[Pagina precedente]...sserizia, Lionardo mio. Io l'adopero in cose necessarie a me e a' miei, e cerco conservallo in modo che piaccia a Dio.
LIONARDO Quale sono le cose necessarie a voi e a' vostri?
GIANNOZZO La virtú, la umanità , la facilità . Non mi detti alle lettere quando io era giovane, e questo venne piú tosto da negligenza de' miei che da mio alcuno mancamento. E' miei missoro me ad altri essercizii, quanto a quelli tempi loro parse necessario, forse desiderando prima da me utile che laude, quali né seppi, né potei facilmente lasciarli. Ma io per me sempre mi sono adoperato in farmi bene volere con ogni quale si possa ingegno e arte, e sopra tutto con essere e volere parere buono, giusto e quieto, e non mai dispiacere, non ingiuriare alcuno: non in detti, né in fatti, mai alcuno, né presente né assente, molestai. E sono queste l'operazioni dell'animo veramente ottime, alle quali sono simili fare come testé fo io, insegnare quello che l'uomo sa di bene, ammonire chi errasse, tutto porgerti pieno di fede e carità , emendando come padre, consigliando con diligenza, verità e amore, e cosà adoperare lo 'ngegno, l'industria, l'intelletto in onore di me e de' miei. Sono ancora operazioni dell'animo quali io di sopra dissi, amare, odiare, sdegnarsi, sperare, desiderare e simili. Adunque si vuol queste bene saperle usare e contenere, amare i buoni, odiare i viziosi, sdegnarti contro a' maligni, sperare cose amplissime, desiderare cose ottime e lodatissime.
LIONARDO Santamente. E queste parole di Giannozzo, Battista e tu Carlo, vedete voi quanto abbino in sé nervo e polso. Ma seguite, Giannozzo. Poi per conservare l'animo a Dio, che modo tenete voi?
GIANNOZZO Due modi tengo, l'uno in cercare e fare quanto possa in me stessi l'animo lieto, né mai averlo turbato d'ira, o cupidità , o alcuno altro superchio appetito. Questo sempre stimai essere ottimo modo. L'animo puro e simplice troppo mi pare che piaccia a Dio. L'altro modo a piacere a Dio a me pare sia fare mai cosa della quale dubiti s'ella sia bene fatta o male fatta.
LIONARDO E questo credete voi che basti?
GIANNOZZO Credo certo sà che basti assai, secondo che io mi ricordo avere inteso. Eh! figliuoli miei, sapete voi perché i' dissi fare mai se tu dubiti? Imperoché le cose vere e buone stanno da sé allumate e chiare, allegre, scorgonsi invitanti, voglionsi fare. Ma le cose non buone sempre giaciono adombrate di qualche vile o sozzo diletto, o di che viziosa opinione si sia. Non adunque si vogliono fare, ma fuggille, seguire la luce, fuggire le tenebre. La luce delle operazioni nostre sta nella verità , stendesi con lode e fama. E niuna cosa piú è tenebrosa nella vita degli uomini quanto l'errore e la infamia.
LIONARDO Niuna masserizia tanto sarà mai quanto questa vostra perfettissima. Oggi impariamo non solo quale sia la vera masserizia, ma insieme l'ottimo civilissimo vivere, diventare virtuoso, adoperare la virtú, vivere lieto e fare cose delle quali non dubiti. Ma, Giannozzo, s'egli è licito il domandarne, questi prestantissimi e divini ammaestramenti fabricastegli voi stessi da voi, o vero gli avete, quanto mi parse testé dicessi, imparati da altrui?
GIANNOZZO Ben vi paiono begli, che, figliuoli miei? Tenetegli a mente.
LIONARDO Cosà faremo, che nulla piú potrebbe esserci grato e a perpetua memoria commendato.
GIANNOZZO Egli è quanto? L'anno doppo al quarantotto, dico io bene? Anzi fu l'anno doppo, in casa di messer Niccolaio Alberto, padre di messere Antonio, al quale Niccolaio messere Benedetto, padre di messer Andrea, Ricciardo e di Lorenzo vostro padre, Battista e tu Carlo, fu fratello cugino, però che Iacopo padre di messer Niccolaio e Nerozzo vostro bisavolo, padre di Bernardo tuo avolo, Lionardo, e padre di messer Benedetto, e Francesco avo di Bivigliano furono fratelli nati d'Alberto fratello di Lapo e Neri figliuoli di messer Iacobo iurisconsulto nato di messer Benci iurisconsulto, e fu questo Lapo avolo di messer Iacobo cavaliere, il quale messer Iacobo fu fratello di Tomaso nostro padre, e fu padre del vescovo Paolo nostro cugino, e cugino di messer Cipriano, al quale testé vive el nepote messere Alberto, e quello Neri di sopra fratello di Lapo e Alberto fu padre di messere Agnolo. Mai sÃ.
