[Pagina precedente]...anche una casa per lei sola, e perchè, volendo ricevere amici, clienti, adulatori, senza che le sue donne sian viste o disturbate, è costretto ad avere una casa separata. Il turco di mezzo ceto, per ragioni d'economia, sta più vicino a sua moglie, la vede più sovente e vive con essa in maggiore famigliarità . Il turco povero, in fine, che è costretto a vivere nel minor spazio e colla minor spesa possibile, mangia, dorme, passa tutte le sue ore libere colla moglie e coi figliuoli. La ricchezza divide, la povertà unisce. Nella casa del povero non c'è differenza reale tra la vita della famiglia cristiana e quella della famiglia turca. La donna, che non può avere una schiava, lavora, e il lavoro rialza la sua dignità e la sua autorevolezza. Non è raro che essa vada a tirar fuori il marito ozioso dal caffè o dalla taverna, e che lo spinga a casa a colpi di pantofola. Si trattano da pari a pari, passano la sera l'uno accanto all'altro davanti alla porta di casa; nei quartieri più appartati, vanno sovente insieme a far le spese per la famiglia; e occorre molte volte di vedere, in un cimitero solitario, il marito e la moglie che fanno merenda vicino al cippo d'un parente, coi loro bambini intorno, come una famigliuola d'operai dei nostri paesi. Ed è uno spettacolo più commovente appunto perchè è più singolare. E non si può, vedendolo, non sentire che c'è qualcosa di necessario e d'universalmente ed eternamente bello in quel nodo d'anime e di corpi, in quel gruppo unico d'affetti; che non c'è posto per altri; che una nota di più in quell'armonia la guasta o la distrugge; che s'ha un bel dire e un bel fare, ma che la forza prima, l'elemento necessario, la pietra angolare d'una società ordinata e giusta è là ; - che ogni altra combinazione d'affetti e d'interessi è fuori della natura; - che quella sola è una famiglia, e l'altra un armento; - che quella sola è una casa, e l'altra un lupanare.
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E v'è chi dice che le donne orientali sono soddisfatte della poligamia e che non ne comprendono neppure l'ingiustizia. Per creder questo bisogna non conoscere, non dico l'Oriente, ma nemmeno l'anima umana. Se questo fosse vero, non seguirebbe quello che segue: cioè che non v'è quasi ragazza turca la quale, accettando la mano d'un uomo, non gli metta per condizione di non sposarne un'altra, lei viva; non ci sarebbero tante spose che ritornano alla loro famiglia quando il marito manca a quella promessa; e non ci sarebbe un proverbio turco che dice: - casa di quattro donne, barca nella burrasca. - Anche se è adorata da suo marito, la donna orientale non può che maledire la poligamia, per cui vive sempre con quella spada di Damocle sul capo, di avere di giorno in giorno una rivale, non nascosta o lontana e sempre colpevole, com'è necessariamente quella di una moglie europea; ma installata accanto a lei, in casa sua, col suo titolo, coi suoi stessi diritti; di vedere fors'anche una delle sue schiave, prescelta a odalisca, alzare tutt'a un tratto la fronte dinanzi a lei, e trattarla da eguale, e mettere al mondo dei figliuoli che hanno gli stessi diritti dei suoi. È impossibile che il suo cuore non senta l'ingiustizia di quella legge. Quando il marito amato da lei, le conduce in casa un'altra donna, essa avrà un bel pensare che, facendo questo, l'uomo non fa che valersi d'un diritto che gli dà il codice del Profeta. In fondo all'anima sua sentirà che v'è una legge più antica e più sacra che condanna quell'atto come un tradimento e una prepotenza, sentirà che quell'uomo non è più suo, che il nodo è sciolto, che la sua vita è spezzata, ch'essa ha il diritto di ribellarsi e di maledire. E se anche non ama suo marito, ha mille ragioni di detestare quella legge: l'interesse leso dei suoi figliuoli, il suo amor proprio ferito, la necessità in cui è posta, o di vivere abbandonata o di non essere più cercata dall'uomo che per compassione o per un desiderio senz'amore. Si dirà che la donna turca sa che queste cose accadono pure alla donna europea: è vero; ma sa pure che la donna europea non è costretta dalla legge civile e religiosa a rispettare e a chiamar sorella colei che le avvelena la vita, e che ha almeno la consolazione di esser considerata come una vittima, e che ha mille modi di consolarsi e di vendicarsi senza che il marito le possa dire, come può dire il poligamo a una delle sue mogli infedeli: - Io ho il diritto di amare cento donne, e tu hai il dovere di non amar che me solo.
