[Pagina precedente]...to avaro. Questi spendenti veramente sono avari, i quali perché e' non sanno saziarsi di spendere, cosà mai si sentono pieni d'acquistare e da ogni parte predare questo e quello. Non stimassi tu però essermi grata alcuna superchia strettezza. Ben confesso questo; a me pare da dislodare troppo uno padre di famiglia se non vive piú tosto massaio che godereccio.
LIONARDO Se gli spenditori, Giannozzo, dispiaciono, chi non spenderà vi doverà piacere. L'avarizia, bench'ella stia, come dicono questi savi, in troppo desiderare, ella ancora sta in non spendere.
GIANNOZZO Bene dici il vero.
LIONARDO E l'avarizia dispiace?
GIANNOZZO SÃ troppo.
LIONARDO Adunque questa vostra masserizia che cosa sarà ?
GIANNOZZO Tu sai, Lionardo, che io non so lettere. Io mi sono in vita ingegnato conoscere le cose piú colla pruova mia che col dire d'altrui, e quello che io intendo piú tosto lo compresi dalla verità che dall'argomentare d'altrui. E perché uno di questi i quali leggono tutto il dÃ, a me dicesse «cosà sta», io non gli credo però se io già non veggo aperta ragione, la quale piú tosto mi dimonstri cosà essere, che convinca a confessarlo. E se uno altro non litterato mi adduce quella medesima ragione, cosà crederrò io a lui senza allegarvi autorità , come a chi mi dia testimonianza del libro, ché stimo chi scrisse pur fu come io uomo. Sà che forse io testé non saprò cosà a te rispondere ordinato quanto faresti tu a me, che tutto il dà stai col libro in mano. Ma vedi tu, Lionardo, quelli spenditori, de' quali io ti dissi testé, dispiaciono a me, perché eglino spendono sanza ragione, e quelli avari ancora mi sono a noia, perché essi non usano le cose quando bisogna, e anche perché quelli medesimi desiderano troppo. Sa' tu quali mi piaceranno? Quelli i quali a' bisogni usano le cose quanto basta e non piú, l'avanzo serbano; e questi chiamo io massai.
LIONARDO Ben v'intendo, quelli che sanno tenere il mezzo tra il poco e il troppo.
GIANNOZZO SÃ, sÃ.
LIONARDO Ma in che modo si conosce egli quale sia troppo, quale sia poco?
GIANNOZZO Leggermente, colla misura in mano.
LIONARDO Aspetto e desidero questa misura.
GIANNOZZO Cosa brevissima e utilissima, Lionardo, questa. In ogni spese prevedere ch'ella non sia maggiore, non pesi piú, non sia di piú numero che dimandi la necessità , né sia meno quanto richiede la onestà .
LIONARDO O Giannozzo, quanto giova piú nelle cose di questo mondo uno simile sperto e pratico che uno rozzo litterato!
GIANNOZZO Che dici tu? Non avete voi queste cose tutte ne' libri vostri? Eppur si dice nelle lettere si truova ogni cosa.
LIONARDO Cosà può essere, ma io non mi ricordo altrove averle trovate. E se voi sapessi, Giannozzo, quanto ci siate utile e bene accaduto a proposito, voi ve ne maraviglieresti.
GIANNOZZO Dici tu il vero? Io godo se io vi sono utile in cosa alcuna.
LIONARDO Utilissimo. Questi giovani qui, Battista e Carlo, desideravano udire della masserizia qualche buono documento, e io insieme con loro bramava il simile. Ora da chi poteriamo noi udirne piú a pieno e con piú verità che da voi, il quale siete tra' nostri riputato né sà spendente che in voi non sia onestissima masserizia, né sà sete massaio che uomo vi possa riputare non liberale? Però voglio avervi pregato, poiché la masserizia è sà utilissima, non vogliate noi non la conosciamo piú tosto da voi, da cui l'udiremo con piú fede e con piú verità che da altri, il quale c'insegnerebbe forse piú tosto essere avaro che vero massaio. Seguite, Giannozzo, dirci quello sentite di questa santa masserizia, che spero udiremo da voi come sino a qui cosà del resto cose elettissime.
GIANNOZZO Io non saprei dirvi di no per rispetto alcuno, pregandomi tu, Lionardo. E' m'è debito fare cose piaccino a' miei. E tanto piú voglio essere facile a narrarvi quello quale per pruova alla masserizia conosco, quanto voi avete voglia, e quanto a voi sarà utilissimo avermi udito. Né voi avete piú desiderio d'udirmi che io di farvi massai. E dicovi tanto, a me questo giova la masserizia: se io mi truovo in fortuna alcuna, come mi truovo, grazia d'Iddio, mezzanamente ben posto, io vi posso dire avermivi piú per masserizia che per altra industria alcuna. Vero... Ma sedete. Siedi, Lionardo. Questi garzoni staranno in piè.
