[Pagina precedente]...do da chi la produsse nutrimento e aiuto a perseverare in vita e a porgere le sue utilitati in luce. Veggo nelle piante e arbuscelli quanto le radici attraggono e distribuiscono alimento al tronco, el tronco a' rami, e' rami alle frondi e a' frutti. Cosà forse sarà da stimare naturale a' padri che nulla lascino adrieto per nutrire e mantenere quelli che sono di sé usciti e per sé nati. E confesso a voi padri essere non se non debito avere cura e sollecitudine per bene allevare i vostri nati. Né ora ti domando se quella cosà fatta sollecitudine a' padri sia naturale necessità , o pure quasi come nato e cresciuto amore da que' piaceri e da quelle speranze, quali si pigliano e' padri dagli atti e presenza de' figliuoli; già che non rarissimo si vede uno amerà questo piú che quello suo figliuolo, e di cui forse gli parerà possa piú sperarne, in questo tale sarà piú curioso a ornarlo, piú liberale e facile a compiacergli. E ancora si vede tutto il dà chi poco cura il suo figliuolo vada in lontani e strani paesi stracciato fra le stalle, fra' disagii, in mezzo a' pericoli, e dove, qual piú gli debba dispiacere, forse diventi vizioso e incorrigibile. Ma non sia per ora nostra contenzione investigare che principii, crescimenti o fini in sé abbia ciascuno amore. Né anche cerchiamo onde ne' padri verso i suoi nasca alcuna disparità d'amore, ché mi potresti rispondere l'essere vizioso viene da corrotta natura e depravato ingegno. Però la natura medesima, la quale in tutte le cose cerca convenienza e perfezione, disiunge e priva e' viziosi figliuoli dal vero amore e dalla intera carità de' padri. E anche forse hanno e' padri una o un'altra lode piú cara ne' figliuoli che tenersegli in mezzo a' domestichi ozii e vezzi, o quello ti paresse rispondermi credo sarebbe lungo ragionamento.
E qui, non per contradirti, ma solo per certificarmi ove tu dicevi che sino dalla fascia e' padri truovano ne' figliuoli sà gravissime maninconie, non mi persuade che uno savio padre debba pigliarsi ad animo nonché tristezza, ma né incarco alcuno di molte altre cose, e di questo in prima quale s'appartiene alle femmine, alla nutrice, alla madre piú troppo che al padre. Stimo tutta quella età tenerina piú tosto devuta al riposo delle donne, che allo essercizio degli uomini. E quanto io, sono di quelli che vorrei mai né trassinare e' picchini, né vederli troppo da' padri, come talora li veggo, palleggiare. Stolti, che poco stimano con quanti infiniti pericoli e' puerelli stiano nelle dure braccia de' padri, a' quali piccola cosellina sconcia e distorce quelle ossicine tenerucce, e raro si può stringerli o maneggiarli senza grandissimo modo che non si gli travolga e disvolghi qualche membro, come per questo talora si ritruovano bistorti e bilenchi. Adunque sia questa prima età in tutto fuori delle braccia de' padri, riposisi, dorma nel grembo della mamma.
Quella età poi che a questa segue, ne viene con molto diletto, col riso di tutti, e già cominciano a proferire e con parole in parte dimonstrare le voglie sue. Tutta la casa ascolta, tutta la vicinanza riferisce, non manca ragionarne con festa e giuoco, interpetrando e lodando quel fece e disse. E già si vede gemmare e apparire in quella come primavera di quella età , nel viso, nell'aria, nelle parole e ne' loro modi infinite buone speranze, grandissimi segni di sottilissimo intelletto e di profondissima memoria, e cosà per tutti se ne dice ch'e' putti sono conforto e giuoco a' padri e a' suoi vecchi. Né credo si truovi sà obligato di faccende, né sà carco di pensieri padre alcuno a chi non sia la presenza de' fanciulli suoi molto sollazzosa. Catone, quel buono antico, qual fu per sopranome savio chiamato, e riputato quanto era in tutte le cose constantissimo e severissimo, si dice spesso interlassava l'altre grandissime e publice e private sue faccende el dÃ, tornando molte volte a rivedere que' suoi piccinini, tanto gli parea non acerbo e doglioso avere figliuoli, ma dolce e dilettoso vedere el riso, udire le parole, godere di tutti que' vezzi pieni di molta simplicità e suavità , quali sono sparti nella fronte di quella pura e dolce prima età . Se adunque cosà è, Adovardo, se le sollecitudine de' padri sono e piccolissime e con molto diletto, tutte piene d'amore e di buona speranza, di riso, di festa e giuoco, queste vostre maninconie in che sono elle? Gioverammi saperne ragionare.