LIONARDO E tutta questa moltitudine de' nostri avoli chiamati messeri, furono eglino cavalieri o pur cosà per età o altra dignità chiamati?
GIANNOZZO Furono, e notabilissimi, cavalieri quasi tutti fatti con qualche loro singularissimo merito. E questo messer Niccolaio nostro, uomo d'animo e costumi nobilissimo, uno di quelli sedendo in magistrato, tenendo il suppremo luogo ad aministrare giustizia fra il collegio di quelli pochi i quali reggono tutta la republica, porgendo la insegna e vessillo militare al guidatore del nostro essercito contro all'oste di Pisa, non sanza grande letizia di tutti i nostri cittadini e merito della famiglia nostra, li fu donato grado e onoranza di cavalleria sulla porta di quello palagio, di quello publico seggio e ridotto de' nostri magistrati, al quale fondato e principiato da' nostri Alberti, sempre fu ogni sua dignità e maiestà con quanta mai potemmo opera e spesa per noi conservata e amplificata. Come sapete, i primi fondamenti del nostro publico palagio furono imposti sendo Alberto figliuolo di messer Iacobo iurisconsulto collega priore in la amministrazione della republica. E io spesso fra me stessi pongo mente che da grandissimo tempo sino a qui mai fu in casa nostra Alberta alcuno del sangue nostro il quale non fosse padre, o figliuolo, zio o nipote di cavalieri nati di noi Alberti.
Ma lasciamo andare questa genealogia, la quale non sarebbe al proposito nostro della masserizia, né a quello di che tu mi adomandi se quelli precetti quali io recitava erano da me fabricati, o pur intesi da altri. Dico che in casa di messer Niccolaio, sendovi messer Benedetto Alberto, come era loro usanza mai ragionare di cose infime, sempre di cose magnifice, sempre fra loro in casa conferendo quanto apartenesse allo utile della famiglia, allo onore e commodo di ciascuno, sempre stavano o leggendo questi vostri libri, sempre o in palagio a consigliare la patria, e in qualunque luogo disputando con valenti uomini, monstrando la virtú loro e rendendo virtuosi chi gli ascoltava, cosà solevano al continuo essercitarsi. Onde per questo io e gli altri nostri giovani Alberti, quanto dalle altre faccende a noi era licito, al continuo eravamo con loro per imparare e per onorarli. E fra l'altre volte, come degli altri tuttora, in casa di messer Niccolaio capitò uno sacerdote vecchio, canuto, tutto ornato di modestia e umanità , con quella sua barba stesa e piena di molta gravità , con quel fronte aperto pieno di costumi e riverenza, il quale fra molti bellissimi ragionamenti cominciò ivi narrare di queste cose, non della masserizia no, ma diceva de' doni quali Iddio diede a' mortali, e seguiva narrando quanto dovea l'uomo di tanti beneficii averne grazia a Dio, e molto dimonstrava quanto sarebbe l'uomo ingrato non riguardando e non adoperando bene la grazia quale avesse ricevuta da Dio. Ma diceva niuna cosa era propria nostra, se non solo un certo arbitrio e forza di mente, e se pure alcuna si poteva chiamare nostra, queste erano le sole tre quali dissi, anima, corpo e tempo. E benché il corpo fusse sottoposto a molti morbi, a molti casi e miserie, pure il dimonstrava in tanto essere nostro quanto sofferendo con virilità e con pazienza, vincendo le cose avverse e moleste, noi meritavamo non meno che adoperando le membra in cose liete e ben grate. Ma io non saprei racontare queste cose sà bene quanto colui le seppe con maraviglioso ordine dire. Stesesi in uno grande ragionamento, disputando quale di queste tre dette cose piú fosse proprie de' mortali, e se io bene mi ricordo, fece non piccolo dubio se il tempo era piú o meno nostro che l'animo, e cosà ci tenne dicendo molte cose, le quali messer Benedetto e messer Niccolaio confessorono mai avere udite. E' mi piacque tanto quello vecchio che io l'udi' fermo e fiso parecchi ore senza tedio alcuno. Né mai mi dimenticai quelle sue gravissime parole; sempre mi rimase in animo quella dignità e presenza sua. Se non mel pare testé vedere modesto, grazioso e nel ragionare riposato e dolce. Poi, come vedi, da me a me adussi que' suoi detti al mio proposito nel vivere.
