[Pagina precedente]...er certo, Adovardo, cosà stimo le lettere sono come piacevole a te, cosà grate a' tuoi, utili a tutti, e in ogni vita troppo necessarie.
Facciano adunque e' padri ch'e' fanciulli si dieno alli studi delle lettere con molta assiduità , insegnino a' suoi intendere e scrivere molto corretto, né stimino averli insegnato se none veggono in tutto e' garzoni fatti buoni scrittori e lettori. E sarà forse quasi simile qui mal sapere la cosa e nolla sapere. Apprendano dipoi l'abaco, e insieme, quanto sia utile, ancora veggano geometria, le quali due sono scienze atte e piacevoli a' fanciulleschi ingegni, e in ogni uso ed età non poco utile. Poi ritornino a gustare e' poeti, oratori, filosofi, e sopratutto si cerchi d'avere solleciti maestri, da' quali e' fanciulli non meno imparino costumi buoni che lettere. E arei io caro che e' miei s'ausassero co' buoni autori, imparassino grammatica da Prisciano e da Servio, e molto si facessino familiari, non a cartule e gregismi, ma sopra tutti a Tullio, Livio, Sallustio, ne' quali singularissimi ed emendatissimi scrittori, dal primo ricever di dottrina attingano quella perfettissima aere d'eloquenza con molta gentilezza della lingua latina. Allo intelletto si dice interviene non altrimenti che a uno vaso: se da prima tu forse vi metti cattivo liquore, sempre da poi ne serba in sé sapore. Però si vogliono fuggire tutti questi scrittori crudi e rozzi, seguire que' dolcissimi e suavissimi, averli in mano, non restare mai di rileggerli, recitarli spesso, mandarli a memoria. Non però biasimo la dottrina d'alcuno erudito e copioso scrittore, ma ben prepongo e' buoni, e avendo copia di perfetti mi spiace chi pigliassi e' mali. Cerchisi la lingua latina in quelli e' quali l'ebbono netta e perfettissima; negli altri toglià nci l'altre scienze delle quali e' fanno professione.
E conoscano e' padri che mai le lettere nuocono, anzi sempre a qualunque si sia essercizio molto giovano. Di tanti litterati quanti nella casa nostra sono stati certo singulari, niuno per le lettere mai all'altre faccende fu se none utilissimo. E quanto la cognizione delle lettere sia a tutti sempre nella fama e nelle cose giovata, testé non bisogna proseguire. Né credere però, Adovardo, che io voglia ch'e' padri tengano e' figliuoli incarcerati al continuo tra' libri, anzi lodo ch'e' giovani spesso e assai, quanto per recrearsi basta, piglino de' sollazzi. Ma sieno tutti e' loro giuochi virili, onesti, senza sentire di vizio o biasimo alcuno. Usino que' lodati essercizii a' quali e' buoni antichi si davano. Gioco ove bisogni sedere quasi niuno mi pare degno di uomo virile. Forse a' vecchi se ne permette alcuno, scacchi e tali spassi da gottosi, ma giuoco niuno senza essercizio e fatica a me pare che a' robusti giovani mai sia licito. Lascino e' giovani non desidiosi, lascino sedersi le femmine e impigrirsi: loro in sé piglino essercizii; muovano persona e ciascuno membro; saettino, cavalchino e seguano gli altri virili e nobili giuochi. Gli antichi usavano l'arco, ed era una delicatezza de' signori uscire in publico colla faretra e l'arco, ed era loro scritto a laude bene adoperarli. Truovasi di Domiziano Cesare che fu sà perito dell'arco che, tenendo uno fanciullo per segno la mano aperta, costui faceva saettando passare lo strale fra tutti gl'intervalli di que' diti. E usino e' nostri giovani la palla, giuoco antichissimo e proprio alla destrezza quale si loda in persona gentile. E solevano e' suppremi principi molto usare la palla, e fra gli altri Gaio Cesare molto in questo uno degnissimo giuoco si dilettò, del quale scrivono quella piacevolezza, che avendo con Lucio Cecilio alla palla perduto cento, davane se non cinquanta. Adunque disseli Cecilio: «Che mi daresti tu, se io con una sola mano avessi giucato, quando io mi sono adoperato con due, e tu solo a una satisfai?». Ancora e Publio Muzio, e Ottaviano Cesare, e Dionisio re di Siracusa, e molti altri de' quali sarebbe lungo recitare nobilissimi uomini e principi usoro colla palla essercitarsi. Né a me dispiacerebbe se i fanciulli avessero per essercizio il cavalcare e imparassino starsi nell'arme, usassino correre e volgere e in tempo ritenere il cavallo, per potere al bisogno essere contro gl'inimici alla patria utili. Soleano gli antichi, per consuefare la gioventú a questi militari essercizii, porre que' giuochi troiani quali bellissimi nelle Eneida discrive Virgilio. E trovossi tra' principi romani miracolosi cavalcatori. Cesare, si dice, quanto poteva forte correva uno cavallo tenendo le mani drieto relegate. Pompeo in età d'anni sessantadue, benché el cavallo quanto potea fortissimo corresse, lanciava dardi, nudava e riponeva la spada. Cosà amerei io ne' nostri da piccoli si dessino e insieme colle lettere imparassino questi essercizii e destrezze nobili, e in tutta la vita non meno utili che lodate: cavalcare, schermire, notare e tutte simili cose, quali in maggiore età spesso nuocono non le sapere. E se tu vi poni mente, troverrai tutte queste essere necessarie all'uso e vivere civile, e tali ch'e' piccoli senza molta fatica bene e presto l'imparano, e a' maggiori forse tra le prime virtú richieste.
