[Pagina precedente]...ose. Ma ci sono anche fra loro le anime ardite e feroci. Anche là, nelle sommosse popolari, si vedono le donne in prima linea; si armano, s'assembrano, arrestano le carrozze dei vizir invisi, li coprono di contumelie, li pigliano a sassate e resistono alla forza. Sono dolci e mansuete, come tutte le donne, quando nessuna passione le rode o le accende. Trattano amorevolmente le schiave, se non ne sono gelose; dimostrano tenerezza pei figliuoli, benchè non sappiano o non si curino d'educarli; contraggono fra di loro, specialmente quelle divise dai mariti o afflitte dallo stesso dolore, delle amicizie tenerissime, piene d'entusiasmo giovanile, e si dimostrano l'affetto reciproco vestendosi degli stessi colori, profumandosi colle medesime essenze, e facendosi dei nei della stessa forma. E qui potrei aggiungere quello che scrisse più d'una viaggiatrice europea, "che ci sono fra loro tutti i vizii di Babilonia"; ma mi ripugna, in una cosa così grave, l'affermare sulla fede altrui.
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Quale è la loro indole, tali sono le loro maniere. Somigliano la maggior parte a quelle ragazze di buona famiglia, ma cresciute in campagna, le quali, nell'età in cui non sono più bambine e non sono ancora donne, commettono in società mille piacevolissime sconvenienze, per cui ogni momento si fanno far gli occhiacci dalla mamma. Bisogna sentirne parlare da una signora europea, che abbia visitato un arem. È una cosa comicissima. La hanum, per esempio, che nei primi minuti sarà stata seduta sopra il sofà nello stesso atteggiamento composto della sua visitatrice, tutt'a un tratto incrocicchierà le dita sopra la testa, o tirerà un lungo sbadiglio, o si piglierà un ginocchio tra le mani. Abituate alla libertà, per non dire alla licenza, dell'arem, agli atteggiamenti cascanti dell'ozio e della noia, e ammollite come sono dai lunghi bagni, si stancano subito d'una qualunque compostezza forzata. Si coricano sul divano, si voltano e si rivoltano continuamente attorcigliando e districando in mille modi il loro lunghissimo strascico, si raggomitolano, si pigliano i piedini in mano, si mettono un cuscino sulle ginocchia e i gomiti sul cuscino, s'allungano, si storcono, si stirano, fanno la gobbina come i gatti, rotolano dal divano sulla materassa, dalla materassa sul tappeto, dal tappeto sul marmo del pavimento, e s'addormentano dove il sonno le coglie come i bambini. Una viaggiatrice francese ha detto che hanno qualcosa del mollusco. Son quasi sempre in un atteggiamento da poterle prendere fra le braccia come una cosa rotonda. La loro posizione meno rilassata è quella di star sedute a gambe incrociate. E dicono che derivi appunto dallo star sedute quasi sempre in questa maniera, fin dall'infanzia, il difetto che hanno quasi tutte delle gambe un po' arcate. Ma con che garbo si siedono! Si vede nei cimiteri e nei giardini. Cascano a piombo e rimangono sedute in terra, senza puntar le mani, immobili come statue, e si drizzano poi in piedi, senz'appoggiarsi, d'un sol tratto, come se scattassero. Ma è forse questo il loro solo movimento vivace. La grazia della donna turca è tutta nel riposo; - nell'arte di mettere in evidenza le belle curve con atteggiamenti stanchi d'addormentata, col capo arrovesciato indietro, coi capelli sciolti, colle braccia penzoloni, - l'arte che strappa l'oro e i gioielli al marito, e sconvolge il sangue e la ragione all'eunuco.