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È vero che la donna turca ha molte guarentigie dalla legge e molti privilegi per consuetudine. È generalmente rispettata con una certa forma di gentilezza cavalleresca. Nessun uomo oserebbe alzar la mano sopra una donna in mezzo alla via. Nessun soldato, anche nel tafferuglio d'una sedizione, s'arrischierebbe a maltrattare la più insolente delle popolane. Il marito tratta la moglie con una certa deferenza cerimoniosa. La madre è oggetto d'un culto particolare. Non c'è uomo che osi far lavorare la donna per campare sul suo lavoro. È lo sposo che assegna una dote alla sposa; essa non porta alla casa maritale che il suo corredo e qualche schiava. In caso di ripudio o di divorzio, il marito è obbligato a dare alla moglie tanto che basti per vivere senza disagio; e quest'obbligo lo trattiene da usar con lei dei cattivi trattamenti, che le diano il diritto d'ottenere la separazione. La facilità del divorzio rimedia in parte alle tristi conseguenze dei matrimonii, fatti quasi sempre alla cieca per effetto della costituzione speciale della società turca, nella quale i due sessi vivono divisi. Alla donna, per ottenere il divorzio, basta poca cosa: che il marito l'abbia maltrattata una volta, che l'abbia offesa parlando con altri, che l'abbia trascurata per un certo tempo. Quando essa ha da lagnarsi di suo marito, non ha che da presentare le sue lagnanze per scritto al tribunale; può, quando occorra, presentarsi in persona a un vizir, al gran vizir stesso, da cui è quasi sempre ricevuta e ascoltata senza ritardo e benignamente. Se non può andar d'accordo colle altre mogli, il marito è tenuto a darle una casa separata; e se anche va d'accordo, ha diritto a un appartamento per sè sola. L'uomo non può nè sposare nè far sue odalische le schiave che la moglie ha portato con sè dalla casa paterna. Una donna stata sedotta e abbandonata, può farsi sposare dal suo seduttore, se questi non ha già quattro mogli; e se ne ha quattro, farsi pigliare in casa come odalisca, e il padre deve riconoscere il figliuolo; il perchè fra i turchi non ci son bastardi. Rarissimi i celibi, rarissime le vecchie ragazze; assai meno frequenti che non si creda i matrimonii forzati, perchè la legge punisce i padri che se ne rendono colpevoli. Lo Stato dà una pensione alle vedove senza parenti e senza mezzi, e provvede alle orfane; molte bambine rimaste in mezzo alla strada, sono pure raccolte da signore ricche, che le educano e le maritano; è raro che una donna sia lasciata nella miseria. Tutto questo è vero ed è buono; ma non toglie che i Turchi ci facciano ridere quando vogliono confrontare con vantaggio la condizione sociale della loro donna a quella della nostra, e affermare la loro società immune dalla corruzione di cui accusano la società europea. Che valgono alla donna le forme del rispetto, se la sua condizione di moglie suppletoria è per sè stessa umiliante? Che le vale la facilità di divorziare e di rimaritarsi, se qualunque altro uomo la sposi, ha il diritto di metterla nelle condizioni medesime, per le quali s'è separata dal primo marito? Che gran cosa che l'uomo abbia l'obbligo di riconoscere il figlio illegittimo se non ha i mezzi di mantenerlo, e se può averne legittimamente cinquanta, ai quali, se non il nome, tocca di bastardi la miseria o l'abbandono? Ci dicono che non commettono infanticidii; ma li aborti voluti, per i quali hanno delle case apposite, chi li conta? Ci dicono che non hanno prostituzione. Ma come! E che altro mestiere è quello delle mille concubine caucasee, comprate e rivendute cento volte? Dicono: non c'è almeno quella pubblica. Che baie! Murad III non avrebbe ordinato di mandare di là dal Bosforo tutte le donne di mala vita, e si sa che ne fu fatta una grande retata. Vorrebbero poi farci credere che è più facile ad uomo aver la fedeltà di quattro donne che di una sola? E darci ad intendere che il turco che ha quattro mogli, non commette più peccati fuori di casa e fuori della propria religione? E ci parleranno di moralità gli uomini più devoti alla nefanda voluptas che sian sulla terra?
