[Pagina precedente]...osà tali simili cagioni possono assai ne' primi tempi. Vedesi uno arborcello non avendo donde e' pigli nutrimento appropriato a sé e ne' primi bisogni quanto si doveva copia d'aere e umidità , lo fa di poi stare sempre languido e seccuccio. E pruovasi che piccola piagolina a uno tenero rampollo piú nuoce che due grandi squarciature a uno annoso tronco. Pertanto si vuole molto provedere che a quella tenerina età sia nutrimento quanto si può ottimo. Però si proccuri al bisogno avere la balia lieta, netta, senza alcuno riscaldamento o turbazione di sangue o d'animo; faccia vita modesta, né sia immoderata in cosa alcuna, né scostumata; le quali cose sÃ, come tu dicevi, raro si truovano nelle nutrice, però ti resta da consentirmi che certo le proprie madri sono come piú che l'altre baliacce modestissime e costumatissime, cosà piú atte e molto piú utili a nutrire e' suoi proprii figliuoli. Né starò raccontando qui quale con piú amore, con piú fede, diligenza e assiduità governerà el fanciullo, o quella condutta per pregio, o la propria madre. Né ancora mi stenderò a provarti quanto l'amore verso del figliuolo si conservi e confermi alla madre quando el figliuolo sarà nel suo seno cresciuto e nutrito. E quando pure bisognasse, che raro non mancando la madre accade, cercare la balia e avere in queste tali dette cose sollecitudine, non pare a me faccenda troppo grave. E forse veggo molti uomini con diletto affaticarsi in utilitati minori che non è per salute de' figliuoli, cosa lodevole e molto devuta.
Ma ben sai, stare in paura come tu mi parevi e dubitare di quella prima età periscano molti, a me questo non pare da lodare. E' si vuole, mentre che ne' fanciulli si sente spirare qualche anima, piú tosto sperarne meglio che dubitarne. Né sono talora sà grande le dogliuzze de' fantini quanto elle paiono. Vedevilo ieri giacere languido e tutto quasi fuori di vita: oggi tutto vivo, tutto forte ti s'apresenta, per tutto transcorre. E quando a Dio fusse in qualche età piaciuto che a' figliuoli tuoi el corso de' giorni suoi fusse finito, stimo sia officio de' padri piú tosto ramentarsi e rendere grazia de' molti piaceri e sollazzi, quali e' figliuoli hanno loro dati, che dolersi se chi te gli prestò se gli ha in tempo rivoluti. Lodasi quella antiqua risposta d'Anassagora, el quale come prudente e savio padre udendo la morte del figliuolo, quanto dovea con paziente e ragionevole animo disse, sapea sé avere generato un uomo mortale, e non gli parea intollerabile se chi era nato per morire già fusse morto. Ma qual si truova rustico sà imperito e sciocco, el quale in sé non sia certissimo come nulla cosa può dirsi morta qual prima fusse stata non viva, cosà nulla essere in vita che non aspetti quanto era dovuta a morte?
E forse ti dirò tanto, Adovardo, ch'e' padri lo dovrebbono avere, non voglio dire caro, ma certo molto meno a molestia s'e' figliuoli muoiono senza maggior vizii e senza sentire quanti molti affanni siano in questa vita de' mortali. Niuna cosa si truova piú faticosa che 'l vivere; e beati coloro che uscirono di tanti stenti e finirono i dà suoi giovinetti in casa de' padri nella patria nostra! Felici loro che non sentirono le miserie nostre, non sono iti errando per le terre altrui senza dignità , senza autorità , dispersi, lontani da' parenti, dagli amici e da' cari suoi, sdegnati, spregiati, scacciati, odiati da chi riceveva onore e cortesia da noi! O infelicità nostra per tutte le terre altrui trovare nelle avversità nostre aiuto e qualche riposo, in tutte le genti strane la nostra calamità trovare pietate e compassione, solo da' nostri proprii cittadini già tanto tempo non potere impetrare misericordia alcuna! Senza cagione proscritti, senza ragione perseguiti, senza umanità negletti e odiati!
