[Pagina precedente]...zia, e voi mostrerete liberamente al mondo le grazie del vostro viso e i tesori della vostra anima; e allora, ogni volta che si nomineranno in Europa le "perle dell'Oriente", s'intenderà di nominar voi, o bianche hanum; voi, belle musulmane, colte, argute e gentili; non le inutili perle che brillano intorno alla vostra fronte in mezzo alle pompe fredde dell'arem. Coraggio, dunque! Il Sole si leva. Per me - e questo lo dico ai miei amici increduli - vecchio come sono, non ho ancora rinunziato alla speranza di dare il braccio alla moglie d'un pascià di passaggio per Torino, e di condurla a passeggiare sulle rive del Po, recitandole un capitolo dei Promessi Sposi.
IANGHEN VAR
Stavo appunto fantasticando intorno a questa passeggiata, verso le cinque della mattina, nella mia camera dell'Albergo di Bisanzio, e così tra il sonno e la veglia, vedendo lontano la collina di Superga, cominciavo a dire alla mia hanum viaggiatrice: - "Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno fra due catene non interrotte...." - quando mi comparve dinanzi, col lume in mano, il mio amico Yunk "bianco vestito" e mi domandò con gran meraviglia: - Che cosa accade questa notte a Costantinopoli?
Tesi l'orecchio e sentii un rumore sordo e confuso che veniva dalla strada, un suono di passi affrettati per le scale, un mormorio, un fremito, che pareva di giorno. Mi affacciai alla finestra e vidi giù nell'oscurità un gran correre di gente verso il Corno d'oro. Corsi sul pianerottolo, afferrai un cameriere greco che scendeva le scale a precipizio e gli domandai che cos'era accaduto. Egli si svincolò dicendo: - Ianghen var, per Dio! Non avete sentito il grido? - E poi soggiunse scappando: - Guardate la cima della Torre di Galata. - Tornammo alla finestra e guardando giù verso Galata vedemmo tutta la parte superiore della gran torre illuminata da una luce purpurea vivissima, e una gran nuvola nera che s'alzava dalle case vicine in mezzo a un vortice di scintille e s'allargava rapidamente sopra il cielo stellato.
Subito il nostro pensiero corse ai formidabili incendii di Costantinopoli, e specialmente a quello spaventevole di quattr'anni innanzi; e il nostro primo sentimento fu di terrore e di compassione. Ma immediatamente dopo, - lo confesso e me ne vergogno, - un altro sentimento egoistico e crudele, - la curiosità del pittore e del descrittore, - prese il disopra e, - confesso anche questo, - ci scambiammo un sorriso che il Doré avrebbe potuto cogliere a volo per stamparlo sulla faccia d'uno dei suoi demoni danteschi. Chi ci avesse aperto il petto, in quel momento, non ci avrebbe trovato che un calamaio e una tavolozza.
Ci vestimmo e scendemmo in furia giù per la gran strada di Pera.
Ma la nostra curiosità , per fortuna, fu delusa. Non eravamo ancora arrivati alla torre di Galata che l'incendio era quasi spento. Finivano di bruciare due piccole case; la gente cominciava a ritirarsi; le strade erano allagate dall'acqua delle pompe e ingombre di mobili e di materasse, fra le quali andavano e venivano, nell'oscurità grigia del mattino, uomini e donne in camicia, tremanti dal freddo, levando in cento lingue un vocìo assordante, nel quale non si sentiva più che quel resto di paura che dà sapore alla chiacchiera dopo un grave pericolo svanito. Vedendo che tutto stava per finire, scendemmo verso il ponte per consolarci del nostro dispetto scellerato colla levata del sole.
Qui assistemmo a uno spettacolo che valeva quello d'un incendio.
