[Pagina precedente]...o lodata. Date opera quanto fate di dà in dà essere piú dotti e piú lodati. E noi ora che faremo? Seguiteremo noi dicendo di quello che resta a' ragionamenti nostri? A me pare già tardi. Ricciardo e Adovardo omai dovranno indugiare non troppo a giugnere; però temo non ci basterà il tempo e saracci interrotto el ragionamento. Pertanto forse sarebbe il meglio soprastare in domani e direnne piú pensato e piú intero, ché testé mi pare stare coll'animo sospeso aspettando vedere Ricciardo, el quale uomo modestissimo, umanissimo, sempre e per sua carità in me, e per mia reverenza inverso di lui, fu a me in luogo di padre. E non so come, qualunque io sento passare mi pare sia Ricciardo, tanto desidero e aspetto vederne Lorenzo essere lieto, el quale vie piú di me con troppo desiderio l'aspetta.
Allora gli rispuosi io: - Lionardo, facciamo come testé nostro padre disse: riputiamo perduto ogni tempo se non quello quale spenderemo in virtú. Ora credo non ci sia che fare altro. Adòperati in farci migliori. Tu insino a qui dicesti, quanto a mio giudicio in quella materia dir si poteva, molto utilissime cose non sanza perfetto ordine, con eloquenza non meno succinta che chiara ed elegante: onde non dubito testé potrai in quel che resta fare il simile. Ricciardo stimo non giugnerà però sà tosto, né a te l'animo mai suole pendere meno inverso l'utilità nostra che verso l'amore di Ricciardo. Per tua facilità e grazia verso di noi sempre potemmo riputarti fratello, e per quanta da te riceviamo dottrina e cognizione di cose perfettissime, dovemo ricognoscerti non solo come maestro, ma certo in luogo di padre. E non riputiamo men grado avere avuto l'essere e vita dal padre, che ricevere da te el ben starci in vita con lodo e onore. Però, Lionardo, segui. Facciamo questo tempo nostro adoperandolo. Cosà manco resterà domani che dire. Segui. Ascoltià nti.
LIONARDO Adunque piacemi. Sarò nondimeno, poiché 'l tempo cosà richiede, brevissimo quanto la materia patirà . Ascoltatemi. Abbiamo la casa come dicemmo populosa, piena di gioventú. Vuolsi essercitarla, non lasciarla impigrire in ozio, cosa come inutile e poco lodata alla gioventú, cosà alle famiglie gravissima e troppo dannosa. Non però bisogna qui metter a voi in odio l'ozio, quali io veggio studiosi e operosi, ma pure per piú incitarvi a seguire come fate in ogni fatica e in ogni laborioso essercizio per acquistare virtute e meritar fama, ponete animo qui e pensate da voi quale uomo, non dico cupido di laude, ma in qualche parte timido d'infamia possiate non trovare, ma fingere, a cui non dispiaccia grandemente l'ozio e desidia? Chi mai stimasse potere asseguire pregio alcuno o dignitate sanza ardentissimo studio di perfettissime arti, sanza assiduissima opera, senza molto sudare in cose virilissime e faticosissime? Certo sarà necessario a chi curi d'ornarsi di laude e fama fuggire e ostare molto all'ozio e inerzia, non meno che a' capitalissimi e nocentissimi inimici. Nulla si truova onde tanto facile surga disonore e infamia quanto dall'ozio. El grembo degli oziosi sempre fu nido e cova de' vizii; nulla si truova tanto alle cose publice e private nocivo e pestifero quanto sono i cittadini ignavi e inerti. Dell'ozio nasce lascivia; della lascivia nasce spregiare le leggi; del non ubbidire le leggi segue ruina ed esterminio delle terre. Quanto prima si comincia essere contumace a' costumi e modi della patria, tanto subito si stende negli animi arroganza, superbia, e ogni ingiuria d'avarizia e rapina. Ardisconsi latrocinii, omicidii, adulterii, e ogni scellerata e perniziosa licenza trascorre.