LIONARDO Dio gli renda premio a quello vecchio, e a voi mercé, che sà bene avete quei suoi detti recitati. Ma poiché cosà al vostro ragionare consegue dire, detto dell'animo, ora del corpo che masserizia ne fate voi?
GIANNOZZO Buona, grande, simile a quella dell'animo. Io l'adopero in cose oneste, utili e nobili quanto posso, e cerco conservallo lungo tempo sano, robusto e bello. Tengomi netto, pulito, civile, e sopratutto cerco d'adoperare cosà le mani, la lingua e ogni membro, come l'ingegno e ogni mia cosa, in onore e fama della patria mia, della famiglia nostra e di me stessi. Sempre m'afatico in cose utili e oneste.
LIONARDO Certo meritate grazia e lode, e con queste parole date a noi buono ricordo a seguire quanto ci solete monstrare con vostra opera ed essemplo. Ma poi, Giannozzo, alla sanità che trovate voi essere utile? A voi crederrò io, perché mai mi ramenta vedere piú fresco, piú ritto, e da ogni parte piú bello vecchio di voi: la voce, la vista, e' nervi tutti netti, puri e liberi. Cosa maravigliosa e troppa rara in questa età .
GiANNOZZO Ben! grazia d'Iddio, cosà mi sento assai sano, ma manco gagliardo che io non solea. Benché a questa età non si richiede gagliardia, ma prudenza e discrezione, pur vorrei almanco potere, come io solea, camminare. Né dubitare, per questo pur lascio adrieto molte faccende e mie e degli amici miei, ove io non posso essere per altrui opera sollicito quanto sarei per la mia. Ma, lodato Iddio, pur mi reputo parte di lodo in questa mia età essere come io sono piú che molti altri meno vecchi di me, libero e leggiere da ogni infermità . La sanità in uno vecchio suole essere testimonianza della continenza avuta nella gioventú; e vuolsi avere cura della sanità in ogni età , e tanto avella piú cara quanto ella è maggiore; e delle cose care dobbiamo esserne riguardatori e buoni massai.
LIONARDO Cosà confesso si vuole esserne massaio. Ma che cose trovate voi in prima utilissime alla sanità ?
GIANNOZZO Lo essercizio temperato e piacevole.
LIONARDO Doppo questo?
GIANNOZZO Lo essercizio piacevole.
LIONARDO E apresso?
GIANNOZZO Lo essercizio, Lionardo mio. L'essercitarsi, figliuoli miei, sempre fu maestro e medico della sanità .
LIONARDO E non faccendo essercizio?
GIANNOZZO Rare volte m'accade che io non possa darmi a qualche essercitazione, ma pur se mai m'interviene per altre occupazioni che io manco m'esserciti che l'usato, truovo che molto mi giova la dieta. Non mangiare se tu non senti fame; non bere se tu non hai sete. E truovo in me questo: per cruda che sia cosa a digestire, vecchio come io sono, soglio dall'uno sole all'altro averla digestita. Ma, figliuoli miei, prendete questa regola brieve, generale, molto perfetta: ponete diligenza in conoscere qual cosa a voi suole essere nociva, e da quella molto vi guardate; quale vi giova, e voi quella seguite.
LIONARDO Sta bene. Adunque la pulitezza, l'essercizio, la dieta, guardarsi da' contrarii, conservano la sanità .
GIANNOZZO E anche la gioventú e la bellezza. In questo mi pare differenza tra 'l vecchio e 'l giovane, perché l'uno è debole, l'altro è robusto, l'uno è fresco, l'altro sta vincido e passo. Adunque chi conserva la sanità conserva le forze e la gioventú insieme e le bellezze. E pare a me stiano le bellezze in molta parte giunte al buono colore e freschezza del viso, e niuna cosa tanto conserva all'uomo buono sangue e bene vigoroso colore quanto l'essercizio insieme colla sobrietà del vivere.
LIONARDO Avete detto della masserizia quale fate dell'animo e di quella del corpo. Resta a dire del tempo. E di questa, Giannozzo, che masserizia ne fate voi? Il tempo al continuo fugge, né puossi conservare.
GIANNOZZO Dissi io la masserizia sta in bene ad...
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