ADOVARDO A me sarebbe molto caro tu, come in parte so io, per pruova sapessi ragionarne. Ben mi duole di voi non pochi giovani Alberti, e' quali vi trovate senza eredi, senza avere quanto potresti accresciuta la famiglia e fattola molto populosa. Che è questo a dire? - che io annoverava pochi dà fa non meno che venti e due giovani Alberti vivere soli senza compagna, non aver moglie, niuno manco che sedici, niuno piú che anni trenta e sei. Duolmene certo e veggo quanto sia danno grandissimo alla famiglia nostra se tanto numero di figliuoli, quanto da voi giovani si richiede, mancherà ; ché giudico da volere prima sostenere ogni sconcio e ogni dispiacere che patire qui la famiglia rimanga sola, senza vedere chi succeda nel luogo e nome de' padri. E perché io vorrei che tu in prima fra gli altri fussi uno di quelli el quale, come fai di fama e nome, cosà di figliuoli simili a te riempiessi e aggrandissi la famiglia Alberta, però mi ritemo persuaderti cosa alcuna onde tu avessi da dubitare e ritrarti. Ché credo assai da presso ti monstrerrei le maninconie de' padri per ogni età essere non poche, né poco acerbe e dure, e vederesti negli affezionatissimi padri da quella prima età nascere non sempre giuoco e riso, ma spesso tristezza e lacrime. E anche non negheresti a' padri stare grande affezioni, grande sollecitudini, molto prima ch'e' figliuoli ci portino riso o sollazzo alcuno. Convienci pensare molto innanzi a ritrovare buona balia, cercarne con molta opera per averla a tempo, investigare ch'ella non sia inferma né scostumata, e porvi mente e diligenza ch'ella sia vacua, libera e netta di que' vizii e di quelle macule quali infettano e corrompono il latte e il sangue; e piú abbiamo da procurarla tale che in casa seco porti né scandolo né vergogna. Sarebbe lungo racontare quanto riguardo qui sia a noi padri necessario, quanta fatica per ciascuno in tempo vi si duri prima che truovi quanto si conviene onesta, buona e faccente balia. Né forse crederresti quanto sia maninconia, ripetio e rimordimento d'animo nolla trovare a tempo, o nolla avere poi sufficiente, le quali cose pare che ne' maggiori bisogni piú sempre manchino. E sai quanto sia nella inferma e scostumata balia pericolo come di lebra, epilenzia, e cosà di tutte quelle gravissime infermitati, quali si dice possono venire dalla poppa; e anche sai quanto siano rare le buone nutrice e da molti richieste.
Ma che vado io pure racontando ogni minima cosa? Poiché m'è piú caro stimi e' figliuoli siano, come a dire il vero sono, a' padri grandissimo sollazzo, que' piccini vederli lieti atornoti, maravigliarti d'ogni loro atto e parola, riputarla da grande sentimento, prometterti fra te stesso assai buona speranza. Una cosa forse può far piccole queste dolcezze e renderti molto maggiori e piú cocente cure all'animo. Stima tu a chi duole vederli piangere se forse cadendo un poco si li percuotono le mani, quanto gli sarà molesto pensare che piú fanciulli di quella età che d'ogni altra periscono. Pensa quanto gli sia acerbità aspettare d'ora in ora essere privato di tanta voluttà . Anzi mi pare questa età prima esser quella che da ogni parte sparge le molte e grandissime maninconie, e quasi solo questa si vede piena di vaiuoli, fersa e rosolia, né mai sta senza crudezze di stomaco, al continuo giace deboluzza, e sempre langue carca di molte altre infermità , quali né tu conosci, né quelli picchini ti sanno dirle, onde in te stimi ogni loro piccolo male essere grandissimo e tanto maggiore quanto ti sfidi come a non conosciuta malattia vi si possa dare vero e utile rimedio. Però ogni minima dogliuzza de' figliuoli nell'animo de' padri tiene grandissimo tormento.