Ma che volevo io dire? A ogni età non mancano spesse infermità grandi e gravi non meno che nella prima infanzia, se già e' grandi e atempati ti paressino colle sue gotti, scese, fianchi e sciatiche piú che gli altri leggieri e liberi, o vero giudicassi che le febbri, dolori e morbi non potessero a' robusti e fermi giovani nuocere quanto a' fanciulli. E quando ben qualche età fusse piú percossa dall'ultime infermità , sarae però da non biasimare quel padre, el quale non tenga sé quanto si richiede moderato e prudente? E part'egli poca stultizia pure averti coll'animo pauroso e sollicito dove a te non sia licito prendervi altro alcuno rimedio?
ADOVARDO Io non voglio però contender teco, né disputare le cose sà a sottile. Sono contento giudichi poco savio chiunque teme quello a che non si può rimediare. Con questo o tu non riputare me pazzo, benché io in molte cose non sia e inverso de' fanciulli miei sanza paura, o tu ditermina che tutti i padri sieno stoltissimi, poiché niuno si truova el quale non molto procuri e tema di non perdere que' che gli sono carissimi. La qual cosa se alcuno biasima, insieme vitupera l'essere padre. E qui me conduco, Lionardo. Sieno, s'egli è possibile, e' padri certi ch'e' figliuoli persino all'ultima vecchiezza rimarranno in sanità e prosperità ; aspettino e' padri veder e' nipoti de' suoi nipoti, qual si scrive vidde a sé nati divo Augusto Cesare; non temano in loro alcune gravissime malattie, le quali talora sono non meno che la morte acerbe e intollerabili, e speri ciascun padre sé essere simile a Dionisio tiranno siracusano, quale in età d'anni sessanta né de' figliuoli di tre sue mogli, né de' molti suoi nipoti, mai acadde farne essequie alcuna; e stia in arbitrio de' padri la vita e la morte de' figliuoli, la lunga età e la breve vita, come stette ad Altea, alla quale concessero gli dii che tanto il suo figliuolo Meleagro vivesse, quanto durava salvo e intero quel tizzone quale essa gittò crucciata in mezzo il fuoco, onde consumato il legno fu la vita a Meleagro finita: dico ch'e' figliuoli non sarebbono però a' padri se non pieni di maninconia.
LIONARDO A me cotesto pare piú da confessarlo a te, el quale non vuoi contendere, che da crederlo a uno altro da cui mi paresse a quel che dice domandarne ragione. Ma forse io scorgo dove tu potresti riuscire, come interviene a molti pochi savi padri che si straccano e scalpestano la sua vita tutta in arti faticosissime, in viaggi e travagli grandissimi, e vivono in disagii e servitú per lassare gli eredi suoi abondanti d'ozio, delizie e di pompa.
ADOVARDO Tu so non riputi me di quelli cosà fatti che io stia molto tempo pe' miei figliuoli occupato a congregare quello che in uno minimo momento può la fortuna, nonché a chi e' si lascia, ma a chi l'acquista, torlo. Ben dico che mi sarebbe caro lasciare e' miei ricchi e fortunati piú che poveri, e molto desidero, e molto, quanto in me sta, m'adopero lasciarli in tale fortuna che poco abbino ad arivare alle merzè d'altrui, ché non sono ignorante quanto sia miseria ne' suoi bisogni non potersi aiutare senza le mani d'altrui. Non credere però, s'e' padri non temono morte e povertà ne' figliuoli, che siano senza maninconia. E dove sta il peso di fargli costumati? Apresso il padre. Dove sta la soma di fargli imparare lettere e virtú? Appresso il padre. Dov'è quel carico smisurato di fargli apprendere una e un'altra dottrina, arte, scienza? Pure appresso il padre, ben sai. Agiugni a queste la grandissima sollecitudine che hanno i padri in scegliere quale arte, quale scienza, qual vita piú si confaccia alla natura del figliuolo, al nome della famiglia, al costume della terra, alle fortune, a' tempi e condizione presenti, alle occasioni, alle espettazioni de' cittadini. Non patisce la terra nostra che de' suoi alcuno cresca troppo nelle vittorie dell'armi. Savia, perché sarebbe pericoloso alla nostra antichissima libertà , se chi have adempiere nella republica le sue voluntà con favore e amore degli altri cittadini, potesse con minacce e forza d'arme aseguire quanto l'animo il traporta, quanto la fortuna si gli porge, quanto il tempo e condizioni delle cose