Il cielo cominciava appena a chiarirsi dietro le colline dell'Asia. Stambul, scossa per poco al primo annunzio dell'incendio, era già rientrata nella quiete solenne della notte. Le rive e il ponte erano deserti; tutto il Corno d'oro dormiva, coperto da una bruma leggerissima e immerso in un silenzio profondo. Non moveva una barca, non volava un uccello, non stormiva un albero, non si sentiva un respiro. Quella interminabile città azzurra, muta e velata, pareva dipinta nell'aria, e sembrava che, gettando un grido, avrebbe dovuto svanire. Costantinopoli non ci s'era mai mostrata in un aspetto così aereo e così misterioso; non ci aveva mai presentato più vivamente l'immagine di quelle città favolose delle storie orientali, che il pellegrino vede sorgere improvvisamente dinanzi a sè, e vi trova, entrando, un popolo immobile, pietrificato, negli infiniti atteggiamenti di una vita affaccendata ed allegra, dalla vendetta improvvisa d'un Re dei geni. Stavamo là appoggiati alle spallette del ponte, contemplando quella scena meravigliosa, senza più pensare all'incendio, quando sentimmo prima un vocìo fioco e confuso di là dal Corno d'oro, come di gente che chiedesse soccorso, e poi uno scoppio di grida altissime: - Allà ! Allà ! Allà ! - che risonarono improvvisamente nel vano enorme e silenzioso della rada, e nello stesso tempo apparve sulla sponda opposta, e si slanciò giù per il ponte, correndo precipitosamente verso di noi, una folla rumorosa e sinistra.
- Tulumbadgi! - gridò uno dei guardiani del ponte. - (I pompieri!)
Noi ci tirammo da una parte.
Un'orda di selvaggi seminudi, col capo scoperto, coi petti irsuti, grondanti di sudore, vecchi, giovani, neri, nani e giganti cappelluti e rapati, faccie d'assassini e di ladri, quattro dei quali portavano sulle spalle una piccola pompa e pareva una bara di fanciullo; armati di lunghe aste uncinate, di fasci di corde, d'ascie, e di picconi, - ci passarono accanto, urlando e anelando, cogli occhi dilatati, coi capelli sparsi, coi cenci al vento, stretti, impetuosi e biechi, - e gettandoci in viso una tanfata d'odor di belve, disparvero nella strada di Galata, d'onde ci giunsero le loro ultime grida fioche di Allà , e poi fu di nuovo un silenzio profondo.
L'impressione che mi fece quell'apparizione tumultuosa e fulminea in quella quiete arcana della grande città addormentata, non la so esprimere; - so che compresi e vidi in un momento mille scene d'invasioni barbariche, di saccheggi e d'orrori di paesi e di tempi lontani, che fino allora la mia immaginazione si era sforzata inutilmente di rappresentarsi al vivo, e che mi domandai se quella era la città , se quello era proprio il ponte, su cui, di giorno, passavano degli ambasciatori europei, delle signore vestite alla parigina e dei venditori di giornali francesi.
Un minuto dopo, il silenzio solenne del Corno d'oro fu rotto di nuovo da un gridìo lontano, e un'altra turba scamiciata e selvaggia ci passò dinanzi, come un turbine, sul ponte ondeggiante e sonante, levando un frastuono confuso di urli, di sbuffi, d'aneliti, di risa soffocate e sinistre, e un'altra volta le grida prolungate e lamentevoli di Allà si perdettero per le strade di Galata, seguite da un silenzio mortale.
Poco dopo passò un'altra turba, e poi una quarta, e poi altre due, e infine passò il pazzo di Pera, nudo dalla testa ai piedi, mezzo morto dal freddo, gettando grida acutissime, inseguito da un branco di monelli turchi, che disparvero con lui e coi pompieri dietro le case della riva franca; e sulla grande città , dorata dai primi raggi dell'aurora, tornò a regnare un altissimo silenzio.
Di lì a poco si levò il sole, comparvero i muezzin sui minareti, si mossero i caicchi, si svegliò il porto, cominciò a passar gente sul ponte e a spandersi intorno il rumor sordo della vita cittadina, e noi ritornammo verso Pera. Ma l'immagine di quella grande città assopita, di quel cielo albeggiante, di quella pace solenne, di quelle orde selvaggie, ci rimase così profondamente stampata nella mente, che oggi ancora non ci rivediamo una volta senza ricordarcela, con un misto piacevolissimo di stupore e di paura, come una scena veduta nella Stambul d'altri secoli, o sognata nell'ebbrezza dell'hascisc.
Così non vidi lo spettacolo di un incendio a Costantinopoli; ma se non lo vidi coi miei occhi, conobbi tanti testimonii oculari di quello che distrusse Pera nel 1870, e ne raccolsi notizie così minute, che posso dire d'averlo visto colla mente, e descriverlo forse con non minore evidenza che se ne fossi stato anch'io spettatore.