Adunque l'ozio, cagion di tanti mali, molto a' buoni debba essere in odio. E quando bene l'ozio fusse non quanto ciascuno conosce ch'egli è, pernizioso e nimico a' buon costumi, e origine e fabrica d'ogni vizio, quale benché inetto uomo mai volesse essere in vita sanza essercitare lo 'ngegno, le membra e ogni virtú? In qual cosa a te pare differenza da un tronco, da una statua, da un putrido cadavere a uno in tutto ozioso? Quanto a me, non parerà ben vivo colui el quale non sente onore e vergogna, né muove sua membra e sé stessi con qualche prudenza e conoscimento, ma bene stimerò non vivo colui el quale giacerà sepellito nell'ozio e inerzia, e fuggirà ogni buono studio e opera. E a me sarà costui da nollo riputare degno di vita, el quale non molto vorrà in virtú e laude usare ogni suo sentimento e movimento. E questo medesimo ozioso, mentre che seguirà invecchiando in desidia e inerzia senza porgere di sé a' suoi e alla patria sua utilitate alcuna, questo certo sarà tra' virili uomini da stimarlo da meno che un vilissimo tronco, poiché d'ogni cosa posta in vita manifesto si vede quanto la natura a tutte contribuisce movimento e sentimento, sanza le quale cose nulla si può veramente giudicarsi in vita. E come, benché tu abbia gli occhi, pure tenendoli chiusi e al loro officio no'gli adoperando, tanto ti gioveranno quanto se tu non gli avessi, cosà chi l'operazioni per le quali si distingue la vita per sé non frutterà , costui si potrà in questo riputare non aver vita. Veggonsi l'erbe, le piante, e gli arbucelli quanto s'adoperino a crescere e porgerti di sé stessi qualche piacere o utile. Gli altri animali, pesci, uccegli e quegli di quattro piè, tutti al continuo in qualche industria e opera s'afaticano, né mai si veggono oziosi, sempre s'argomentano in vita a sé e ad altri essere non inutili; e truovi chi edifica el nido pe' figliuoli, vedi chi discorre a pascere e' nati, tutti s'adoperano quasi da natura loro sia in odio ogni ozio, tutti con qualche buona opera fuggono la inerzia. Pertanto cosà mi pare da credere sia l'uomo nato, certo non per marcire giacendo, ma per stare faccendo.
L'ingegno, lo 'ntelletto e giudicio, la memoria, l'apetito dell'animo, l'ira, la ragione e consiglio e l'altre divine forze e virtú, colle quali l'uomo vince la forza, volontà e ferocità d'ogni altro animale, certo non so quale stolto negasse esserci date per nolle molto adoperare. Né mi può non dispiacere la sentenza dello Epicuro filosofo, el quale riputa in Dio somma felicità el far nulla. Sia licito a Dio, quello che forse non è a' mortali volendo, far nulla; ma io credo ogni altra cosa potere essere a Dio di sé stessi forse meno ingrata e agli uomini, dal vizio in fuori, piú licita che starsi indarno. Manco a me dispiace la sentenza d'Anassagora filosafo, el quale domandato per che cagione fusse da Dio procreato l'uomo, rispose: «Ci ha produtto per essere contemplatore del cielo, delle stelle, e del sole, e di tutte quelle sue maravigliose opere divine». E puossi non poco persuadere questa opinione, poiché noi vediamo altro niuno animante non prono e inclinato pendere col capo al pasco e alla terra; solo l'uomo veggiamo ritto colla fronte e col viso elevato, quasi come da essa natura sia cosà fabricato solo a rimirare e riconoscere e' luoghi e cose celeste. Dicevano gli Stoici l'uomo essere dalla natura constituito nel mondo speculatore e operatore delle cose. Crisippo giudicava ogni cosa essere nata per servire all'uomo, e l'uomo per conservare compagnia e amistà fra gli uomini. Dalla quale sentenza Protagora, quell'altro antico filosafo, fu, quanto ad alcuni suol parere, non alieno, el quale affirmava l'uomo essere modo e misura di tutte le cose. Platone scrivendo ad Archita tarentino dice gli uomini essere nati per cagione degli uomini, e parte di noi si debbe alla patria, parte a' parenti, parte agli amici. Ma sarebbe lungo sequire in questa materia tutti e' detti de' filosafi antichi, e molto piú lungo sarebbe agiugnervi le molte sentenze de' nostri passati teologi. Per ora questi m'occorsono a mente, a' quali, come vedi, tutti piace nell'uomo non ozio e cessazione, ma operazione e azione. E confermeratti questa comune e vera sentenza, se coll'animo mirerai quanto vedi piú che negli altri animali l'uomo da essa infanzia per ogni corso della sua età sé sempre adoperare, tale che quegli e' quali sono in tutto fuori d'ogni onesta e virile opera, questi pure in qualche modo faccendo qualche cosa sé stessi oziosi trastullano. E quanto chi mi lodasse piú l'ozio, chi non preponessi l'adoperare le membra, ingegno e ragione in qualche laude, costui appresso di me sarebbe in maggiore errore che s'egli stimasse vera quella opinione di quello afflitto padre per la morte della figliuola, el quale consolando sé stessi disse, poteva pensare e' mortali essere nati per patire in vita pena de' loro sceleratissimi flagizii e peccati! Pertanto troppo mi piace la sentenza d'Aristotile, el quale constituà l'uomo essere quasi come un mortale iddio felice, intendendo e faccendo con ragione e virtú.
