COSTANTINOPOLI
DI
EDMONDO DE AMICIS
Quarta Edizione
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI.
1877
AI MIEI CARI AMICI DI PERA
ENRICO SANTORO
GIOVANNI ROSSASCO E FAUSTO ALBERI
Amigos, es este mi último libro de viaje;
desde adelante no escucharé mas que las
inspiraciones del corazón.
Luis de Guevara, Viaje en Egypto.
L'ARRIVO
L'emozione che provai entrando in Costantinopoli mi fece quasi dimenticare tutto quello che vidi in dieci giorni di navigazione dallo stretto di Messina all'imboccatura del Bosforo. Il mar Jonio azzurro e immobile come un lago, i monti lontani della Morea tinti di rosa dai primi raggi del sole, l'Arcipelago dorato dal tramonto, le rovine d'Atene, il golfo di Salonico, Lemno, Tenedo, i Dardanelli, e molti personaggi e casi che mi divertirono durante il viaggio, si sbiadirono per modo nella mente, dopo visto il Corno d'oro, che se ora li volessi descrivere, dovrei lavorare più d'immaginazione che di memoria. Perchè la prima pagina del mio libro m'esca viva e calda dall'anima, debbo cominciare dall'ultima notte del viaggio, in mezzo al mare di Marmara, nel punto che il capitano del bastimento s'avvicinò a me e al mio amico Yunk, e mettendoci le mani sulle spalle, disse col suo schietto accento palermitano: - Signori! Domattina all'alba vedremo i primi minareti di Stambul.
Ah! ella sorride, mio buon lettore, pieno di quattrini e di noia; ella che, anni sono, quando le saltò il ticchio d'andare a Costantinopoli, in ventiquattr'ore rifornì la borsa e fece le valigie, e partì tranquillamente come per una gita in campagna, incerto fino all'ultimo momento se non fosse meglio prendere invece la via di Baden-Baden! Se il capitano del bastimento ha detto anche a lei: - Domani mattina vedremo Stambul - lei avrà risposto flemmaticamente: - Ne ho piacere. - Ma bisogna aver covato quel desiderio per dieci anni, aver passato molte sere d'inverno guardando melanconicamente la carta d'Oriente, essersi rinfocolata l'immaginazione colla lettura di cento volumi, aver girato mezza l'Europa soltanto per consolarsi di non poter vedere quell'altra mezza, essere stati inchiodati un anno a tavolino con quell'unico scopo, aver fatto mille piccoli sacrifizi, e conti su conti, e castelli su castelli, e battagliole in casa; bisogna infine aver passato nove notti insonni sul mare, con quell'immagine immensa e luminosa davanti agli occhi, felici tanto da provar quasi un sentimento di rimorso pensando alle persone care che si sono lasciate a casa; e allora si capisce che cosa voglion dire quelle parole: - Domani all'alba vedremo i primi minareti di Stambul; - e invece di rispondere flemmaticamente: - ne ho piacere - si picchia un pugno formidabile sul parapetto del bastimento.
Un gran piacere per me e per il mio amico era la profonda certezza che la nostra immensa aspettazione non sarebbe stata delusa. Su Costantinopoli infatti non ci son dubbi; anche il viaggiatore più diffidente ci va sicuro del fatto suo; nessuno ci ha mai provato un disinganno. E non c'entra il fascino delle grandi memorie e la consuetudine dell'ammirazione. È una bellezza universale e sovrana, dinanzi alla quale il poeta e l'archeologo, l'ambasciatore e il negoziante, la principessa e il marinaio, il figlio del settentrione e il figlio del mezzogiorno, tutti hanno messo un grido di maraviglia. È il più bel luogo della terra a giudizio di tutta la terra. Gli scrittori di viaggi, arrivati là , perdono il capo. Il Perthusier balbetta, il Tournefort dice che la lingua umana è impotente, il Pouqueville crede d'esser rapito in un altro mondo, il La Croix è innebriato, il visconte di Marcellus rimane estatico, il Lamartine ringrazia Iddio, il Gautier dubita della realtà di quello che vede; e tutti accumulano immagini sopra