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LIONARDO Non so se io questo m'intendo.
GIANNOZZO Dimonstrava essere officio del mercatante e d'ogni mestiere, quale abbia a tramare con piú persone, sempre scrivere ogni cosa, ogni contratto, ogni entrata e uscita fuori di bottega, e cosà spesso tutto rivedendo quasi sempre avere la penna in mano. E quanto a me questo precetto pare troppo utilissimo, imperoché, se tu indugi d'oggi in domane, le cose t'invecchiano pelle mani, vengonsi dimenticando, e cosà il fattore piglia argomento e stagione di diventare o vizioso, o come il padrone suo negligente. Né stimare alle cose tue altri sia piú che tu stesso sollicito, e cosà alla fine te n'hai il danno, o vero ti perdi il fattore. Né dubitare, Lionardo mio, ch'egli è peggio avere male fattore che in tutto nollo avere. La diligenza del maestro può d'uno fattore non molto buono farlo migliore, ma la negligenza di chi debba avere principale cura delle cose sempre suole di qualunque buono lasciarlo piggiorare.
LIONARDO E quanto! Uno fattore vizioso ti ruba e inganna per suo maligno ingegno, benché tu sia sollicito, e molto piú ti nocerà ove vedrà alle cose tue in te stessi essere negligenza. E bene questo spesso provorono e' nostri, e bene spesso hanno avuto chi per suo vizio molto piú che per nostra negligenza ci è stato dannoso. Ma da' viziosi raro si può senza danno ritrarsi.
GIANNOZZO A me, quando io riduco a memoria quelli danni e perdite di molti mercatanti, e ove io veggo che de' sei infortunii e' cinque sono occorsi per difetto di chi governa le cose, pare veramente possa cosà affermare che niuna cosa tanto fa buono fattore quanto la diligenza del maestro. La pigrizia, tralasciare e non spesso rivedere e' fatti suoi troppo, figliuoli miei, troppo nuoce. E stolto colui, il quale non saprà favellare de' fatti suoi se non per bocca altrui. Cieco per certo sarà colui, il quale non vedrà se non con gli occhi altrui. Vuolsi adunque stare sollicito, desto, diligente, rivedere spesso ogni nostra cosa, perché cosà nulla si può facilmente perdere, e ismarrita piú tosto si truova. Agiugni che sendo negligente ti si fa una somma di faccende quale a scioglierle non vi basta il dÃ, né ivi puoi quanto bisogna fatica, e truovi quel che tu ne' tempi suoi aresti fatto bene e con diletto, ora, volendo quello quanto bisogna doppo allo indugio, t'è impossibile o farlo a compimento, o delle molte parti farne alcuna bene quanto certo prima aresti nelle stagioni loro fatto. Cosà adunque io sarei sempre in ogni cosa diligente, e in questa quanto a me s'apartenesse molto sarei sollicito, prima in scegliere quanto piú potessi buono fattore, poi sarei diligente in nollo lasciare piggiorare rivedendo spesso e riconoscendo ogni mia cosa. E acciò ch'e' miei avessino cagione d'essere migliori, io gli onorerei e largamente bene gli tratterei, e studiare'mi farli amorevoli a me e alle cose mie.
LIONARDO Cosà mi pare certo necessario avere grande diligenza in scegliere e' fattori bene buoni, e ancora avere non minore diligenza in non gli lasciare piggiorare, e ancora quanto dite molto bisogna essere diligente in farli di dà in dà amorevoli e studiosi delle cose vostre.
GIANNOZZO Molto, e sai come? Conviensi prima da piú persone domandarne, avisarsi delle condizioni loro, informarsi de' costumi, porre bene mente che usanze, che maniere siano le loro.
LIONARDO E per fattori quali a voi piacerebbono piú, o gli strani o pure e' vostri della casa? Perché spesso vidi fra mercatanti farne non piccolo dubio. Eravi chi diceva potersi meglio vendicare e valersi con piú facilità da uno strano che da uno della sua propria famiglia. Altri stimava gli strani piú essere ubbidienti a' maestri e piú suggetti. Altri parea non volesse ch'e' suoi fossero in tempo per venire in tale fortuna che potessino tôrsi il primo grado e occupare l'autorità e luogo di chi governa. E cosà erano varie le loro opinioni.