LIONARDO Troppo aresti tu caro, Adovardo, ch'io non potessi piú come colui dire quello che si riputa felicissima cosa: «mai ebbi moglie». Ben sai tu se io vi sono di buono e ardente animo, e credo non fastidia te che a me siano da molti, quanto troppo spesso sono, l'orecchie riscaldate. E veggo non t'è a odio che chi non ha che dirmi, chi altrimenti si truova povero di parole, mancandogli ogni altra trama a ragionare, entri a cinguettare a darmi moglie, e qui effunda grandissimi fiumi d'eloquenza in demonstrarmi e lodarmi el coniugio, la società constituta da essa primeva natura, la procreazione de' successori eredi, l'accrescimento e amplificazione della famiglia, comandandomi «to' questa o quella nella quale non hai da disiderarvi o piú dota, o maggior bellezze, o migliore parentado». E cosà spesso con troppa loro presunzione, ove cercano incendermi volontà di non starmi libero come mi sto, incendono in me qualche iusta indegnazione. E pur vorrei anch'io testé non trovarmi senza moglie, e arei caro aver figliuoli, acciò che in te non fusse tanto avantaggio piú che a me che io non potessi refutare l'autorità tua per pruova quanto con argomenti. E sallo Dio e anche tu quanto io vi sia d'animo fervente, e come spesso e teco e con altri abbiamo ricercato trovare cosa ci s'affaccia. Ma che disaventura sia la nostra certo mi pesa. Quelle vergine quale gusterebbono a te dispiaceno a me. Quelle che a me forse non sarebbono moleste, a voi altri mai pare si condicano, e cosà mi si rimane l'animo ardentissimo, non tanto d'avere nella famiglia el luogo e il nome mio doppo me non ispento e anullato, ma anche molto piú mi sta el volere omai uscire di tanta seccaggine di tutti gli amici e conoscenti a chi, non so per che invidia, la libertà mia del starmi senza femmina dispiace. Ma io temo a me non intervenga come si scrive apo gli antichi di quel fonte sacro in Epiro, nel quale un legno infiammato si spegne, e uno spento e freddo vi si raccende. Però forse sarà il meglio voi lasciate me da me stesso infiammato satisfarvi, o se pure credete il vostro dire in me faccia utile opera alcuna, consigliovi aspettiate questo mio ardente desiderio del tôr donna si rafreddi.
Ma noi abbiamo riso assai. Quanto se io avessi fanciugli, io non mi piglierei quella fatica di cercare altra nutrice che la loro medesima madre. E' mi ramenta Favorino, quel filosofo d'Aulo Gelio, e tutti gli altri antichi quanto e' lodan piú el latte della madre che alcuno altro. Forse questi medici appongano che dare el latte le indebolisce e falle talora sterile. Ma pure io posso credere dalla natura sia bene a tutto proveduto, e debbasi stimare non sanza cagione, ma bene con gran ragione quanto si vede insieme colla grossezza ivi nascere in copia e multiplicarsi el latte, quasi come la natura stessa ci apparecchi al bisogno e dicaci quanto a' figliuoli dalle madri aspetti. Piglierei questa licenza se la donna per sinistro alcuno fusse diventata debole: io provederei, come tu di', d'avere balia buona, esperta e costumata, non per lasciar piú ozio alla donna, non per torgli quella verso de' figliuoli devuta faccenda, ma per dare meno tristo nutrimento al fanciullo. E credo il vero che, oltre a quelle infermità , quali tu dicevi potevano dal corrotto latte venire, ancora piú la nutrice non onesta, non costumata, sarà sufficiente ne' costumi del fanciullo nuocere e inclinallo a' vizii ed empierli l'animo di furiosi e bestiali passioni come d'iracundia, timidità , spaventi e simili mali. E credo se la balia o da sé fia, o per uso di vini troppo fumosi e pretti, o per altri riscaldamenti d'animo focosa, e arà il sangue suo infiammato e riarso, forse sarà facile in colui, el quale arà da costei preso nutrimento cosà acceso e adusto, conseguirli l'animo proclive e incitato ad ira, immanità e bestialità . E cosà ancora può la lattatrice male contenta, piena di rancore e gravezza d'animo, rendere quel fanciullo pigro ed enervato e timido, e c...
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