[Pagina precedente]...o e manifesto vizio. E' vizii si fanno chiaro conoscere, e sono di natura che sempre fanno come solea dire Vespasiano Cesare: «La volpe muta il pelo ma nonne il colore». El vizio sempre a tutti parerà pur vizio, sempre sarà presto a scoprirsi e monstrarsi piú noto. E ponvi mente, benché sopravenga o maninconie, o povertà , o altri disagii, pe' quali el ghiotto e lascivo non può empiere le brutte sue volontà , pure quando gli sia permesso satisfarsi, ivi le voglie sue rinascono, e cosà lui subito torna al primo suo ingegno. Però lodava io stare desto e preveduto, e non aspettare che 'l vizio si fermi all'animo de' giovani. E in questo si vuole seguire il consiglio qual si dice diede Annibal ad Antioco re di Siria. Disseli ch'e' Romani non si potevano vincere piú facile se non in Italia colle medesime armi e terre latine. E come dal fonte prima si vuole svolgere el rivo, chi cerca dirivarlo altrove, e non aspettare che a lungo corso sia fatto maggiore, cosà facciano e' padri. Subito ogni gorellina d'indizio vizioso che a' suoi surge, ristagnino emendando, ricoprendola di virtú; non patiscano che 'l vizio si sparga in piú amplo rivo, però che poi quando fosse aumentato, molto piú gli sarebbe fatica a disvolgerlo, e in lui sarebbe non minimo biasimo starsi o cieco a nollo scorgere, o pigro a non aver con miglior cura emendatolo. E se pure il vizio abbonda, vuolsi dirivare il corso delle giovinili volontà non per mezzo il campo dove si semina la virtú, non interrompere gli ordinati virili essercizii, ma da lato concederli qualche loco, in modo che quelle abbino il corso suo senza nuocere alla cultura tua. E cosà coll'arme medesime, co' viziosi stessi giova molto vincere l'animo fermato già nel vizio, vorrassi porgli la vita degli altri viziosi avanti quasi come uno specchio ove e' si rimiri e vegga la bruttezza e spurcizia de' scelerati, onde a quel modo impari avere a odio ogni cosa non onesta e pregiata. E stimo io gioverà molto monstrargli e aricordargli quanto siano e' non virtuosi e inonesti sviliti, odiati da ogni buono, e schifati da qualunque onesto, e quanto e' lascivi mai non sieno né apresso gli altri con grazia riceuti, né in sé stessi contenti, non lieti, mai senza affanni, sempre pieni di stimoli e molestie d'animo. L'animo de' viziosi sempre sta disordinato e infermo: e niuna pena si truova alla mente maggiore che quella quale a sé stessi prieme l'animo non regolato e ragionevole.
Testé m'acade in memoria udire da messer Cipriano Alberti quanto poi ponendovi piú mente veggo per effetto: in chi sono e' vizii, mai nell'animo sentano requie né riposo. Che credi tu stia in mente degli omicidii, latroni e sceleratissimi uomini? Credo certo ogni ora che si racolgono a ripensare in che infamia, in che peccato e' siano caduti, tristi non ardiscano da terra levare gli occhi, temeno meschini la vendetta di Dio, hanno a vergogna la presenza degli uomini, sempre pensano il loro maleficio da tutti essere biasimato, sempre stimano sé essere dagli altri uomini odiati, spesso desiderano la morte. Ma diciamo degli altri forse minori, perché men rari vizii negli uomini. Uno giucatore, uno barattiero mai pare si possa riposare coll'animo. Vedilo, se vince, stare in agonia e bramare piú di vincere almeno tanto che basti per riscuotere el vestire, per comprare il cavallo, per satisfare al creditore; sempre allo spendere piú sono le voglie ch'e' danari; e cosÃ, se perde, si consuma di dolore, e arde di voglia di riscuotersi. Simile uno goloso ancora mai si sente nell'animo lieto, sempre gli rode quel goloso pensiero, né infra 'l vino e l'ubbriachezze si reputa contento, ma vergognasi d'essere veduto disonesto, e teme le sue lascivie non si risappiano, e poi molto si pente aversi disonestato. Demostene oratore rispuose a quella meretrice che in premio domandava diecimilia denari: «Io non compero tanto il pentirmi». Cosà ogni vizio e ogni lascivia, ogni cosa fatta e detta senza ragione e modestia lascia l'animo pieno di pentimento. E come diceva Archita tarentino filosofo, niuna pestilenza si truova piú capitale che la voluttà . Questa in sé conduce e' tradimenti inverso la patria, produce eversione della republica; de qui sono e' colloqui colli inimici.