Ma sopra tutte lodo quella verissima e probatissima sentenza di coloro, e' quali dicono l'uomo essere creato per piacere a Dio, per riconoscere un primo e vero principio alle cose, ove si vegga tanta varietà , tanta dissimilitudine, bellezza e multitudine d'animali, di loro forme, stature, vestimenti e colori; per ancora lodare Iddio insieme con tutta l'universa natura, vedendo tante e sà differenziate e sà consonante armonie di voci, versi e canti in ciascuno animante concinni e soavi; per ancora ringraziare Iddio ricevendo e sentendo tanta utilità nelle cose produtte a' bisogni umani contro la infermità a cacciarla, per la sanità a conservalla; per ancora temere e onorare Iddio udendo, vedendo, conoscendo el sole, le stelle, el corso de' cieli, e' tuoni e saette, le quali tutte cose non può non confessar l'uomo essere ordinate, fatte e dateci solo da esso Iddio. Aggiugni qui a queste quanto l'uomo abbia a rendere premio a Dio, a satisfarli con buone opere per e' doni di tanta virtú quanta Egli diede all'anima dell'uomo sopra tutti gli altri terreni animanti grandissima e prestantissima. Fece la natura, cioè Iddio, l'uomo composto parte celesto e divino, parte sopra ogni mortale cosa formosissimo e nobilissimo; concessegli forma e membra acomodatissime a ogni movimento, e quanto basta a sentire e fuggire ciò che fusse nocivo e contrario; attribuÃgli discorso e giudicio a seguire e apprendere le cose necessarie e utili; diègli movimento e sentimento, cupidità e stimoli pe' quali aperto sentisse e meglio seguisse le cose utile, fuggisse le incommode e dannose; donògli ingegno, docilità , memoria e ragione, cose divine e attissime ad investigare, distinguere e conoscere quale cosa sia da fuggire e qual da seguire per ben conservare sé stessi. E aggiunse a questi tanti e inestimabili doni Iddio ancora nell'animo e mente dell'uomo, moderazione e freno contro alle cupidità e contro a' superchi appetiti con pudore, modestia e desiderio di laude. Statuà ancora Iddio negli animi umani un fermo vinculo a contenere la umana compagnia, iustizia, equità , liberalità e amore, colle quali l'uomo potesse apresso gli altri mortali meritare grazia e lode, e apresso el Procreatore suo pietà e clemenza. Fermovvi ancora Iddio ne' petti virili a sostenere ogni fatica, ogni aversità , ogni impeto della fortuna, a conseguire cose difficillime, a vincere il dolore, a non temere la morte, fermezza, stabilità , constanza e forza, e spregio delle cose caduche, colle quali tutte virtú noi possiamo quanto dobbiamo onorare e servire a Dio con giustizia, pietà , moderanza, e con ogni altra perfetta e lodatissima operazione. Sia adunque persuaso che l'uomo nacque, non per atristirsi in ozio, ma per adoperarsi in cose magnifice e ample, colle quali e' possa piacere e onorare Iddio in prima, e per avere in sé stessi come uso di perfetta virtú, cosà frutto di felicità .
Forse a voi pareva mi fussi troppo dal proposito alienato, ma non sono state se non necessarie queste recitate cose a provare quanto io stimo avervi persuaso. Ma non disputiamo testé quale di quelle opinioni piú sia vera e da tenere. Diciamo al nostro proposito che l'uomo sia posto in vita per usare le cose, per essere virtuoso e diventar felice, imperoché colui el quale si potrà dire felice, costui agli uomini sarà buono, e colui el quale ora è buono agli uomini, c...
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