[Pagina precedente]...i passi dalla meta, si prova ancora un piacere inesprimibile a soffermarsi per guardare un ciottolo, per veder fuggire una lucertola, per raccontare una barzelletta, per perdere un po' di tempo, per ritardare di qualche minuto quel momento che s'è desiderato per vent'anni e che si ricorderà per tutta la vita. Per modo che rimane assai poca cosa di questi celebrati piaceri dell'ammirazione, se si toglie il sentimento che li precede e quello che li segue. È quasi sempre un'illusione, seguita da un leggiero disinganno, dal quale noi, ostinati, facciamo pullulare altre illusioni.
La moschea di Santa Sofia è posta in faccia all'entrata principale dell'antico Serraglio.
Arrivando, però, nella piazza che si stende dinanzi al Serraglio, la prima cosa che attira gli occhi, non è la moschea, ma la fontana famosa del Sultano Ahmed III.
È uno dei più originali e più ricchi monumenti dell'arte turca. Ma più che un monumento, è un vezzo di marmo, che un galante sultano mise in fronte alla sua Stambul in un momento d'amore. Io credo che non lo possa descriver bene che una donna. La mia penna non è abbastanza fina per ritrarne l'immagine. A prima vista, non si direbbe una fontana. Ha la forma d'un tempietto quadrato, ed è coperto da un tetto alla chinese, che spinge le sue falde ondulate molto al di fuori dei muri, e gli dà una vaga apparenza di pagoda. Ai quattro angoli vi sono quattro torricciuole rotonde, munite di finestrine ingraticolate, o piuttosto quattro chioschetti di forma gentilissima, ai quali corrispondono, sopra il tetto, altrettante cupolette svelte, sormontate ciascuna da una guglia graziosa; le quali fanno corona a una cupoletta più grande, posta nel mezzo. In ciascuno dei quattro muri ci sono due nicchie eleganti; fra le nicchie un arco a sesto acuto; sotto l'arco, una cannella che versa l'acqua in una piccola vasca. Intorno all'edifizio gira una iscrizione che dice: - Questa fontana ti parla della sua età nei seguenti versi del sultano Ahmed: volgi la chiave di questa sorgente pura e tranquilla e invoca il nome di Dio; bevi di quest'acqua inesauribile e limpida e prega per il Sultano. - Il piccolo edifizio è tutto di marmo bianco, che appena apparisce sotto gl'infiniti ornamenti che coprono i muri; sono archetti, nicchiette, colonnine, rosoni, poligoni, nastri, ricami di marmo, dorature su fondo azzurro, frangie intorno alle cupole, intarsiature sotto il tetto, musaici di cento colori, arabeschi di mille forme, che par che s'intrichino a fissarvi lo sguardo, ed irritano quasi il senso dell'ammirazione. Non c'è lo spazio d'una mano che non sia scolpito, miniato, tormentato. È un prodigio di grazia, di ricchezza e di pazienza, da tenersi sotto una campana di cristallo; una cosa che pare non sia fatta soltanto per gli occhi, ma che debba avere un sapore, e se ne vorrebbe succhiare una scheggia; uno scrigno, che si vorrebbe aprire, per vedere che cosa c'è dentro: se una dea bambina o una perla enorme o un anello fatato. Il tempo n'ha in parte sbiadito le dorature, confusi i colori e anneriti i marmi. Che cosa doveva essere questo gioiello colossale quando fu scoperto la prima volta, tutto nuovo e sfolgorante, agli occhi del Salomone del Bosforo, cento e sessant'anni or sono? Ma così vecchio e nero come si ritrova, tiene ancora il primato su tutte le piccole meraviglie di Costantinopoli; ed oltre a ciò, è un monumento così schiettamente turco, che visto una volta, si fissa per sempre nella memoria in mezzo a quel certo numero d'immagini, che balenano poi tutte insieme alla mente ogni volta che ci suoni all'orecchio il nome di Stambul, e formano come il fondo del quadro orientale, su cui si moverà perpetuamente il nostro pensiero.
Dalla fontana si vede la moschea di Santa Sofia, che chiude un lato della piazza.