La prima fiamma s'accese in una piccola casa di via Feridié, in Pera, il giorno cinque di giugno, stagione in cui una buona parte della popolazione agiata di Costantinopoli villeggia sul Bosforo; al tocco dopo mezzogiorno, ora in cui quasi tutti gli abitanti della città , anche europei, stanno chiusi in casa a far la siesta. Nella casa di via Feridié non c'era che una vecchia serva; la famiglia era partita la mattina per la campagna. Appena s'accorse dell'incendio, la vecchia si slanciò nella strada e si mise a correre gridando: - Al fuoco! - Subito accorse gente dalle case intorno, con secchie e con piccole pompe -, perchè era già caduta la legge insensata che proibiva di spegnere gli incendii prima che arrivassero gli ufficiali dei Seraschierato -, e, come sempre, si precipitarono tutti verso la fontana più vicina per prender acqua. Le fontane di Pera, a cui i portatori d'acqua vanno ad attingere, a certe ore, per le famiglie del quartiere, vengono tutte chiuse a chiave dopo la distribuzione, e l'impiegato che le ha in custodia non può più aprirle senza il permesso dell'autorità . In quel momento appunto v'era accanto alla fontana una guardia turca della municipalità di Pera, che aveva la chiave in tasca, e stava là spettatrice impassibile dell'incendio. La folla affannata lo circonda e gl'intima di aprire. Egli rifiuta dicendo che non ha l'ordine. Gli si stringono addosso, lo minacciano, lo afferrano: egli resiste, si dibatte, grida che non leveranno la chiave che dal suo cadavere. Intanto le fiamme avvolgono tutta la casa e cominciano ad attaccarsi alle case vicine. La notizia dell'incendio si propaga di quartiere in quartiere. Dalla sommità della torre di Galata e di quella del Seraschiere, i guardiani hanno visto il fumo e messo fuori le grandi ceste purpuree, segnale degl'incendii di giorno. Tutte le guardie di città corrono per le strade battendo i loro lunghi bastoni sul ciottolato e mettendo il grido sinistro: - Ianghen var! - C'è il fuoco! - a cui rispondono con rulli cupi e precipitosi i mille tamburi delle caserme. Il cannone di Top-hané annunzia il pericolo alla immensa città con tre colpi che risuonano dal mar di Marmara al mar Nero. Il Seraschierato, il serraglio, le ambasciate, tutta Pera e tutta Galata sono sottosopra; e pochi minuti dopo arrivano a spron battuto in via Feridié il ministro della guerra, un nuvolo di ufficiali, un esercito di pompieri, e cominciano precipitosamente il lavoro. Ma come accade quasi sempre, quel primo tentativo riuscì inutile. Le strade strettissime non concedevano libertà di movimenti; le pompe non servivano, l'acqua era insufficiente e lontana; i pompieri, mal disciplinati, come sempre, e piuttosto intesi a crescere che a scemare la confusione, per pescare nel torbido; e per di più scarseggiavano i facchini per il trasporto delle robe, essendone andato un gran numero, quel giorno, alla festa nazionale armena che si celebra a Beicos. È a notarsi, inoltre, che le case di legno erano allora in assai maggior numero che non siano ora, e che anche le case di pietra e di mattoni avevano, come quelle di legno, dei tetti sottili, difesi da radissime tegole, e perciò facilissimi ad accendersi. E non v'era nemmeno il vantaggio che presenta, in simili occasioni, la popolazione musulmana, la quale, fatalista ed apatica com'è in faccia alla sventura, non si atterrisce gran fatto all'aspetto d'un incendio, e se non aiuta abbastanza a spegnere, non intralcia almeno l'opera degli altri con la propria forsennatezza. Quella era popolazione quasi tutta cristiana e perdette immediatamente la testa. L'incendio non abbracciava ancora che poche case, che già in tutte le strade d'intorno era un tramestìo indescrivibile, un precipitar di mobili dalle finestre, un tumulto di pianti e di grida, uno sgomento, un ingombro, contro cui non potevano nè le minaccie, nè la forza, nè le armi. Un'ora era appena trascorsa dall'apparire delle prime fiamme, e già tutta la strada Feridié era accesa, e gli uffic...
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