[Pagina precedente]...izii ne' quali l'animo e le membra insieme concorrono all'opera e lavoro, nel quale numero sono e' pittori, scultori, e citaristi, e altri simili. Tutti questi modi del guadagnare, e' quali sono in noi si chiamano arti, e sono quelle le quali sempre con noi dimorano, le quali col naufragio non periscono, anzi insieme co' nudi nuotano, e al continuo seguono compagne della vita nostra, nutrice e custode delle lode e fama nostra. Fuori di noi le cose atte a guadagnare sono poste sotto imperio della fortuna, come trovare tesauri ascosi, venirti eredità, donazioni, alle quali cose sono dati uomini non pochi. Molti fanno suo essercizio acquistarsi amicizie di signori, rendersi familiari a ricchi cittadini, solo sperando indi riceverne qualche parte di ricchezza, de' quali si dirà a pieno nel luogo suo. E sono que' tutti essercizii nella fortuna posti, da' quali la nostra industria umana lungi sarà esclusa. Solo el caso e corso delle cose in essi potrà satisfare alle espettazioni e desiderii nostri. Niuna nostra opera o consiglio potrà ivi acquistarvi se non quanto la fortuna vorrà con noi liberale essere e facile. E fuor di noi ancora si truovano posti guadagni, e' quali si tranno delle cose, come sono usure, e come si piglia frutto da' nostri armenti, dall'agricoltura, da' boschi, e in Toscana da' nostri scopeti, le quali cose sanza umana fatica, sanza molta industria fruttano. Sono poi da questi usciti essercizii quasi infiniti, ne' quali adoperano chi una, chi una altra parte, chi piú e chi tutte queste da me dette cose, animo, corpo, fortuna, e cose. Quali essercizii sarebbe prolisso e forse superfluo tutti annumerarli, però che ciascuno da sé stessi collo ingegno discorrendo facile può tutti riconoscerli. Ma poiché da questi principii noi tutti gli abbiamo qui in mezzo, diànci a scegliere qua' sieno piú atti a una magnifica e simile alla nostra onoratissima famiglia.
E' primi lodati essercizii, dicono alcuni, sono quegli ne' quali la fortuna tiene licenza niuna, imperio niuno, ne' quali l'animo e il corpo non serve. La quale sentenza a me sempre parerà virile e interissima, imperoché se la fortuna non potrà turbarli, quelli a te dureranno utili quanto vorrai, e se questi dureranno a tua voglia, non potranno essere certo non utili a te e lieti. E molto qui a me piace costoro in questa sentenza commendino libertà, però che in quel modo ivi pare escludano usure, avarizie, e tutti e' mercennarii e viziosi guadagni, ché sapete l'animo sottomesso ad avarizia non si può chiamare libero, e niuna opera mercennaria si truova ben degna di libero e nobile animo. Ma che alcuno mi escluda in tutto da' nostri essercizii la fortuna non so quanto sia da consentirli. Né so se io qui mi stimo bene, non però vorrei io errare, ma quasi cosí potrei credere che niuno famoso essercizio si truova nel quale la fortuna non guidi le prime parti. In le opere militari, credo si può dire che la vittoria sia figliuola della fortuna. Gli essercizii delle lettere ancora si truovano sottoposti a mille impeti della fortuna; ora mancano e' padri; ora seguano e' parenti invidiosi, duri, inumani: ora t'asalisce povertà, ora cadi in qualche infortunio, per modo che certo non puoi negare la fortuna ivi tenere gran parte d'imperio come sopra delle cose umane, cosí sopra gli studii tuoi, ne' quali tu non puoi molto perseverare sanza copia delle medesime umane cose sottoposte alla fortuna. E cosí adunque in ogni essercizio famosissimo e glorioso converratti non escludere la fortuna, ma moderarla in prudenza e consiglio. Potresti dire, ragioniamo pure del guadagno, nel quale sempre la 'ndustria e prudenza insieme colla sollecitudine e cura troppo valse. Sta bene. Non però ancora mi pare stôrmi di quella opinione, e pure stimo cosí: s'e' guadagni vengono da nostra industria, quegli saranno non grandi, quando la nostra industria e consiglio sarà piccolo. De' piccoli traffichi niuno, per grande industria che si truovi, può ritrarne grandissimi guadagni. Questi pertanto