L'aspetto esterno non ha nulla di notevole. La sola cosa che arresti lo sguardo sono i quattro altissimi minareti bianchi, che sorgono ai quattro angoli dell'edifizio su piedestalli grandi come case. La cupola famosa sembra piccina. Non pare che possa essere quella medesima cupola che si vede rotondeggiare nell'azzurro, come la testa d'un titano, da Pera, dal Bosforo, dal mar di Marmara e dalle colline dell'Asia. È una cupola schiacciata, fiancheggiata da due mezze cupole, rivestita di piombo, coronata di finestre, che s'appoggia su quattro muri dipinti a larghe striscie bianche e rosate, sostenuti alla loro volta da enormi contrafforti, intorno ai quali sorgono confusamente molti piccoli edifizii d'aspetto meschino, - bagni, scuole, mausolei, ospizi, cucine pei poveri. - che nascondono l'antica forma architettonica della basilica. Non si vede che una mole pesante, irregolare, di color scialbo, nuda come una fortezza, e non tanto grande all'apparenza, da far supporre a chi non lo sappia che vi sia dentro il vano immenso della navata di Santa Sofia. Della basilica antica non apparisce propriamente che la cupola, la quale pure ha perduto lo splendore argentino che si vedeva, a detta dei Greci, dalla sommità dell'Olimpo. Tutto il rimanente è musulmano. Un minareto fu innalzato da Maometto il Conquistatore, un altro da Selim II, gli altri due dal terzo Amurat. Dello stesso Amurat sono i contrafforti innalzati sulla fine del sedicesimo secolo per sostenere i muri stati scossi da un terremoto, e la smisurata mezzaluna di bronzo, piantata sulla sommità della cupola, di cui la sola doratura costò cinquantamila ducati. L'antico atrio è sparito; il battisterio convertito in mausoleo di Mustafà e d'Ibraim I quasi tutti gli altri piccoli edifizii annessi alla chiesa greca, o distrutti, o nascosti da nuovi muri, o trasformati in maniera che non si riconoscono. Da tutte le parti la moschea stringe, opprime e maschera la chiesa, che non ha più libero che il capo, sul quale però vigilano, come quattro sentinelle gigantesche i quattro minareti imperiali. Dalla parte d'Oriente v'è una porta ornata di sei colonne di porfido e di marmo; a mezzogiorno un'altra porta per cui s'entra in un cortile, circondato d'edifìci bassi e disuguali, in mezzo al quale zampilla una fontana per le abluzioni, coperta da un tempietto arcato, sostenuto da otto colonnine. A guardarla di fuori, non si distinguerebbe Santa Sofia dalle altre grandi moschee di Stambul, se non perchè è meno bianca e meno leggiera; e molto meno passerebbe pel capo che sia quello "il maggior tempio del mondo dopo San Pietro".
Le nostre guide ci condussero, per una stradicciuola che fiancheggia il lato settentrionale dell'edifizio, a una porta di bronzo che girò lentamente sui cardini, ed entrammo nel vestibolo.
Questo vestibolo, che è una lunghissima ed altissima sala, rivestita di marmo e ancora luccicante qua e là degli antichi mosaici, dà accesso alla navata dal lato orientale per nove porte, e dal lato opposto metteva anticamente, per altre cinque porte, in un altro vestibolo, che per altre tredici porte comunicava coll'atrio.
Appena oltrepassata la soglia, mostrammo il nostro firmano d'entrata a un sacrestano in turbante, infilammo le pantofole, e a un cenno delle guide, ci avvicinammo, trepidando, alla porta di mezzo del lato orientale, che ci aspettava spalancata.
Messo appena il piede nella navata, rimanemmo tutti e due come inchiodati.
Il primo effetto, veramente, è grande e nuovo.