immagini, fanno scintillare lo stile e si tormentano invano per trovare un'espressione che non riesca miseramente al disotto del proprio pensiero. Il solo Chateaubriand descrive la sua entrata in Costantinopoli con un'apparenza di tranquillità d'animo che reca stupore; ma non tralascia di dire che è il più bello spettacolo dell'universo; e se la celebre Lady Montague, pronunziando la stessa sentenza, ci premette un forse, è da credersi che l'abbia fatto per lasciare tacitamente il primo posto alla propria bellezza, della quale si dava molto pensiero. C'è persino un freddo tedesco il quale dice che le più belle illusioni della gioventù e i sogni stessi del primo amore sono pallide immagini in confronto del senso di dolcezza che invade l'anima alla vista di quei luoghi fatati; e un dotto francese afferma che la prima impressione che fa Costantinopoli è lo spavento. Immagini chi legge il ribollimento che dovevano produrre tutte queste parole di foco, cento volte ripetute, nel cervello d'un bravo pittore di ventiquattr'anni, e in quello d'un cattivo poeta di vent'otto! Ma nemmeno queste lodi illustri di Costantinopoli ci bastavano, e cercavamo le testimonianze dei marinai. E anch'essi, povera gente rozza, per dare un'idea di quella bellezza, sentivano il bisogno d'esprimersi con qualche similitudine o parola straordinaria, e la cercavano volgendo gli occhi qua e là e stropicciando le dita, e facevano dei tentativi di descrizione con quel suono di voce che par che venga di lontano e quei gesti larghi e lenti con cui la gente del popolo esprime la meraviglia quando non le bastano le parole. - Entrare con una bella mattinata in Costantinopoli -, ci disse il capo dei timonieri -, credete a me, signori: è un bel momento nella vita d'un uomo.
Anche il tempo ci sorrideva; era una notte serena e tepida; il mare accarezzava con un mormorìo leggerissimo i fianchi del bastimento; gli alberi e i più minuti cordami si disegnavano netti ed immobili sul cielo coperto di stelle; non pareva nemmeno che si navigasse. A prora v'era una folla di turchi sdraiati che fumavano beatamente il loro narghilè col viso rivolto alla luna, la quale faceva un contorno d'argento ai loro turbanti bianchi; a poppa un visibilio di gente d'ogni paese, fra cui una compagnia famelica di commedianti greci che s'erano imbarcati al Pireo. Vedo ancora, in mezzo a una nidiata di bambine russe che vanno a Odessa colla madre, il visetto della piccola Olga, tutta meravigliata ch'io non capisca la sua lingua e indispettita d'avermi fatto tre volte la medesima domanda senza ottenere una risposta intelligibile. Ho da una parte un grosso e sucido prete greco, col cappello a staio rovesciato, che cerca col canocchiale l'arcipelago di Marmara; dall'altra un ministro evangelico inglese, rigido e freddo come una statua, che in tre giorni non ha ancora detto una parola nè guardato in faccia anima viva; davanti, due belle signorine ateniesi colla berrettina rossa e le treccie giù per le spalle, che appena uno le guarda, si voltano tutte due insieme verso il mare per farsi vedere di profilo; un po' più in là un negoziante armeno che fa scorrere tra le dita le pallottoline del rosario orientale, un gruppo d'ebrei vestiti del costume antico, degli albanesi colle sottanine bianche, un'istitutrice francese che fa la malinconica, qualcuno di quei soliti viaggiatori di nessuna tinta, che non si capisce di che paese siano nè che mestiere facciano; e in mezzo a questa gente, una piccola famiglia turca composta d'un babbo in fez, d'una mamma velata e di due bambine coi calzoncini, tutti e quattro accovacciati sotto una tenda, a traverso un mucchio di materasse e di cuscinetti variopinti, in mezzo a una corona di carabattole d'ogni forma e d'ogni colore.