diventeranno maggiori crescendo in noi colle faccende insieme industria e opera. Adunque in gran traffichi si truovano e' gran guadagni, ne' quali io dubito la fortuna non raro vi s'aviluppi in le mercatantie simili a quelle di quegli nostri Alberti, quando e' facevano per terra venire dall'ultima Fiandra insino in Firenze lane a un tratto quanto bastava a tutti e' pannieri di Firenze insieme e gran parte di Toscana. Non racontiamo l'altre moltissime mercantie condutte in Firenze, tradutte da que' di casa nostra sino dalle estreme provincie con molta spesa, per monti e passi asperrimi e difficillimi. Quelle tante lane venivan elle forse fuori delle braccia della fortuna? Quanti pericoli passavano, quanti fiumi, quante difficultà prima ch'elle si posassino al sicuro! Ladri, tiranni, guerre, negligenza, vizio di procuratori, e simili casi da ogni banda loro non gli mancavano. Cosí credo intervenga quasi in tutte le grande faccende, in tutti e' traffichi e mercantie degni a una tanto nobile e onesta famiglia. Vogliono essere e' mercatanti cosí fatti come furono i nostri passati, come sono i presenti, e non dubito per avenire sempre saranno i nostri Alberti, - fare grande imprese, condurre cose utilissime alla patria, serbare l'onore e fama della famiglia, e di dí in dí non meno in autorità e in grazia crescere che in pecunia e roba. Potremo adunque statuire, come dicevano coloro, sia ne' nostri essercizii l'animo mai servo, sempre libero, il corpo non suggetto ad alcuna disonestà e turpitudine, ma sempre ornato di modestia e temperanza, e seguasi in quegli essercizii ne' quali la fortuna tenga, non vo' dire niuna, ma non troppa licenza.
Abbiamo ora scelto e' primi migliori essercizii. E' secondi migliori saranno quegli e' quali piú a questi primi s'accosteranno, e gli altri appresso saranno que' che manco giaceranno da' primi lodatissimi essercizii rimossi e luntani, in quali se servirà meno, e quali anco meno alla fortuna saranno sottoposti. Abbià'gli tutti scelti. Ora di questi quali apprenderemo noi? Quegli certo, come dissi di sopra, e' quali piú a noi si confaranno. Poi come gli adopereremo noi? Qui forse si richiederebbe maggiore e piú accurata risposta, ma per essere brevissimo vi darò regole generali, colle quali potrete in ogni essercizio non errare. Dicovelo: in quel che appartiene all'animo, fate quanto dicevano coloro: l'animo mai serva. Serve l'animo quando e' sia cupido, avaro, misero, timido, invidioso, o sospettoso, imperoché i vizii signoreggiano e premono l'animo, né mai lasciano aspirarlo con alcuna libertà e leggiadra volontà a degnamente acquistare lode e fama. E come l'infermità del corpo tengono el corpo giacendo e grave in modo che lo 'nfermo non ha libertà delle membra sua, cosí l'avarizia, la timidità, la suspizione, la sete del guadagno e gli altri simili morbi dell'animo debilitano la forza dello 'ngegno, e tengono la mente oppressa, né lasciano el discurso e ragione nell'animo satisfare ad alcuna propria necessità. E sono, come al corpo vacazion d'ogni dolore, sincerità di sangue e fermezza di membra, cosí all'animo necessarie quiete, tranquillità e verità, le quali cose, come le sue a el corpo sono da moderato e netto vivere, cosí queste all'animo nascono da ragione e virtú. Ma alla virtú qual si richiede all'animo, sta contro el vizio, el quale sempre sta grave e priva la mente, cogitazione e operazione degli animi d'ogni virile e dovuta libertà. Adunque non sia vizioso l'animo, e non servirà; ornisi di virtú, e arà libertà. Non sia sottoposto l'animo ad alcuno errore, non si sottometta ad alcuna disonestà per avanzare auro, fugga ogni biasimo per non perdere fama, non perda virtú per acquistare tesauro, imperoché, come soleva dire Platone, quel nobilissimo principe de' filosofi: «Tutto l'oro nascoso sotto terra, tutto l'oro serbato sopra terra, tutto l'avere del mondo non è da comparare colla virtú». Piú vale la virtú constante e ferma che tutte le cose sottoposte alla fortuna, caduche e fragili, piú la fama e