[Pagina precedente]... in ogni cosa non meno essere dannoso quel che v'è troppo, che utile quel che basta.
Né sarà poca ricchezza a' figliuoli nostri lasciarli che da parte niuna cosa necessaria alcuna loro manchi. E sarà di certo ricchezza lasciare a' figliuoli tanto de' beni della fortuna, che non sia forza loro dire quella acerbissima e agli ingegni liberali odiosissima parola, cioè: «io ti prego». Ma certo sarà maggiore eredità lasciare a' figliuoli tale instituzion d'animo che sappino piú tosto sofferire la povertà , che indurse a pregare o servire per ottenere ricchezze. Assai ti sarà grande eredità quella la qual satisfarà , non tanto a tutte le tue necessitati, ma e alle voglie. Chiamo qui io voglia sol quella che sia onesta. Le voglie inoneste a me sempre parsero piú tosto furore di mente e vizio d'animo corrotto che vera volontà . Cioè che tu lasci troppo a' figliuoli rimane loro incarco. Non è amore paterno caricare i suoi di fatica, ma alleggerirli. Ogni superchio carco sta difficile a reggere. Quello el quale non si può reggere, facile cade, né cosa alcuna piú si pruova fragile quanto la ricchezza. Né chiamerò dono degno dal padre verso el figliuolo quello dono el quale porti seco molestia e servitú a servarlo. Daremo le cose moleste e gravi a' nostri inimici. Agli amici daremo letizia e libertà . Né confesserò sia ricchezza quella la qual abbia in sé servitú e maninconie, come per certo hanno le superchie ricchezze. Manco nuocerà a' figliuoli procacciarsi al bisogno, che insieme col superfluo e isconcio incarco perdere quella parte la qual era utile e commoda, come sanza dubbio aviene a chi non sa reggere e usufruttare e' beni della fortuna. Tutto quello el qual e' tuoi figliuoli non sapranno maneggiare e governare, tutto quello sarà loro superfluo e incommodo. Però si vuole insegnare a' tuoi virtú, farli imparare reggere sé in prima ed emendare gli apetiti e le volontà sue, instituirli che sappino acquistare lodo, grazia e favore molto piú che ricchezze, ammaestrarli che sieno dotti come nell'altre cose civili, cosà a conservarsi onore e benivolenza.
Già però chi non sarà ignorante in questo modo ad essornarsi di fama e dignità , per certo sarà saputo e dotto a conquistare e conservare ogni altra minor cosa.
E se i padri da sé non sono atti, o per altri maggior faccendi (se alcuna n'è maggiore che avere cura de' figliuoli) saranno troppo occupati, abbino ivi persona dalla quale e' figliuoli possano imparare dire e fare le cose lodate bene e prudentemente, come diceano di Pelleo, el quale ad Achille suo avea dato in compagnia quello Fenix prudentissimo ed eloquentissimo, a ciò che da questo el figliuol suo Achilles imparasse essere buono oratore di parole e buono fattore delle cose; o vero darlo a chi piú sappia, porlo apresso di chi e' possa apprendere buone instituzioni al vivere, e buoni erudimenti al conoscere e sapere le pregiate cose. Marco Tullio Cicerone, quel nostro principe degli oratori, fu dal suo padre dato a Quinto Muzio Scevola iurisconsulto, che mai si gli partisse dal lato. Prudente padre. Voleva che 'l figliuolo fusse apresso di chi lo potea rendere dotto ed erudito molto piú che lui forse non potea. Ma chi può e' suoi con sua opera ornarli di virtú, lettere e scienza, come puoi tu Adovardo, perché non debb'egli lasciare ogn'altra faccenda per averseli piú litterati, costumati, savi e piú civili? Catone, quel buono antiquo, non si vergognava, né gli pareva fatica insegnare al figliuolo, oltre alle lettere, notare, schermire, e simili tutte destrezze militari e civili, e stimava in sé officio de' padri insegnare a' figliuoli tutte le virtú qual fusse degno sapere a liberi uomini, né gli pareva giustamente da chiamare libero alcuno in chi si disiderassi virtú alcuna; però di tutte volle a' figliuoli non altri che lui stesso ne fusse instruttore, né gli parse da preporsi alcuno in simile opera, né stimava si trovasse chi dovesse essere nelle cose sue piú che lui stesso sollicito, né giudicava e' figliuoli con quello amore imparassino da altri quanto e' faceano dal proprio padre. E piú giova la fede, lo studio e la cura del padre in fare e' figliuoli suoi virtuosissimi, che non farebbe ogni maggior dottrina di qualunque altro litteratissimo. E quanto a me in questo piacerebbe seguire Catone e gli altri buoni antiqui, e' quali erano a' figliuoli in quello che sapeano maestri e dottori, e sopratutto volevano essere quelli che a' suoi emendassero ogni vizio rendendogli molto virtuosi; e piú agiugnevano e' figliuoli apresso di quelli savi e litterati, ove con maggiore uso e dottrina e' divenissero d'ingegno espertissimi e di virtú ornatissimi.
