[Pagina precedente]...e avessi piú oltre seguito in quelle amicizie, quali cominciasti ad amplificare con altro ordine e con altro piacevolissimo modo che a me non pare soleano gli antichi scrittori; e non dubito che da voi, come in queste altre cose, cosà sarei in quella parte di dottrina diventato piú dotto e piú erudito.
LIONARDO Quasi, Battista, come se a te non stessi a mente la sentenza del tuo Marco Cicerone, el quale tu suoli tanto lodare e amare, che giudica nessuna cosa essere piú flessibile e duttibile quanto la orazione. Questa segue e viene dovunque tu la volgi e guidi, né il ragionare nostro, el quale come vedi è tra noi domestico, si richiede essere gastigato ed emendato quanto quello de' filosafi nelle loro oscurissime e difficillime questioni, e' quali disputando seguono ogni minimo membro, e della materia lasciano adrieto nulla non bene esplicato e molto aperto. Tra noi el nostro ragionare non cerca laude d'ingegno, né ammirazione di eloquenza. Ma mio costume sempre fra gli altri studiosi fu, e molto piú con Adovardo, el quale io conosco litteratissimo e nel rispondere acutissimo, per non stare tra gli amici ozioso e muto, io ora dimando, ora rispondo difendendo il contrario di quello che gli altri dicono. Né però mi porgo in difendere l'opinione mia ostinato e difficile, ma do luogo al giudicare e alla autorità degli altri tanto quanto sostenga quello quale io difendo. E quanto non rispuosi io ad Adovardo come forse tu aspettavi, fecilo, Battista, perché io il conosceva non a' figliuoli solo, ma a qualunque di casa amorevole, piatoso piú che altri alcuno quale io conosca, e stimai non gl' essere grato se io non gli consentiva dello amore e della carità verso a' figliuoli quanto lui con pruova e giudicio in sé stessi osservava. E onde seco altre volte mi piglio diletto a ogni sua sentenza con parole contrastare, cosà testé era a me gran voluttà assentendogli vedere quanto egli mi si scoprisse troppo di affezionato e veramente benivolo animo verso i suoi. Adunque non mi parse da negarli quello che lui giudicava per affezione piú che per ragione.
BATTISTA Stimi tu, Lionardo, la sentenza del nostro Adovardo essere non verissima? Credi tu che a' padri sieno i figliuoli meno che gli altri amici cari e commendati?
LIONARDO Io non dubito che non solo e' figliuoli, ma qualunque di casa sempre fu apresso Adovardo quanto si può carissimo e accettissimo. Ma se Adovardo, uomo quanto vedi litterato, ma forse in questo troppo umano, errasse posponendo la vera amicizia a qual si sia di questi altri vincoli d'amore, come de' padri a' figliuoli, moglie a marito, fratelli, e come ancora degli amanti insieme, stimo non sia da maravigliarsi. La fortuna iniqua piú dà fa gli tolse i fratelli. La età omai matura, e di dà in dà piú piena di ragione e consiglio, credo l'abbia stolto da quelle cupidità amatorie. E ora i nostri duri e acerbi casi hanno insieme e lui e tutti noi d'ogni altro nelle amicizie diletto e piacere privatolo. E le condizione de' tempi, nostra infelicità , tengono disparsa e disseminata la nostra famiglia Alberta, come vedi, parte in Ponente, a Londra, Bruggia, Cologna, pochi in Italia, a Vinegia, a Genova, a Bologna, in Roma alcuni, e in Francia non pochi sono a Vignone e a Parigi, e cosà per le Ispagne, a Valenza e a Barzalona, ne' quali tutti luoghi e' nostri Alberti sono piú anni stati interissimi e onoratissimi mercatanti. Ancora in Grecia sono, quanto vedi, de' nostri Alberti sparti e molto dagli altri suoi lontani, ché ben può avenirci quello suol dire el vulgo: «Lungi da occhi, lungi da cuore», e, «Chi raro ti mira a bene amare non dura». E cosà le nostre vere amicizie né hanno seguito il nostro essilio, né quegli animi già a noi benivoli ora sofferano essere compagni alla nostra calamità e miseria. Rimasono nella patria nostra gli antichi nostri meriti insieme colle vere amicizie perduti. E ora qui fuori molti solevano monstrarsi a noi amorevoli e domestici, e' quali da lungi ora ci schifano. Cosà suole la condizione degli uomini in la felicità adducerti molti conoscenti, in l'avversità cancellare ogni memoria di beneficio e benivolenza. Però, se Adovardo, il quale per ora non sente quella dolcezza posta nell'uso de' veri amici, al quale e' figliuoli sono piú che i fratelli e che gli altri suoi per ora presenti, se costui prepone l'amore paterno, non mi parrà da maravigliarci. Credi tu, Battista, se Adovardo avessi de' veri amici qui presso, e da loro ricevessi quanto de' figliuoli copia e presenza, credi tu che giudicasse dell'amicizia?