GIANNOZZO Quanto io, Lionardo mio, mai chiamerei fattore, ma piú tosto nimico mio, e non vorrei tra' miei domestici quello uomo da cui aspettassi vendicarmi; né apresso comprendo per che cagione io dagli strani dovessi piú essere riverito che da' miei, quantunque da' miei a me piú parrebbe onesto accettarne benivolenza e amore che obedienza e servitú; né io stimo meno essere utile alle faccende la fede e diligenza di quelli quali ci portino amore, che sia la subiezione di chi noi tema; e non reputo degno di buona fortuna, né meritare autorità , né doversi grado alcuno a colui al quale sia molesto l'onore e felicità de' suoi; e a me potrà parere stultissimo colui, il quale stimerà senza favore e aiuto de' suoi mantenersi in dignità o in felice alcuno stato. Credete a me, figliuoli miei, che di questo mi ramenta infiniti essempli, quali per piú brevità non riferisco; credete a me, niuno può durare in alcuna buona fortuna senza spalle e mano degli altri uomini; e chi sarà in disgrazia a' suoi, costui stolto s'egli stima mai essere bene agli strani accetto. Ma per diffinire la questione tua, presupponi tu, Lionardo, ch'e' tuoi sieno buoni o mali?
LIONARDO Buoni.
GIANNOZZO Se fiano buoni, mi rendo io certissimo molto saranno migliori meco i miei che gli strani. E cosà ragionevole a me pare stimare ne' miei essere piú fede e amore che in qualunque sia strano, e a me piú debba essere caro fare bene a' miei che agli altrui.
LIONARDO O se fossoro mali?
GIANNOZZO Come, Lionardo? Che non sapessino procurare bene? Non sarebbe qui a me, Lionardo, maggiore debito insegnare a' miei che agli strani?
LIONARDO Certo. Ma se, come alcuna volta accade, e' v'ingannassino?
GIANNOZZO Dimmi, Lionardo, a te saprebbe egli peggio se uno tuo avesse de' beni tuoi, che se uno strano se gli rapisse?
LIONARDO Meno a me dorrebbe se a uno de' miei le mie fortune fusseno utili, ma piú mi sdegnerei se di chi piú mi fido piú m'ingannasse.
GIANNOZZO Lievati dall'animo, Lionardo, questa falsa opinione. Non credete che de' tuoi alcuno mai t'inganni, ove tu lo tratti come tuo. Quale de' tuoi non volesse piú tosto avere a fare teco che con gli strani? Pensa tu in te stessi: a chi saresti tu piú volentieri utile, a' tuoi pure o agli altrui? E stima questo, che lo strano si riduce teco solo per valersi di meglio; e ricòrdati (spesso lo dico perché sempre ci vuole essere a mente) ch'egli è piú lodo e piú utile fare bene a' suoi che agli strani. Quello poco o quello assai, quale lo strano se ne porta, non torna piú in casa tua, né in modo alcuno in tempo sarà a' nipoti tuoi utile. Se lo strano teco diventa ricco, perché cosà stima meritare da te, poco te ne sa grado; ma, se da te il parente tuo arà bene, e' confesserà esserti obligato, e cosà arà volunterosa memoria fare il simile a' tuoi. E quando bene e' non te ne sapesse né grado, né merito, se tu sarai buono e giusto, tu prima dovrai volere in buona fortuna e' tuoi che quale si sia strano. Ma pensa che di questo mai a te bisognerà temere, se tu cosà sarai diligente a eleggere buono, e desto a non lasciare peggiorare el fattore. E dimmi ancora: scegliendo il fattore ove ara' tu manco indizii a bene conoscere de' costumi? Pigliando de' tuoi, e' quali a te sono cresciuti nelle mani, e' quali tu hai pratichi tutto il dÃ, o pure togliendo degli strani, co' quali avesti molto manco conoscenza e molto minori esperienze? Cosà credo io, Lionardo mio, molto piú sia difficile conoscere lo 'ngegno degli strani che de' tuoi. E se cosà è, se a noi per bene scegliere molto si conviene conoscere ed essaminare e' costumi, chi mai credesse piú tosto investigalli in uno strano che ne' suoi proprii? Chi mai volesse piú tosto uno strano non bene conosciuto che uno suo bene conosciuto? Voglionsi aiutare e' nostri quando e' sono buoni e atti, e se da sé non sono, con ogni nostra industria e aiuto voglionsi e' nostri di dà in dà rendere migliori. Segno di poca carità sdegnare e' suoi per beneficare agli altri, segno di grande perfidia non si fidare de' suoi per confidarsi degli altri. Ma io dico forse troppo in questa materia. A te, Lionardo, che ne pare?