Cosà farei io, se io fussi padre. Ogni mia prima e propria cura sarebbe fare e' figliuoli miei molto costumati e riverenti; e se pure e' fanciulli sdrucciolassino in qualche vizio, penserei che l'errare qualche volta si è cosa comune della fanciullezza. E vogliono e' fanciulli essere corretti con modo e ragione, e anco talora con severità . Non vi si acanire però suso, come alcuni rotti e furiosi padri fanno; ma lodo io gastigarli sanza ira, senza passione d'animo, fare come si dice fece Archita, quel tarentino el quale disse: «Se io non fussi crucciato, io te ne pagherei». Savio detto. Non gli parea da pigliarne punizione in altrui, se prima non deponeva in sé la sua ira. Né può l'ira colla ragione bene stare insieme; e correggere senza ragione a me pare cosa da stoltissimi. E chi non sa con senno correggere, credo merita essere né maestro, né padre. Però correggano e' padri coll'animo sedato e vacuo d'ogni iracundia, ma sempre piaccia loro piú vedere e' figliuoli piangere e continenti, che ridere e viziosi. E de' loro vizii sopratutto a me pare si voglino emendare e gastigare di tutti, e prima di questi vizii communissimi a' fanciulli, ma piú che gli altri nocivi e molto dannosi, e in questo piú avervi che non sogliono e' padri cura e diligenza ch'e' fanciugli non creschino provani e caparbii, e che non sieno né bugiardi né fallaci. Suole chi è provano e ostinato in dire e fare l'oppinioni sue, mai dare orecchi ad altrui buoni consigli, sempre in sé stesso troppo fidarsi e piú credere alle oppinioni sue che alla prudenza e ragione di qualunque altro approbatissimo ed espertissimo; e vedilo stare superbo, gonfiato, pieno di veneno e di parole odiose e incomportabili, onde leggiermente da tutti si rende malvoluto. Onde qui a me piace la sentenza di Gherardo Alberto, al quale ogni durezza troppo dispiaceva, uomo liberalissimo, facilissimo e umanissimo, a cui solea parer che 'l capo dello ostinato e provano uomo fusse non altrimenti che di vetro; e dicea come in sul vetro niuna punta, per acuta e forte ch'ella sia, può né segnarlo né penetrarlo cosà l'uomo duro e nelle sue opinioni confermato e immobile mai aconsente a niuna sottile e forte ragione che proposta gli sia, non consiglio d'amico, non certo e vero disegno d'alcuno, mai contro a' suoi duri propositi si ferma; e sà come el vetro medesimo per ogni minima picchiata si spezza e fracassa, cosà lo indurito e incaparbito sé stessi rompe ad ira, versasi con parole pazze e furiose, sparge e transcorre in cose ove dipoi gli è forza pentirsi e soffrire molta pena della durezza sua.
