[Pagina precedente]... fortuna nostra! Ma come si sente Ricciardo?
LIONARDO Pur bene di quello ch'io veggia.
GIANNOZZO Io venia per vederlo.
LIONARDO Credo io lui testé si posa.
GIANNOZZO Non suole Ricciardo cosà essere pigro e sonnolento. Mai mi sta in mente vidi uomo piú che Ricciardo desto e sempre adoperarsi.
LIONARDO Non vi maravigliate, Giannozzo, se Ricciardo soprastà alquanto ricreandosi. Stanotte molto si riposò tardi, rotto pel camminare, e forse coll'animo da molti pensieri stracco e convinto.
GIANNOZZO Troppo bene a noi vecchiacciuoli ogni piccolo travaglio nuoce. Questo pruovo io testé in me. Stamani in su la prima aurora per servire allo onore e utile d'uno mio amico io sali' in Palagio. Non fu tempo ivi a quello ch'io volea; vennine qua ratto. Se in questo mezzo salutassi Ricciardo, potrei ire al tempio a vedere il sacrificio e adorare Iddio, poi tornerei a fare quanto allo amico mio bisognasse. Ora qui a me pare essere tutto rotto, tutto sono lasso. Per certo questi dà serotini fanno a noi il contrario che agli arbori. Sogliono e' dà serotini alleggerire, spogliare e diffrondare gli alberi. Vero a noi vecchietti e' dà serotini nella età nostra ci caricano e veston di molta ombra e affanno. E cosÃ, figliuoli miei, chi piú ci vive piú ci piange in questo mondo. Quello mio amico, anche lui si sente carico d'anni e di povertà , e se io non traprendessi parte de' suoi incarichi, sallo Iddio in quanta miseria giacerebbe.
LIONARDO Adunque non sanza cagione da' nostri e dagli altri tutti vi sento, Giannozzo, appellare buono, poiché per molte altre ragioni e per questa ancora cosà meritate, che mai vi sentite sazio di molto servire agli amici, sollevare e' miseri, sovvenire agli affannati. Ma sedete, Giannozzo. Voi siete stracco, e a questa età si conviene cosÃ. Sedete.
GIANNOZZO Or sÃ, farò. Intendi però, Lionardo, questo m'interviene da non molti anni in qua. Non posso affaticarmi a gran parte quanto io soleva.
LIONARDO E quante ancora cose a voi era consuetudine fare giovane, quale ora non faresti vecchio! E pià cevi testé quante altre che allora forse non vi pareano grate!
GIANNOZZO Molte, Lionardo mio. E' mi ricorda quando io era giovane, se si faceva, come spesso in quelli tempi, in quello buono stato della terra nostra si faceva, giostre o simile alcuno publico giuoco, la maggiore contenzione tra' miei vecchi e me era questa una, però che io insieme con gli altri al tutto volea uscire in mezzo a farmi valere. Tornavano quelli di casa nostra sempre con molta lode e pregio. Io di questo godea tra me stessi, ma pure e' mi dolea non essere stato di quelli uno in affannarmi e come gli altri meritare. O famiglia Alberta, che sempre vedevi altretanti piú che di tutte le maggiori famiglie di Firenze nostra gioventú Alberta a mezzo il campo trascorrere lieta, animosa, atta nell'armi! Tutto il popolo parea non avesse cura ad altri che a' nostri Alberti; non sapea il popolo lodare chi non era Alberto; pareva a ciascuno frodare de' meriti nostri, se ivi si lodava altri che noi Alberti. Io, pensa, come dall'uno lato godea della tanta grazia in quale giustamente erano i nostri Alberti, e dall'altro lato, stima tu, Lionardo, uno giovane che abbia l'animo desto e virile, quale in quelli tempi era il mio, gli sarà troppa molestia non potendo come desidera essere tra quelli suoi, farsi mirare da tutti e lodare. Cosà a me intervenia. Io aodiava chiunque me ne stoglieva, e ogni parola di quelli nostri vecchi allora mi pareva veramente alle orecchie mie, Lionardo, una sassata. Non poteva ascoltarli quando e' mi sgomentavano tutti insieme, e dicevano la giostra essere giuoco pericoloso, di niuno utile, di molta spesa, atta ad acquistarsi piú invidia che amistà , piú biasimo che lodo, esservi troppe sciagure, nascervi questioni, avermi piú caro che io non pensava né forse meritava. E io queto, accigliato. Poi appresso quelli pur numeravano molte storie di quanti erano usciti di quelle armi parte morti, parte in tutto il resto della vita inutili e guasti. Fare'ti ridere se io ti contassi con quante astuzie piú volte cercai ottenere licenza da' miei maggiori, senza le cui voluntà arei né in quello, né in altra cosa mai fatto nulla. Interposi pregatori, parenti, amici e amici degli amici. Dissi averlo promesso, eravi chi affirmava me averlo giurato a' compagni. Nulla giovava. Pertanto fu volta che io volea loro, non quanto io solea, bene. Ben conosceva io tutto farsi perché io era loro pur troppo caro, e perché amorevoli temevano a me non intervenisse qualche sciagura, come spesso a' ben robusti e a' molto valenti interviene o in la persona o nello onore. Ma pure e' mi parevano odiosi in tanto dissuadermi e cosà essere contro a questa mia virile voglia troppo ostinati. E molto piú mi dispiacevano quando io stimava lo facessino per masserizia, come egli erano, sai, pur buoni massaiotti, quale io testé sono diventato. E in quelli tempi era giovane, spendeva e largheggiava.