Simili e molti altri ricordamenti a' giovani giovano a mettere in odio el vizio. Ma insieme si vogliono inanimare i giovani ancora alla virtú, in ogni ragionamento lodargli e' virtuosi, monstrar loro come ciascuno bene ornato di virtú da tutti merita molto essere amato, in molti modi gloriare i virtuosi, e fare sà che s'e' nostri non possono essere in suppremo luogo virtuosi, almanco desiderino agiungere in alto e preclarissimo grado di lode e dignità , e insieme molto stimino in sé stessi e onorino in qualunque sia la virtú. Soleano gli antichi ne' conviti solenni e nelle feste rinumerare cantando le lode de' fortissimi uomini ne' quali erano state virtú singularissime e utilissime a molti populi, onde fu Ercules, Esculapio, Mercurio, Ceres e gli altri simili concelebratissimi e chiamati dii; e questo sà per rendere premio a' meriti loro, sà ancora per incendere agli uomini uno ardore a virtú e a meritare in sé stesso pari lode e gloria. Vedi prudentissima e utilissima consuetudine! Vedi essemplo ottimo da seguitare! Non restino i padri in ogni loro ragionamento in presenza de' figliuoli estollere la virtú degli altri, e cosà molto vituperare qualunque sia vizio in altrui. Pare a me che in ciascuno non in tutto freddo e tardo d'intelletto, da natura sia immessa molta cupidità di laude e gloria, e per questo e' giovani animosi e generosi piú che gli altri desiderano essere lodati. E pertanto molto gioverà e con parole incendere ne' figliuoli molto amore alle cose lodate, e in loro confermare odio grandissimo contro alle cose disoneste e brutte. Ma se ne' figliuoli nostri fussero alcuni vizii, vorrei vedere e' padri con ogni modestia biasimarli, monstrando condolersi de' loro errati come di proprii figliuoli, e non come inimico vituperarli, o con parole acerbissime perseguitarli, però che chi si sente svilire indurisce con sdegno e odio, o vero sé stessi abandona, disfidasi e casca in una servitú d'animo ove piú non cura onestarsi; e cosÃ, se ne' figliuoli sono virtú, bellamente lodarli, però che pelle troppe lode spesso si diventa superbo e contumace. E posso arbitrare che a niuno padre non inerte e supino doverà questa parere ambigua o incerta ragione a rendere il suo figliuolo emendatissimo, ove con simili facilissimi e ottimi modi subito purgherà ogni minimo vizio quale scorgerà ne' figliuoli insurgere, apresso e instituiralli di buone lode e di molti ornamenti d'animo e di virtú.
ADOVARDO Non ti niego, Lionardo, ch'e' padri quanto tu vorresti diligentissimi potranno in gran parte giovare a' costumi de' suoi, e con suo cura e studio potranno emendarli e farli migliori. Ma non so come uno infinito amore vela e offusca gli occhi de' padri, per modo che rari veggono ne' figliuoli e' vizii se non poi che sono ben scoperti e ampli. Ivi pensa tu quanto sia difficile sbarbicare uno già per uso confirmato vizio. E anche pure in quegli che sono modesti e ben costumati figliuoli, pare ch'e' padri non sappiano in tutto da che si principiare per condurli ove e' desiderano lode e fama.