Però proveggano e' diligenti e prudenti padri e maggiori, estirpino delle menti e consuetudini de' suoi sino dalla prima infanzia questo massime e ogni altro simile vizio, né lassino nelle menti e uso de' suoi invecchiare alcuna mala radice, però che il mal vecchio poi disteso e abarbicato sta con radici troppo grandi e troppe tenaci. E come a chi scamozza il tronco annoso e indurato per le radici, poi si vede rampollare piú e piú astili e rami, cosà el vizio negli animi degli uomini aradicato e per uso offirmato, che solea stendersi e ampliarsi quanto la volontà lo pingeva, ora circumstretto e rimesso dalle acerbità de' tempi e dalle necessità , pare che da molte parti rampolli altri assai vizii. Vedesi chi era prima in larga e libera fortuna vivuto prodigo e lascivo, poi per nuove avversitati impoverito, per cupido aseguire alcuna antica e a lui consueta voluttà ; per satisfare a' suoi appetiti e voluntà diventa furone, decettore, rattore, e dassi a bruttissimi essercizii e a vilissime arti e infame, e bruttamente cerca riavere quelle ricchezze quali bruttamente perdette. Cosà si truova chi già in sé stesso abituato a non patire se non quanto gli agradi, e in ciò che a lui piace sarà consueto molto volersi contentare e di tutte le sue opinioni e imprese agli altri soprastare, costui, se caso alcuno se gli oppone e interrompe le voglie e concertazioni sue, pare non curi dare sé stessi in precipizii e ruine maravigliose; non stima robba, non onore, non amistà ; ogni lodata e da' mortali desiderata cosa pospone alla opinione sua; solo per adempiere la sua impresa soffra rimanere e senza fortuna, ancora e senza vita. E cosà chi di sé stessi poco fa cura, molto manco curerà della quiete e bene della famiglia sua. Però a' padri sta molto debito a buona ora cominciare a resecare e sverglier ne' suoi tanto e sà pericoloso vizio qual si vede questa provanità essere, non solo a chi ne sia vizioso, ma a tutta la famiglia pestifero e mortale. Adunque in cosa alcuna, per minima che ella sia, mai patischino e' maggiori a' suoi fanciulli indurarvi alcuna ostinata volontà o proposito non onestissimo. E tanto loro piú ogni gara dispiaccia quanto in sé la veggano men lodevole.
E cosà ancora molto proccurino che i suoi figliuoli sieno in ogni cosa molto veritieri, e stimino quanto egli è troppo piú dannoso che brutto vizio essere bugiardo. Chi s'avezza a fingere e negare la verità , leggiermente per onestarsi molte volte pergiura, e chi spesso giura con animo fitto e fallace, costui di dà in dà s'avezza a men temere Dio e a spregiare la religione. E chi non teme Dio, chi nell'animo suo have spenta la religione, questo in tutto si può riputare cattivo. Agiungi qui che uno bugiardo si truova in tutta la vita sua infame, sdegnato, vile, schifato ne' consigli, sbeffato da tutti, senza avere amistà , senza alcuna autorità . Né sarà virtú alcuna, per grande ch'ella sia, in uno bugiardo riputata mai o pregiata, tanto sta sozzo e laido questo vizio che immacola e disonesta ogn'altro splendore di lode. E perché noi qui toccammo della religione, si vuole empiere l'animo a' piccoli di grandissima reverenza e timore di Dio, imperoché l'amore e osservanza delle cose divine tiene mirabile freno a molti vizii. E se a' padri duole quella cura di correggere e gastigare e' figliuoli, facciano come diceva Simonides poeta ad Ierone apresso Senofonte: «Le cose grate a' figliuoli facciangli loro, e le ingrate lascinle fare ad altri; onde sia benivolenza prendansela, onde nasca odio deferÃscallo ad altri». Abbino e' figliuoli tuoi chi e' temano, el maestro da chi e' siano gastigati piú tosto con paura che con busse. E sia il precettore piú sollicito a non lasciare e' suoi discepoli errare che a gastigarli. Ma e' sono molti padri che per troppa ignavia piú che per piatà perdonano ogni cosa a' figliuoli, e pare loro che basti dire: «non lo fare piú». E, sciocchi babbi, se 'l fanciullo arà scalfito il piè, subito si manderà per lo medico, tutta la casa s'infaccenda, ogni altra cosa si lascia adrieto; ma se el fanciullo cade coll'animo in quella superbia di fare e rispondere se non quello che gli pare, se ruina in quella golosità , se profonda in quella ostinata e caparbia pruova, onde né con ragione, né con argomento alcuno si può cavarlo, perché non volere el medico che gli emendi e guarisca l'animo tanto corrotto, e che gli rassetti la mente malcomposita, che gli fasci e leghi gli apetiti e volontà bestiali con ragioni, ammonimenti e correzioni, che a lui con onestate e tema saldi quella piaga e apertura di licenza, onde e' riusciva cosà dissoluto e disubbidiente, e cosà a sua voglia scelerato? Quale stolto padre dirà non volere udire el suo figliuolo piangere, non gli patire l'animo vederlo gastigato, o non potere attendere a tanto suo officio? Saresti tu...
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