ADOVARDO Io non con poca voluttà e diletto, in verità , Lionardo, te ho ascoltato, e benché qualche volta m'acadesse, non però volsi interromperti, tanto da ogni parte a me piaceano e' tuoi ricordi. Ma guarda non avere a noi padri dato troppe faccende. Tutti e' giovani, Lionardo, non sono dello intelletto tuo. Pochi si troverebbono volesseno in sé avere tanta fermezza agli studi, e mai forse vidi altri che te uno tanto compiuto di tutte le virtú quali tu vuoi sieno ne' nostri giovani. E qual padre, Lionardo mio, potrebbe a tante cose provedere? E qual figliuolo mai s'inducerebbe apprendere ogni cosa qual ci disegni?
LIONARDO Io potrei facile stimare, Adovardo, esserti ogni mio ragionamento stato sollazzo e piacere, se io non vedessi testé che, dove prendesti poca voluttà ove io chieggo da voi padri tante quante certo sono necessarie faccende, tu per vendicarti a me dà i nuova fatica, come se tu non sapessi quanto studio dell'uomo possa in ogni cosa. Se la sollecitudine d'uno mercennario insegna a una bestia far cose umane, a uno corvo favellare, come fu quello el quale in Roma disse: «
Kere Cesar»; e perché Cesare qui rispose: «A me stanno in casa molti salutatori», di nuovo ridisse: «
Operam perdidi»; se questo in una bestia può el nostro studio, stimi tu che possa manco in uno umano intelletto, el qual si vede atto e sufficiente a qualunque difficilissima cosa? Né voglio io però e' tuoi figliuoli sappiano se non quanto sia mestiere a liberi uomini sapere. E credo questo, in casa nostra siano pochissimi e' quali per ingegno e per intelletto a ogni cosa non molto piú di me vagliano. Di tanta gioventú quanta vedi la casa nostra essere non poco gloriosa, a me non pare vedere alcuno non compariscente, non atto, non destro, non tutto gentile. Ma sempre cosà fu la famiglia Alberta copiosa e abondante di leggiadri ingegni e d'animi prestantissimi. E quando bene fusse il contrario, uno simile a te studioso e ben diligente padre può con sua opera rendere infinita utilità . Scrive Columella, s'io ben mi ricordo, che uno chiamato Papirio veterense, avendo alla prima delle tre sue figliuole dato in dota el terzo d'un suo campo avignato, con tanta diligenza governava e' due restati terzi che ne traea quel medesimo frutto qual solea trarre di tutto el campo. Dipoi, ancora sopragiunto el tempo, maritò l'altra seconda sua figliuola, e dotolla della metà di questo campo a lui doppo la prima dota rimaso. E, Dio buono, quanto può la cura e diligenza! Quanto in ogni cosa vale cosà essere sollecito! Niuna cosa sarà tanto ardua e laboriosa che l'assiduità non la convinca. Questo Papirio veterense con assidua cura e sollecita diligenza fece che questa terza parte di tutto il campo, quale doppo la seconda dota restò, a sé testé quanto prima tutto lo 'ntero campo rendea.