LIONARDO E chi non sa la prima cosa ne' fanciugli utile debbono essere le lettere? Ed è in tanto la prima, che per gentiluomo che sia, sanza lettere sarà mai se non rustico riputato. E vorrei io vedere e' giovani nobili piú spesso col libro in mano che collo sparviere. Né mai mi piacque quella commune usanza d'alcuni, e' quali dicono assai basta sapere iscrivere il nome tuo, e sapere asommare quanto a te resti di ritrarre. Piú m'agrada l'antica usanza di casa nostra. Tutti e' nostri Alberti quasi sono stati molto litterati. Messer Benedetto fu in filosofia naturale e matematice riputato, quanto era, eruditissimo; messer Niccolaio diede grandissima opera alle sacre lettere, e tutti e' figliuoli suoi non furono dissimili al padre: come in costumi civilissimi e umanissimi cosà in lettere e dottrina ebbono grandissimo studio in varie scienze. Messer Antonio ha voluto gustare l'ingegno e arte di qualunque ottimo scrittore, e ne' suoi onestissimi ozii sempre fu in magnifico essercizio, e già ha scritto l'
Istoria illustrium virorum, insieme e quelle contenzioni amatorie, ed è, come vedete, in astrologia famosissimo. Ricciardo sempre si dilettò in studii d'umanità e ne' poeti. Lorenzo a tutti è stato in matematici e musica superiore. Tu, Adovardo, seguisti buon pezzo gli studii civili in conoscere quanto in tutte le cose vogliano le leggi e la ragione. Non ramento gli altri antichi litteratissimi, onde la nostra famiglia già prese il nome. Non mi stendo a lodare messer Alberto, questo nostro lume di scienza e splendore della nostra famiglia Alberta, del quale mi pare meglio tacere poiché io non potrei quanto e' qui merita magnificarlo. E né dico degli altri giovinetti, de' quali io spero alla famiglia nostra qualche utile memoria. E sonci io ancora il quale mi sono sforzato essere non ignorante.
Adunque a una famiglia, massime alla nostra la quale in ogni cosa, imprima e nelle lettere sempre fu eccellentissima, mi pare necessario allevare e' giovani per modo che insieme coll'età crescano in dottrina e scienza, non manco per l'altre utilitati quali alle famiglie danno e' litterati, quanto per conservare questa nostra vetustissima e buona usanza. Seguasi nella famiglia nostra curando che i giovani con opera e ricordo de' maggiori acquistino in sé tanto grandissimo contentamento, quanto loro porgono le lettere a sapere le cose singularissime ed elegantissime; e godano e' padri rendere i giovani suoi molto eruditi e dotti. E voi, giovani, quanto fate, date molta opera agli studii delle lettere. Siate assidui; piacciavi conoscere le cose passate e degne di memoria; giovivi comprendere e' buoni e utilissimi ricordi; gustate el nutrirvi l'ingegno di leggiadre sentenze; dilettivi d'ornarvi l'animo di splendidissimi costumi; cercate nell'uso civile abondare di maravigliose gentilezze; studiate conoscere le cose umane e divine, quali con intera ragione sono accomandate alle lettere. Non è sà soave, né sà consonante coniunzione di voci e canti che possa aguagliarsi alla concinnità ed eleganza d'un verso d'Omero, di Virgilio o di qualunque degli altri ottimi poeti. Non è sà dilettoso e sà fiorito spazio alcuno, quale in sé tanto sia grato e ameno quanto la orazione di Demostene, o di Tullio, o Livio, o Senofonte, o degli altri simili soavi e da ogni parte perfettissimi oratori. Niuna è sà premiata fatica, se fatica si chiama piú tosto che spasso e ricreamento d'animo e d'intelletto, quanto quella di leggere e rivedere buone cose assai. Tu n'esci abundante d'essempli, copioso di sentenze, ricco di persuasioni, forte d'argumenti e ragioni; fai ascoltarti, stai tra i cittadini udito volentieri, miranoti, lodanoti, amanoti.
Non mi stendo, ché troppo sarebbe lungo recitare quanto siano le lettere, non dico utili, ma necessarie a chi regge e governa le cose; né descrivo quanto elle siano ornamento alla republica. Dimentichianci noi Alberti, - cosà vuole la nostra fortuna testé -, dimentichianci le nostre antiche lode utili alla republica e conosciute e amate da' nostri cittadini, nelle quali fu sempre adoperata molto la famiglia nostra, solo per la gran copia de' litterati, prudentissimi uomini quali sopra tutti gli altri al continovo nella nostra famiglia Alberta fiorivano. Se cosa alcuna si truova qual stia bellissimo colla gentilezza, o che alla vita degli uomini sia grandissimo ornamento, o che alla famiglia dia grazia, autorità e nome, certo le lettere sono quelle, senza le quali si può riputare in niuno essere vera gentilezza, senza le quali raro si può stimare in alcuno essere felice vita, senza le quali non bene si può pensare compiuta e ferma alcuna famiglia. E' mi giova lodare qui a questi giovani, Adovardo, in tua presenza, le lettere, a cui quelle sommamente piacciono. E p...
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