LIONARDO Sto bene.
GIANNOZZO Siedi.
LIONARDO Sedete voi. Sapete il costume nostro di casa. In presenza dei piú atempati fu mai chi s'asedesse.
GIANNOZZO SÃ, fuori in publico. Questi saranno ragionamenti tra noi in casa, utili a noi. Siedi. Egli è meglio lasciarsi vincere ubidendo che volere fare a suo modo stimando parere costumato. Siedi. Or bene, che diciavamo noi della masserizia? Ch'ella era utile. Io non so quelli vostri libri quello se ne vogliano; io vi dirò di me, che masserizia sia la mia, di che cose e in che modo. Che la masserizia sia utile, necessaria, onesta e lodata stimo niuno dubita. Che se ne dice apresso de' vostri libri?
LIONARDO Che stimate voi, Giannozzo, se none, come voi dicesti, quelli antichi scrittori fussero uomini come testé sete voi?
GIANNOZZO SÃ, ma piú dotti. E se cosà non fosse, l'opere loro non viverebbono tante età .
LIONARDO Confessolo, ma a mio parere e' non dicono però di queste simili altro che quello se ne vegga per ogni diligente padre di famiglia. Che poterebbono essi dire piú che voi in sul fatto stessi ve ne vediate con l'occhio e colla pruova? Troppo dicono, se non fusse chi serbasse, sarebbe stultizia portare in casa il guadagnato, e anche sarebbe non manco da ridere se uno volesse serbare quello che non li fusse arecato.
GIANNOZZO SÃ. Oh, quanto e' dicono bene! Che giova guadagnare se non se ne fa masserizia? L'uomo s'afatica guadagnando per avéllo a' bisogni. Procaccia nella sanità pella infirmità , e come la formica la state pel verno. A' bisogni adunque si vuole adoperare le cose; non bisognando, serbà lle. E cosà hai: tutta la masserizia sta non tanto in serbare le cose quanto in usarle a' bisogni. Intendi?
LIONARDO Sà bene, però che non usare a bisogni sarebbe avarizia e biasimo.
GIANNOZZO Ancora e danno.
LIONARDO Danno?
GIANNOZZO Grande. Ha' tu mai posto mente a queste donnicciuole vedovette? Elle ricolgono le mele e l'altre frutte. Tèngolle serrate, sèrballe, né prima le guaterebbono s'elle non fossero magagnate e guaste. Fanne conto; troverrai ch'ella n'averà a gittare e' tre quarti pelle finestre, e può dire averle serbate per gittarle. Non era meglio, stolta vecchierella, gittare quelle poche prime, prendere le buone pella tua mensa, donarle? Non si chiama serbare questo, ma gittare via.
LIONARDO E quanto meglio! Arebbene qualche utile, o vero gliene sarebbe renduto pur qualche grazia.
GIANNOZZO Ancora: e' cominciò a piovere una gocciola in sulla trave. L'avaro aspettava domani, e di nuovo posdomane. Pioveva ancora; l'avaro non volle entrare in spesa. Di nuovo ancora ripiove; all'ultimo il trave corroso dalle piove e frollo si troncò. E quello che costava uno soldo, ora costa dieci. Vero?
LIONARDO Spesso.
GIANNOZZO Però vedi tu ch'egli è danno questo non spendere e non sapere usare le cose al bisogno. Ma poiché la masserizia sta in usare e serbare le cose, veggiamo quale cose s'abbino a usare e serbare. E qui in prima a me pare che volere usare e serbare le cose altrui sarebbe o arroganza, o violenza al tutto o ingiustizia. Dico io bene?
LIONARDO Molto.
GIANNOZZO Però conviene le cose di che noi abbià no a essere veri e solliciti massai veramente siano nostre. Ora quali saranno elleno?
LIONARDO Io odo dire la moglie mia, e' figliuoli miei, la casa mia. Forse queste?
GIANNOZZO Oh! queste, Lionardo mio, non sono nostre. Quello che io ti posso tôrre a ogni mia posta, di chi sarà . Tuo?
LIONARDO Piú vostro.
GIANNOZZO La fortuna può ella a ogni sua posta tôrci moglie, figliuoli, roba e simili cose?
LIONARDO Può certo sÃ.
GIANNOZZO Adunque sono elle piú sue che nostre. E quello che a te mai può essere tolto in modo alcuno, di chi sarà ?
LIONARDO Mio.
GIANNOZZO Può egli a te essere tolto questo che a tua posta tu ami, desideri, appetisca, sdegni e simili cose?