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E lo studio di quest'arte non è l'ultimo dei mezzi con cui esse cercano di alleggerire la noia mortale che pesa sulla maggior parte degli arem; noia che deriva non tanto dalla mancanza d'occupazioni e di distrazioni, quanto dall'esser queste tutte d'un colore; come certi libri che, pure essendo svariati nella sostanza, seccano per l'uniformità dello stile. Per salvarsi dalla noia fanno di tutto; la loro giornata non è spesso che una lotta continua contro questo mostro ostinato. Sedute sui cuscini o sui tappeti, accanto alle loro schiave, orlano innumerevoli fazzoletti da regalare alle amiche, ricamano berretti da notte o borse da tabacco pei mariti, per i padri, e per i fratelli; fanno scorrere cento volte le pallottoline del tespì; contano fin al numero più alto a cui sanno contare; seguitano coll'occhio, per lunghi tratti, dai finestrini rotondi delle stanze alte, i bastimenti che passano sul Bosforo o sul Mar di Marmara, o si mettono a fantasticare ricchezze, libertà ed amori accompagnando collo sguardo le spire azzurrine del fumo della sigaretta. Quando son stanche della sigaretta assaporano nel cibuk i "biondi capelli del Latachié"; sazie di fumare, sorbono una tazzina di caffè di Siria; rosicchiano frutta e confetti; si fanno durare mezz'ora un gelato; poi fanno un'altra fumatina col narghilè profumato d'acqua di rosa; poi succhiano un po' di mastico per levarsi il sapore del fumo; poi prendono la limonata per levarsi il sapore del mastico. Si vestono, si svestono, si mettono tutte le robe del loro cassettone, esperimentano tutte le tinture dei loro vasetti, si fanno e si disfanno dei nei in forma di stelle e di mezzelune, e combinano in tutte le maniere possibili una dozzina di specchi e di specchietti per vedersi da tutte le parti, finchè si vengono in uggia. Allora due schiave di quindici anni ballano il balletto obbligato colle nacchere e col tamburello; una terza ripete per la centesima volta una canzonetta o una favola che sanno tutte a memoria; o le due solite maschiotte vestite da acróbata fanno la solita lotta, che finisce con un pattone sul pavimento e una risata senza sapore. Qualche volta c'è la novità d'una brigatella di ballerine egiziane, e allora è una piccola festa; qualche altra volta capita una zingara, e allora la hanum si fa dir la ventura sulla palma, o compera un talismano per esser sempre giovane, un decotto per aver figliuoli, un filtro per farsi amare. Stanno ore col viso alle grate a guardar la gente e i cani che passano, insegnano una parola nuova a un pappagallo, scendono in giardino a fare all'altalena, risalgono in casa a dir le preghiere, tornano a sdraiarsi sul divano per giocare alle carte, saltan su per ricever la visita d'una parente o d'un'amica, e allora ricomincia la solita sequela di caffè, di fumatine, di limonate, di merenduccie, di risate stanche e di sbadigli sonori, fin che l'amica se ne va, e l'eunuco, apparendo sulla soglia, dice a bassa voce: - L'Effendi. - Ah! finalmente! È proprio Allà che lo manda, foss'anche il più brutto marito di Stambul.
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Questo segue negli arem dove c'è, se non altro, la pace; negli altri la noia è soffocata dal furore delle passioni, e vi si mena una vita affatto diversa. Regna la pace nell'arem in cui v'è una donna sola, amata da suo marito, il quale non bada alle schiave, e non ha intrighi fuor di casa. C'è pure, se non felicità, pace, negli arem dove sono parecchie mogli di carattere leggiero o freddo, indifferenti per il marito il quale non fa differenza tra loro, che ricevono ciascuna alla propria volta le sue preferenze senza amore, senza gelosia e senza ambizione di predominio. Queste mogli di buona pasta cercano di cavare all'Effendi tutto il denaro che possono, stanno nella stessa casa, vivono d'accordo, si chiamano sorelle, si divertono insieme, e addio; la barca è fatta alla diavola, ma tanto e tanto va avanti. C'è ancora la pace, un'apparenza almeno di pace, negli arem dove la moglie posposta a una nuova venuta, si rassegna tristamente al suo destino, e pure rifiutando i ritagli d'amore che le vorrebbe dar suo marito, rimane amica sua, nella sua casa, e cerca un conforto nei figli, e vive in un raccoglimento dignitoso. Ma è un tutt'altro vivere negli arem dove ci sono donne di cuor fiero e di sangue ardente che non vogliono sottostare al