latini Cicerone, Varrone, Catone, Colomella, Plinio, Seneca e molti altri, co' quali gustarete e meglio terrete tutti questi luoghi di che frutti sieno copiosi e ornati. E poi, Battista e tu Carlo mio, parrebbevi ella pochissima presunzione la mia, quando io ben fussi a tanta materia atto e sufficiente, se io mi confidassi entrando sà gran paese potervi con mio onore tragettare? Chi vorreste voi che me stessi a udire? A' dotti potrei io se non dire cose a loro notissime; gl'ignoranti, stimate, di me e di mie sentenze poco farebbono giudicio, poco conto. Quelli vero che sono alquanto tinti di lettere, vorrebbono udire in me quella prisca eloquenza elimatissima e suavissima. Pertanto stimate sia il meglio per ora non perdere questo tacere, ché sempre fu il favellare inutile se non quando sia chi ben t'ascolti.
BATTISTA Se io non conoscessi la facilità tua, Lionardo, che mai volesti troppo essere pregato, io testé dubiterei denegassi a me questa grandissima grazia solo perché io non sappia molto pregartene. Ma te, se altro non tiene a tacere, le preghiere mie pur doverebbono muovere in qualunque modo t'acadesse a donarci quanto da te e desideriamo e aspettiamo. Né ora veggo ove tu abbia da ritenerti. Niuno arà da non molto lodarti, ove tu sempre desto te sempre adoperi essere e fare i tuo' in qualunque laude famosissimi e singularissimi. E in questi ragionamenti cosà tra noi domestici, qual prudente desiderasse eloquenza piú elimata o piú che si richiegga esquisita? Tu, non dubito, e in questa e in ogni altra copia di dottrina per memoria e per ingegno vali quanto assai basterà satisfare a' desideri nostri, i quali sà da ogni altro, sà molto piú da te sono avidissimi d'imparare. Gli altri udiamo noi volentieri come precettori; te ascoltiamo lietissimi come maestro ottimo, amico e fratello. E se tu qui degenerassi testé dalla tua usitata facilità , e se poco e' nostri studii a te fussero a cuore, e a te pure piacesse molto esser pregato, Carlo qui, el qual tu conosci d'ingegno e di facundia atto per tua umanità ad impetrare da te qualunque cosa e' ti pregasse, credi cosà tacendo ti priega tanto piú quanto né a lui né a me con parole mai sarebbe possibile meglio in questo porgere preghiera alcuna. Ché già chi tace attento, come ora fa lui, dimonstra non desiderare né aspettare altro che ascoltarti.
LIONARDO Pià cev'egli pure udirmi?
BATTISTA Quanto tu vedi.
LIONARDO E tanto vi sta desiderio al tutto udirmi?
BATTISTA Niuna cosa a noi piú essere può grata.
LIONARDO Non posso adunque, né voglio non satisfarvi. Ma non aspettate da me se non quanto di cosa in cosa mi verrò ramentando. Solo reciterò e' perfettissimi e utilissimi documenti necessari alle famiglie per non cadere in infelicità , accomodatissimi e ottimi a sollevarle e porle in suprema felicità e gloria. Ma come faremo? Avete voi che domandarmi? E io risponderò. O meglio vi pare che io perpetui senza interrompermi il corso del mio recitare?
BATTISTA Qual piú t'agrada. A noi solo questo accade a domandare, qual cose facciano una famiglia felicissima. Tu continua el dir tuo. Noi t'ascolteremo.
LIONARDO Piacemi. Cosà faremo, e voi, dove paresse d'andare piú adagio, rattenetemi, però che io in questa materia trascorrerò con quanta brevità si potrà . Ascoltatemi.
Spesso in queste nostre acerbissime calamità , e pure oggi pensando quanto la fortuna ingiuriando ci perseguiti, né mai si stracchi di dà in dà alle miserie nostre aggiugnere nuovo dolore, miseri noi! né a lei insino a qui paia non poco averci per tutto il mondo sparsi e cosà tenerci oppressi con molte calamità , tenerci errando nelle terre strane luntani da tutti e' nostri frategli, sorelle, padri, amici e mogli, non posso, ah fortuna iniqua! tenere le lacrime. Piango la nostra sciagura, e ora tanto piú adoloro, frate' miei, poiché io veggo Lorenzo vostro padre, uomo per intelletto, per autorità , per ogni virtú prestantissimo, e a voi e a tutta la famiglia nostra Alberta in questi tempi acerbi e durissimi ottimo e necessario defensore e protettore, cosà giacere grave. O fortuna, quanto se' contro alla famiglia nostra irata e ostinata! Ma in questo dolore seguo in me quello approbatissimo proverbio dello Epicuro; riducomi a memoria in quanta felicità già in patria la famiglia nostra godeva quando ella si trovava grande d'uomini, copiosa d'avere, ornata di fama e autorità , possente di grazie, favore e amicizie. E cosà con questa felice recordazione compenso la infelicità de' tempi presenti, e a me stessi, quando che sia, in tanta tempesta, in tanti mali, prometto alla pazienza e fortitudine nostra qualche salutifero e requieto porto. E per istôrmi dall'animo ogni acerbità , traduco il pensiero mio altrove, considerando a una famiglia quale desideri essere amplissima non altro gli bisogna se non dar modo di parere simile alla nostra famiglia Alberta, a quella dico quale era prima che, ingiuria della fortuna, ella cadesse in queste avversità e tempestose procelle. E veggo e conosco questo, che una famiglia la quale manchi in queste cose delle quali noi tutti eravamo abondantissimi, e sia piccola d'uomini, e quelli sieno poveri, vili e sanza amici, molto piú avendo inimici, questa cosà fatta famiglia si potrà nominare mai non misera e infelicissima. Adunque chiameremo felice quella famiglia in quale saranno copia d'uomini ricchi, pregiati e amati, e quella riputeremo infelice quale arà pochi, ma infami, poveri e malvoluti uomini; imperoché dove que' saranno temuti, questi non potranno non sofferire molte ingiurie e sdegni, e dove a quelli sarà gratificato e renduto onore, questi saranno odiati e aviliti, e dove nelle cose magnifice e gloriose quelli saranno chiamati e ammessi, questi saranno esclusi e schifati. Pare a voi questo?