LIONARDO Certo no.
GIANNOZZO Adunque simili cose sono tue proprie.
LIONARDO Vero dite.
GIANNOZZO Ma per dirti brieve, tre cose sono quelle le quali uomo può chiamare sue proprie, e sono in tanto che dal primo dà che tu venisti in luce la natura te le diede con questa libertà , che tu l'adoperi e bene e male quanto a te pare e piace, e comandò la natura a quelle sempre stiano pressoti, né mai persino all'ultimo dà si dipartano di sieme da te. L'una di queste sappi ch'ell'è quello mutamento d'animo col quale noi appetiamo e ci cruciamo tra noi. Voglia la fortuna o no, pure sta in noi. L'altro vedi ch'egli è il corpo. Questo la natura l'ha subietto come strumento, come uno carriuolo sul quale si muova l'anima, e comandògli la natura mai patisse ubidire ad altri che all'anima propria. Cosà si vede in qualunque animale si sia rinchiuso e subietto ad altri, mai requia per liberarsi e rendersi proprio a sé, per adoperare sue alie o piè e altri membri non a posta d'altri, ma con sua libertà , a sua voglia. Fugge la natura avere il corpo non in balia dell'anima, e sopra tutti l'uomo naturalmente ama libertà , ama vivere a sé stessi, ama essere suo. E questo si truova essere generale appetito in tutti e' mortali. Adunque queste due, l'animo e il corpo, sono nostre.
LIONARDO La terza quale sarà ?
GIANNOZZO Ha! Cosa preziosissima. Non tanto sono mie queste mani e questi occhi.
LIONARDO Maraviglia! Che cosa sia questa?
GIANNOZZO Non si può legare, non diminuirla; non in modo alcuno può quella essere non tua, pure che tu la voglia essere tua.
LIONARDO E a mia posta sarà d'altrui?
GIANNOZZO E quando vorrai sarà non tua. El tempo, Lionardo mio, el tempo, figliuoli miei.
LIONARDO Bene dite il vero, ma non mi venia in mente possedere cosa alcuna, quale io non potessi transferire in altrui. Anzi mi parea tutte l'operazioni dell'animo mio potélle dare ad altri per modo che piú non fossino mie: amare, odiare, e a persuasione d'altrui commuovermi, e a volontà d'altrui volere, non volere, ridere e piagnere.
GIANNOZZO Se tu avessi te in una barchetta e navigassi alla seconda per mezzo del nostro fiume Arno, e, come alcuna volta a' pescatori acade, avessi le mani e il viso tinti e infangati, non sarebbe tua quella acqua tutta, ove tu la adoperassi in lavarti e mondarti? Vero? CosÃ, se tu non la adoperassi...
LIONARDO Certo non sarebbe mia.
GIANNOZZO Cosà proprio interviene del tempo. S'egli è chi l'adoperi in lavarsi il sucidume e fango quale a noi tiene l'ingegno e lo intelletto immundo, quale sono l'ignoranza e le laide volontà e' brutti appetiti, e adoperi il tempo in imparare, pensare ed essercitare cose lodevoli, costui fa il tempo essere suo proprio; e chi lascia transcorrere l'una ora doppo l'altra oziosa sanza alcuno onesto essercizio, costui certo le perde. Perdesi adunque il tempo nollo adoperando, e di colui sarà il tempo che saprà adoperarlo. Ora avete voi, figliuoli miei, l'operazioni dell'animo, il corpo e il tempo, tre cose da natura vostre proprie, e sapete quanto le siano preziose e care. Per rimedire e sanare il corpo ogni cosa preziosa si spone, e per rendere l'anima virtuosa, quieta e felice, s'abandona tutti gli appetiti e desiderii del corpo; ma il tempo quanto e a' beni del corpo e alla felicità dell'anima sia necessario, voi stessi potete ripensarvi, e troverrete il tempo essere cosa molto preziosissima. Di queste adunque si vuole essere massaio tanto e piú diligente quanto elle piú sono nostre che altra cosa alcuna.
LIONARDO Mandate a memoria, Battista e tu Carlo, questi non detti de' filosofi, ma come oraculi d'Apolline ottimi e santissimi documenti, quali non troverrete in su' nostri libri. Troppo vi siamo obligati, Giannozzo. Seguite.
GIANNOZZO Dissi che la masserizia stava in usare ancora e in serbare le cose. Parmi da investigare di queste tre, corpo, anima e tempo, in che modo s'abbino a conservare, e poi apresso s'abbino a usare. Ma io dispongo essere brevissimo. Uditemi. E prima dell'animo, del quale io cosà fo ma...
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