BATTISTA Credo che Adovardo in questo forse sarebbe dal tuo, Lionardo, e dal mio giudicio molto dissimile.
LIONARDO Tu, Battista, son certo, l'uso e familiarità de' tuoi studiosi di questa età , co' quali al continuo imparando e conferendo conversi, ti pare vincolo di benivolenza piú che gli altri intero e fermo. E se in te, come spero, crescerà virtú, di dà in dà molto piú conoscerai l'amicizia essere da mantenerla e troppo da conservalla. Cosà vi conforto facciate: giudicate niuna cosa quanto l'amicizia essere utile e molto atta a vivere bene e beato. Persuadetevi al tutto, come fo io a me stessi, questa vera una amicizia nella vita de' mortali doppo la virtú essere tale che molto sé stessi possa non solo agli altri amori, ma a qual si sia cara e pregiata cosa preferirsi e soprastare.
BATTISTA Sempre fu nostro desiderio, Lionardo, con ogni arte, industria e opera renderci atti ad acquistare e mantenere amicizie assai. E ora per tuo conforto saremo, quanto piú essere potremo, diligenti e solleciti in renderci benvoluti da molti e molto amati. E questo faremo per ogni rispetto, ma piú ancora per seguire, come facciamo, e nell'altre cose e ancora in questa, i costumi tuoi da ogni parte molto lodatissimi. E se tu, Lionardo, per non essere ozioso né muto, usi co' compagni a qualunque loro detto contraporti, e se ora a te fu voluttà consentire ad Adovardo, per vedere apertissimo quanto in lui fusse verso i suoi carità e amore, riputerai tu a troppa baldanza se io, per imparare da te, in questo seguo i costumi tuoi difendendo opinione alcuna contro la sentenza tua? Se a me fia licito teco imparare, a te sarà meco necessario non meno che con Adovardo usare quella facilità e umanità tua insieme col giudicio tuo prestantissimo in discernere in me quanto io sia in questi studii delle lettere atto a simigliarmiti.
LIONARDO Niuna cosa a me piú essere può grata. E in ogni altro luogo, e con tutte l'altre persone potrei riputarti a biasimo se tu, piú che in te richiegga l'onestà e modestia, fussi ardito e audace. Ma meco t'è licito quanto vuoi ardire, non tanto per imparare da me, ché stimo già con tua assiduità e studio serai da te non poco dotto, ma dove ancora piaccia essercitarti lo 'ngegno in confutare le mie e persuadere le tue ragioni, loderotti disputando, ove ancora esserciti la memoria recando a mente sentenze, autorità ed essempli, conferendo similitudini, argumenti, quali tu apresso i buoni scrittori arai trovate atte a quello di che noi ragionassimo. E in questo molto mi piacerà séguiti i miei costumi e la volontà tua. E perché vegga quanto a me questo essercitarti meco e per tuo e per mio utile sia grato, ché anche io in risponderti e argomentarti contra non poco mi eserciterò, priegoti, Battista, narra degli amori in che sia il tuo giudicio contrario dal mio. E acciò che la disputazione nostra sia piú chiara, io cosà statuisco quello delle vere amicizie essere il piú fermo che gli altri e il piú possente amore. Tu ora ferma contro a me la tua qual sia opinione, e non peritare, imperoché per conferire sempre fu licito difendere qualunque opinione per falsa ch'ella fusse. Non adunque temere tanto parere baldanzoso che tu a me ti porga troppo timido.
BATTISTA Adunque, poiché tu cosà mi concedi licenza, Lionardo, ardirò contrapormiti; e pure non vorrei pel dir mio piú che per costumi mi riputassi però men continente che modesto.