LIONARDO Testeso?
GIANNOZZO Testé, Lionardo mio, sono io prudente, e cognosco chi getta via il suo essere pazzo. Chi non ha provato quanto sia duolo e fallace a' bisogni andare pelle mercé altrui, non sa quanto sia utile il danaio. E chi non pruova con quanta fatica s'acquisti, facilmente spende. E chi non serva misura nello spendere, suole bene presto impoverire. E chi vive povero, figliuoli miei, in questo mondo soffera molte necessità e molti stenti, e meglio forse sarà morire che stentando vivere in miseria. Sicché, Lionardo mio, quello proverbio de' nostri contadini, credi a me come a chi in questo possa per pruova e conoscimento non piú esserne certo, cosà comprendo che gli è verissimo: «Chi non truova il danaio nella sua scarsella molto manco il troverrà in quella d'altrui». Figliuoli miei, e' si vuole essere massaio, e quanto da uno mortale inimico guardarsi dalle superflue spese.
LIONARDO Non credo però, Giannozzo, in questo tanto fuggire le spese a voi piaccia né essere, né parere avaro.
GIANNOZZO Dio me ne guardi! Avaro sia chi male ci vuole. Nulla si truova tanto contrario alla fama e grazia degli uomini quanto la avarizia. E qual sarà sà chiara e nobile virtú alcuna, la quale non stia oscurata e isconosciuta sotto della avarizia? Ed è cosa odiosissima quanto al continuo abita in l'animo degli uomini troppo stretti e avari, gran rodimento e grave molestia ora affannata in congregare, ora adolorata per qualche fatta spesa, le quali cose pessime sempre vengono agli avari. Mai gli veggo lieti, mai godono parte alcuna delle sue fortune.
LIONARDO Chi non vuole parere avaro, lo tiene necessità essere spendente.
GIANNOZZO E anche a chi vuole parere non pazzo, gli sta necessità essere massaio. Ma se Dio t'aiuti, perché non è egli da volere prima essere massaio che spendente? Queste spese, credete a me, il quale omai per uso e pruova intendo qualche cosa, queste simili spese non molto necessarie tra' savi sono non lodate, e mai vidi, e cosà stimo voi vederete mai fatta sà grande, né sà abondante spesa, né sà magnifica ch'ella non sia da infiniti per infiniti mancamenti biasimata: sempre v'è stato o troppo quella, o manco quella altra cosa. Vedetelo se uno apparecchia uno convito, benché il convito sia spesa civilissima e quasi censo e tributo a conservare la benivolenza e contenere familiarità tra gli amici: lasciamo adrieto il tumulto, la sollecitudine, gli altri affanni: quello si vorrà , questo bisognerà , anzi questo altro; il trambusto, le seccaggine, che prima ti senti stracco che tu abbi cominciato a disponere alcuno apparecchio; e anche passiamo il gittare via la roba, scialacquamenti, strusciamenti per tutta la casa: nulla può stare serrato, perdesi questo, domandasi questo altro; cerca di qua, accatta da colui, compera, spendi, rispendi, getta via. Agiugni qui dipoi e' ripetii e molti pentimenti, quali tu e col fatto e doppo nell'animo porti, che sono affanni e stracchezze inestimabili e troppe dannose, delle quali tutte, spentone il fummo alla cucina, spentone ogni grazia, Lionardo, ogni grazia, e apena ne se' guatato in fronte. E se la cosa è ita alquanto assettata, pochi ti lodano di veruna tua pompa, e molti ti biasimano di poca larghezza. E hanno questi molto bene ragione. Ogni spesa non molto necessaria non veggo io possa venire se non da pazzia. E chi in cosa alcuna diventa pazzo, gli fa mestiero ivi in tutto essere pazzo, imperoché volere essere con qualche ragione pazzo sempre fu doppia e incredibile pazzia. Ma lasciamo andare tutte queste cose, quali sono piccole a petto a quest'altre, le quali testé diremo. Queste simili spese del convivare e onorare gli amici possono una o due volte l'anno venire, e seco portano ottima medicina, ché chi una volta le pruova, se già costui non sarà fuori di sé, credo fuggirà la seconda. Vieni tu stessi, Lionardo, qui apresso uno poco pensando. Pon mente che niuna cosa piú sarà atta a fare ruinare non solo una famiglia, ma uno comune, uno paese, quanto sono questi..., come gli chiamate voi ne' vostri libri, questi e' quali spendono sanza ragione?