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Da tutto questo è facile argomentare che cosa siano le donne turche. Non sono la maggior parte che "femmine piacevoli". Le più non sanno che leggere e scrivere, e nè leggono nè scrivono; e sono creature miracolose quelle che hanno una superficialissima coltura. Già ai turchi, secondo i quali le donne "hanno i capelli lunghi e l'intelligenza corta", non garba ch'esse coltivino la mente perchè non conviene che siano in nulla eguali o superiori a loro. Così, non ricavando istruzione dai libri, e non potendo riceverne dalla conversazione cogli uomini, rimangono in una crassa ignoranza. Dalla separazione dei due sessi nasce che all'uno manca qualche cosa di gentile e all'altro qualche cosa di alto: gli uomini diventano rozzi, le donne diventano comari. E non praticando della società altro che un piccolo cerchio donnesco, ritengono quasi tutte fino alla vecchiezza qualche cosa di puerile nelle idee e nelle maniere: una curiosità matta di mille cose, uno stupirsi di tutto, un fare un gran caso d'ogni inezia, una maldicenza piccina, un'abitudine di sdegni e di dispettucci da educande, un ridere sguaiato a tutti i propositi, e un divertirsi per ore a giochi bambineschi, come inseguirsi di stanza in stanza e strapparsi di bocca i confetti. È vero che hanno per contrapposto, per dirla alla rovescia dei francesi, la buona qualità nel difetto; ed è che sono nature schiette e trasparenti, dentro alle quali si legge alla prima; che sono quello che paiono, persone vere, come diceva la signora di Sevigné, non maschere, nè caricature, nè scimmie; donne aperte e tutte d'un pezzo anche nella tristizia; e se è vero che basta che una di esse giuri e spergiuri una cosa perchè nessuno ci creda, vuol dire appunto che non hanno arte abbastanza per riuscire nell'inganno. E non è una piccola lode il dire anche che non ci sono fra loro nè dottoresse pesanti, nè maestruccole che non ciancino altro che di lingua e di stile, nè creature vaporose che vivano fuori della vita. Ma è anche vero che in quella vita angusta, priva di alte ricreazioni dello spirito, nella quale rimane perpetuamente insoddisfatto il desiderio istintivo della gioventù e della bellezza, di essere ammirate e lodate, l'animo loro s'inasprisce; e che, non avendo il freno dell'educazione, corrono a qualunque eccesso, quando una brutta passione le muove. E l'ozio fomenta in loro mille capricci insensati, in cui s'ostinano con furore, e li vogliono appagati a qualunque prezzo. Oltrechè, in quell'aria sensuale dell'arem, in quella compagnia di donne inferiori a loro di nascita e d'educazione, lontane dall'uomo che servirebbe loro di freno, s'assuefanno a una crudità indicibile di linguaggio, non conoscono le sfumature dell'espressione, dicono le cose senza velo, amano la parola che fa arrossire, lo scherzo inverecondo, l'equivoco plebeo; diventano sboccatamente mordaci ed insolenti; tanto che all'europeo che intende il turco, occorre qualche volta di sentire dalla bocca d'una hanum d'aspetto signorile, stizzita contro un bottegaio indiscreto o sgarbato, delle impertinenze che non isfuggono tra noi se non alle donne della specie peggiore. E questa loro acrimonia va crescendo col crescere delle loro relazioni colle donne europee o della loro conoscenza dei nostri costumi, che alimentano in esse lo spirito di ribellione; e quando sono amate, si vendicano con una tirannide capricciosa sui loro mariti della tirannide sociale a cui sono soggette. Molti hanno dipinte le donne turche tutte dolci, mansuete, perit...
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