Come si sentiva la vicinanza di Costantinopoli! C'era una vivacità insolita. Quasi tutti i visi che s'intravvedevano al lume delle lanterne, erano visi allegri. Le bambine russe saltellavano intorno alla madre gridando l'antico nome russo di Stambul: - Zavegorod! Zavegorod! - Passando accanto ai crocchi, si udivano qua e là i nomi di Galata, di Pera, di Scutari, di Bujukderé, di Terapia, che luccicavano alla mia fantasia come le prime scintille d'un grande foco d'artifizio sul punto d'accendersi. Anche i marinai erano contenti d'avvicinarsi a quel luogo dove, com'essi dicevano, si dimenticano almeno per un'ora tutte le noie della vita. Persino a prora, in mezzo a quel biancume di turbanti, c'era un movimento straordinario: anche quei mussulmani pigri e impassibili vedevano già cogli occhi della immaginazione ondulare all'orizzonte i fantastici contorni di Ummelunià , la madre del mondo, "la città ", come dice il Corano, "di cui un lato guarda la terra e due guardano il mare." Pareva che il bastimento, anche senza la forza motrice del vapore, avrebbe dovuto andare innanzi da sè, spinto dall'impeto dei desiderii e delle impazienze che fremevano sulle sue tavole. Di tratto in tratto mi appoggiavo al parapetto per guardare in mare, e mi pareva che cento voci confuse mi parlassero col mormorìo delle acque. Erano tutte le persone che mi amano, che dicevano: Va, va, figliuolo, fratello, amico, va; va a goderti la tua Costantinopoli; te la sei guadagnata, sii felice, e Dio t'accompagni.
Soltanto verso la mezzanotte i viaggiatori cominciarono a scendere sotto coperta. Il mio amico ed io scendemmo gli ultimi e a passo di formica, perchè ci ripugnava d'andare a chiudere fra quattro pareti un'allegrezza a cui pareva angusto il circuito della Propontide. Quando fummo a metà della scaletta sentimmo la voce del capitano che c'invitava a salire la mattina seguente sul ponte riserbato al comando. - Siano su prima del levar del sole, - gridò affacciandosi alla botola -; faccio buttare in mare chi ritarda.
Una minaccia più superflua non è mai stata fatta dopo che mondo è mondo. Io non chiusi occhio. Credo che il giovane Maometto II, in quella famosa notte di Adrianopoli, in cui disfece il letto a furia di voltarsi e di rivoltarsi, agitato dalla visione della città di Costantino, non abbia fatto tanti rivoltoloni quanti ne feci io nella mia cuccetta in quelle quattr'ore d'aspettazione. Per dominare i miei nervi, provai a contare fino a mille, a tener l'occhio fisso sulle ghirlande bianche che l'acqua rotta dal bastimento sollevava intorno all'occhio del mio camerino, a canterellare delle ariette cadenzate sul rumore monotono della macchina a vapore; ma era inutile. Avevo la febbre, mi sentivo mancare il respiro e la notte mi pareva eterna. Appena vidi un barlume di giorno, saltai giù; Yunk era già in piedi; ci vestimmo in furia, e salimmo in tre salti sopra coperta.
Maledizione!
C'era la nebbia.
Una nebbia fitta copriva l'orizzonte da tutte le parti; pareva imminente la pioggia; il grande spettacolo dell'entrata in Costantinopoli era perduto; il nostro più ardente desiderio, deluso; il viaggio in una parola, sciupato!
Io rimasi annichilito.
In quel punto comparve il capitano col suo solito sorrisetto sulle labbra.
Non ci fu bisogno di parlare; appena ci vide, capì, e battendoci una mano sulla spalla, disse in tuono di consolazione:
- Niente, niente. Non si sgomentino, signori. Benedicano anzi questa nebbia. In grazia della nebbia loro faranno la più bella entrata in Costantinopoli che abbiano mai potuto desiderare. Fra due ore avremo un sereno meraviglioso. Riposino sulla mia parola.
Mi sentii tornare la vita.
Salimmo sul ponte del Comando.
A prora tutti i turchi erano già seduti a gambe incrociate sui loro tappeti, col viso rivolto verso Costantinopoli. In pochi minuti tutti gli altri viaggiatori usciron fuori, armati di canocchiali d'ogni forma, e si appoggiarono, stesi in una lunga fila, al parapetto di sinistra, come alla balaustrata d'una galleria di teatro. Tirava un'arietta fresca; nessuno parlava. Tutti gli occhi e tutti i canocchiali si rivolsero a poco a poco verso la riva settentrionale del mare di Marmara. Ma non si vedeva ancor nulla.
La nebbia però non formava che una fascia biancastra all'orizzonte, sopra la quale splendeva il cielo sereno e dorato.
Diritto dinanzi a noi, nella direzione della prora, appariva confusamente il piccolo arcipelago delle nove Isole dei Principi, le Demonesi degli antichi, luogo di piaceri della C...
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