BATTISTA Parci.
LIONARDO Adunque nel nostro ragionamento potremo constituire questi quattro generali precetti come fermi e saldissimi fondamenti onde crescano e dove s'agiungano tutti gli altri. Dicogli. Nella famiglia la moltitudine degli uomini non manchi, anzi multiplichi; l'avere non scemi, anzi accresca; ogni infamia si schifi; la buona fama e nome s'ami e seguiti; gli odii, le nimistà , le 'nvidie si fuggano, le conoscenze, le benivolenze e amicizie s'acquistino, accrescansi e conservinsi. Cosà adunque aremo a trattare di questi quattro documenti; e perché gli uomini son quelli e' quali hanno a essere ricchi, virtuosi e amati, imperò prima cominceremo a vedere in che modo una famiglia diventi come diremo populosa, e considerremo in che modo alla famiglia mai multitudine manchi. Dipoi seguiremo investigando dell'altre secondo che accaderà . E troppo mi piace che non so io come quasi divino consiglio sia in luogo di proemio caduto a proposito el nostro primo qui tra noi ragionamento, nel quale io ti biasimava ogni cupidità e lascivia venerea. E se non fusse perché come allora, cosà molto piú testé intendo essere non lungo in questa materia, forse monstrerrei quanto a ciascuna di queste quattro le quali restano a dire cose, le voluttà e lascivie amatorie siano al tutto troppo nocive e sempre pestifere. Ma di questo forse accaderà altro luogo e tempo da disputarne, poiché a voi non bisogna persuadere che co' buoni studi, con liberali opere e arti fuggiate ogni ozio e desidia non onestissimo. Adunque torniamo al proposito nostro, del quale ragioneremo quanto potremo aperto e domestico, senza alcuna esquisita e troppo elimata ragione di dire, perché tra noi mi pare si richiegga buone sentenze molto piú che leggiadria di parlare. Uditemi.
Diventa la famiglia populosa non altro modo che si diventassono populose terre, province e tutto el mondo, come ciascuno da sé stessi può immaginando conoscere che la moltitudine de' mortali da pochi a questo quasi infinito numero crebbe procreando e allevando figliuoli. E al procreare figliuoli niuno dubiti all'uomo fu la donna necessaria. Poiché 'l figliuolo venne in luce tenero e debole, a lui era necessario avere a cui governo e fede e' fusse caro e commendato, avere chi con diligenza e amore lo nutrisse e dalle cose nocive lo difendesse. Era loro nocivo el troppo freddo, el troppo sole, la molta piova, e i furiosi impeti de' venti; però in prima trovorono il tetto sotto el quale nutrissino e difendessino sé stessi e il nato. Qui adunque la donna sotto l'ombra rimaneva infaccendata a nutrire e a mantenere il figliuolo. E perché essa occupata a custodire e governare lo erede, era non bene atta a cercare quello bisognava circa al suo propio vivere e circa mantenere i suoi, però l'uomo di natura piú faticoso e industrioso usciva a trovare e portare secondo che a lui pareva necessario. Cosà alcuna volta si soprastava l'uomo, non tornando presto quanto era da' suoi espettato. Per questo quando egli aveva portato, la donna tutto serbava, acciò che ne' seguenti giorni, soprastando il marito, né a sé né a' suoi cosa mancasse. A questo modo a me pare manifesto apparisca che la natura e ragione umana insegnò come la compagnia del coniugio ne' mortali era necessaria, sà per ampliare e mantenere la generazione umana, sà per poterli nutrire e conservare già nati. E piú monstrò che la sollecitudine del cercare congiunta colla cura e diligenza del conservare le utile e commode cose al vivere umano in lo congiugio era troppo necessaria. Monstrò ancora qui la natura che questa compagnia era non licita averla con piú che una in uno tempo, imperoché l'uomo non potre...
[Pagina successiva]