gli accede e persuade. Né anche fa la terra nostra troppo pregio de' litterati, anzi piú tosto pare tutta studiosa al guadagno e cupida di ricchezze. O questo il paese che lo dia, o pure la natura e consuetudine de' passati, tutti pare crescano alla industria del guadagno, ogni ragionamento pare che senta della masserizia, ogni pensiero s'argomenta ad acquistare, ogni arte si stracca in congregare molte ricchezze. Non so se in noi Toscani questo fusse o da' cieli, come diceano gli antichi che, perché Atene avea il cielo puro e leggiero, però ivi erano uomini sottili e d'ingegni acuti; Tebe avea il cielo piú grasso, però erano e' Tebani piú tardi e meno astuti. Alcuni affermavano perché i Cartaginesi si trovavano il paese sterile e arido, per questo a loro era forza ne' suoi bisogni avere conversazione e ospizio con molte vicine ed estranee genti, onde riveniano esperti e dotti in molta astuzia e inganni. E anche forse si può credere ne' cittadini nostri l'uso e consuetudine de' passati abbia amminicolo e possanza. Come scrive Platone, quel principe de' filosofi, che ogni costume de' Lacedemoniesi era infiammato di cupidità di vincere, cosà stimo alla terra nostra il cielo produce gl'ingegni astuti a discernere el guadagno, el luogo e l'uso gl'incende non a gloria in prima, ma ad avanzarsi e conservarsi roba, e a desiderare ricchezze, colle quali e' credono meglio valere contro alle necessità , e non poco potere ad amplitudine e stato in fra i suoi cittadini. E se cosà fusse, quanto saranno solliciti e' padri quali stimeranno il figliuolo piú atto alle lettere o arme che a racogliere o coadunare denari! Non gli combatterà egli nell'animo uno volere seguire el costume della terra contro a uno desiderare d'adempiere le sue grandissime speranze? Sarà egli poco stimolo a' padri cosà avere a posporre l'utile e onore de' figliuoli e della famiglia sua? Non gli sarà egli gravissimo all'animo, per schifare odio e invidia de' suoi cittadini, esserli non licito quanto vorrebbe e gioverebbe, dirizzare il figliuolo a una o un'altra virtude o lode? E testé non occorrono a me in mente tutte le nostre doglie, e forse sarà troppo lunga opera e troppa esquisita fatica volertele a una a una tutte racontare. Basti a te quinci vedere ch'e' figliuoli sono a' padri pieni di lagni e maninconie innumerabili.
LIONARDO Quanto, Adovardo, se io ti dicessi ch'e' padri non avessino a sofferire delle fatiche, sendo ogni vita, come dicea Crisippo, grieve e laboriosa. Nessuno si truova mortale a chi el dolore non tocchi. Le infermità , la paura e le maninconie lo premano; sotterrare figliuoli, amici e parenti; perdere e di nuovo rifare; aspettare e proccurare quanto bisogna ad infinite nostre necessitati. E questa pena pare data a chi ci vive, che reiterate le piaghe della fortuna, nelle case s'invecchi con lacrime, merore, e in veste nera. Sà che, se i padri fussero piú che gli altri mortali sciolti da queste leggi a noi date dalla natura, e securi da queste incursioni e impeti delle cose, e liberi da tante a tutti gli uomini necessarie cure e pensieri, quali al continuo l'animo di chiunque si sia non stolto avolgono, credo sarebbono e' padri piú che gli altri felici e beati. Non ti niego però ch'e' padri sopratutto piú che gli altri debbano colle mani e co' piedi, con tutti e' nervi, con ogni industria e consiglio, quanto possono sforzarsi ch'e' figliuoli sieno costumati e onestissimi, sà perché fanno l'utile de' suoi, - il costume in uno giovane si stima certo non meno che la ricchezza, - sÃ
etiam perché rendono ornamento e pregio alla casa e alla patria sua e a sé stesso. I figliuoli costumati sono testimoni e lodo della diligenza de' loro padri. E stimasi meglio essere alla patria, s'i' non erro, e' cittadini virtudiosi e onesti che i ricchi molto e possenti. E di certo e' figliuoli non costumati debbono essere a' padri non insensati e stolti grandissimo dolore, non tanto perché a loro dispiacciono le bruttezze e spurcizie de' figliuoli, quanto ché niuno dubita ogni scorretto figliuolo rendere al padre in molti modi non piccola vergogna, ove ce...
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