LIONARDO A me in questo tuo cosà nel viso alquanto arrossire, e in questo tuo fratemere delle parole, meco pare presentire ove tu voglia scoprirmiti avversario. Ma segui. Io non potrò riputare se non continentissimo te, el quale io vegga nel ragionare moderato e onesto. Segui.
BATTISTA Pure ardirò, Lionardo. Oh! se io dicessi cosa da voi dottissimi non lodata, dirolla non tanto perché a me paia dire il vero, quanto per essercitarmi. E se io ti paressi in quello errore, in quale forse dirai essere gl'innamorati, stimo arei da molte parti onde io potessi teco scusarmi, e assai con ragione purgherei quello quale tu forse riputassi errore. La qual cosa credo sarebbe a me licito affermare fusse forza e legge non in tutto degna d'odio e biasimo, ma piú tosto da essa divina natura imposta a qualunque animante nato a produrre di sé stessi e ampliare sua stirpe, già che noi veggiamo gli animali bruti in prima, i quali da una ultima e infima parte sentono in sé le forze d'amore, tutti seguono quello cosà fatto apetito naturale, veemente certo e di tanta possanza che, abandonata quasi ogni altra grata a loro e necessaria cosa, solo per adempiere quanto la natura ad amare gli stimola, sofferano fame e sete, caldo e freddo, e ogni fatica; dimenticano i propri covili, non si ricordano d'alcuna di quelle altre loro voluttà , alle quali sciolti e liberi d'amore solo paiono nati e aggiudicati. E piú, cosa certo degna d'ammirazione, quanto veggiamo che fra loro stessi incesi d'amore, per essere i primi amati con ogni forza e ferocità contendono. E se questo manifesto appare in ogni animale bruto e insensato, che tanto in loro può una sola espettazione di diletto qual segue d'un vile disiderio amatorio, quanto viepiú sarà gagliardo l'amore e armato a ferire e convincere gli animi umani, e in prima i giovanili poco fermi e manco robusti a rafrenare e fermare sé stessi con ragione e consiglio, e poco maturi a contenersi nella importunità e molestia de' naturali appetiti. Non credo a noi giovani sia licito ostare all'amore, né forse biasimo seguirlo.
Alcibiade, uomo apresso gli antichi e oggi in tutte le storie famosissimo e celebratissimo, tutto avea datosi allo amare, e nel suo scudo militando portava dipinto, non qual solevano i suoi antichi, ma nuova insegna, Cupidine e sua faretra e arco. Crisippo, dottissimo filosofo, in Atene consacrò l'immagine dello Amore, e collocolla in quel santissimo seggio, unico quasi nido di tutti i filosafi, dove si nutrirono e crebbono tutte le buone e santissime arti e discipline a bene e onesto vivere, luogo chiamato Accademia. El quale uomo, certo prudentissimo, se lo amore fusse cosa degna di vituperio, non arebbe in sà religiosissimo luogo posto quella statua, quasi fermo e pubblico testimonio e segno dell'error suo. Essendo bene errore, qual uomo per freddo e insensato che fusse potrebbe non assentire ai molti diletti, co' quali amore lietissimo e amenissimo si porge? Quale austero e in tutto solitario e bizzarro uomo fuggisse questi sollazzi, suoni, canti e feste, e l'altre molte maravigliose, sanza quella ultima della quale ora dissi, voluttà atte e valide a convincere ogni offermato e molto constantissimo animo, come veggo o sua o naturale legge, o difetto pure degli uomini, sempre ne' mortali l'amore vincendo usò suo imperio? Non mi pare fra gli antichi istorici fatta menzione d'alcuno, per virtuosissimo che fusse e in ogni lode singularissimo, in cui amore non in gran parte monstrasse sua pruova, e superasse non e' giovani solo, e' quali per ogni rispetto sono in questo da no' gli riprendere, ma' vecchi ancora, e' quali nelle cose amatorie possono parere e sazii e inetti. Scrivesi d'Antioco re di Siria, uomo per la grande età e per molto imperio gravissimo e pieno di maestà , che nell'ultima sua vecchiezza occupato d'amore si perdé amando la figliuola vergine di Neottolemo. Non fu all'amore poca licenza in uno animo per età sà freddo e per autorità sà grave incendere fiamme cotanto, come voi altri troppo severi chiamate, leggiere e lascive. E di Tolomeo re di Egitto ancora si dice, benché glo...
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