Si abbraccia con uno sguardo un vuoto enorme, un'architettura ardita di mezze cupole che paion sospese nell'aria, di pilastri smisurati, di archi giganteschi, di colonne colossali, di gallerie, di tribune, di portici, su cui scende da mille grandi finestre un torrente di luce; un non so che di teatrale e di principesco, più che di sacro; una ostentazione di grandezza e di forza, un'aria d'eleganza mondana, una confusione di classico, di barbaro, di capriccioso, di presuntuoso, di magnifico; una grande armonia, in cui, alle note tonanti e formidabili dei pilastri e degli archi ciclopici, che rammentano le cattedrali nordiche, si mescono gentili e sommesse cantilene orientali, musiche clamorose dei conviti di Giustiniano e d'Eraclio, echi di canti pagani, voci fioche d'un popolo effeminato e stanco, e grida lontane di Vandali, d'Avari e di Goti; una grande maestà sfregiata, una nudità sinistra, una pace profonda; un'idea della basilica di San Pietro raccorciata e intonacata, e della basilica di San Marco ingigantita e deserta; un misto non mai veduto di tempio, di chiesa e di moschea, d'aspetti severi e d'ornamenti puerili, di cose antiche e di cose nove, e di colori disparati, e d'accessorii sconosciuti e bizzarri; uno spettacolo, insomma, che desta un sentimento di stupore insieme e di rammarico, e fa stare per qualche tempo coll'animo incerto, come cercando una parola che esprima ed affermi il proprio pensiero.
L'edifizio è fabbricato sopra un rettangolo quasi equilatero, nel mezzo del quale s'innalza la cupola maggiore, sorretta da quattro grandi archi, i quali posano su quattro pilastri altissimi, che sono come l'ossatura di tutta la basilica. Ai due archi che si presentano in faccia a chi entra, si appoggiano due grandi semicupole, le quali coprono tutta la navata, e ciascuna d'esse s'apre in altre due semicupole minori, che formano come quattro tempietti rotondi nel grande tempio. Fra i due tempietti della parte opposta all'entrata, s'apre l'abside, pure coperta da una vôlta a quarto di sfera. Sono dunque sette mezze cupole che fanno corona alla cupola maggiore, due sotto questa, e cinque sotto quelle due, senza punto d'appoggio apparente, in modo che presentano tutte insieme un aspetto di leggerezza meravigliosa, e sembrano davvero, come disse un poeta greco, appese per sette fili alla volta del cielo. Tutte queste cupole sono rischiarate da grandi finestre arcate e simmetriche. Fra i quattro pilastri enormi che formano un quadrato nel mezzo della basilica, s'alzano, a destra e a sinistra di chi entra, otto meravigliose colonne di breccia verde, su cui s'incurvano degli archi graziosi scolpiti a fogliami, che formano un porticato elegantissimo ai due lati della navata, e sorreggono a una grande altezza due vaste gallerie, le quali presentano due altri ordini di colonne e d'archi scolpiti. Una terza galleria, che comunica colle due prime, corre lungo tutto il lato dell'entrata, e s'apre sulla navata con tre grandi archi, sostenuti da colonne gemelle. Altre gallerie minori, sostenute da colonne di porfido, tramezzano i quattro tempietti posti alle estremità della navata, e sorreggono altre colonne, sulle quali s'appoggiano delle tribune. Questa è la basilica. La moschea è come sparpagliata nel suo seno e appiccicata alle sue mura. Il Mirab, - la nicchia che indica la direzione della Mecca, - è scavato in un pilastro dell'abside. Alla sua destra, in alto, è appeso uno dei quattro tappeti, su cui Maometto faceva le sue preghiere. Sull'angolo dell'abside più vicino al Mirab, in cima a una scaletta ripidissima, fiancheggiata da due balaustrate di marmo scolpite con una delicatezza magistrale, sotto un bizzarro tetto conico, in mezzo a due bandiere trionfali di Maometto II, sporge il pulpito dove sale il Ratib a leggere il Corano, con una scimitarra sguainata nel pugno, per significare che Santa Sofia è moschea conquistata. In faccia al pulpito v'è la tribuna del Sultano, coperta da una graticola dorata. Altri pulpiti, o specie di terrazze, munite di balaustrate scolpite a giorno, e sorrette da colonnine di marmo e da archi arabescati, si stendono qua e là lungo i muri o s'avanzano verso il mezzo della navata. A destra e a sinistra dell'entrata, ci sono due enormi urne d'alabastro, rinvenute fra le rovine di Pergamo, e fatte trasportare a Costantinopoli da Amurat III. Dai pilastri, a una grande altezza, pendono dei dischi verdi smisurati, con iscrizioni del Corano a caratteri d'oro. Di sotto sono attaccate ai muri delle grandi cartelle di porfido, che portano scritti i nomi d'Allà , di Maometto e dei quattro primi Califfi. Negli angoli formati dai quattro archi che sostengono la cupola si vedono ancora le ali gigantesche di quattro cherubini di ...
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