LIONARDO Pròdigi.
GIANNOZZO Chiamali come tu vuoi. S'io avessi di nuovo a imporli nome, che potre' io chiamarli se non molto male che Iddio loro dia? Svià ti che e' sono da sé molto, e' isviano altrui. L'altra gioventú, com'è corrotto ingegno de' giovani trarre piú tosto a' sollazzosi luoghi che alla bottega, ridursi piú tosto tra giovani spendenti che tra vecchi massai, veggono questi tuoi pròdigi abondare d'ogni sollazzo, subito ivi s'accostano, dà nnosi con loro alle lascivie, alle delicatezze, allo ozio, fuggono i lodati essercizii, pongono la loro gloria e felicità in gittar via, non amano essere quanto si richiede virtuosi, poco stimano ogni masserizia. Vero, e chi di loro mai potesse diventare virtuoso vivendo assediato da tanti assentatori ghiotti, bugiardi, e da tutte le turme de' vilissimi e disonestissimi uomini, trombetti, sonatori, danzatori, buffoni, ruffiani, frastagli, livree e frange? E forse che tutta questa brigatina non concorre a fare cerchio in su l'uscio a chi sia prodigo, come a una scuola e fabrica de' vizii, onde e' giovani usati a tale vita non sanno uscirne? O! per continuarvi, Dio buono, che non fanno egli di male! Rubano il padre, parenti, amici, impegnano, vendono. E chi mai potrebbe di tanta perversità dirne a mezzo? Ogni dà senti nuovi richiami, ogni ora vi cresce fresca infamia, al continuo si stende maggiore odio e invidia e nimistà e biasimo. Alla fine, Lionardo mio, questi pròdigi si truovano poveri in molta età , sanza lodo, con pochissimi, anzi con niuno amico; imperoché quelli goditori leconi, quali e' riputavano in quelle grande spese essere amici, e quelli assentatori bugiardi, e' quali lodavano e chiamavano virtú lo spendere, cioè il diventare povero, e col bicchiere in mano giuravano e promettevano versare la vita, tutti questi sono fatti come tu vedi e' pesci: mentre l'esca nuota a galla, e' pesci in grande quantità germugliano; dileguata l'esca, solitudine e diserto. Non mi voglio stendere in questi ragionamenti, né dartene essempli, o racontarti quanti io n'abbia con questi occhi veduti prima ricchissimi, poi per sua poca masserizia stentare, Lionardo, ché sarebbe lunga narrazione; non ci basterebbe il dÃ. Sicché per essere brieve dico cosÃ: quanto la prodigalità è cosa mala, cosà è buona, utile e lodevole la masserizia. La masserizia nuoce a niuno, giova alla famiglia. E dicoti, conosco la masserizia sola essere sofficiente a mantenerti che mai arai bisogno d'alcuno. Santa cosa la masserizia! e quante voglie lascive, e quanti disonesti appetiti ributta indrieto la masserizia! La gioventú prodiga e lasciva, Lionardo mio, non dubitare, sempre fu attissima a ruinare ogni famiglia. I vecchi massari e modesti sono la salute della famiglia. E' si vuole essere massaio, non fosse questo per altro se none che a te stessi resta nell'animo una consolazione maravigliosa di viverti bellamente con quello che la fortuna a te concesse. E chi vive contento di quello che possiede, a mio parere non merita essere riputa...
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