nome nutrita da virtú che tutti e' guadagni. Troppo sarà grandissimo guadagno, se noi asseguiremo grazia e lode, per le quali cose solo si cerca vivere in ricchezza. Non servirà l'animo adunque per arricchire, né constituirà el corpo in ozio e delizie, ma userà le ricchezze solo per non servire. E forse non è se non spezie di servitú sottomettersi, pregare e suplicare per sovvenire a' bisogni tuoi. Non, pertanto, si spregino le ricchezze, ma signoreggisi alle cupidità e nel mezzo della copia e abundanza delle cose. Cosí viveremo liberi e lieti. Poi in quello ove s'adopera il corpo, perché ogni opera del corpo si può quasi chiamare servitú, non è servitú a mio credere altro che stare sotto imperio altrui. Avere imperio sopra d'alcuno credo sia non altro che fruttare l'opere sue. Qui adunque servasi el manco si può, servasi non per premio, ma per grazia; servasi piú tosto alla famiglia sua che agli altri, piú tosto agli amici che agli strani, piú volentieri a' buoni che a' non buoni; la patria vero a tutti si preponga. In quello che avviene dalla fortuna nolla temete, neanche la desiderate. Se la fortuna vi dona ricchezze, adoperatele in lodo e onore vostro e de' vostri, sovvenitene agli amici, adoperatele in cose magnifiche e onestissime. Se la fortuna con voi sarà tenace e avara, non però per questo viverete solliciti, né troppo manco contenti, neanche prenderete nell'animo gravezza alcuna sperando, aspettando da lei piú che la vi porga. Spregiatela piú tosto, ché facile cosa vi sarà spregiare quello che voi non arete. E se la fortuna a voi toglie le già date e bene adoperate ricchezze, che si dee fare se non portarlo in pace e forte? Volere con maninconie, con miseria d'animo acquistare o riavere quello che a noi sia vietato, sarebbe pazzia, sarebbe servire, sarebbe certo essere infelice. In quello poi procede dalle cose, si vuole esservi né sí desidioso, né si occupato, che tu ancora non sia utile agli altri piú lodati essercizii.
Agiugni a tutti questi documenti quello che sempre mi parse necessario a tutta la vita, sanza il quale nulla rimane lodato, nulla sta utile, nulla con autorità e dignità si conserva; e questo sarà quello che darà l'ultimo lustro a tutte le nostre operazioni, pulitissimo e splendidissimo in vita, e doppo noi firmissimo e perpetuissimo, dico la onestà. In tutti e' tuoi pensieri e instituti, in tutti gli atti e modi, in tutt'i fatti, opere ed essercizii, in tutte le parole, in tutte le espettazioni, in tutti e' desiderii, in tutte le volontà, in tutti gli appetiti, in ogni qualunque sia nostra cosa consiglierenci sempre colla onestà, la quale sempre fu ottima maestra delle virtú, fedele compagna delle lodi, benignissima sorella de' costumi, religiosissima madre d'ogni tranquillità e beatitudine al vivere. E non sia inetta al proposito questa similitudine: stimate che l'ombra nostra sia questa divina e santissima onestà, la quale sempre presente intende, conosce, pon mente, giudica quanto, in che modo, e a che fine qui noi adoperiamo e facciamo; cosí tutto nota, tutto distingue, tutto essamina, tutto ci va considerando; del ben fare graziosa ti loda, abondante ti ringrazia, molto ti porge dignità e autorità; del male irata ti sgrida, veemente t'acusa, turbata ridice, promulga a tutti el vizio e il vituperio tuo. Con questa cosí fatta onestà adunque fate che voi vi consigliate sempre, e con molta reverenza e osservanza seguite el consiglio suo, el quale sempre sarà interissimo e maturissimo, non manco e utilissimo. L'onestà mai ti lascerà servire, sempre sarà tuo scudo verso gl'impeti della fortuna, né mai seguendo e ubidendo suoi comandamenti e consigli, cosa maravigliosa e incredibile, mai di tuo alcuno detto o fatto arai da penterti. E cosí sempre satisfacendo al giudicio della onestà ci troverremo ricchi, lodati, amati e onorati. Ma se il vizioso non si consiglierà, non seguirà el giudicio e ricordo della onestà, lui mai si troverrà contento, ricco, né lodato, né amato, né felice, e infinite...
[Pagina successiva]