Non si potrebbe dire a mezzo quanto abbia grandissima forza lo studio, la sollerzia in ogni cosa massime quella de' padri inverso de' figliuoli, e' quali con amore e fede proccurando l'onore e il bene de' figliuoli si sentono in premio amare e pregiare, e godono rendere e' suoi migliori e aspettano maggiori lode. E pure piaccia a' padri ne' suoi meritare che tanto potranno quanto e' vorranno. Ma pare chi è desidioso in sé, chi non cura emendare e correggere sé stesso, si porge desidioso anche negli altri, e poco cura ove ne' suoi manchi virtú. Ma tu, Adovardo, che se' quanto sia possibile sollecito, che mai fuor di casa ti vidi sà occupato che tu non avessi cura della famiglia, né mai in casa ti vidi sà ozioso che tu non sollecitassi le cose di fuori, tutto il dà ti veggo scrivere, mandare fanti a Bruggia, a Barzalona, a Londra, a Vignone, a Rodi, a Ginevra, e d'infiniti luoghi ricevere lettere, e ad infinite persone al continuo rispondere, e fai sà che essendo tu coi tuoi, ancora t'inframetti in molti altri luoghi, e senti e sai quello che per tutto si fa; Adovardo, se tu puoi questo, quanto puoi nelle cose lontane, ben potranno e' padri sostenere quella minore e dilettosa faccenda alle cose quali loro sono al continuo inanzi agli occhi, a' figliuoli, a tutta la casa.
ADOVARDO Da te mi lascio volentieri vincere, Lionardo. Tu m'hai condotto in luogo che mi pare vergogna omai dire ch'e' figliuoli sieno a' padri non dilettosi, e troppo ben veggo la ragione tua conchiude ch'e' padri negligenti sono quelli che hanno le molte maninconie. E confessoti ch'e' diligenti padri sono quegli e' quali de' loro figliuoli si truovano contenti e lieti. Ma dimmi, Lionardo, se tu avessi fanciugli, tu, quando e' fussero grandicelli e quanto tu volessi modesti e ubidienti, solo dubitassi, come spesso adiviene, ch'el figliuolo tuo non fussi quanto desideraresti cinto e destro a queste prime virtú e lodati essercizii ove, come diceva Lorenzo, possono rendere la famiglia ornata e fortunata, allora che pensieri sarebbono e' tuoi? Non può ciascuno essere Lionardo, o messer Antonio, o messer Benedetto. Chi può trovarsi del tuo intelletto a tutte le cose lodate atto e accommodato? Molte cose meglio si dicono che non si fanno. E credi a me, Lionardo, ne' padri stanno dell'altre maggiori. E questa forse può parere piccola, ma per certo ella ci è non leggiere maninconia e peso, perché pare sempre ti sfidi di non eleggere e cappare piggior consiglio.
LIONARDO Se io avessi figliuoli, io di loro arei, sia certo, pensiero, ma sarebbono e' miei pensieri senza maninconia. Solo in me sarebbe prima opera fare ch'e' miei venissero crescendo con buoni costumi e con virtú, e qualunque essercizio loro gustasse piacerebbe a me. Ogni essercizio che sia sanza infamia, a uno gentile animo sta non male. Sono gli essercizii quali acquistano onore e laude propri de' gentili e nobili uomini. Ben ti confesso che ciascuno non può quanto e' padri vorrebbono, ma chi segue quanto a lui sia lecito, a me piú piace che chi cerca cosa, quale seguire non possa. Apresso credo sia piú da lodare, benché in tutto non se gli avenga, chi quanto in sé può s'adopera in qualunque cosa, che chi vive vacuo d'essercizii, inerte e ozioso. Antiquo detto e molto frequentato da' nostri: «l'ozio si è balia de' vizii». Ed è cosa brutta e odiosa vedere chi sempre istia indarno, come facea quel ocioso, el qual, domandato che cagione ti tiene tutto il dà quasi dannato a sedere e giacerti per le panche, rispose: «Io attendo a ingrassare». E chi costui udà lo biasimò, e pregollo piú tosto desse opera d'ingrassare un porco, però che almeno ne ritrarrebbe qualche utile. Cosà onestamente gli mostrò da quel che fusse un ozioso, da men che un porco.
E dicoti piú, Adovardo, per ricco e gentile che sia il padre, sempre si doverebbe ingegnare che il figliuolo oltre alle degne virtú sapesse qualche mestiero non servile, ma col quale, se maligna fortuna acadesse, potesse con sua industria e mani onestamente vivere. Le fortune di questo mondo son elle sà pic...
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