LIONARDO A me pare, questa vostra, amorevole, iusta e verissima sentenza, e tale che s'ella fusse da tutti, come da me, creduta e gustata, forse la famiglia nostra arebbe manco da dolersi di molte ingiurie, quali già piú volte ricevette dagli strani. E certo la vostra cosà confesso essere giusta sentenza: non sa amare chi non ama e' suoi.
GIANNOZZO E quanto giustissima! Mai, se tu puoi avere de' tuoi, non mai tôrre gli altrui. E' ti giova sollicitarli, pigli piacere a insegnarli, godi ove te vedi riputar padre, puoi ascriverti a felicità averti con tuoi beneficii addutta in luogo di figliuoli molta gioventú, la quale speri e disponga teco tutta la sua età . Quale cose non cosà farà lo strano. Anzi, quando egli arà cominciato a piú qualcosa sapere o avere, e' vorrà essere compagno, diratti volersi partire, moveratti doppo questo una, e doppo quella un'altra lite per migliorare sua condizione, e del danno tuo, della infamia tua poco stimerà ove a sé ne risulti bene. Ma lasciamo passare. Io potrei monstrarti infinite ragioni pelle quali vederesti che lo strano sempre sta teco come nimico, dove e' tuoi sempre sono amici. Procurono e' tuoi il bene e l'onore tuo, fuggono il danno e la infamia tua, perché d'ogni tuo onore a loro ne risulta lodo, e d'ogni disonore sentono parte di biasimo. E cosà occorrerebbono doppo queste infinite altre ragioni, pelle quali manifesto vederresti ch'egli è piú dovuto, piú onesto, piú utile, piú lodato, piú sicuro tôrre de' suoi che degli strani. E quando a te questo bene paresse il contrario, io ti consiglierei sempre piú verso e' tuoi avessi carità che verso gli strani, e ricordere'ti quanto a noi stia debito avere cura della gioventú, trarla in virtú, condurla in lode. E stima tu certo che a noi padri di famiglia non è se non gran biasimo, possendo onorare e grandire e' nostri, se noi li terremo adrieto quasi spregiati e aviliti.
LIONARDO A me non bisogna udirne piú ragioni. Io stimo in parte di grandissimo biasimo non sapere gratificarsi a' suoi, e confesserei io sempre che chi non sa vivere co' suoi molto meno saprà vivere con gli strani. E di questi vostri ricordi, in la masserizia troppo utilissimi, molto vi siamo questi giovani e io obligatissimi, e anche ci sarà molto piú dono e debito da voi aver sentito il resto quanto aspettiamo seguitiate. Poiché detto avete della casa, della possessione e degli essercizii accommodati alla masserizia, ora c'insegnate quanto abbiamo a seguire in queste spese, le quali tutto il dà accaggiono, oltre al vestire e al pascere la famiglia, e ancora ricevere amici, onorarli con doni e liberalità . E accade tale ora a fare qualche spesa la quale apartenga allo onore e fama di casa, come alla famiglia nostra delle altre assai e fra molte quella una de' padri nostri in edificare nel tempio di Santa Croce, nel tempio del Carmine, nel tempio degli Agnoli e in molti luoghi dentro e fuori della terra, a Santo Miniato, al Paradiso, a Santa Caterina, e simili nostri publici e privati edificii. Adunque a queste spese che regola o che modo daresti voi? So in questo come nell'altre forse dovete avere perfetti documenti.
GIANNOZZO E hogli tali che nulla meglio.
LIONARDO E quali?
GIANNOZZO Uditemi. Io soglio porre mente, e pènsavi ancora tu s'io tengo buona opinione; vedi, a me pare le spese tutte siano o necessarie o non necessarie, e chiamo io necessarie quelle spese, senza le quali non si può onesto mantenere la famiglia, quali spese chi non le fa nuoce allo onore suo e al commodo de' suoi; e quanto non le faccendo piú nuociono, tanto piú sono necessarie. E sono queste numero a raccontarle grandissimo; ma insomma possiamo dire siano quelle fatte per averne e conservarne la casa, la possessione e la bottega, tre membri onde alla famiglia s'aministra ogni utilità e frutto quanto bisogna. Vero, le spese non necessarie sono o con qualche ragione fatte, o senza alcuna pazzamente gittate via. Ma le spese non necessarie con qualche ragione fatte piacciono, non fatte non nuoco...
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