trionfo d'una rivale, che non possono sopportar l'onta dell'abbandono, che non si rassegnano a veder posposti i propri figli a quelli d'un'altra madre. In questi arem c'è l'inferno. Qui si piange, si strepita, si spezzano porcellane e cristalli, si fanno morir delle schiave a colpi di spillo, si ordiscono delle congiure, si meditano dei delitti, e qualche volta si consumano: si avvelena, si stiletta, si gettano delle bocce di vitriolo nel viso; qui la vita non è che una trama orribile di persecuzioni, di odii implacabili, di guerre sorde e feroci. L'uomo che ha più mogli, in conclusione, o ne ama una sola davvero, e non ha la pace; o le ama tutte ad un modo per aver la pace, e non ha l'amore. E nell'un caso e nell'altro, va quasi sempre diritto alla rovina, poichè se fra le sue donne non c'è gelosia d'amore, c'è sempre gelosia d'amor proprio, rivalità d'ambizione, gara di splendidezze; ed egli non può regalare alla sua prediletta del giorno un gioiello o una carrozza o una villetta sul Bosforo, senza che ne nasca un sottosopra; il perchè è costretto a far per tutte quello che vorrebbe fare per una, vale a dire a comprar la pace a peso d'oro. E quello che segue tra le donne, segue tra i figliuoli, i quali o son figli della madre negletta, e odiano; o son figli della favorita, e sono odiati. Ed è facile immaginare che educazione possono ricevere nell'arem, in quelle case piene di rancori e d'intrighi, in mezzo alle schiave e agli eunuchi, senza l'assistenza del padre, senza l'esempio del lavoro, in quell'aria bassa e sensuale; le ragazze in special modo, che s'avvezzano fin dai primi anni a fondare tutte le speranze della propria fortuna sopra le arti d'una seduzione per la quale è troppo alto l'epiteto di "amorosa", e che imparano queste arti dalla madre, e il rimanente dalle schiave, e il di più da Caragheuz.
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Vi sono poi due altre specie di arem, oltre ai pacifici e ai tempestosi: l'arem del turco giovane e spregiudicato, che seconda le tendenze europee della moglie, e quello del turco o rigorista per sentimento proprio, o dominato da parenti, e in particolar modo da una vecchia madre, musulmana inflessibile, avversa ad ogni novità, che gli fa governar la casa a modo suo. Fra questi due arem corre una gran differenza. Il primo arieggia la casa d'una signora europea. C'è un pianoforte che la hanum impara a sonare da una maestra cristiana; ci son dei tavolini da lavoro, delle seggiole impagliate, un letto di mogogon, una scrivania; c'è appeso a una parete un bel ritratto a matita dell'Effendi fatto da un pittore italiano di Pera; c'è in un cantuccio uno scaffaletto con una ventina di libri, fra i quali un piccolo dizionario turco e francese e l'ultimo numero della Mode illustrée che la signora riceve di seconda mano dalla consolessa di Spagna. La signora possiede pure tutto l'occorrente per dipingere all'acquerello e dipinge con passione fiori e frutti. Essa assicura alle sue amiche che non ha un momento di noia. Tra un lavoro e l'altro scrive le sue memorie. A una cert'ora riceve il maestro di francese (un vecchio gobbo e sfiatato, s'intende) col quale fa esercizio di conversazione. Qualche volta viene a farle il ritratto una fotografa tedesca di Galata. Quando è malata, viene a visitarla un medico europeo, il quale può anche essere un bel giovane, chè il marito non è poi così bestialmente geloso come certi suoi amici antiquati. E viene una volta ogni tanto anche una modista francese a misurarle un vestito tagliato proprio sull'ultimo figurino del giornale della moda, col quale la signora vuol fare una bella sorpresa al marito la sera del giovedì, che è la sera sacramentale degli sposi musulmani, nella quale l'effendi ha una specie di cambiale galante da pagare alla sua "foglia di rosa". E l'effendi, che è uomo d'alto affare, le ha promesso di farle vedere dallo spiraglio d'una porta il primo gran ballo che darà nel prossimo inverno l'ambasciata d'Inghilterra. La hanum, insomma, è una signora europea di religione musulmana, e lo dice con compiacenza alle amiche: - Io vivo come una cocona, - come una cristiana; - e le amiche e le parenti sue professano almeno gli stessi principii, se non possono condurre la stessa vita, e fra lei e loro si discorre di mode e di teatri, si canzonano le "superstizioni", le "pedanterie", le "bigott...
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